Tempi Precedenti...:
Gli orologi ad acqua, a polvere ed ignei non sono misuratori cosmici del tempo come lo sono gli orologi solari. Sono strumenti tellurici, che misurano il tempo non per mezzo della luce cosmica ma degli elementi dell’acqua, della terra e del fuoco. Per la misurazione non si utilizza la luce irradiata dalla materia, bensì la sua massa e il suo peso. Essa è legata a forme materiali, a panciuti recipienti, lampade, vasi di vetro che lasciano scorrere sostanze oppure le raccolgono.
Gli orologi di questo tipo sono utilizzabili anche quando ci è preclusa la visione del cielo stellato. L’eschimese che, nell’igloo, vede consumarsi nella lampada l’olio di balena, il prigioniero che, nella segreta, sente gocciolare l’acqua e la osserva riempire un bacino o una scodella, il malato presso il cui giaciglio si consuma una luce - tutti costoro utilizzano misure terrene del tempo. Allo stesso malato che di giorno riposa nella stanza luminosa e, dall’alba al tramonto, assiste a tutti i cambiamenti e spostamenti della luce del sole, il tempo si annuncia attraverso segni completamente diversi.
Gli orologi solari sono necessariamente legati al ciclico alternarsi della luce e dell’ombra. Non è questo il caso degli orologi in cui agiscono le forze terrene. Forza terrena significa forza di gravità, la quale agisce tanto facendo scorrere la sabbia o gocciolare l’acqua, quanto facendo oscillare un pendolo o scendere un peso. La materia mossa in tal modo può essere misurata: il suo volume può infatti aumentare o diminuire. E così si tarano sia i recipienti di vetro degli orologi ad acqua, a polvere e a olio, sia la cera delle candele. Ma la stessa materia, nella sua diminuzione o crescita, potrebbe a sua volta essere pesata: il principio degli ingegnosi orologi di Ctesibio consiste proprio in questo, che l’acqua, fungendo da contrappeso, innalza o fa cadere delle figure.
Tutti questi movimenti, a differenza delle rivoluzioni cosmiche, non sono moti circolari. Sono movimenti di materia che fluisce, scorre, scivola, e il loro senso è lineare. Non devono perciò essere misurati su un quadrante, bensì su una scala graduata.
A questa differenza corrispondono due diverse concezioni del tempo, una lineare e una ciclica. Esse si annunciano già nel linguaggio. Chi dice: il tempo passa, scorre, trascorre, fugge, ha in mente un tempo diverso rispetto a chi usa modi di dire nei quali il tempo è rappresentato da una ruota e parla perciò di cicli e di ricorsi. Per il primo il tempo è una forza progressiva, per l’altro una forza ciclica. Sebbene nel tempo siano presenti entrambi questi aspetti, è molto diverso se percepiamo l’uno o l’altro, a quale dei due prestiamo ascolto.
Entrambe le concezioni erano probabilmente vive e operanti assai prima che affiorassero alla coscienza. Esse si radicano negli stessi caratteri fonda-mentali della vita, nascono dal suo stesso progetto costitutivo. Ma la concezione del tempo come ritorno non dovrebbe forse coincidere con i primordi della coscienza del tempo e della riflessione su di esso, così come l’orologio solare ha preceduto gli altri orologi?
Che cosa, dunque, ritorna?
In primo luogo il sole stesso, con tutte le altre stelle: una antica paura dell’uomo, una delle ragioni che spiegano i sacrifici, è che esso possa non ritornare, inghiottito dalle tenebre. Ritornano quindi le feste: nei tempi antichi questo significava sempre l’arrivo degli dèi. Nelle nostre feste ne è rimasto solo un pallido riflesso, poiché il nostro sguardo è cambiato. Forse i bambini sono ancora in grado di capire, meglio di chiunque altro, che cosa significhi davvero l’arrivo di santa Lucia, del coniglio pasquale o di Gesù Bambino, e il fatto che essi «ritornano tutti gli anni». Infine, anche gli antenati ritornano, se non di persona, almeno manifestandosi attraverso il loro potere magico. Su questo si fonda la legittimità.
Il tempo che ritorna è un tempo che dona e restituisce. Le ore sono ore dispensatrici. Sono anche diverse l’una dall’altra perché ci sono le ore di tutti i giorni e le ore di festa. Ci sono albe e tramonti, basse e alte maree, costellazioni e culminazioni.
Il tempo progressivo, invece, non viene misurato in cicli e moti circolari, ma su una scala graduata; è un tempo uniforme. Qui i contenuti passano in secondo piano. Ed è per questo che il tempo in quanto tale diventa più importante. Nel ritorno l’importante è l’inizio, nel progresso la meta finale. Lo vediamo nelle diverse dottrine dell’Eden, che secondo alcuni si colloca all’inizio, secondo altri alla fine del tempo.
Se dunque, nella concezione del tempo come forza che incessantemente procede, le figure che ritornano, insieme con le feste e gli dèi della festa, passano necessariamente in secondo piano, proprio per questo la forma che le sorregge, il tempo appunto, diventa ancora più preziosa. Può diventare una forza religiosa, caso, oggi, assai frequente.
In questo modo si spiega l’importante funzione del concetto di tempo nel darwinismo, così come, più in generale, nel materialismo. Cosa ne sarebbe di queste dottrine se si sottraesse loro la componente del tempo? Non solo le utopie della tecnica e della biologia, ma anche quelle sociali ed etiche traggono alimento da questa concezione del tempo come forza che progredisce, che tende risolutamente verso un fine. Quando la discussione giunge a questo punto gli argomenti devono tacere; gli occhi incominciano a luccicare: siamo di fronte a un problema di fede.
La dottrina di Nietzsche è degna di nota in quanto in essa sono rappresentate con grande chiarezza entrambe le concezioni del tempo, come progresso e come ritorno. Uno studio delle sue opere che esaminasse e classificasse gli elementi legati alla concezione del tempo sarebbe meritorio, perché, ben al di là del suo caso specifico, questo antagonismo contraddistingue la nostra stessa epoca, il cui compito fondamentale è quello di risolverlo. Rispetto a un simile problema passa in secondo piano anche il rapporto Oriente-Occidente, in merito al quale va d’altra parte rilevato il fatto che, dal punto di vista della concezione del tempo, le due potenze si fronteggiano sotto il segno di una singolare inversione di tendenza: progressiva per l’Oriente, ciclica invece per l’Occidente. Questo è un tratto distintivo di posizioni che non hanno ancora assunto la loro forma definitiva.
È ovvio che può darsi soluzione solo nel senso della conoscenza, classificazione e armonizzazione dei diversi strati, poiché il tempo cosmico e quello terreno sono sempre compresenti e richiedono approcci diversi. Il tempo ciclico e il tempo progressivo sollecitano due stati d’animo fondamentali dell’uomo, il ricordo e la speranza. Sono i due edificatori della sua dimora. In loro si incontrano padre e figlio, spirito conservatore e spirito riformatore. Mentre il ritorno viene determinato da forze estranee al nostro mondo, la speranza, accanto al suicidio e al dolore, è un segno distintivo dell’uomo. È sconosciuta agli animali. L’animale ricorda: attende il ritorno e soffre se esso gli si nega. Ma il suo dolore è ottuso, come quello dei Messicani che temevano che il sole potesse non spuntare.
La speranza è umana e terrena, è un segno di imperfezione. Ma è già una condizione superiore, nella quale l’imperfezione viene avvertita. Quello che noi oggi chiamiamo progresso è speranza secolarizzata; il fine è terreno ed è chiaramente iscritto nel tempo. Le utopie hanno l’illusoria nitidezza della realtà sovrasensibile. Esse vengono realizzate, spesso al di là dei loro stessi intenti. E' una fortuna che stupisce e lascia sbigottiti, come se dal mare del tempo sorgessero isole meravigliose, verso le quali facciamo rotta da molto tempo.
Ma ognuno di noi ha avuto anche l’esperienza del dolore, della delusione che il passo successivo porta con sé. Questo è uno dei motivi per cui oggi molti pensatori si occupano di utopie o, meglio, di storia delle utopie. A questo proposito ricordo una conversazione che ebbi a Solduno, davanti a un caminetto acceso, con Ernst Wilhelm Eschmann, il quale da tempo dedica le sue riflessioni a questo tema. Ai nostri giorni l’utopia ha subito un capovolgimento tale per cui all’ottimismo è seguito di colpo il pessimismo. Basta pensare a Huxley e Orwell. Il progresso viene ora inteso come il trascorrere di qualcosa, come una perdita.
Quando avviene un capovolgimento così improvviso bisogna supporre che sia cambiata non solo la valutazione, ma la coscienza stessa del tempo, vale a dire l’oscillazione del pendolo nel cuore dell’uomo. E' qui la fonte di ogni riflessione sul tempo, che trova poi il suo compimento nell’ambito del pensiero. Anche le proposizioni sul tempo di un Newton o di un Kant traggono alimento da questa stessa fonte.
I cambiamenti in questo luogo sono destinati a influire potentemente non solo sul mondo storico, ma anche sul mondo della tecnica. Non è per caso che ci si serve di un certo orologio piuttosto che di un altro.
L’orologio a polvere è il simbolo del tempo tellurico con le sue grotte, le sue dune, la sua accogliente atmosfera di raccoglimento e, infine, con il suo tratto mortale, di cui torneremo a occuparci. Con tutti gli altri pianeti e le altre lune abbiamo in comune la luce del sole, benché il ritmo che su di essa si conforma sia ovunque diverso: le rivoluzioni e le rotazioni degli astri rappresentano infatti misurazioni condotte sulla base di un indice immoto, di una luce senz’ombra.
Il ritmo attraverso il quale si manifesta la luce cosmica è profondamente radicato in noi. Ma alla sua base troviamo materia e movimenti che ci sono intimamente familiari, patrii: il fluttuare del mare e la qualità della madre terra. Nel volgersi dell’onda sulla spiaggia ritroviamo tutto questo: acqua cristallina, sabbia trafitta dai raggi del sole, sollevata in polvere luminescente, vita che fluttua, come sospesa in questa culla. Intorno a tali luoghi aleggia un senso di patrio calore che la semplice luce del sole non può creare.
Possiamo facilmente prevedere che i viaggi nello spazio costituiranno per esso una terribile minaccia.
Lì l’orologio a polvere perde la sua funzione, mentre la luce del sole, non offuscata dall’atmosfera, indica il tempo con maggiore precisione. È nel suo elemento più proprio, lo spazio privo di gravità. Nell’abbraccio paterno della luce solare e nell’attrazione della forza di gravità esercitata dalla madre terra influiscono su di noi tempi celesti e tempi terreni. E' dentro di noi che dobbiamo armonizzarli.
Viene spontaneo integrare le riflessioni sull’orologio a polvere prendendo in esame anche gli orologi che, insieme a esso, abbiamo chiamato tellurici, nonché gli orologi astronomici. Se ci fossimo limitati all’orologio a polvere avremmo avuto un esempio di ciò che si può definire una descrizione romantica. 'C’era una volta...': questo è il popolare inizio della narrazione romantica, che indica come proprio il nostro tempo debba rimanerne escluso. A ciò si deve se i romantici non si sono affermati né in campo politico né in quello letterario. Ed è all’origine della loro capacità di dare forma a isole felici. Ogni impresa romantica presuppone un 'come se', una sorta di segreta politica dello struzzo. Si vuole guarire dal tempo e si fa come se esso non esistesse: questo è il motivo che si ripete da Chateaubriand in poi. Nel modesto caso del nostro orologio a polvere non vogliamo ripercorrere le stesse tracce, benché anche noi miriamo alla guarigione.
Quando ci imbattiamo in una lacuna di questo tipo, essa si riflette invariabilmente nell’oggetto. E' quanto accade anche nel nostro caso. Quest’oggetto è l’orologio a ingranaggi, che abbiamo evocato di sfuggita all’inizio del precedente capitolo mentre parlavamo del peso e del pendolo. Ed è bastato evocarlo perché comparisse sulla scena il concetto di progresso. L’embrione di quest’ultimo va ricercato nella stessa epoca in cui un monaco sconosciuto inventò l’orologio a ingranaggi.
Fu una delle grandi invenzioni, più rivoluzionaria della polvere da sparo, della stampa e della macchina a vapore, più gravida di conseguenze della scoperta dell’America. È un segno esteriore di decisioni, di cui tuttora subiamo l’influenza, che spiriti solitari dovettero prendere nelle loro celle intorno all’anno mille, un segno che nuove vie venivano risolutamente aperte. Lì si intravide il nuovo mondo. Al confronto, perfino scopritori come Colombo e Copernico non furono che semplici esecutori. La via è segnata e con essa sono state stabilite tutte le mete che, una dopo l’altra, verranno raggiunte.
(E. Junger)
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