CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

lunedì 5 aprile 2021

ESEMPIO DI 'STABILITA' (in uso all'industriosa industria anarchica) (la risposta) (17)

 










Precedente capitolo:


Circa in esempio di 'stabilità' applicato (16)


Prosegue con il Viaggio, ovvero:














Orientamento & Migrazioni (19)









& Precedenti capitoli circa il


 dovuto orientamento...










DI SEGUITO RIPORTO LA SEVERA RISPOSTA, INVIATA ALLA PRESIDENTE, FIRMATA DA LUIGI CASANOVA QUALE PRESIDENTE ONORARIO DI MOUNTAIN WILDERNESS: 

 

Anche la Presidente dell’ANEF, Valeria Ghezzi, si iscrive ufficialmente nella lista, ormai debordante, del populismo che, ricco di demagogia e studiata superficialità, senza conoscere e senza aver mai intavolato un confronto, offende l’ambientalismo e lo presenta come un’anima culturale sterile dedita solo ai NO.

Prima di entrare nel merito delle affermazioni della signora è bene si sappia che fin da gennaio Mountain Wilderness ha chiesto ufficialmente alla Presidente, quindi a ANEF, un incontro teso a ricercare degli accordi di minima sulla gestione delle alte quote.

 

Nessuna risposta.




E’ anche bene che il paziente lettore sappia che Confindustria Belluno (solo un esempio) e la stessa ANEF, mai hanno partecipato né ai convegni del Cadore (dicembre – maggio 2018 – 2019) organizzati dagli ambientalisti, convegni dai quali sono uscite decine di proposte tese a gestire la montagna di oggi e del domani.

 

Le proposte?

 

Solo dei SI.

 

I Temi?

 

Foreste, Clima, Acque, Mobilità, Turismo di qualità, convegni che hanno visto una presenza totale di oltre 800 persone. Del resto i soggetti imprenditoriali citati mai si sono visti ai tavoli progettuali di Dolomiti UNESCO, 11 incontri, dai quali è scaturito il piano di gestione Dolomiti 2040.

 

Noi ambientalisti eravamo presenti, e siamo tutti volontari al 100%.




Va anche ricordato che la signora Ghezzi abita a San Martino di Castrozza e fa parte di quella cordata di impiantisti che ha impedito una riconversione economica e turistica di alta qualità a passo Rolle, una riconversione che veniva attuata con fondi propri da una impresa di abbigliamento locale che avrebbe portato sul passo, invece di una economia ormai decotta come lo sci, ben altre prospettive di sviluppo e qualità occupazionale, oltre a offrire il recupero paesaggistico di un passo che l’industria del turismo dal 1970 in poi ha solo mortificato. In questi giorni questi imprenditori dello sci del Primiero si recano a Trento con il cappello in mano a chiedere alla Provincia sempre più contributi (a fondo perduto) per rinnovare impianti che hanno lasciato divenire fatiscenti.

 

La cultura del predatore e il valore della responsabilità.

 

A sentire la Presidente sembra che solo gli esercenti funiviari vivano la montagna con la fatica, rendendo il territorio fruibile. Resta da vedere attraverso quale sostenibilità tali territori vengano resi accessibili, a chi, e su quali proprietà. La Presidente dimentica altri soggetti attori protagonisti del vivere in montagna: rifugisti, guide alpine, boscaioli, allevatori, volontari del CAI, personale insegnante, settore sanità e altro, tutte persone che frequentano, curano, vivono la montagna anche quando non ricevono compensi.




 Va chiarito il significato della parola sostenibilità, termine ormai usato a sproposito in ogni dove, cerchiamo di non confonderla con “predazione”.

 

Ci sono soggetti imprenditoriali che in montagna e non solo si comportano da predatori. Predatore è colui che approfitta di un soggetto o di un oggetto per gestirlo a proprio unico vantaggio, senza pensare alle ricadute che il suo agire ha su altre risorse. Per lo più agisce d’istinto.

 

Il predatore nel mondo animale o vegetale è componente essenziale della biodiversità, un equilibratore. Nel regno umano è soggetto che si impone con la forza, generalmente economica ma anche attraverso intimidazioni, può essere singolo o agire in gruppi di interesse.

 

In pratica lo “sviluppo sostenibile” come inteso da certa imprenditoria, rientra in una sintesi efficace illustrata dal poeta Andrea Zanzotto, “progresso scorsoio”: intanto intasco io, le conseguenze del mio agire le scarico sui posteri.




 Va evidenziato che il territorio non appartiene né a chi lo abita né agli impiantisti, è un bene comune, di valore sovranazionale. Chi lo abita o lo frequenta per lavoro ha un dovere: pensare agli interessi delle generazioni future, quindi consumare il meno possibile, non cancellare identità, culture, non impossessarsi dei beni in quanto questi li si ha “solo” in gestione. Troppe volte alcune sigle imprenditoriali si comportano da predatori. Guardano solo come soddisfare le loro tasche, nell’immediato.

 

La parola responsabilità è fondamentale nel nostro ragionare. Ne abbiamo accennato: prima di tutto teniamo presenti le nostre responsabilità rivolte alle generazioni future, anche ovviamente, al diritto della nostra generazione di poter vivere una vita di qualità nel cuore delle montagne del mondo, assieme agli impiantisti ovviamente.

 

Responsabilità significa non incidere paesaggi, non modificare la morfologia dei territori, rispettare le zone di protezione e le aree protette, i corsi d’acqua come le foreste e i pascoli di alta quota. responsabilità significa condividere i beni, non appropriarsene, responsabilità significa utilizzare i soldi pubblici per diffondere benessere e non riportarli in ristretti interessi speculativi, in minuscoli gruppi di potere ben articolati nelle Alpi.

 

Responsabilità significa essere coerenti con quanto sta avvenendo sull’intero pianeta, quindi contribuire nel modo più incisivo possibile a rendere meno critici i cambiamenti climatici in atto, specialmente a risparmiare: risorse economiche, umane e naturali.




Giustamente, afferma Ghezzi, responsabilità significa permettere alle popolazioni di restare in montagna. Ma allora non si comprende perché mai, ma proprio mai, si legga nei documenti di Confindustria una difesa strenua dei servizi nelle periferie, periferie sempre più umiliate dalle scelte di troppi governi: sanità, assistenza sociale, scuole, mobilità pubblica efficiente, investimento teso a diffondere innovazione e anche lavoro intellettuale nelle valli. Chissà perché questi imprenditori leggono lo sviluppo solo in chiave di collegamenti sciistici, costruzione di grande viabilità e attingendo, sempre e comunque, a sostanziosi contributi pubblici.

 

L’innevamento artificiale ha un enorme impatto ambientale!

 

Aree sciabili: quale consumo di territorio?

 

La Presidente sa benissimo che l’ambientalismo non ha mai affermato che l’industria dello sci vada rimossa dall’arco alpino. Alcune zone delle Alpi oggi non sarebbero rimaste abitate senza l’apporto dell’industria dello sci. La cultura ambientalista afferma invece che si è raggiunto, in troppi casi anche superato, il limite del consumo di territorio e paesaggio in quota: anche per questo motivo si è contrari a ulteriori collegamenti e potenziamenti di aree sciabili.

 

E’ da tempo venuto il momento di fermarsi.




Fermarsi significa cambiare, non declino.

 

Le aree sciabili non hanno una grande estensione, si dice. Una frase avventurosa, dati che diventano falsi quando non spiegati. ANEF afferma che il territorio montano italiano (60% del territorio) è interessato dall’industria dello sci solo per lo 0,05%. Giocare con i numeri è facile e così si fa solo populismo interessato, i numeri vanno illustrati in un contesto serio. Innanzi a tutto le aree sciabili insistono su territori caratterizzati da estrema fragilità idrogeologica e paesaggistica, gli impianti e strutture di supporto (ristornati, bar, baite, magazzini, parchi giochi marni costruiti a sostegno degli impianti) hanno un impatto ambientale di enorme valenza e disturbo naturalistico. Si omette anche di specificare che l’area sciabile ormai è usata dallo sciatore perlomeno in misura tripla: infatti ovunque, anche nei parchi, agli sciatori è permesso di uscire dalle piste e invadere pascoli e boschi con dei deprecabili fuori pista che vanno a danneggiare in modo irreversibile sia la fragile vegetazione presente in alta quota che la fauna selvatica che deve sopravvivere agli inverni.

 

Inoltre, su gran parte del territorio montano, per diversi motivi, pendenze, aree improduttive, balzi rocciosi, corsi d’acqua, non è possibile diffondere ovunque lo sci. Comunque in Trentino e Sudtirol si supera abbondantemente lo 0,7% del territorio consumato, in diverse valli il 17%. Tenendo presenti queste osservazioni ne consegue che le aree sciabili hanno ormai conquistato quanto era possibile (e oltre) conquistare.




Riprendiamo dalla Presidente questa nota:

 

‘Non possiamo dimenticare che l’ambiente naturale è il nostro (della gente di montagna) vero patrimonio: il prodotto che vendiamo al turismo, ma che ci garantisce una qualità di vita straordinaria, ben diversa dalla vita nelle città. Solo un territorio abitato è anche curato, presidiato, valorizzato e noi siamo i primi ambasciatori della sua bellezza e anche della sua fragilità. Nessuno lo conosce meglio di noi. Ma abbiamo il diritto di viverci con la stessa dignità e livello di sviluppo di chi vive in tutto il resto del nostro Belpaese…. Per questo motivo non capiamo i sedicenti ambientalisti che rifiutano un confronto costruttivo, fanno polemiche strumentali e spesso vivono lontano dalla montagna’.

 

L’ambiente di montagna non è proprietà di chi vive il territorio, è un bene comune.

 

L’ambiente non ci è dato in gestione per ‘venderlo’, ma per coltivarlo al meglio e gli attori della montagna, fortunatamente, come già detto, sono multipli. Compresi quanti vivono lontano dalla montagna e si impegnano nel difenderne i valori e i paesaggi. Territorio vissuto non significa territorio consumato e banalizzato fino alle quote più inverosimili, non significa imporre il vissuto della città alle montagne, significa curare e migliorare. Sviluppo oggi è banalità, la montagna ha bisogno di progresso, cioè anche di elevazione culturale. Questo è impegno teso a offrire dignità a chi la montagna la vive e a chi sulla montagna costruisce resistenza. Lasciamo poi perdere le offese rivolte agli ambientalisti, offese portate da chi mai ha partecipato a un solo nostro confronto.




 Non dimentichiamo che gli ambientalisti sul territorio di montagna sono in realtà pochi.

 

Così afferma entusiasta la Presidente. In parte è vero che gli ambientalisti siano pochi, c’è infatti bisogno di una rivoluzione culturale che modifichi il nostro rapporto con la natura, una emergenza che ci viene imposta dai cambiamenti climatici in atto, ma anche una emergenza etica: sembra non siano questi i tempi per sostenere una simile rivoluzione, per questo motivo, una immane disgrazia, gli ambientalisti sono pochi.

 

In montagna sono ancora meno perché non possono esprimersi. Una minoranza di imprenditori priva di scrupoli e una strutturazione politica a questi affiancata e di questi succube, isola chi pensa diversamente.

 

L’ambientalista che vive nelle valli, vedasi Comelico e non solo, è costretto al silenzio se vuole riuscire a far vivere in montagna la sua famiglia. Fossero anche pochi questi ambientalisti è anche vero che la Costituzione italiana tutela le minoranze e quindi anche la cultura ambientalista ha diritto di parola, di rispetto, di proposta e anche di alzare dei forti NO.

 

Ogni NO (Ghezzi è forte della cultura del NO avendo rifiutato, assieme a altri soci, a una impresa di valle di promuovere turismo diverso dallo sci…) nasce da una visione diversa di società, di vivere, gestire l’ambiente.




La cura del territorio non si fa con le ruspe e imponendo grandi alberghi in quota o raduni di centinaia di jeep: la cura è lavoro umile, si attua giorno per giorno, come fanno tanti allevatori di montagna, come fanno tanti boscaioli, come fanno quanti prendono in mano badile e piccone e drenano le acque dai pascoli e dalle strade di bosco o chi ha coraggio a rimanere nelle vallate per insegnare nelle scuole pubbliche.

 

Il presidio del territorio non si deve limitare solo alle aree di competenza di una società sciistica, ovviamente interessata a rimuovere dalle piste quante più piante schiantate possibile, ma a ogni versante, anche a quelli non sciabili. Non abbiamo visto gli impiantisti intervenire in tali ambiti. Hanno pensato solo al loro interesse immediato.

 

I censimenti li fanno solo i cacciatori dice ancora ANEF. Innanzi a tutto l’affermazione è falsa. Molti censimenti vengono effettuati dal personale pubblico. Per alcune specie cacciabili la Provincia di Trento o il Veneto hanno delegato il compito alla associazione cacciatori, caprioli e camosci, cervi, in modo discutibile.

 

Il controllato che diventa controllore, incredibile.




Perché è accaduto ANEF non lo spiega, non dice che i guardiaparco sono stati eliminati dalla Provincia di Trento nel 2016 perché la loro correttezza infastidiva alcuni poteri forti, che i forestali usano le auto perché il lavoro è aumentato e anche perché ormai sono rimasti in pochi sempre causa scelte politiche degli enti pubblici che non vogliono più avere un territorio controllato. E che lo Stato ha sciolto il Corpo Forestale aggregandolo ai Carabinieri, una scelta nefasta per l’ambiente italiano. Di certo i censimenti non li fanno gli impiantisti: se non quando imposto da prescrizioni provinciali, mai abbiamo visto gli impiantisti dedicarsi alla cura del territorio, se non nelle strette pertinenze delle aree sciabili in quanto sulla loro categoria ricade un vantaggio diretto.

 

La signora poi parla di risparmio energetico. Ma quale risparmio? Mai come in questi anni l’industria della neve è oltremodo energivora: impianti di innevamento che funzionano in qualsiasi condizione climatica, infrastrutture riscaldate, livellamento della neve sulle piste: i consumi energetici di questa industria sono incredibili e troppe volte sostenuti da discutibili interventi pubblici.

 

E’ questa la sostenibilità tanto invocata dalla associazione degli impiantisti?




 Collegamenti sciistici in ogni dove, fino nel cuore delle aree protette, bacini di innevamento sempre più grandi e invasivi che vanno a distruggere ambiti geologici (morene e non solo) in modo irreversibile, costruiti con finanziamenti pubblici che gridano allo scandalo, eventi in quota che omologano la montagna alle città, banalizzazione culturale, perdita di valori e della cultura del limite quando tutta la storia dei montanari è ancorata al risparmio e alla sobrietà, musiche sparate fino a tarda sera senza un minimo rispetto della fauna selvatica, alberghi, ristoranti di lusso, terrazze sempre più estese tanto da trasformare diversi alpeggi in aree urbanizzate, ovviamente raggiungibili anche di notte per cene con motoslitte che scorrazzano ovunque, piste di downhill e vie ferrate costruite per sostenere funivie.

 

Questo diffondono e amplificano gli impianti di risalita sulle montagne. Il tutto in aperta contraddizione con la minaccia sempre più evidente dei cambiamenti climatici.

 

ANEF dice poi che il presunto partito del NO voglia la cacciata dell’uomo della montagna. Che questo rappresenta una cultura di penna o parola, che demonizza chi la montagna la lavora. E identifica tale fattispecie sociale in “gente che sta comodamente in città”. Come commentare queste frasi? Con un elegante silenzio.




 A leggere la Presidente sembra che l’unica economia capace di portare lavoro in montagna sia l’impiantistica e che laddove questa non viene sostenuta le conseguenze siano l’abbandono del territorio.

 

La Presidente non si chiede perché la terra dove abita perda residenti ogni anno nonostante la ricca rete impiantistica presente o perché anche la florida economia altotesina (strutturata sulla diversificazione produttiva e non sulla monocultura) evidenzi una emigrazione costante di giovani con alto titolo di studio. Sono queste le riflessioni che dovrebbero trovare confronto e condivisione fra tutti gli attori sociali dei territori e non risposte univoche e banali.

 

L’ambientalismo su questo aspetto non ha bisogno di sollecitazioni, da anni sta affrontando in modo approfondito il tema dell’abbandono delle montagne. Certo propone potenziamento di servizi e anche sovvenzioni economiche ai tanti resistenti della montagna (defiscalizzazione di attività e non solo).




 Non si capisce perché gli industriali dello sci, mentre criticano sovvenzioni pubbliche rivolte a altri soggetti, invochino ovunque l’intervento pubblico legato a iniziative del loro settore. Dove sta la coerenza?

 

Nel citare il Comelico ancora una volta la Presidente evita di spiegare. Si tratta di una situazione esemplare. In un’area che vive una pesante sofferenza con lo spopolamento, è previsto un collegamento sciistico che da Sesto Pusteria attraverso il Passo Monte Croce arrivi a Padola per poi proseguire verso le aree forti dell’Austria. Qualora realizzato il collegamento il Comelico verrebbe schiacciato come area di transito verso due poli sciistici maturi. I giovani continuerebbero a scappare (previsti 20 posti di lavoro nuovi) e nessun problema dell’area verrebbe risolto. L’investimento totale previsto è di 36 milioni. Ben 26 di questi milioni sono pubblici.

 

Invece di offrire a questi 3000 abitanti un pacchetto di interventi teso a costruire sviluppo equilibrato e legato alla specificità del territorio come gli ambientalisti hanno proposto ai sindaci locali, si preferisce regalare una somma incredibile all’industria dello sci: un collegamento che andrebbe a invadere ambiti paesaggistici delicati e il territorio di Dolomiti UNESCO, territorio protetto.

 

Del resto, in altro campo, sempre e comunque, l’industria dello sci è a favore del piccolo idroelettrico anche se è dimostrato che rimane sostenibile economicamente solo perché sostenuto da ingenti incentivi pubblici.




‘Non è così che si fa l’interesse di territorio e ambiente’.

 

Una frase solenne degli impiantisti rivolta contro l’ambientalismo. E aggiungono: ‘Venite a vederle dopo quasi 70 anni di sci: possiamo solo essere orgogliosi!’.

 

Certo, andiamo a vedere.

 

Siamo in presenza di una categoria economica che consuma territori intonsi, che sperpera risorse pubbliche anche in situazioni fallimentari (Folgaria, Ovindoli, San Martino, Monte Bondone, Nevegal e molti altri ancora…) che demolisce la cultura della montagna più autentica e che si prepara a celebrare un sontuoso fallimento, anche economico, della montagna italiana, sostenuta dal peggior populismo industrialista.

 

Andiamo a vederle queste montagne dopo 70 anni di sci.

 

Quanto orgogliosi possiamo esserne?

 

Andiamo a vedere Punta Rocca in Marmolada e osserviamone lo scempio, oppure sulla Tofana a vedere come si è devastata la montagna per preparare i mondiali di sci del 2021, o ancora a Bormio per leggere come si è sconvolto un ambito paesaggistico strategico nel Parco Nazionale dello Stelvio per permettere i mondiali di sci alpino del 2005, o quanto accade ancora nello Stelvio a Solda. Per finire saliamo al Monte Bianco: lì si comprende appieno cosa ci propone l’illuminato futuro quando la montagna viene lasciata in gestione al settore degli impiantisti. 

(Luigi Casanova; segnalo altresì il suo buon libro: ‘Avere cura della montagna’; ed. Altra Economia)







Nessun commento:

Posta un commento