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Rientrato
dopo quindici anni e quattro mesi, emblematicamente, Desideri trovò la
Compagnia impegnata nella cosiddetta disputa sui riti e capì subito che sarebbe
per lui stato difficile difendersi dalle gravi accuse che i cappuccini gli
avevano rivolto per essere andato, secondo loro, contro i princìpi cristiani ed
aver agito autonomamente. I cappuccini, invece, poterono rimanere a Lhasa, ma
privi di risorse e di adeguati rinforzi ritenendo che le loro difficoltà
dipendessero dalla controversia non risolta con Desideri e dalle trame dei
Gesuiti.
Chiesero
insistentemente che la controversia fosse risolta.
Padre Felice da Montecchio scrisse a questo scopo
dodici memorie e tre sommari di documenti che furono consegnati a Propaganda Fide. Desideri, dal canto suo, scrisse
allora tre memorie che chiamò ‘Difese’. La situazione si
complicò per il fatto che risultò evidente che il Generale
Tamburini
fosse a conoscenza dell’affidamento delle missioni del Tibet ai cappuccini ed
anche per la denuncia che Felice da Montecchio fece dell’intenzione del
Desideri di pubblicare la sua Relazione senza che Propaganda ne fosse ancora a
conoscenza.
Desideri, a
questo punto, rinunciò a difendersi, scrivendo che trovava inopportuno...
‘che due Missionari, venuti dall’estremità del
Mondo, debbano qui in Roma perdere il tempo in accusarsi, e in difendersi, in
attaccarsi, e in ischermirsi’.
Ma, date le
complicazioni sopraggiunte, anche la Curia generalizia della Compagnia di Gesù
volle chiudere la questione. Inoltre, il 29
novembre 1732 Propaganda Fide nella Congregazione particolare sulle
questioni della Missione dei regni del Tibet confermò la decisione che le
missioni del Tibet fossero affidate esclusivamente ai cappuccini. Dopo le lunghe
controversie, Ippolito Desideri sarebbe morto di lì a poco, il 13 aprile 1733 nella Casa Professa di
Roma venendo sepolto e dimenticato a lungo nella sepoltura dei Padri della
Chiesa del Gesù.
RITORNO IN PATRIA
Attraverso la
Francia e l’Italia: Desideri era ora tornato sul suolo europeo e anche non
fosse in piena salute, era almeno sollevato dalla seria malattia che lo aveva
tormentato. Dopo aver riposato per quattro giorni, ripartì.
Il viaggio
da Port-Louis a Parigi è durato dal 16
agosto fino alla sera del 12 settembre 1727, fermandosi a Vannes (16 -22
agosto), dove ha incontrato P. Hermes Melchior, Rennes (23-28 agosto), La Flèche (Sarthe; 31 agosto- 4
settembre), Le Mans (4 - 8 settembre).
In ogni luogo di cui era ospite nei Collegi gesuiti fu molto gratificato dall’eccellente accoglienza che ricevette; a Le
Mans gli fu dato il materiale ‘per la canonizzazione
del Beato Gio. Francesco de Regis [1597-1640] ... per essere portato a Roma e
consegnato al Santo Congregazione dei riti’.
A Parigi,
come ospite nella casa professa della Compagnia di Gesù, ricevette tra le altre
attenzioni e cura di p. Frémont
(rappresentante delle missioni orientali dell’India) e Anne-Joseph de la
Neuville (1672-1750), con cui ebbe ‘consolazione e piacere di
vedere le principali attrazioni di questa grande città […]e lo splendore reale
e le delizie di Versailles’, e dove rimase per tre giorni incontrando la famiglia reale
francese e la corte importante nobili.
Ritornato a
Parigi dopo la sua visita a Versailles, Desideri è stato onorato di ricevere l’accoglienza
e l’onore di due importanti diplomatici: il nunzio monsignore Bartolomeo Massei
(1663-1745) e Giulio Franchini Taviani di Pistoia, ‘Ministro e
agente della RH in Toscana’.
Il 23 Settembre Desideri passeggiò a
Fontainbleau, e il giorno dopo aveva la ‘bramosa
fortuna di inchinarsi a Sua Maestà Cristiana’ Luigi XV e per parlare con i più
eminenti personaggi della corte: il gesuita padre Claude Bertrand Tachereau de
Linières (1658-1746), il confessore del re, il cardinale Henri-Ponsde Thiard de
Bissy (1657-1737) e il cardinale André-Hercule de Fleury (1653-1743).
Il semplice
missionario, stanco e sforzato dalle prove della sua avventura e, potremmo
aspettarci, frustrato e sconfitto, aveva tutte le qualità necessarie per conversare
ai massimi livelli - non tanto perché ha portato informazioni esotiche mai
sentite prima, ma a causa della sua eloquenza e capacità di capire e collegare
le sue conoscenze in una panoramica organica. Ma l’Eretico Viaggio non era
ancora finito e così lasciò Fontainbleau la mattina del 26 settembre 1727 in diligenza e arrivati a Chalon-sur-Saône a mezzogiorno il 28,
lasciato lì dopo il pranzo con la stessa diligenza sul fiume
Saone stabilì il soggiorno di quattro giorni a Lione (30 settembre - 4 ottobre), sul Rodano, raggiungendo Avignone
il 6 ottobre 1727.
Ad Avignon
Desideri incontrò P. Jean Croiset, rettore del noviziato gesuita, dove ebbe
ricevuto ‘onori molto speciali da sua Eccellenza
Mons. [Raniero] Delci [dei Marchesi di Monticiano(1670-1761)] Vice Legato di
Sua Santità’.
Il 9 ottobre Desideri lascia Avignone ed arriva la
sera seguente a Marsiglia, da dove lasciò la città il 15 ottobre a bordo di una
feluca (Mediterraneo nave a vela) che viaggia con una nave simile che trasporta
Jacques de Campredon, inviato della Francia nella Repubblica di Genova. Il
viaggio da Marsiglia a Genova presentò sorprese marinare con un attacco
inaspettato da parte di due navi pirata, fortunatamente contrastato con abilità
e determinazione combinando prudenza e coraggio. La nave finalmente raggiunse Genova il 22 ottobre 1727 e
partì Desideri di nuovo con questa stessa nave per Livorno, quattro giorni
dopo, anche se con il vento sfavorevole si fermò a Sestri Levante dove
ormeggiava la sera dello stesso giorno.
Purtroppo,
il benvenuto nella sua città natale fu prolungato da un attacco della febbre
terzana (a partire dal 17 novembre) e
fino all’11 dicembre fu incapace di muoversi per Firenze, dove rimase fino
al 18 gennaio 1728. In questa città ricevette ‘onori molto particolari e favore speciale [da]le loro altezze
serene e prelati illustri e personaggi meravigliosi e tutta la nobiltà e
chierici sia della [sua] Società, sia delle altre Istituzioni e persone di
tutti gli ordini, stati e condizioni’.
LA CONTROVERSIA
Il Generale Tamburini, ormai malato, diede un
amorevole benvenuto al suo missionario, ma era impegnato a gestire una
situazione molto difficile. Durante il suo generalato, la questione dei riti
si era consumata e conclusa in modo molto sfavorevole per la
Compagnia di Gesù. La domanda del ‘cinese’ o ‘riti di Malabar’ originata dall’accettazione
dei gesuiti della cultura del luogo in cui si trovano a lavorare. Il Generale olandese Peter
Hans Kolvenbach
(nato nel 1928) afferma che ‘l’inculturazione è, sia
metodo che sostanza dell’evangelizzazione. Ciò significa incontrare altri
uomini alle loro radici e principi più profondi, e lì favorire un incontro con
il Vangelo’.
Così all’interno
del vasto territorio Cinese e non solo la partecipazione dei cristiani ai riti
in onore degli antenati e di Confucio era tollerato; quanto i termini cinesi
usati per indicare Dio, dacché i sacerdoti si vestivano come letterati locali;
questo fu amaramente condannato dagli altri ordini religiosi più strettamente
legati ad un aspetto esterno ortodosso e anche invidioso del successo ottenuto
dai Gesuiti attraverso i missionari con grandi doti culturali e educazione
scientifica, che ricevettero un
onorevole benvenuto a corte (Matteo Ricci è ancora onorato sia in Italia che in
Cina).
Nel 1645 Propaganda Fide aveva già condannato i riti
cinesi; i gesuiti si opposero alla censura la quale fu ribadita: nel 1704 e nel
1710 da papa Clemente XI, che nel 1715 impose il voto di osservanza.
Il generale
Tamburini provò a difendere il ragionamento della sua società ma, sempre più accusato
di negligenza e incapacità di assicurare il rispetto degli ordini, se non l’effettiva
disobbedienza, fu colpito da terribili ingiunzioni registrate in un decreto del
Propaganda Fide del 1723.
Il nuovo
papa Benedetto XIII (Pierfrancesco Orsini, 1650-1730), eletto il 29 maggio
1724, con il suo stile distintivo di addolcimento dell’asperità, revocò l’emanato
decreto, ma Propaganda Fide confermò sulla sentenza emessa, ed in questa
situazione fu preannunciato il giudizio finale negativo sancito dal papa Benedetto
XIV nel 1742, l’espulsione dei gesuiti da vari paesi e la soppressione dell’ordine
da parte di papa Clemente XIV nel 1773.
In questo
contesto Desideri, che era già stato
accusato dai cappuccini con cui era stato in contatto di ‘errori inappropriati’ anche contro i Principi cristiani, capì
subito che non aveva possibilità di vincere la sua causa e non sarebbe stato in
grado di fare appello al Pontefice. Anzi, doveva difendersi da una grave accusa
riguardante i suoi punti di vista che, come dichiarato da Gioacchino da S. Anatolia in una lettera del 20 luglio
1731,
‘registrato più problemi
per la Santa Chiesa di quelli cinesi’.
In una
successiva lettera (2 agosto1731),
indirizzata anche al suo confratello Paolo Maria da Matelica, cappuccino ribadisce
queste accuse:
‘Sappiamo della miseria dei poveri cinesi e Cristiani di
Malabar, ecc.; Dio non vuole che simili sventure accadano ai poveri in Tibet. I
cappuccini […] per questo motivo aggravano lo sguardo teologico sui gesuiti’.
La situazione di Desideri era certamente
sfortunata e per il momento non ha altra scelta che rifugiarsi nello scrivere
il racconto del suo viaggio.
C’è poca documentazione
di questo periodo, ma sappiamo che il missionario si sta preparando a lasciare
Roma ma ciò gli fu impedito di farlo; il suo appello di riconciliazione e non
certo contro i cappuccini per la missione in Tibet sono stati rivoltati contro
di lui.
I
cappuccini rimasti a Lhasa, che erano senza risorse e rinforzi adeguati, sostennero
che le loro difficoltà dipendevano da questa controversia irrisolta e dalla
trama del Gesuiti, e così chiesero ripetutamente una risoluzione della causa.
Padre Felice da Montecchio se ne prende la
responsabilità, scrivendo una lunga serie di memorie (dodici, con tre ‘sintesi’
dei documenti allegati) che, nella
versione a stampa usata dai cardinali di Propaganda Fide è datata 1729,
ma sembra essere stata compilata nel 1728:
“ Ordina,
che neſſuno fondi nuove Miſſioni ſenza licenza , eſpreſſa della Sacra
Congregazione ne luoghi aſſegnati ad altre Religioni per le Miſſioni. Terzo.
Quando diedi a V. R. licenza d’andare al Thibet non mi era noto
queſt'aſſegnamento fatto dalla Sacra Congregazione alli PP. Capuccini della
Miſſione del Thibet ; anzi mi fu ſuppoſto, che dopo d’aver fondata quella
Miſſione i noſtri P. P., ed eſſervi dimorati ſino al 1650: quando ne furono
diſcacciati per una perſecuzione; non ſi era più riaperta da altri. E però V.
R. non ſi meravigli di queſta nova diſpoſizione per le nuove notizie avute dalla
Sacra Congregazione . V. R. dunque in ricevere ‘queſta mia ſubbito ſi diſponga
a partire da coteſta Miſſione col merito, che averà acquiſtato appreſſo Dio in
intraprendere così diſaſtroſo viaggio, ed in promovere con buoni principi, e
con tanto Zelo la cognizione della noſtra Santa Fede in codeſto Regno, aggiunga
quello della pronta ubbidienza aſſai più grata a ſua Divina Maeſtà, che ſe
convertiſſe alla Fede tutti coteſti Regni, e ſubbito, che potrà mi dia avviſo
dell’ eſecuzione data a queſto mio ordine, e mi raccommando a ſuoi Santiſſimi
Sacrifici, ed Orazioni – Roma [7] & 16. Gennaro -- 1719. D.V. R.Servo in
Criſto Michelangiolo Tamburini -- Al Molto Reverendo Padre in Criſto. Il Padre
Ippolito Deſideri della Compagnia di Gesù -- Thibet." -
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