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Quando l’uomo prende consapevolezza del proprio sé, la socialità dello Stato tende ad interpretare l’individuo nella logica di una immutata simmetria. Quindi se vi è una natura manifesta e nascosta nella sua progressione, la possiamo rilevare nella volontà di perseguire attraverso la - conservazione - e nel paradosso del suo opposto - la rivoluzione -.
La finalità e l’intento atto all’istinto della cancellazione, quindi facilmente asservibile nel senso genetico della specie, ma mai evoluzionistico nelle finalità che vorrebbe perseguire. Perché, appunto, ad uso e consumo anche essa, a una stretta cerchia di probabili o improbabili cospiratori al soldo della moneta d’oro di Achab.
Mentre la democrazia, che si riconosce attraverso lo stretto passo del rifiuto, della protesta, della rivolta, non deve rimanere vittima ed ostaggio di una nuova e più terribile forma totalitaria, che come sempre disconosce poi le esigenze del singolo individuo. Spesso si è transitato per questi vicoli ciechi, per queste trappole culturali. L’inganno in esse potrebbe essere un danno maggiore per l’uomo e le sue probabili costruzioni evolutive.
L’eliminazione fisica, materiale e spirituale di una intera cultura, di un dissenso, di un presunto male incarnato atto ad appagare una natura rivolta alla violenza. Perché immagine della violenza. In quanto l’uomo vive nel suo riflesso, ed abbisogna sempre di una vittima da immolare, per il bene dell’intera umanità. E nello stesso tempo per perseguire ideali giusti per l’intera comunità, che seguendo un tale progetto purga il mondo dal male.
Il male esteriore, scatenando il male interiore nella più barbara violenza.
Quindi in questa lunga disquisizione storica per porre l’accento nella sua continuità, nel suo manifestarsi anche quando essa, la Storia, è convinta di operare per giuste ragioni e per giuste cause. Per il bene della causa comune che può nascondersi anche nella falsa morale di un codice disciplinare ad uso non del lavoratore, ma di colui che attraverso il lavoro sfrutta e perseguita ma soprattutto nega la verità.
Se taluni hanno acceso il fuoco del patibolo, è vero che qualcun altro lo ha permesso, qualcuno che non ammette il dissenso, l’eresia. Poi la mano del boia può essere quella del Santo Uffizio o la Gestapo, poco cambia, ai fini della storia stessa.
Però per l’interesse della storia è importante cercare e mostrare i comuni denominatori che la caratterizzano. Anche nei suoi gesti più banali, che nel micro cosmo della socialità in cui vengono vissuti rappresentano il macro cosmo della cultura su cui poggia l’intero edificio.
E raccontare l’intero edificio, ed i suoi inganni perpetrati negli anni e nei secoli, è scrivere, non riscrivere la storia…
Il paragone storico non distorce il tema o il racconto, del povero disgraziato. In cuor mio, ed attraverso l’esercizio della storia, io vedevo e vedo queste immagini. Mi appariva un profugo, un perfetto, un rifugiato… qualcuno che cercava disperatamente un appello di fronte ad una sentenza già scritta dalla storia.
Nel ricordo del suo volto scavato, nel quadro delle tinte dei suoi lineamenti, dalla musica delle sue parole, dal dolore del deambulare del suo parlare e perdersi per interminabile sentieri nei boschi dove non smetteva mai di raccontare e raccontarsi, io nella fitta ragnatela del suo disquisire, vago nello spazio della geografia dei miei ricordi.
Di tutti i ricordi di cui l’intera umanità dovrebbe essere depositaria e custode per una evoluzione che non permetta ciò che io vedo, di cui anche io soffro, di cui anche io talvolta ed in silenzio senza farmi vedere, piango.
Così vedo il condannato e il carnefice, l’eretico ed il persecutore, l’anarchico ed il monarca, l’artefice e lo stato che lo caccia e bracca, lo scienziato e il prete, ed infine la natura e l’uomo che la vuole piegare alla sua inutile ragione. La galleria dei volti che si sovrappongono, a quello del mio povero amico sono molti,… troppi.
Chi non ha coscienza della storia non può scorgere nulla in quel grande panorama della nostra esperienza comune, chi non ha amor per la natura e la cosa creata non può scorgere nessun quadro, nessuna luce, nessuna pennellata nell’universo della vita.
Non può né piangere né sorridere di fronte alla sua grandezza confusa per altro nel meschino panorama di quella fumosa città.
Ed il mio parlare ed ascoltare, sono quadri di storia che si materializzava al nostro umile cospetto.
Mi sento impotente di fronte all’oltraggio di tutte le umiliazioni che subiamo, di tutte le violenze che la nostra secolare quiete deve accettare in nome di una nuova e più terribile dittatura. Sarei fuggito assieme a lui, e probabilmente il nostro parlare senza voce, come solo coloro che veramente parlano possono, devono avergli dato quest’ultimo suggerimento.
Combatto contro una sentenza millenaria, antica quanto l’uomo, avrei discusso con il suo ed il mio demone, avrei parlato con il suo ed il mio Dio, ma l’uomo o tutti gli uomini sembravano non più ascoltarci nella nostra prigionia e lenta agonia.
Una sentenza che poteva essere di volta in volta …una croce o una lancia nel bel mezzo di un campo nemico. La differenza di fronte al male, alla massa e alla guerra di tutti i giorni, è poca cosa.
È poca cosa è vero, ed anche qui non scorgo una contraddizione, ma bensì una nuova simmetria della storia. Più lui parla, più la mia mente cerca appigli su cui aggrapparmi per scalare l’impervia parete. Ogni tanto, al suo raccontare, al suo parlare, fisso dei chiodi sulla liscia parete, che mi deve apparire inconquistabile. E sempre in cuor mio fui deciso allora come adesso, per quanto l’impresa può apparire disperata, a conquistarne la cima.
Non credo che il disgraziato, l’amico, la vittima, può aver salvezza in mezzo a quel mare, però voglio raccontare, descrivere, e partecipare tutti dell’antico male nell’incapacità del ricordo e nel voler ricordare. Voglio denunciare la mancanza di memoria, la smemoratezza, che la storia segretamente sta ripercorrendo inesorabilmente. Cerco ogni volta di comporre i pezzi dell’intricato mosaico della mia Chiesa. E per quanto, i più, lo avrebbero fatto passare per pazzo, io ravviso nella lucida configurazione dei fatti, un ben preciso disegno criminoso.
Il tempo, ma solo il tempo e la pazienza, mi diedero ragione.
Ma intanto il misfatto, l’inganno, il campo, il rogo, il processo, la tortura erano stati perpetrati. Inesorabilmente, quando lui parlava io vedo e vivevo tutte quelle immagini. La mia rabbia è repulsione, sconcerto, nausea. Non vi è pagina di letteratura e storia che non fosse stata scritta sul suo volto, sulla sua schiena.
E spesso quando mi appariva privo di parola, perché la tortura del giorno era stata più inclemente, le lacrime mi bagnano il viso, e difficilmente riesco a riconoscere la strada, ed il viale alberato che spesso percorrevamo assieme. Talvolta anche i colori mi sfuggono, e provo in senso di vergogna e smarrimento. Lo avrei voluto nascondere nel bosco, costruirgli un castello, tanto era ed è pura la sua ingenuità nei confronti della vita. La sua ingenuità lo rendevano e rendono il bersaglio, la preda, la vittima, l’agnello per l’ingordigia del male del mondo.
Ed io lì a rappresentare il mondo e sentirmelo raccontare, e poi a vergognarmi di esso. Non avrei creduto che i miei stimati consimili fossero capaci di tanto, talvolta troppo. Volevo non credergli, ed ero sicuro che ogni sua verità sarebbe stata puntualmente recisa come un ramo di un albero, da una nuova inquisizione. Ogni miracolo cancellato da una beffa, di chi non crede a nulla eccetto la verità di questa nuova cultura, di questo fumo che sale lento, di questi telefoni, di queste macchine, di queste merci.
(Giuliano Lazzari, Storia di un Eretico)
UNA NUOVA PIU’ COMPIUTA SCIENZA:
Stiamo seguendo i frammenti di una biografia, la quale sicuramente proviene da documenti ben precisi, dei quali al momento siamo sprovvisti, per cui ci dobbiamo adeguare alla prassi storica, di attenerci ai vari testi in uso per diagnosticare sia il male che la sua inarrestabile pretesa; di certo l’inganno non meno della persecuzione regnano incontrastate, e sicuramente non solo adottate nei confronti di Pavel, in quanto il presentimento, un rigido comune clima, sia per ciò concernente il regno degli zar, quanto le successive rivoluzioni, dell’imminente arresto, disponevano un simmetrico stato d’animo (circa il male diagnosticato e contratto), come una imminente annunziata Apocalisse della morte, contro le forze del Bene, rappresentate più che egregiamente dal nostro ‘Filosofo-teologo-scienziato’, preso non solo come esempio, suo malgrado, ma altresì evidenziato nel vasto repertorio ‘geologico-stratigrafico di una e più Geografie, con le caratteristiche che più ne evidenziano i panorami ammirati, siano questi ben scorti nelle descritte agricole pianure e catene montuose (date simmetricamente da una determinata politica) che le contraddistinguono; siano questi dedotti da ‘invisibili-visibili’ catene montuose che ne precludono l’accesso, donde i benefici Fiumi irrigano la costante paziente semina.
E dove si celebra e/o consuma, non più la vita, ma il dramma inerente alla vasta interpretazione cui assoggettato il suo frutto di cui il paziente lavoro, deturpato da una insana corrotta deleteria demagogia, più o meno politica, più o meno cattolica; più o meno quinquennale-capitalistica-economica, giacché sappiamo bene che le decime erano tributo dovuto anche al clero, il quale godeva di un sempre più grande potere, e non solo terreno, ma anche, e simmetricamente, inquisitoriale sulle controllate inquisite, ed in ultimo, curate Coscienze.
Anche in questo caso, abbiamo ‘cura’ di una vasta Coscienza, di una elevata Cima, la quale nello stupore della sconosciuta protratta conoscenza circa l’elevata consumata esistenza, per ugual ghiacci fiumi e vasti panorami dalla cui Anima dovrebbe nascere ogni, non dico pretesa, ma subordinato Sentiero di Conoscenza circa il clima e la bellezza che da questa Cima l’umano ingegno simmetrico alla sua (elevata) Natura, ispira, quale morale e miglior principio alla sue pendici, dell’esistenza e comprensione della stessa.
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