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& con qualche Fotografia del nonno)
Prosegue ancora con...:
La grande migrazione neoplatonica
& Uomo in quel che ami sarai...
1)
IL SOGNO
Nella casa
di Hlaðbær c’è una fotografia del matrimonio della nonna Hulda e del nonno
Árni, ritratti davanti al Hvannadalshnjúkur. Dalla fondazione della Società
glaciologica islandese avvenuta cinque anni prima, quella era la quinta
spedizione.
I nonni si sposarono il 25 maggio 1956, che era un venerdì, e
già il giorno dopo erano a Þverholt, dove li attendeva una carovana di nove
veicoli, tre dei quali cingolati, con un nutrito gruppo di escursionisti. La
guida Guðmundur Jónasson e il geologo Sigurður Þórarinsson avevano fatto un
volo di ricognizione sopra il Vatnajökull per valutare la percorribilità delle
piste, perché i movimenti glaciali e l’attività vulcanica potevano facilmente
compromettere la spedizione. Era un viaggio molto impegnativo e il gruppo aveva
scorte sufficienti per fermarsi sul ghiacciaio tre settimane.
All’epoca il Vatnajökull era un territorio quasi sconosciuto e senza nome, come gran parte degli altopiani interni. Pochissime persone si erano avventurate sul ghiacciaio: qualche ricerca sul campo c’era stata, ma i rilievi sistematici delle precipitazioni e dello spessore o della natura del ghiacciaio cominciarono solo quando la Società glaciologica intraprese delle regolari spedizioni ogni primavera.
I miei
nonni erano sistemati in una tenda per due. Una bufera che durò tre giorni la
coprì di neve e loro restarono bloccati dentro finché il maltempo non si placò.
Quando i loro compagni cominciarono a spalare per tirarli fuori, della tenda si
intravedeva appena la sommità. Una volta chiesi loro se non avessero mai avuto
freddo, lì dentro.
‘Freddo?’
risposero allibiti, e giù una risata. ‘Ci eravamo appena sposati!’
Avevo undici anni quando glielo chiesi e le loro parole mi lasciarono a lungo perplesso. Come mai chi si è appena sposato ha caldo?
Il rilievo
più alto nella dorsale del Kverkfjallahryggur all’epoca non aveva un nome. Il
dottor Sigurður Þórarinsson scrisse di questo punto di riferimento anonimo in
un articolo pubblicato su Jökull, la rivista della Società glaciologica
islandese:
Ci siamo diretti sull’altura senza nome che si
erge nel punto più nordorientale del Kverkfjallahryggur, separato dai
Kverkfjöll dal passo di Gusaskarð. Durante la spedizione ho misurato due volte
con un barometro lo scarto tra l’altitudine di tale cresta e quella di
Kverkfjöll Eystri e secondo i miei rilievi la cresta è alta circa 1760 metri,
mentre Gusaskarð è più basso di 60. Tra noi l’abbiamo battezzata Brúðarbunga,
ed è lecito aspettarsi che questo resti il suo nome, a meno che non se ne trovi
un altro a breve.
Stando alle carte, il Brúðarbunga (Altura della sposa) è alto 1781 metri. È il quindicesimo monte islandese in ordine di altezza e le coordinate precise sono 64 35.378 N 16 44.691 O.
Il rifugio
che il gruppo aveva costruito l’anno prima era piccolo e accogliente, nero con
il tetto rosso, e ospitava venti posti letto. Gli escursionisti furono
sollevati nel constatare che aveva resistito al rigidissimo inverno. La
costruzione è tuttora in piedi, circondata da un nerissimo deserto di sabbia,
colline di lava e detriti glaciali, vicino al versante occidentale del
Vatnajökull. Nel libro degli ospiti del rifugio di Jökulheimar si legge:
27 maggio 1956
Viaggio di nozze, spedizione topografica, rilievi
nivometrici, realizzazione di una pista aerea. Venticinque partecipanti, di cui
un quinto donne. Arrivati poco prima delle ore 12 del giorno suddetto, quello
della Santissima Trinità.
Partiti da Reykjavík alle 16.25 del 26 maggio con
due Weasel, il Gusi di Guðmundur Jónasson e sei automobili. Pioggia battente
per tutto il tragitto verso est fino al fiume Tungnaá, raggiunto alle 5.30 del
mattino del 27 maggio. Due ore dopo, tutto era stato trasferito sull’altra
sponda del fiume e abbiamo proseguito verso Jökulheimar in condizioni di tempo
sereno. La viabilità può definirsi buona per tutto il tratto, ed è stato un
bene essere partiti ieri e non prima, perché alle pendici dei Ljósufjöll la
pista era ancora quasi bloccata dalla neve; da lì in poi non abbiamo incontrato
contrattempi degni di nota.
Il nostro primo compito è stato quello di preparare il talamo nuziale nel rifugio, disponendo un materasso morbido nella cuccetta che a giudizio dei massimi esperti del gruppo aveva il fondo più robusto.
Consumata una zuppa calda, la compagnia è andata a coricarsi e i più si sono svegliati solo al nuovo aroma di vivande, sei ore dopo. Le cinque signore e Bjössi avevano preparato un pasto delizioso. Poi, quella stessa sera, hanno avuto inizio i festeggiamenti in onore della coppia di sposini. Abbiamo bevuto qualche bicchiere e intonato canti appassionati. Un appropriato rossore è salito alle guance della sposa quando Úlfar Jakobsson le ha cantato la sua serenata. Abbiamo reso omaggio alla coppia con vari discorsi e la festa si è svolta con tutti gli onori del caso. Alla conclusione del banchetto è stato espresso l’augurio che questa non fosse l’ultima luna di miele a Jökulheimar, e il consenso è stato unanime. D’ora in poi ci sarà sempre un letto matrimoniale pronto. Sia il rifugio di esempio in questi e in altri aspetti.
Jón Eyþórsson
Lessi ai nonni il brano e quando arrivai al talamo nuziale e al fondo robusto si misero a ridacchiare come ragazzini. Le mie figlie, che all’epoca avevano nove e undici anni, non capivano che cosa ci fosse da ridere.
Secondo il
libro degli ospiti, gli obiettivi di quella spedizione della primavera del 1956
erano questi:
1. Collocare la strumentazione geodetica sui monti
Þórðarhyrna, Kverkfjöll Eystri, Grendill, Hvannadalshnjúkur, Svíahnjúkur Eystri
e Svíahnjúkur Vestri.
2. Analizzare gli strati nevosi e le precipitazioni
totali dell’inverno appena trascorso nel maggior numero possibile di zone
raggiungibili.
3. Se le condizioni lo consentono, recuperare una
slitta sugli Esjufjöll e là controllare i rifugi della Società glaciologica.
4. Per i semplici ospiti della spedizione, cinque
donne e un uomo, la libertà di spostamento sul ghiacciaio sarà quella
consentita dalle condizioni; non è indispensabile che loro raggiungano tutte le
sedi in cui saranno collocati gli strumenti geodetici.
Il capo della spedizione era Guðmundur Jónasson, nominato per l’occasione sindaco di Grímsvötn. Era alla guida del suo cingolato R-345, detto Gusi, e attendeva alle comunicazioni via radio col resto del mondo. Il geologo Sigurður Þórarinsson si occupava dei rilievi nivometrici, l’economo era Árni Kjartansson, la cuciniera era Hulda Guðrún Filippusdóttir. Ólafur Nielsen era alla guida del Grendill, un mezzo cingolato, mentre Haukur Hafliðason guidava lo Jökull I. Hörður Hafliðason e Magnús Eyjólfsson collaboravano con tutti loro per i rilievi geodetici. C’erano poi Ingibjörg Árnadóttir, la migliore amica della nonna, e un famoso alpinista americano, Nick Clinch, che lavorava come avvocato alla base militare di Keflavík.36 In seguito Clinch avrebbe scalato per primo lo Hraundrangi e affrontato molte delle ascese più impegnative del mondo.
Il gruppo
di valorosi esplorò tutto il ghiacciaio, da Jökulheimar fino ai Kverkfjöll. In
alcuni punti selezionati scavarono delle fosse per analizzare gli strati delle
precipitazioni e sulle vette posero gli strumenti per i rilievi topografici.
Sul monte Hvannadalshnjúkur sistemarono un barile alto due metri, salendo sul
quale poterono sovrastare la vetta più alta d’Islanda. A volte dovevano
avanzare alla cieca, affidandosi solo a bussole e altimetri. Coprirono distanze
incredibili, considerate le tecnologie dell’epoca, ovviamente senza poter
esaminare tutti i crepacci.
Lo spessore del ghiacciaio, nei punti in cui è maggiore, è di oltre mille metri. Un chilometro intero di ghiaccio. Poiché il ricevitore dell’apparecchio radio era guasto, con il resto del mondo avevano contatti solo unilaterali, senza poter sapere se qualcuno li riceveva. Il viaggio procedeva a fatica e si ritrovarono presto a corto di benzina, e per risolvere la situazione si esposero a non pochi rischi:
Il 10 giugno, quattro di noi hanno tentato di arrivare al Grímsvötn per procurarsi della benzina. Non abbiamo fatto nemmeno cinque chilometri col Weasel che il carburante era già finito, così abbiamo proseguito sugli sci. Il clima era pessimo, il tragitto impervio. Ci siamo detti fortunati a essere riusciti a tornare al campo, dopo aver arrancato per 35 chilometri tra grandi difficoltà e senza risolvere niente. Avremmo trovato a stento il campo, se non avessimo avuto l’accortezza di piantare dei paletti a brevi intervalli lungo tutto il percorso.
(A. S. Magnason, Il Tempo e l’acqua)
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