CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

mercoledì 4 marzo 2020

L’ALTRO VERSANTE DELLA MONTAGNA (2)











































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Giardini dell'Anima...

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Introduzione all'Introduzione (1/2) 














Non riuscivo più a fermarmi, scendevo sempre più veloce dal bosco da cui ispirato da un vecchio monaco taoista avevo scritto una preghiera, in una decina di minuti mi sono ritrovato in una valla isolata….

Gli alberi che fiancheggiavano i gradini nascondevano il cielo, attutivano il sibilo del vento ed io quasi non sentivo più le sottili gocce di pioggia. Il bosco si faceva sempre più buio, mi domandavo se per caso non fossi arrivato nella foresta che si scorgeva dal tempio. Non ricordavo di aver fatto quella strada all’andata, ma quando mi sono voltato e ho visto la quantità infinita di gradini scesi ho concluso che sarebbe stato troppo duro salire un’altra volta per ritrovare il vecchio percorso.

Tanto valeva proseguire.




I gradini erano sempre più malconci, non come quelli dell’andata. Mi sono reso conto allora di essere finito nell’altro versante della montagna, così mi sono lasciato portare dalle gambe proprio come quando, arrivata la sua ora, l’uomo lascia l’Anima discendere agli inferi senza frenarne la corsa. Di tanto in tanto mi voltavo indietro perplesso, poi la visione dell’inferno mi ha sedotto e ho smesso di pensare. La sommità sferica dei pilastri di pietra ai lati del buio sentiero somigliava a tante teste calve. Giù nella valle sembrava ancora più umido, i pilastri tutti erosi e sbilenchi parevano ancora di più teschi allineati. Cattivi pensieri sul vecchio maestro taoista mi si affacciavano alla mente, forse era stato lui con i suoi poteri magici a farmi smarrire la strada.

Il panico allora ha preso il sopravvento e mi ha gettato in uno stato confusionale…

Mi sono ritrovato avvolto nella foschia…




Il bosco si faceva sempre più buio, le umide lastre di pietra e i grigi pilastri rischiarati dalla luce parevano cadaveri. Marciavo tra ossa biancastre, le gambe non mi obbedivano più, con un moto inarrestabile mi trascinavo nel baratro della morte… Dovevo fermarmi e abbandonare al più presto quel sentiero, approfittare di una curva per lanciarmi nel bosco e incurante di spine e arbusti aggrapparmi a un albero e frenare la corsa.

Mani e faccia mi dolevano, dal viso colava qualcosa, forse sangue. Ho alzato allora la testa e ho visto sul tronco un occhio tondo che mi fissava. Mi sono girato, sui fusti vicini e lontani si spalancavano occhi enormi che mi scrutavano gelidi.

Era una foresta di alberi e Spiriti....




Dopo averne estratto il liquido i boscaioli avevano lasciato intagli sui tronchi, e così era sorto quel paesaggio infernale.

Posso metterla in un altro modo.

Era solo un’allucinazione dovuta alla paura, la mia cattiva coscienza mi spiava, la moltitudine di occhi era la mia coscienza che mi scrutava. Continuo ad avere la sensazione di essere sempre spiato, cosa che mi fa sentire male. In realtà è solo paura di me stesso. Tornato sul sentiero la pioggia continuava a cadere fitta e le pietre erano bagnate. Ho smesso di guardarmi intorno e ho continuato a scendere alla cieca. 




Superato il primo momento di panico, di paura della morte, placata l’angoscia e l’agitazione, resta lo smarrimento. Perso in una foresta vergine immersa in una quiete di tomba indugi sotto un albero morto sul punto di crollare. Giri intorno allo strano arpione che sembra indicare il cielo coperto, riluttante ad abbandonare il tuo unico punto di riferimento, forse il tuo ultimo offuscato ricordo.

Non vuoi fare la fine del pesce infilzato nell’arpione, meglio recidere gli ultimi fili che ti legano a questo mondo così familiare piuttosto che esaurire le energie a frugare nei ricordi. Certo puoi perderti di più, ma conservi un barlume di speranza, è perfettamente comprensibile.




Sul limitare della foresta, in prossimità della vallata, devi decidere se tornare nell’immenso bosco o scendere a valle. Sul versante ombreggiato della montagna si apre un ampio pascolo d’altura, punteggiato dall’ombra di qualche raro albero. Le nere pareti a strapiombo sono nude rocce. Chissà perché, sei attratto dal ruscello che scorre impetuoso a fondovalle, e senza riflettere allunghi il passo, poi prendi a correre. In un lampo ti rendi conto che non tornerai più nel mondo, pieno di affanni, sì, ma con ancora un po’ di calore.

I ricordi lontani ti pesano…

Senza volere gridi e ti lanci verso il tenebroso fiume dell’Oblio…

Corri, gridi, urla bestiali di gioia erompono dai polmoni.




Sei venuto al mondo gridando a più non posso, poi precetti, divieti, buona educazione e cultura ti hanno azzittito. Adesso finalmente hai riconquistato la gioia di gridare in libertà ma, strano, non senti più la tua voce.

A braccia aperte corri, urli, ansimi, urli di nuovo, ma non esce suono. Vedi un rivolo d’acqua impetuoso, non distingui da dove provenga né dove sia diretto. Come in balia del vento ti senti sciogliere tra la nebbia e le nubi, senza peso ti rilassi, avverti una sensazione di liberazione mai provata frammista a una lieve paura, ignori di cosa: è malinconia, più che altro.

Ti sembra di planare, spaccarti in due, disperderti ai quattro venti, perdere il corpo, fonderti sereno nel paesaggio, fluttuare come sottili filamenti di ragnatela nella cupa valle. Sei tu quei fili, in un indescrivibile spazio.

Tutt’intorno aria di morte…

Hai i polmoni freddi, il corpo ghiacciato…




Cadi, ti alzi, urli e riprendi a correre…

La boscaglia si fa più fitta, è più arduo avanzare.

Sprofondi tra gli arbusti, con le mani scosti i rami senza sosta. Richiede molta più calma ed energia che scendere dalla montagna. Stremato ti fermi a riprendere fiato e ascolti il fiume. Sai di essere vicino, senti il gorgoglio delle acque nel greto nero. Non è forte, ad ascoltare attentamente è come uno scrosciare di sassolini. Non avevi mai prestato tanta attenzione al fiume, a forza di ascoltare ne intravedi il riflesso scintillare nel buio.

Hai l’impressione di camminare in acqua, di calpestare piante acquatiche. Sprofondi nel fiume dell’Oblio, le piante ti avviluppano come angosce. In un istante svanisce anche la disperazione e ti fai strada a tentoni nel greto. Cammini sui ciottoli, ti aggrappi con le dita dei piedi. Sei nel tenebroso fiume degli Inferi, solo nel punto in cui zampillano gocce d’acqua simili a palline di mercurio brilla una luce blu scuro. Sei alquanto sconcertato ma nella sorpresa si cela un’immensa gioia.




Senti un profondo sospiro, pensi provenga dal fiume, piano piano ti accorgi che non è una, ma diverse donne annegate. Si lamentano, gemono, ti passano accanto, i lunghi capelli sciolti e i visi pallidi, senza un filo di colore.

Nel fiume, tra le radici degli alberi dove gorgoglia l’acqua che si frange, c’è una ragazza. Si è tolta la vita, i capelli che ondeggiano nell’acqua. Il fiume attraversa una boscaglia dove non penetra un filo di luce, non si vede un lembo di cielo, le donne ti passano accanto gemendo. Non hai intenzione di trarle in salvo: non vuoi salvare neanche te stesso.




Comprendi che stai errando nell’Aldilà, la vita non è più nelle tue mani, è una sorpresa continuare a respirare. Il destino è sospeso tra l’attimo precedente e quello successivo allo stupore. Se scivoli, se le pietre cui ti aggrappi con le dita dei piedi rotolano via, se il piede non riesce a toccare il fondo, anneghi nel fiume infernale come i cadaveri che vengono a galla e che non fanno che gemere.

E’ tutto qui il senso…

Inutile darsene pena, vai avanti e basta!

Il placido fluire del fiume, le acque nere come la morte, le foglie dei rami che sfiorano la superficie, la corrente che scorre come fossero lenzuola trascinate via o come pelli di lupi morti.

E’ tutto parte del fiume dell’Oblio.




Tu non sei poi tanto diverso dal tuo lupo…

Hai fatto abbastanza danni e sei stato azzannato da altri lupi. Inutile trovare un senso. Anche se nel fiume dell’Oblio ci fosse più equità il traguardo di uomini e lupi sarebbe sempre la morte.

La scoperta ti rende così felice che hai voglia di urlare, gridi ma il grido non esce, l’unico suono è lo sciacquio contro le voragini sotto le radici degli alberi.

Da dove vengono?

Le acque non hanno confini, non sono molto profonde ma non hanno argini. C’è un detto. Il mare della sofferenza è sconfinato. E tu flutti nello sterminato oceano.




Una lunga fila di ombre umane intona un canto funebre. Non è triste, ha qualcosa di buffo. La vita è allegra, la morte anche. Sono i tuoi ricordi a suggerirtelo. C’è un coro che intona un sutra nelle immagini che affiorano dalla memoria? Se ascolti attento la melodia sembra salire dal muschio quel tappeto alto e morbido che sprofonda nel fango.

Lo sollevi e una miriade di vermi scappa in tutti i sensi.

Ti assale il disgusto.

Ti rendi conto che sono vermi vivi che si cibano dei cadaveri in putrefazione dei morti, e anche del tuo corpo vivo e oggi come domani ne faranno banchetto.

Sono vermi vivi e scappano da tutti i lati…

(Gao Xingjian, La montagna dell’Anima)  










      


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