CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
30 MAGGIO 1924

martedì 12 marzo 2024

NATURA NON CIVILIZZATA











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sulla specie "umana"  


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Le storie che narrano del Tempo Lontano, il tempo primordiale in cui uomini e animali si confondevano gli uni con gli altri, forniscono la spiegazione delle regole di condotta che gli esseri umani devono osservare nei confronti del mondo naturale. Se un individuo infrange queste prescrizioni incorre nella punizione da parte di potenti spiriti che animano il mondo che circonda l’uomo.

 

Ogni animale, ogni pianta, anche molti oggetti inanimati e fenomeni della natura sono dotati di un’essenza spirituale, invisibile, vagamente concepita, che si preoccupa del benessere e della riproduzione della specie cui appartiene.

 

L’uccisione degli animali durante la caccia costituisce una continua minaccia per il delicato equilibrio che unisce l’uomo al resto del mondo. Ma la caccia in sé non è fonte di pericoli, a condizione che vengano prese tutte le precauzioni rituali necessarie e che siano osservate le regole di rispetto e deferenza verso gli animali cacciati, i quali costituiscono la fonte principale di cibo per i popoli della foresta boreale.




L’animale e il suo spirito sono un’unica e identica cosa. Quando si nomina l’animale si nomina anche il suo spirito. È per questo che alcuni nomi di animali sono hutlaanee – come quelli che le donne non possono dire – poiché chiamare il nome dell’animale è come chiamare il suo spirito. Proprio come non diciamo il nome di una persona dopo che questa è morta… sarebbe come chiamare il suo spirito e potrebbe essere pericoloso per colui che lo ha fatto.

 

Noi abbiamo rispetto per gli animali. Non li teniamo in gabbie o li torturiamo, poiché sappiamo che gli animali provengono dal Tempo Lontano.

 

Sappiamo che gli animali hanno uno spirito – solitamente umano – e sappiamo tutte le cose che fanno. Non sono solo animali, sono molto più di questo.

 

Durante l’autunno, puoi sentire i laghi che emettono forti suoni crepitanti dopo che sono ghiacciati. Significa che stanno chiamando la neve affinché li ricopra, per proteggerli dal freddo. Quando mio padre mi disse questo, disse che ogni cosa ha in sé una vita. Egli era solito «dirci questo.




Se una persona ha buona fortuna, cattura della selvaggina, è perché qualcuno ha creato il mondo e ci aiuta a procurarci quello di cui abbiamo bisogno.

 

Una concezione molto comune fra i popoli cacciatori-raccoglitori vuole che le donne non vengano in contatto con le attrezzature e, particolarmente, con le armi della caccia. Si tratta di una prescrizione rituale che tende a separare e distinguere la sfera femminile, le cui attività sono soprattutto volte alla sopravvivenza e alla riproduzione, da quella maschile, che ruota intorno alla caccia e allo spargimento del sangue degli animali uccisi. Questo racconto dei Koyukon, raccolto da NELSON, 1983, 161, riconduce la regola che proibisce alle donne di cacciare, uccidere e scuoiare i lupi a una vicenda che avvenne nel Tempo Lontano, il tempo mitico delle origini in cui si posero le basi del mondo così come appare oggi.




C’era una ragazza che incontrò un lupo, molto tempo fa nel Tempo Lontano, quando i lupi erano esseri umani. Il lupo la voleva come moglie, anche se aveva già due mogli-lupo. Quando la portò a casa le sue due mogli la annusarono e scoprirono che era umana. Dopo un po’ lei ebbe un figlio – un bambino – e il lupo decise di uccidere le altre due mogli. Lo fece, ma poi gli spiriti di quelle due mogli-lupo uccisero la sua moglie umana e le divorarono le interiora. Da allora, si ritiene che le donne non possano mai uccidere i lupi e che non debbano lavorare le pelli di lupo finché l’animale non è morto da un pezzo. Esse devono seguire queste regole finché non sono troppo vecchie per avere bambini. 

 

 

LA VISIONE DI UN PROFETA 

 

 

Naidzo, il profeta del Lago degli Orsi, era nato intorno al 1887 e morì nel 1973. Era molto stimato dai Dogrib, anche se non conduceva cerimonie o danze rituali. Egli limitava il suo compito di profeta ad esortare i suoi compagni nel seguire un comportamento moralmente corretto e ad aderire alle prescrizioni della religione cattolica. Tuttavia, il suo discorso è calato perfettamente all’interno di una struttura religiosa che ritroviamo in tutta l’area del Subartico e che ha origini molto antiche.




Il sorgere della profezia viene descritto sul modello dell’iniziazione sciamanica, anche se in questo caso, scopo dell’operazione è togliere l’ink’on, il potere sciamanico posseduto dall’individuo e sostituirlo con il potere della profezia.

 

Il messaggio profetico, tratto da HELM 1994, 22-23, si presenta come pronunciato in prima persona dallo stesso Naidzo. Si tratta tuttavia di un resoconto riportato da Vital Thomas, un informatore Dogrib, il quale riferisce ciò che ebbe modo di ascoltare dalla viva voce del profeta.

 

Quando ero giovane ero così fortunato. Riuscivo a uccidere ogni genere di caribù e di animali da pelliccia, ogni cosa. Stavo proprio bene in quei giorni.

 

Poi, tutt’a un tratto qualcuno [volendo significare un messaggero divino] venne da me e mi disse:

 

‘Stai uccidendo troppo. Se continui in questo modo per il resto della tua vita, alla fine della vita sarai triste. Voglio cambiarti, farti smettere di uccidere così tanto’.




Mi chiese che cosa ne pensavo di ciò.

 

Io dissi:

 

‘Sta a te dirmelo, perché tu conosci il futuro. Sta a te fare quello che è bene per me’.

 

Così disse:

 

‘Quando cominciamo, intendiamo farti diventare zoppo. Cosa ne pensi?’.

 

Io dissi:

 

‘Sta a te. Tu sei il capo. Tutto quello che dici mi sta bene, poiché non voglio essere triste negli ultimi giorni della mia vita’.




Allora disse:

 

‘Se noi ti rendiamo solo zoppo, ti resteranno ancora due braccia e due occhi per vedere. Finché i tuoi occhi saranno aperti, non smetterai di uccidere. Così, la cosa migliore è di renderti cieco. Cosa ne pensi?’.

 

Io dissi:

 

‘Sta a te. Fai quello che vuoi. Sarà un bene per me’.




Egli disse:

 

‘Ti renderemo cieco. Ma prima di renderti cieco vogliamo toglierti tutto questo ink’on, tutto quello che conosci’.

 

Così camminò intorno e quando fu dietro di me per la prima volta pose la sua mano proprio sul mio capo. Poi mi dette un piccolo colpo sulla testa e qualcosa come del ghiaccio scivolò dentro di me, fino all’altezza del petto. Poi egli fece un secondo giro intorno e quando fu dietro di me mi dette un’altro lieve colpo, ma più forte del primo, e io sentii del ghiaccio fino alle ginocchia.

 

Allora disse:

 

‘Questo è l’ultimo’.

 

Girò di nuovo intorno a me, e quando mi fu dietro dette un colpo sulla mia testa un po’ più forte, e tutto l’ink’on se ne andò via. Tuttavia, una parte dell’ ink’on si stava ancora muovendo, era ancora viva. Allora prese un sacco, come quello … [di un soffietto?] e vi mise dentro dell’aria, così…

 

[l’informatore fa con le mani e le braccia un movimento di apertura e chiusura, per indicare che stava premendo un oggetto pieno d’aria, simile a un sacco].




Tre volte mise dell’aria nel sacco e ogni volta l’aria veniva fuori con impeto verso il mucchio di ink’on, e la terza volta tutto l’ ink’on era scomparso

 

[l’immagine dell’ ink’on come di una sostanza vivente sembra particolare di Naidzo].

 

Allora mi disse:

 

‘Ti abbiamo ripulito per bene e questo non tornerà più indietro verso di te’.

 

Stava in piedi di fronte a me e disse:

 

‘Ora che sei pulito, sembri così misero’.

 

Si mise la mano in tasca e ne trasse un rosario; porgendomelo, disse:

 

‘Questo ti aiuterà’.

 

Cercando una seconda volta, ne trasse una specie di pietra sacra. E la terza volta mi dette qualcos’altro di sacro [l’informatore non ricordava più quale fosse il terzo oggetto].




Allora disse:

 

‘Non sarai infelice. Per il resto della tua vita noi ti istruiremo, e quando sarai abbastanza vecchio ti dedicherai alla predicazione’.

 

[Il profeta rivolto al suo pubblico]

 

‘Io non sogno. Ho visto qualcosa come una strada che porta in cielo. E dodici persone vennero là. Stavano in piedi alla mia destra, mi toccavano, e qualcuno disse:

 

‘Conosci questi uomini?’.

 

‘No’.

 

‘Bene, questi sono i dodici apostoli’.

 

Io strinsi la mano a tutti loro ed è così che è cominciato. Credo di essere stato su quella strada un migliaio di volte, e ho imparato a predicare’.





CREE 

 

 

Il vasto complesso di gruppi che vengono designati collettivamente con il termine di Montagnais-Naskapi comprende una molteplicità di piccole comunità di cacciatori-raccoglitori, parlanti lingue della famiglia algonchina e distribuite, originariamente, in tutto il vasto territorio che separa la costa atlantica del Labrador dalla sponda orientale della Baia di Hudson. Più in particolare si distingue un gruppo più settentrionale, nella penisola del Labrador, designato dai loro vicini come Naskapi, un termine dispregiativo di incerta etimologia, ma che significa approssimativamente: ‘gente non civilizzata’, ‘coloro che non hanno religione’; un gruppo orientale, lungo la costa, che i francesi chiamarono Montagnais, in quanto abitanti di un territorio montuoso e inospitale; infine un gruppo orientale, presso la James Bay, che viene designato come Cree orientali o Mistassini Cree.

 

La principale fonte di sussistenza per tutti questi popoli era costituita dalla caccia agli animali della foresta, integrata dalla raccolta di prodotti vegetali e, in alcune zone, dalla pesca. Durante la stagione estiva la maggior parte dei gruppi si riuniva intorno ai principali laghi o fiumi della regione, dove si tenevano rituali e festeggiamenti, si allacciavano alleanze e si combinavano matrimoni. Con il sopraggiungere dei primi freddi le singole comunità si apprestavano a ritornare verso l’interno, per cacciare e trovare una sistemazione adeguata per l’inverno.




I confini tra le aree e le suddivisioni erano labili e permeabili, le singole comunità si spostavano frequentemente, sia per esigenze legate alla ricerca della selvaggina, sia per motivi sociali, e la composizione dei gruppi era in tal modo soggetta a continui e periodici mutamenti e fluttuazioni. Le unità sociali fondamentali, che rimanevano insieme durante la stagione fredda, erano composte da piccoli gruppi consistenti in non più di tre o quattro nuclei familiari per un totale di 15-20 persone. La struttura sociale non prevedeva alcuna autorità formale, ad eccezione dell’influenza occasionale e mutevole di un abile cacciatore, un famoso guerriero o un individuo cui fosse riconosciuta una particolare capacità nell’arte oratoria.




Considerevoli modificazioni in questo stile di vita furono provocate dall’incontro con le potenze coloniali europee, in particolare con le avanguardie costituite da missionari e mercanti. Il commercio delle pellicce, una merce altamente apprezzata dai mercanti europei, finì per trasformare radicalmente la cultura tradizionale dei popoli nativi della regione: con l’istituzione di postazioni commerciali aventi lo scopo di promuovere gli scambi con le popolazioni indigene, i Montagnais-Naskapi si trovarono sempre più dipendenti dai beni e dagli strumenti forniti dagli europei e si dedicarono in maniera intensiva alla caccia agli animali da pelliccia.

 

D’altra parte, la possibilità di insediarsi nei pressi dei forti o dei centri di scambio consentì alle società native di adottare forme di insediamento più stabili e il mantenimento di comunità di dimensioni molto più ampie nelle zone commerciali, mentre i territori di caccia venivano ripartiti in piccole aree che ciascun gruppo sfruttava per il proprio tornaconto.




La pratica religiosa, tra i Montagnais-Naskapi era una faccenda in grande misura individuale, che comportava la capacità, per ciascun soggetto, di porsi in relazione diretta e personale con le fonti del potere spirituale; coloro che avevano conseguito un particolare successo nell’acquisizione di potere dagli spiriti divenivano sciamani e potevano intervenire, in particolari occasioni, anche a beneficio di altri individui o della comunità nel suo complesso. Le occasioni principali in cui ciò avveniva consistevano nei casi di malattia oppure quando si rivelava necessario scoprire dove si sarebbe potuto trovare la selvaggina. Le più importanti pratiche rituali di questo popolo, come in tutta l’area subartica, riguardano infatti le situazioni essenziali della vita umana: la salute, la caccia, la nascita e la morte.

 

L’universo religioso gravita intorno alla relazione degli uomini con il mondo animale e con gli spiriti della natura che popolano l’ambiente che circonda i cacciatori: la foresta, gli alberi, i laghi, le sorgenti. Il mondo visibile, specialmente quello rappresentato dalla natura selvaggia, si dimostra continuamente fonte di significati reconditi e di esperienze inaspettate, che dischiudono la presenza di un mondo invisibile, che soltanto alcuni, gli sciamani particolarmente potenti, possono pretendere di conoscere, almeno in parte, e di saper manipolare.




La presenza di missionari cattolici e protestanti fin dagli inizi del XVII secolo ha inciso profondamente sul sistema religioso dei nativi, il quale rivela in molti punti la profonda influenza del pensiero cristiano, anche laddove questo non è riuscito a sostituire le tradizioni religiose locali. 

 

 

IL SIGNORE DEL CARIBU’ 

 

 

I caribù costituiscono per i cacciatori Montagnais una delle principali fonti di cibo e di materie prime: non stupisce quindi che questi animali si trovino al centro delle attività e dell’interesse dei popoli nativi della regione. I caribù sono concepiti come esseri che vivono in forme di vita sociale organizzata, che riflettono per molti aspetti la società degli uomini e sono dominati da un essere misterioso che esercita su di essi autorità e controllo, ma anche sollecitudine e protezione.




La presenza del Signore dei Caribù assume importanza determinante durante le attività di caccia, in quanto, secondo la visione del mondo di questi popoli cacciatori, le tecniche e le armi non sono sufficienti ad assicurare il successo nell’impresa: è necessario guadagnarsi il favore delle potenze spirituali che sovrintendono al modo animale e che ne controllano gli spostamenti e la riproduzione.

 

I due brani che presentiamo, tratti dalla trascrizione di discorsi di informatori indigeni pubblicata da SPECK 1935, 81, 88, mostrano come il Signore dei Caribù fosse all’origine egli stesso un cacciatore. Anzi, un cacciatore eccezionalmente abile, che uccideva numerosi animali. Egli si trasforma in un guardiano e protettore degli animali, la cui preoccupazione consiste soprattutto nel far sì che gli esseri umani seguano le regole e le prescrizioni cerimoniali relative alla caccia. Ricorre frequentemente, in questi testi, la norma secondo la quale non si deve sprecare la carne degli animali uccisi: tutto deve essere utilizzato e consumato, altrimenti si corre il rischio di veder scomparire la propria fortuna nella ricerca di selvaggina.

 

 


 


Ti sarà raccontata una storia:

 

 

La storia dell’uomo-caribù. Un tempo c’erano un vecchio e suo figlio, che erano molto esperti nella caccia. Successe che il figlio sognò di vivere con i caribù, sembra che egli uccidesse moltissimi di questi animali. Una volta, allora, successe che durante l’inverno egli disse a suo padre: ‘Voglio partire. Ucciderò tanti caribù quanti basteranno per tutto l’inverno. Quindi non aspettarmi e non preoccuparti. Io tornerò. Invero, sto andando con i caribù’. Allora egli cantò: ‘Il caribù camminava bene come me.




Allora camminai come lui camminava, presi il suo sentiero, e camminai come il caribù; la mia pista assomigliava a una pista di caribù quando guardai le mie tracce. Così, invero, mi prenderò cura dei caribù. Io dividerò i caribù e li darò alla gente. Saprò quanti darne alla gente. Questo io lo conoscerò’. [Così cantò, e proseguì]:

 

‘Colui che obbedisce alle regole avrà i caribù, e colui che disobbedisce non riceverà i caribù. Se qualcuno spreca troppi caribù, a costui non potranno essergli dati, poiché egli spreca troppo cibo –le buone cose. Ora, per quanto ho detto, saprete per sempre come stanno le cose. Perché d’ora in poi sarà come ho detto. Invero, io sono l’Uomo dei Caribù (Ati’k’wape’o). Così sono chiamato.




Ate’k’wabe’o (o Ati’k’wape’o), l’Uomo dei Caribù, era il più giovane di quattro fratelli. Essi stavano cacciando caribù e seguivano una mandria, vicino alla quale essi si accamparono una notte in un riparo aperto. Quella notte, egli sognò che una femmina di caribù uscì dalla mandria e gli parlò: lo chiamò chiedendogli di venire con loro e vivere con i caribù come suo marito. Il mattino seguente l’Uomo dei Caribù lasciò da solo il campo e andò verso il luogo indicatogli dal sogno. Qui vide una femmina di caribù che sembrava lo stesse aspettando. Lasciando a terra il suo arco e le frecce egli le si avvicinò e quando la raggiunse, essa lo guidò dove erano altri tre caribù: evidentemente stavano in guardia come esploratori. Essi lo condussero via e così si unì alla mandria.




L’Uomo dei Caribù da allora in poi visse con i caribù. Egli vive ancora, mangia lo stesso cibo, il muschio, che mangiano i cervi. Egli si sposta con essi da un luogo all’altro, a volte cavalcando in groppa a un grosso maschio. I suoi abiti sono di pelle di caribù. Quando ha bisogno di abiti essi gli permettono di ucciderne diversi a questo scopo. I suoi figli sono caribù come gli altri. Di notte egli si corica e alcuni di loro si stendono accanto a lui per tenergli caldo.

 

Così egli vive contento, ci dicono, anno dopo anno, passando la sua vita con i caribù come uno di loro, come loro capo e protettore. L’Uomo dei Caribù è stato visto qualche volta dagli Indiani. Quando sono a caccia di caribù e incontrano la sua mandria, essi si trattengono dall’uccidere dei cervi. In diverse occasioni essi hanno potuto conversare con lui.




 





  

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