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per dovere e non solo
di cronaca al fine
Prosegue con il...:
Il problema su
come avrei dovuto
dirigermi a sud
verso Brochet da
Wolf House Bay
fu risolto una
mattina quando Ootek
fece irruzione nella
cabina per annunciare
di aver visto
un aereo. Infatti, un aereo norvegese stava volteggiando pigramente
sulla tundra a ovest di noi.
Avevo perso
da tempo la
speranza che il
pilota che mi
aveva portato a
Wolf House Bay facesse
ritorno, e così
la vista di
questo aereo mi
fece venire un
brivido di eccitazione.
Ricordandomi dei fumogeni
che mi avevano
fornito, corsi a
prenderli. Con mia
sorpresa funzionarono. Una possente spirale di
fumo nero e
oleoso si levò
nel cielo alta
e il Norseman (che
era scomparso a
ovest) riapparve, puntando
sulla mia colonna
di segnalazione.
Atterrò nella
baia, e io
uscii in canoa
per salutare il
pilota, un giovane
dal viso stretto
e dall’aspetto poco
attraente che masticava
un chewing gum.
Aveva molto cose
da raccontarmi.
Con il passare dei mesi senza alcuna mia risposta, il mio dipartimento era diventato sempre più turbato. Non solo non avevano ricevuto segnalazioni di lupi, ma attrezzature governative per un valore di circa quattromila dollari erano svanite nel nulla della tundra. La cosa era grave, perché qualche membro curioso dell’opposizione avrebbe potuto in qualsiasi momento venire a conoscenza della questione e porre un’interrogazione alla Camera dei Comuni.
La
possibilità di essere
accusati di negligenza
nella gestione dei
fondi pubblici è
uno spauracchio che
tormenta ogni dipartimento
dello Stato. Fu quindi
chiesto alla Royal Canadian
Mounted Police di
trovarmi, ma gli
indizi erano scarsi.
Il pilota che
mi aveva portato
a Barrens era
scomparso durante un
volo sopra il
distretto di Mackenzie
e la polizia
non riuscì a
trovare alcuna traccia
di lui, tanto
meno a scoprire
cosa mi avesse
fatto.
Alla fine, e dopo molte indagini, la polizia venne a conoscenza della voce che circolava a Churchill secondo cui io ero un agente dei servizi segreti inviato a spiare le basi russe galleggianti al Polo mentre loro spiavano me che parlavo con i mei lupi; e così riferirono a Ottawa, aggiungendo che a loro non piaceva essere presi in giro, e che la prossima volta che il Dipartimento avesse voluto trovare qualcosa, sarebbe stato meglio essere onesti con le loro direttive.
Il pilota
che era atterrato per via del fumogeno non era
stato mandato a
cercarmi ma era
impegnato in un’indagine di ricerca per i giacimenti minerari, e il
fatto di avermi scovato fu un evento
puramente casuale. Tuttavia,
accettò di riportare
un messaggio alla
sua base per
informare il dipartimento dove
si trovavano le attrezzature, e
suggerì di mandare
un aereo a prelevarle
immediatamente prima che congelassero.
Con l’aiuto di Mike il pilota approfittò dell’atterraggio per riempire i serbatoi di benzina dai fusti trasportati nella fusoliera. Nel frattempo partii per portare a termine alcuni affari in sospeso all’esker della tana dei lupi. Per completare il mio studio sulla vita familiare dei lupi, avevo bisogno di sapere com’era la tana all’interno: quanto era profonda, il diametro del passaggio, la presenza (se presente) di un nido all’estremità della tana, e altre informazioni correlate.
Per ovvie
ragioni non avevo potuto svolgere questo
genere d’indagine mentre la tana era
occupata, e da quel momento
ero stato occupato anch’io con
altri lavori. Ora, con
il tempo che
stringeva avevo fretta. Attraversai
il paese a passo spedito verso
la tana ed
ero a meno
di mezzo miglio
da essa quando
si udii un
fragoroso rombo alle mie spalle.
Fu così forte e inaspettato che involontariamente mi gettai
sul muschio. Il norvegese mi sorvolò
a una quindicina di piedi. Mentre
passava ruggendo sopra la mia testa, l’aereo scosse allegramente le ali in
segno di saluto, poi si sollevò per sfiorare la cresta del wolf
esker, sollevando un polverone di sabbia mista a neve lungo il
pendio con la scia dell’elica.
Mi rialzai
e attesi che mi passasse il batticuore, rivolgendo pensieri
ostili al buontempone dell’aereo che
stava rapidamente scomparendo.
Sul crinale della tana, come mi aspettavo, non c’erano lupi. Raggiunto l’ingresso mi tolsi i pantaloni pesanti, la giacca e il maglione e, prendendo una torcia (le cui batterie erano quasi scariche) e un metro dallo zaino, iniziai il difficile compito di dimenarmi lungo il tunnel d’ingresso. La torcia era così debole che proiettava solo un bagliore arancione, appena sufficiente per permettermi di decifrare i segni sul nastro di misurazione.
Mi dimenai
in avanti, scendendo
con un angolo
di quarantacinque gradi,
per circa otto
piedi. Ben presto
la bocca e gli
occhi si
riempirono di sabbia
e cominciai a
soffrire di claustrofobia, perché
il tunnel era appena abbastanza grande da permettermi
di entrare. Al traguardo
degli otto piedi
il tunnel faceva
una brusca curva verso l’alto svoltando a sinistra. Puntai la torcia nella nuova direzione e premetti l’interruttore. Quattro luci verdi nell’oscurità
davanti a me riflettevano il fioco raggio della torcia. In questo caso
il verde non
era il segnale per avanzare. Rimasi congelato dov’ero, mentre il cervello
spaventato cercava di constatare l’informazione
che almeno due
lupi si trovavano con me
nella tana.
Nonostante la stretta socialità con la famiglia dei lupi, questo era il tipo di situazione in cui pregiudizi irrazionali ma profondamente radicati avevano completamente il sopravvento sulla ragione e sull’esperienza. Ad essere sincero, ero così spaventato che la paralisi mi avvolse come un ghiaccio in mezzo ad un vulcano di sudore. Non avevo corde o guinzagli di alcun tipo e, nella mia postura scomoda, avrei potuto a malapena liberare una mano con cui respingere un attacco. Sembrava inevitabile che i lupi mi attaccassero, perché anche un roditore si difende ferocemente quando viene messo alle strette nella sua tana.
I lupi
non ringhiavano neppure.
A parte due
paia di occhi debolmente luminosi,
avrebbero potuto non essere affatto lì. La paralisi cominciò
ad attenuarsi e, nonostante fosse
una giornata fredda,
il sudore cominciò
a diffondersi su
tutto il corpo.
In un impeto
di cieca spavalderia
spinsi la torcia
in avanti fin
dove poteva arrivare
il mio braccio. La luce era
appena sufficiente per riconoscere Woody
assieme all’altra, Shara. Erano accovacciati
in poetico silenzio contro la
parete di fondo
della tana; ed
erano immobili come
la morte.
Lo shock ormai stava svanendo e l’istinto di dominio stava riprendendo il sopravvento. Più velocemente che potevo cominciai a risalire il tunnel obliquo, certo del fatto che da un momento all’altro i lupi avrebbero palesato la propria ostinazione di rimanere in quel luogo. Nella propria dimora. Ma quando raggiunsi l’ingresso e ne fui uscito, non avevo ancora sentito né visto il minimo segno di movimento dei due lupi.
Mi sedetti
su una pietra e accesi tremante un piccolo fuoco, rendendomi
conto così che
non avevo più
paura. Invece una rabbia
irrazionale mi possedeva. Se
avessi avuto il guinzaglio credo
che avrei reagito
con furia bruta
e avrei tentato
di legarli per imporre il mio
dominio e ubbidienza da entrambi i
lupi.
Il fuoco si
spense e il vento
cominciò a soffiare dai
cupi cieli del
nord. Cominciai di
nuovo a tremare;
questa volta dal freddo invece che dalla rabbia. La mia rabbia stava
passando e in
seguito divenne debolezza. Non
mangiavo da giorni. Mi nutrivo, come prescrive il mio amico Thoreau, con pane secco.
(*La mia fu la riflessione nata dal risentimento della paura di perderli come cose mie: risentimento contro 'altri' che obbedivano ad un diverso dio, e che aveva motivato una profonda critica verso il dominio umano. Compresi come qualcun altro prima di me, che ero io stesso che dovevo imparare, e non certo loro. E così pregai un diverso Dio a forma di ranocchio!)
Rimasi sconvolto nel realizzare quanto
facilmente avessi dimenticato,
e quanto prontamente
avessi negato, tutto
ciò che il
soggiorno estivo con
i lupi mi
aveva insegnato su
di loro... e a me
stesso.
Pensavo
ad Angelina (di decenni fa’) e con lei a
Woody a Vela e a Sahara, e a tutti i loro cuccioli come un Fiume che
scorre e dona la Vita, ed hora rannicchiato
in fondo a quella specie di tana,
li rivedevo e meditavo, alla medesima tana dove si erano rifugiati dalla tonante
apparizione dell’aereo che li voleva portare via.
Da qualche parte, verso est, un lupo ululava; con leggerezza, interrogativamente. Conoscevo la voce perché l’avevo già sentita molte volte. Era George, che sondava la terra desolata in cerca di un’eco di risposta da tutti i membri scomparsi della sua famiglia. Ma per me era una voce che parlava del mondo perduto che una volta era nostro prima che scegliessimo un ruolo in contrasto e contraddittorio; un mondo che avevo appena intravisto e dove ero entrato....; salvo poi esserne escluso (o meglio, rimosso), alla fine, dal nostro stesso io.
Epilogo
Durante l’inverno
[…..] il Canadian Wildlife
Service, nel perseguimento della
sua ostinata politica di controllo dei
lupi, impiegò diversi
ufficiali del Predator
Control per pattugliare
i Keewatin Barrens
su aerei dotati
di sci allo scopo di
allestire stazioni di
esche avvelenate. All’inizio
di maggio del…, uno di questi ufficiali
sbarcò a
Wolf House Bay. Rimase nelle vicinanze per alcune ore e collocò in appositi luoghi
alcuni “prendilupi” di cianuro che, così appurato, erano disseminati e confusi per l’intera area.
Lasciando liberi dei lupi con apparenti fattezze umane di seminare odio e terrore!
(F. Mowat)
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