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Era
ancora buio, e ho
pensato che stesse
piovendo. Spinsi indietro
il lembo della
tenda. Un cielo
tempestoso che si
muoveva rapido sul
volto di una luna
gibbosa. Forse si
sarebbe schiarito all’alba.
Il ticchettio non
era pioggia, solo
vento. Una tempesta,
diretta da qualche
altra parte.
Mezzo sveglio,
ero di nuovo
consapevole delle voci.
Un abbaiare cacofonico
acuto, come i
terrier, o le proteste d’un giovane maiale. Le
singole grida divennero
un’acclamazione crescente, come
in uno stadio
lontano, che si
alzava e si smorzava.
Oche delle
nevi e le loro
voci notturne.
(Possiamo
definire in ugual medesimo contesto in cui scrivo, asimmetriche ed invisibili
oche, le quali purtroppo invadono il Linguaggio della Natura con il loro
inutile starnazzare, con gli inutili quanto non graditi loro artifizi, accompagnate
da sgraziati ‘movimenti’. Ma in questo contesto del Viaggio a voi narrato, si rimembra
e tramanda ciò che rimane della stessa antica hora, pur se il nome ancorato al porto d’una sommaria deduzione in
ciò che divide qual senso innato a cui capace ed aspira la Natura; e al
contrario, ciò di cui medesimo branco delle nevi aspira nell’impropria
conquista dell’incapacità di medesimo ugual volo proteso in senso inverso da
cui il Cielo ne osserva le acrobatiche acrobazie del veleno distribuito; noi ne
ammiriamo il volo e l’onda così come si compone la Parola, nel limite del
Linguaggio di cui l’oca parla e l’uomo muto e chino alla grotta incapace
d’ugual Rima…)
Le ho viste volare lungo la costa settentrionale dell’Alaska una volta a settembre, alla fine di una giornata lavorativa. L’afflusso costante del loro passaggio verso ovest, quella linea incrollabile era esaltante. L’anno successivo le vidi sopra l’isola Banks Island migrare verso nord in piccoli stormi di venti e trenta. E quell’autunno andai nel nord della California per trascorrere alcuni giorni con loro nello svernamento di inizio inverno a Tule Lake nel bacino di Klamath.
Il lago
Tule non è
molto conosciuto in
America, ma le
anatre e le
oche si radunano
in enormi gruppi
in questo rifugio
ogni autunno, creando
un’impressione di una terra
in un eccellente stato
di salute e di
vita sconfinata. Ogni
giorno qui un visitatore
potrebbe vedere un
milione di uccelli:
codoni, morette minori,
quattr’occhi d’Islanda,
alzavola, germani reali, anatre clipeate; varietà
di oche canadesi, oche
dalla fronte bianca,
oche di Ross,
oche delle nevi
minori; e cigni
della tundra.
Nei campi aperti tra i laghi e le paludi dove questi uccelli acquatici si nutrono e riposano ci sono merli dalle ali rosse e passeri della savana, passeri di Brewer, rondini degli alberi e allodole. E cacciatori di uccelli solitari: falchi di palude, falchi dalla coda rossa, aquile calve, il minuscolo gheppio.
Il bacino
di Klamath, che
contiene altri quattro
rifugi nazionali per
la fauna selvatica
oltre al lago
Tule, è uno
degli habitat più
ricchi di uccelli
acquatici migratori del
Nord America. A
ovest del lago
Tule c’è un
altro grande lago
poco profondo chiamato
Lower Klamath Lake.
A est, oltre
le paludi di
tule, c’è una
bassa scarpata dove
nidificano i barbagianni
e sono ancora
visibili i segni
di conteggio di
un popolo aborigeno
scomparso da tempo,
incisi nella roccia.
A sud-ovest,
i resti incongrui
di un campo
di internamento giapponese
della seconda guerra
mondiale. Nei campi
agricoli a nord, est e
sud, gli agricoltori
coltivano malto d’orzo
e patate invernali
in terreni vulcanici
scuri.
La notte in cui mi parve di udire la pioggia e mi riaddormentai con le grida delle oche delle nevi, udii anche il suono del loro volo notturno, un grande martellare dell’aria accompagnato da un selvaggio scricchiolio di ali. Questi suoni primitivi facevano sembrare il bacino di Klamath stranamente disabitato, terra ancestrale degli animali da loro reclamata ogni anno. In pochi giorni alla periferia dei branchi di oche, però, non mi sono sentito un intruso. Ho avvertito la calma, la saggezza, il Linguaggio che gli uccelli possono portare alle persone; e così rasserenato, ho percepito il delinearsi dei misteri più antichi: la Natura e l’estensione dello spazio, la caduta della luce dal cielo, il tempo che si raccoglie nel presente, come se fosse acqua.
(B.Lopez)
MOLTO tempo fa, il Corvo voleva che tutti gli uccelli avessero un bell’aspetto, così li dipinse. Il Corvo dipinse Coot per ultimo. Quindi Coot iniziò a dipingere il Corvo, che voleva molti colori vivaci. Così Coot dipinse il Corvo con colori vivaci con una mano, ma nell’altra nascose il carbone. Quando il Corvo distolse lo sguardo, Coot annerì rapidamente tutti i colori vivaci con il carbone. Così il Corvo si arrabbiò e inseguì la Folaga. Ma la Folaga correva troppo in fretta, così il Corvo gli lanciò del fango bianco, fango bianco che schizzò sulla Folaga. È per questo motivo che la Folaga ha delle macchie bianche sulla testa e sulla schiena. Ma la Folaga volò via e lasciò il Corvo tutto nero.
Ora
il Corvo andò in giro tra gli uccelli insegnando loro.
Disse a Grouse: ‘Devi vivere in un posto dove è inverno. Vivrai sempre in un posto in alto, quindi avrai molta brezza e vento’. Quindi il Corvo diede a Grouse quattro sassolini bianchi e gli disse: ‘Non morirai mai di fame finché avrai questi quattro sassolini’.
Il
Corvo disse ancora a Grouse: ‘Sai che il leone marino è tuo nipote. Devi
prendere altri quattro sassolini e darglieli’. Ecco perché il leone marino ha
quattro grandi sassi. Li lancia ai cacciatori. Se uno di loro colpisce una
persona, la uccide. Da questa storia si sa che Grouse e il leone marino si
capiscono.
Il
Corvo disse a Ptarmigan: ‘Sarai il creatore di racchette da neve. Saprai come
viaggiare sulla neve. Fu da questi uccelli che gli Athapascani impararono a
fabbricare le racchette da neve ea allacciarsi le stringhe’.
Il Corvo si avvicinò a Wild Canary, che vive tutto l’anno nel paese dei Tlingit. Disse: ‘Tu sarai capo tra i più piccoli uccelli. Non devi vivere dello stesso cibo degli esseri umani. Stai lontano da loro’.
Poi
il Corvo disse a Robin: 'Farai felici le persone con il tuo fischio. Sarai un
buon fischiatore’.
Allora
il Corvo disse a Kun, il Flicker: ‘Sarai il capo degli uccelli della tua
taglia. Non sarai trovato in tutti i posti. Sarai visto raramente’.
Il Corvo disse a Lugan, un uccello che vive lontano sull’oceano: ‘Sarai raramente visto vicino alla riva. Vivrai su rocce solitarie, lontano sull’oceano’.
Quando
il Corvo venne a Snipes, disse: ‘Andrai sempre in stormi. Non uscirai mai da
solo’. Pertanto vediamo sempre beccaccini in stormi’.
Il Corvo disse ad Asq-aca-tci, un uccellino dal piumaggio giallo-verde: ‘Andrai sempre in stormi. Sarai sempre sulle cime degli alberi. Ecco dov’è il tuo cibo’.
Il Corvo disse a un uccellino molto piccolo, Kotlai, delle dimensioni di una farfalla: ‘Ti piacerà. Sarai visto solo per dare buona fortuna. Le persone sentiranno la tua voce, ma raramente ti vedranno’.
Poi a Blue-jay Raven disse: ‘Avrai dei bei vestiti di piume. Sarai un buon parlatore. La gente osserverà i colori delle tue antiche penne formare la Voce del Vento’.
(Miti dell’Alaska)
È un lento colpire quell’uomo assiso alla sua caverna!
Non
ha ancora udito l’antica Parola.
Non
ha compreso la Nota del Principio!
Per
uccidere più che offendere.
Fors’anche
per sopravvivere!
Il modo lo aveva appreso e ripetuto milioni di volte, lo aveva predato ai suoi antenati animali.
Di
certo, per ciò che sappiamo e mai abbiamo ben compreso dal Mondo ove
proveniamo, non èra un suono affine alla Musica del Creato, ma un qualcosa che
in medesimo Atto e in ugual Scena di sopravvivenza, si ripete per scuotere ogni
Armonia.
Per
dissacrare e dissolvere l’antica Simmetria.
Sua
acerrima nemica.
Qualcuno più uomo che Dio, rimembra l’asimmetrica distanza - seppur ben misurata - in ugual curva in cui il Creato inciampato nel dono del Tempo sottratto alla prima nota dell’Armonia, narrarne la materia non avendone udito la Sinfonia…
Ogni
simmetria, ogni ghiaccio, ove nata la Prima Strofa dell’Universo.
Così
l’uomo chino alla grotta ad incidere lo scalpo del nuovo trofeo. Secoli dopo
correre in mare aperto, rompere le possenti mura del ghiaccio; conficcare
l’arpione di ugual suono. Poi sulla stessa ‘onda’ squarciare il ventre immobile
della balena. E alla luce della lampada imparare una preghiera troppo antica
per essere pregata!
Sulla
sottile crosta d’acciaio aspirare alla perduta Parola, mentre il mare e la nota
diviene cupa burrasca. Alla miniera sulla soglia naufragata d’ugual caverna
scavare l’oro della Terra, senza parola e Linguaggio che lo differenzia dalla
braccata bestia.
Poi con l’unita divisa d’ugual Compagnia, immagazzinare ciò di cui si compone la tenebra della parola. Scrutare le viscere della Terra.
(Studia
i venti, osserva le stelle, conta il tempo, impreca contro la pioggia, scalcia
per una pietra focaia, brama la preziosa pietra senza intenderne l’armonia che
l’ha creata)
Per
ogni colpo di lancia dalla lancia in alto mare, l’Elemento irato e confuso lo
affoga. Dalla Cima della cresta, ove ogni tanto il chiodo li precipita
nell’Abisso ghiacciato nella cripta d’un fiume violato, la parete mostra il
velo dei colori dell’Universo, lento comporre i colori della Parola. Una
preghiera troppo antica per essere conquistata con il chiodo dalla stiva fino
alla profanata cima.
Ogni
muta voce si forma e scompone invisibile ordinare la parola degli Dèi,
l’Elemento cadendo e risorgendo Infinito nel suo ciclo mostra il karma della
propria lingua. Il suo segreto! I colori immobili si alternano simmetrici al
Creato, un tempo prima del tempo affinché l’occhio percepisca da umano solo
l’ultimo Secondo in cui nato. Nulla scorge e può di quella ripida discesa
chiamata cascata mentre precipita nell’abisso dell’assetata parola.
Se poi ti incammini con gli Dèi per una verde galassia li scorgi identici nell’Universo che si dissolve allo specchio d’una diversa materia narrata che avanza nel tempo rimembrato e contato.
Gli Dèi per ogni loro Elemento profanato vogliono un cantore che ne comprenda il Linguaggio. Questo abbiamo imparato e per questa Poesia saremmo umiliati perseguitati e offesi dalla più nobile parola dell’uomo!
(Giuliano)
C’erano 250.000 oche delle nevi al lago Tule. All’alba le trovavo galleggianti sull’acqua, vicine l’uno l’altra in una sorta di zattera lunga tre quarti di miglio e larga forse 500 iarde. Quando uno stormo comincia a sollevarsi dalla superficie dell’acqua, il suono è come una burrasca in arrivo, un gran fracasso di lamiere ondulate scosse con violenza. (Se provi a separare mentalmente i singoli suoni, sono come lembi di lenzuoli d’asciutto cotone che sbattono su una corda da bucato mossa dal vento.)
Una volta
in volo sono
abbaglianti…
Volano contro
la luce infranta del sole, e il
candore opaco dei
loro corpi, un
candore di conchiglie
levigate dall’acqua, contrasta
con il bianco
più grigio delle
ali traslucide e
delle penne della
coda. Da vicino
mostrano i bianchi
densi e impeccabili
della volpe artica.
Contro i grigi
bluastri di un cielo
carico di tempesta,
il loro candore
ha un bagliore
surreale, uno splendore
senza ombre.
Quando si nutrono nei campi di grano intorno al lago Tule, le oche vanno e vengono in stormi di cinque o diecimila. A volte ce ne sono quaranta o cinquantamila nell’aria contemporaneamente. Si alzano dai campi come fumo in grandi correnti vorticose, salendo più in alto e diffondendosi nel cielo più di quanto il proprio campo visivo possa comprendere. Un fluido stormo incurvato di diecimila oche attraversa gli spazi all’interno di un altro stormo controcorrente; mentre al di là sembra passare una grata dopo l’altra, come le pareti scorrevoli delle case giapponesi, fino a quando smarrisci nel cielo il senso di profondità, come se stessi osservando verso l’alto dal fondo dell’oceano, attraverso il passaggio di grandi banchi di pesci, o grandi cetacei…
Ciò che mi assorbe di più delle specie osservate, al di là del loro bel candore, del loro numero sbalorditivo, del grande vigore della loro vita, è l’abilità con cui ogni uccello si unisce allo stormo più numeroso o se ne allontana. E come ogni uccello mentre fa parte del gregge sembra parte di qualcosa di più grande di se stesso.
Non ho mai visto una singola oca muoversi per accogliere una che stava atterrando, né oche sull’acqua mai disturbate da un’altra che decollava, non importa quanto strettamente raggruppate sembrassero essere. Non ho mai visto due uccelli nemmeno sfiorare l’aria con la punta delle ali, anche se sicuramente devono farlo. Si sollevano insieme in un vento contrario in un movimento senza soluzione di continuità che porta migliaia di loro dolcemente a terra come foglie che cadono in pochi secondi.
I loro movimenti sono infinitamente attraenti per l’occhio a causa di una tensione che creano tra le linee paraboliche estese del loro volo e i movimenti bruschi ma abili, compiuti in tre dimensioni. E c’è qualcos’altro che ti attira. Vengono dai confini della terra e trovano questo laghetto ogni anno con infallibile precisione.
Arrivano dai
terreni di riproduzione
sul bordo settentrionale del
continente in Canada
e dalle valli
fluviali dell’isola di
Wrangel nell’Artico russo.
I loro antichi
corridoi di migrazione,
attraverso lo Stretto
di Bering e
lungo la costa
del Pacifico, lungo
il fianco orientale
delle Montagne Rocciose,
sono più antichi
delle nazioni da
cui volano.
Le vite
di molti animali
sono vincolate dagli
schemi degli uomini,
ma la determinazione in
queste vite, il
loro modello tradizionale
di movimento, sono
un ricordo calmante
di un ordine
più fondamentale. La
compagnia di questi
uccelli nel campo
è innocente. È facile
sentirsi trascendenti quando
si è accampati
in mezzo a
loro.
Gli uccelli strattonano la mente e il cuore con una strana intensità. La loro capacità di stormire elegantemente come fa l’oca delle nevi, dove i singoli uccelli si trasformano in qualcosa di più grande, e la loro capacità di navigare su grandi tratti di quello che per noi è uno spazio anonimo, sono abilità misteriose e sofisticate. Il loro volo, anche una raffica di passeri attraverso una piazza cittadina, ci fa piacere. Nell’Artico, si possono vedere uccelli in gran numero e questi sentimenti di soggezione ed euforia sono aumentati. In primavera nel Golfo di Anadyr, al largo della costa russa, la superficie dell’acqua lampeggia d’argento con banchi di aringhe del Pacifico e stormi di pulcinelle di mare volano direttamente nell’acqua dietro di loro, come una grandine di ghiaia.
Tornano con
le aringhe su
ripide scogliere, dove
i gusci rotti
della loro prole
cadono a raffiche di
vento nel mare
a migliaia, come
neve. Il 6
agosto 1973, l’ornitologo
David Nettleship ha
doppiato Skruis Point
sulla costa settentrionale dell’isola
di Devon e
si è trovato
faccia a faccia
con una colonia
riproduttiva ‘perduta’ di
urie nere. Si
estendeva a sud-est
davanti a lui
per 14 miglia.
Sulla Grande Pianura del Koukdjuak sull’isola di Baffin oggi, un viaggiatore, attraversando i fiumi e guadando gli stagni e i ruscelli intrecciati che esauriscono e alla fine sconfiggono la volpe predatrice, arriverà su grandi cumuli di piume di oche in muta, piume che possono essere presi a manciate e lanciati in aria per scivolare verso il basso come pula.
Dalle scogliere
dell’isola di Digges
e dell’adiacente Capo
Wolstenholme nello stretto
di Hudson, due milioni
di urie lomvia dal becco
grosso nuoteranno attraverso
l’acqua, diretti verso
i loro terreni
invernali sui Grand
Banks.
Non è necessario lavorare molto a lungo sul campo prima di percepire che la scala del tempo e della distanza per la maggior parte degli animali è diversa dalla nostra (umanità aggiungo)a. Le loro dimensioni complessive, i loro metodi di locomozione, la natura degli ostacoli che affrontano, i mezzi che attraversano e la durata di una vita piena sono tutti diversi. In precedenza, a causa della facile analogia con la migrazione umana e della tendenza a pensare solo su scala umana, i biologi trattavano il comportamento migratorio come un evento speciale nella vita degli animali. Hanno sottolineato le grandi distanze coinvolte o le notevoli imprese di navigazione.
Oggi
si tende invece a non differenziare
così nettamente tra
migrazione e altre
forme di movimento
animale (e vegetale).
Il seme di
acero che scende
a spirale verso
il suolo della
foresta, la farfalla
che zigzaga attraverso
un prato estivo
e la sterna
artica diretta verso il suo
viaggio autunnale di
12.000 miglia, sono
tutti alla ricerca
della stessa cosa:
un ambiente più
favorevole alla loro
continua crescita e
sopravvivenza.
Inoltre, gli scienziati ora intendono i movimenti degli animali in termini di sensi di navigazione con cui non abbiamo ancora familiarità, come la capacità di rilevare un campo elettromagnetico o di utilizzare echi sonori o differenze di pressione atmosferica come guide.
(B. Lopez)
[PROSEGUE CON IL CAPITOLO COMPLETO & il lento graduale....
dissolvimento] & in bocca a lupo
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