giovedì 4 aprile 2013
PIONIERI e NATIVI: Ricorso in Appello (64)
Precedenti capitoli:
due ubriaconi (60)
due ubriaconi (61)
poi arriverai alle miniere dell'oro (per rubare il mio...oro...) (62)
poi arriverai alle miniere dell'oro (63)
Prosegue in:
pionieri e nativi: ricorso in appello (65)
Poco prima che la commissione di Dawes venisse nel Dakota, Toro
Seduto fu rilasciato dal carcere di Fort Randall e trasferito nell'agen-
zia Hunkpapa a Standing Rock.
Il 22 agosto, quando arrivarono lì i commissari a raccogliere le testi-
monianze, egli si recò al quartier generale dell'agenzia dall'accampa-
mento che gli era stato assegnato sul fiume Grand, per partecipare
al consiglio. I commissari ignorarono deliberatamente la presenza
del più famoso capo Sioux vivente, invitando a testimoniare prima
Antilope Che Corre, e poi il giovane John Grass, figlio di Old Grass,
il capo dei Sioux Piedi Neri.
Alla fine il senatore Dawes si volse verso l'interprete e disse:
'Chiedete a Toro Seduto se ha qualche cosa da dire al comitato'.
'Naturalmente io parlerò a te se tu lo desideri',
rispose Toro Seduto.
'Suppungo che solo gli uomini che a te piace che parlino devono
dire qualcosa'.
'Noi credevamo che gli indiani avessero scelto gli uomini che devo-
no parlare a loro nome',
disse Dawes,
'Ma qualunque uomo che desideri parlare, o qualunque uomo che gli
indiani qui presenti desiderano che parli a loro nome, sarà ascolta-
to da noi con piacere se ha qualcosa da dire'.
'Sai chi sono io, per parlare così?'.
'So che tu sei Toro Seduto, e se hai qualcosa da dire, noi saremo
lieti di ascoltarti'.
'Tu mi riconosci; sai chi sono io?'.
'So che tu sei Toro Seduto'.
'Dici di sapere che sono Toro Seduto, ma sai qual è il mio rango?'.
'Non faccio nessuna differenza fra te e gli altri indiani di questa a-
genzia'.
'Sono qui per voler del Grande Spirito e, per suo volere, io sono
un capo. Il mio cuore è rosso e dolce, e io so che esso è dolce,
perché ogni cosa che passa vicino a me, mi parla; eppure voi uo-
mini siete venuti qui a parlare con noi, e tu dici di non sapere chi
sono io. Io voglio dirti che se il Grande Spirito ha scelto qualcuno
perché sia il capo di questo paese, quello sono io'.
'In qualunque veste tu possa trovarti qui oggi, se desideri dirci
qualche cosa, noi ti ascolteremo; altrimenti toglieremo la seduta'.
'Si va bene',
disse Toro Seduto.
'Vi siete comportati come uomini che hanno bevuto whiskey, e io
sono venuto qui per darvi qualche consiglio'.
Fece un largo gesto con la mano e tutti gli indiani che si trovava-
no nella stanza del consiglio si alzarono e uscirono con lui...
A questo punto prende la parola la difesa, nella persona incari-
cata di questo dibattimento, l'avvocato Tocqueville...:
'Signori qui presenti, così si è soliti presentarsi in queste circo-
stanze, porterò con me, oltre che 'innegabili' verità storiche in-
tese come testimonianze, che la Corte può valutare, anche prin-
cipi fondamentali per cui la vostra nazione ha creato la sua in-
dipendenza sottraendosi dal 'giogo' altrui, e da cui la mia cultu-
ra, per il vero, proviene; non trascurando questo fatto importan-
te, cercherò di essere fedele ai principi, gli stessi che hanno mo-
tivato il mio e vostro percorso per gli stessi fini e ideali di in-
dipendenza, giustizia legalità e rispetto della democrazia..., in
dovere e onore di questi stessi principi, come dicevo, mi pare
logico dare corso alla verità storica non del tutto accertata, e
altresì con questa motivazione del mio assistito, permettere che
uguali episodi passati e futuri abbiano la giusta collocazione e
definizione, e vengano riconosciuti per quello che in realtà so-
no, collocandoli negli giusti scaffali della biblioteca della storia,
per i quali tutti i presenti qui convenuti, siano essi in vita o no,
possano veder riconosciuta quella stessa giustizia negata, e
sperare che i loro figli ne possano godere in futuro....
Affinché la Storia possa essere letta e riconosciuta per quello
che veramente è, e non per ciò che vorrebbe apparire.....di
modo che le meschinità del grandi uomini possano essere rico-
nosciute come bassezze di piccoli uomini, ed i piccoli uomini
cancellati e schiacciati dall'evolversi inesorabile del Tempo e
della Storia, possano essere riconosciuti per Grandi Uomini
da essa cancellati.........'.
'Inizio quindi con la testimonianza del signor M. Bell, relato-
re del Comitato degli affari indiani al Congresso, del 24 feb-
braio 1830, ci dice...'.
'Per appropriarci delle terre deserte di cui gli indiani reclama-
no la proprietà, abbiamo adottato l'uso di pagare alle tribù in-
diane ciò che vale il loro paese di caccia dopo che la selvag-
gina è fuggita o è stata distrutta. E' più vantaggioso e certa-
mente più conforme alle regole della giustizia e più umano agi-
re così, che appropriarsi a mano armata del territorio dei sel-
vaggi. L'uso di acquistare dagli indiani il loro titolo di proprie-
tà non è dunque altro che un nuovo modo di acquisizione che
l'umanità e l'interesse hanno sostituito alla violenza, e che de-
ve renderci padroni delle terre che reclamiamo in virtù della
scoperta e che, d'altro canto, ci sono assicurate dal diritto che
le nazioni civili hanno di stabilirsi sul territorio occupato dalle
tribù selvagge.
Fino ad oggi, parecchie cause non hanno cessato di diminuire
agli occhi degli indiani il prezzo del suolo che occupano, e in
seguito le stesse cause li hanno indotti a vendercelo facilmente.
L'uso di comprare dai selvaggi il loro diritto di 'occupante' non
ha dunque mai potuto ritardare in un grado percettibile la pro-
sperità degli Stati Uniti'.
'Permettetemi ora delle considerazioni :
Al sorgere delle colonie, sarebbe stato loro possibile, unendo
le loro forze, liberarsi dell'esiguo numero di stranieri, appena
sbarcati sulle coste del continente. Più di una volta hanno ten-
tato di farlo, e sono stati sul punto di riuscirvi. Oggi la spropor-
zione delle risorse è troppo grande, perché possano pensare
ad una simile impresa.
Sorgono ancora, tuttavia, tra le nazioni indiane, uomini di ge-
nio (come il qui presente mio assistito) che prevedono la sorte
finale riservata alle popolazioni selvagge e cercano di riunire
tutte le tribù nell'odio comune contro gli europei; ma i loro sfor-
zi sono impotenti. Le popolazioni che confinano con i bianchi
sono già troppo indebilite per presentare una resistenza effica-
ce; le altre, abbandonandosi a quel disinteresse puerile del do-
mani che caratterizza la natura selvaggia, aspettano che il peri-
colo si presenti per occuparsene; gli uni non possono, gli altri
non vogliono agire.
E' facile prevedere che gli indiani non vorranno mai civilizzarsi,
o lo tenteranno quando sarà troppo tardi.
La civiltà, quindi, è il risultato di un lungo travaglio che si ope-
ra in uno stesso luogo, e che le diverse generazioni, succeden-
dosi, si trasmettono le une alle altre. I popoli, presso i quali la
civiltà riesce più difficilmente a fondare il suo impero, sono i
popoli cacciatori. Le tribù di pastori cambiano luogo, ma se-
guono sempre nelle loro migrazioni un ordine regolare, e ritor-
nano continuamente sui loro passi; la dimora dei cacciatori
varia con quella degli animali stessi che inseguono.
Parecchie volte si è tentato di far penetrare la cultura tra gli
indiani, lasciando loro i costumi vagabondi: i gesuiti l'aveva-
no tentato nel Canada, i puritani nella Nuova Inghilterra. Gli
uni e gli altri non hanno fatto nulla di durevole.
La civiltà nasceva sotto la capanna e andava a morire nei
boschi. Il grande sbaglio di questi legislatori degli indiani era
di non comprendere che, per giungere a civilizzare un popo-
lo, bisogna innanzitutto ottenere che esso si stabilisca, e non
si può farlo se non coltivando il suolo; si trattava dunque an-
zitutto di rendere gli indiani...coltivatori.
Trascuriamo però un fatto di aspetto antropologico, gli indiani
non possiedono questo indispensabile requisito richiesto dalla
civiltà degli occupanti, ed è oltretutto difficilissimo acquisirlo'.
(Prosegue.....)
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