CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
30 MAGGIO 1924

lunedì 3 aprile 2023

FORI & REALTA'

 









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d'un Mondo Perduto








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in Bocca al Lupo!







Era ancora buio,  e  ho  pensato  che  stesse  piovendo.  Spinsi  indietro  il  lembo  della  tenda.  Un  cielo  tempestoso  che  si  muoveva  rapido  sul  volto  di  una  luna  gibbosa.  Forse  si  sarebbe  schiarito  all’alba.  Il  ticchettio  non  era  pioggia,  solo  vento.  Una  tempesta,  diretta  da  qualche  altra  parte.

 

Mezzo  sveglio,  ero  di  nuovo  consapevole  delle  voci.  Un  abbaiare  cacofonico  acuto,  come  i  terrier,  o  le proteste d’un giovane maiale.  Le  singole  grida  divennero  un’acclamazione  crescente,  come  in  uno  stadio  lontano,  che  si  alzava  e  si  smorzava.

 

Oche  delle  nevi e  le  loro  voci  notturne.

 

(Possiamo definire in ugual medesimo contesto in cui scrivo, asimmetriche ed invisibili oche, le quali purtroppo invadono il Linguaggio della Natura con il loro inutile starnazzare, con gli inutili quanto non graditi loro artifizi, accompagnate da sgraziati ‘movimenti’. Ma in questo contesto del Viaggio a voi narrato, si rimembra e tramanda ciò che rimane della stessa antica hora, pur se il nome ancorato al porto d’una sommaria deduzione in ciò che divide qual senso innato a cui capace ed aspira la Natura; e al contrario, ciò di cui medesimo branco delle nevi aspira nell’impropria conquista dell’incapacità di medesimo ugual volo proteso in senso inverso da cui il Cielo ne osserva le acrobatiche acrobazie del veleno distribuito; noi ne ammiriamo il volo e l’onda così come si compone la Parola, nel limite del Linguaggio di cui l’oca parla e l’uomo muto e chino alla grotta incapace d’ugual Rima…)




Le  ho  viste  volare  lungo  la  costa  settentrionale  dell’Alaska  una  volta  a  settembre,  alla  fine  di  una  giornata  lavorativa.  L’afflusso  costante  del  loro  passaggio  verso  ovest,  quella  linea  incrollabile  era  esaltante.  L’anno  successivo  le  vidi  sopra l’isola  Banks  Island  migrare  verso  nord  in  piccoli  stormi  di  venti  e  trenta.  E  quell’autunno  andai  nel  nord  della  California  per  trascorrere  alcuni  giorni  con  loro  nello  svernamento di inizio inverno a  Tule  Lake  nel  bacino  di  Klamath.

 

Il  lago  Tule  non  è  molto  conosciuto  in  America,  ma  le  anatre  e  le  oche  si  radunano  in  enormi  gruppi  in  questo  rifugio  ogni  autunno,  creando  un’impressione  di una  terra  in  un eccellente  stato  di  salute e  di  vita  sconfinata.  Ogni  giorno qui  un  visitatore  potrebbe  vedere  un  milione  di  uccelli:  codoni,  morette  minori,  quattr’occhi d’Islanda,  alzavola,  germani  reali,  anatre clipeate;  varietà  di  oche canadesi,  oche  dalla  fronte  bianca,  oche  di  Ross,  oche  delle  nevi  minori;  e  cigni  della  tundra.




Nei  campi  aperti  tra  i  laghi  e  le  paludi  dove  questi  uccelli  acquatici  si  nutrono  e  riposano  ci  sono  merli  dalle  ali  rosse  e  passeri  della  savana,  passeri  di  Brewer,  rondini  degli  alberi  e  allodole.  E  cacciatori  di  uccelli  solitari:  falchi  di  palude,  falchi  dalla  coda  rossa,  aquile  calve,  il  minuscolo  gheppio.

 

Il  bacino  di  Klamath,  che  contiene  altri  quattro  rifugi  nazionali  per  la  fauna  selvatica  oltre  al  lago  Tule,  è  uno  degli  habitat  più  ricchi  di  uccelli  acquatici  migratori  del  Nord  America.  A  ovest  del  lago  Tule  c’è  un  altro  grande  lago  poco  profondo  chiamato  Lower  Klamath  Lake.  A  est,  oltre  le  paludi  di  tule,  c’è  una  bassa  scarpata  dove  nidificano  i  barbagianni  e  sono  ancora  visibili  i  segni  di  conteggio  di  un  popolo  aborigeno  scomparso  da  tempo,  incisi  nella  roccia.

 

A  sud-ovest,  i  resti  incongrui  di  un  campo  di  internamento  giapponese  della  seconda  guerra  mondiale.  Nei  campi  agricoli  a  nord,  est  e  sud,  gli  agricoltori  coltivano  malto  d’orzo  e  patate  invernali  in  terreni  vulcanici  scuri.




La  notte  in  cui  mi  parve  di  udire  la  pioggia  e  mi  riaddormentai  con  le  grida  delle  oche  delle  nevi,  udii  anche  il  suono  del  loro  volo  notturno,  un  grande  martellare  dell’aria accompagnato da  un  selvaggio  scricchiolio  di  ali.  Questi  suoni  primitivi  facevano  sembrare  il  bacino  di  Klamath  stranamente  disabitato,  terra  ancestrale  degli  animali  da  loro  reclamata  ogni  anno.  In  pochi  giorni  alla  periferia  dei  branchi  di  oche,  però,  non  mi  sono  sentito  un  intruso.  Ho  avvertito  la  calma, la saggezza, il Linguaggio  che  gli  uccelli  possono  portare  alle  persone;  e così rasserenato,  ho  percepito il delinearsi  dei  misteri  più  antichi:  la  Natura  e  l’estensione  dello  spazio,  la  caduta  della  luce  dal  cielo,  il  tempo  che  si  raccoglie  nel  presente,  come  se  fosse  acqua. 

(B.Lopez)

 



MOLTO tempo fa, il Corvo voleva che tutti gli uccelli avessero un bell’aspetto, così li dipinse. Il Corvo  dipinse Coot per ultimo. Quindi Coot iniziò a dipingere il Corvo, che voleva molti colori vivaci. Così Coot  dipinse il Corvo con colori vivaci con una mano, ma nell’altra nascose il carbone. Quando il Corvo distolse lo sguardo, Coot annerì rapidamente tutti i colori vivaci con il carbone. Così il Corvo si arrabbiò e inseguì la Folaga. Ma la Folaga correva troppo in fretta, così il Corvo gli lanciò del fango bianco, fango bianco che schizzò sulla Folaga. È per questo motivo che la Folaga ha delle macchie bianche sulla testa e sulla schiena. Ma la Folaga volò via e lasciò il Corvo tutto nero.

 

Ora il Corvo andò in giro tra gli uccelli insegnando loro.




Disse a Grouse: ‘Devi vivere in un posto dove è inverno. Vivrai sempre in un posto in alto, quindi avrai molta brezza e vento’. Quindi il Corvo diede a Grouse quattro sassolini bianchi e gli disse: ‘Non morirai mai di fame finché avrai questi quattro sassolini’.

 

Il Corvo disse ancora a Grouse: ‘Sai che il leone marino è tuo nipote. Devi prendere altri quattro sassolini e darglieli’. Ecco perché il leone marino ha quattro grandi sassi. Li lancia ai cacciatori. Se uno di loro colpisce una persona, la uccide. Da questa storia si sa che Grouse e il leone marino si capiscono.

 

Il Corvo disse a Ptarmigan: ‘Sarai il creatore di racchette da neve. Saprai come viaggiare sulla neve. Fu da questi uccelli che gli Athapascani impararono a fabbricare le racchette da neve ea allacciarsi le stringhe’.




Il Corvo si avvicinò a Wild Canary, che vive tutto l’anno nel paese dei Tlingit. Disse: ‘Tu sarai capo tra i più piccoli uccelli. Non devi vivere dello stesso cibo degli esseri umani. Stai lontano da loro’.

 

Poi il Corvo disse a Robin: 'Farai felici le persone con il tuo fischio. Sarai un buon fischiatore’.

 

Allora il Corvo disse a Kun, il Flicker: ‘Sarai il capo degli uccelli della tua taglia. Non sarai trovato in tutti i posti. Sarai visto raramente’.




Il Corvo disse a Lugan, un uccello che vive lontano sull’oceano: ‘Sarai raramente visto vicino alla riva. Vivrai su rocce solitarie, lontano sull’oceano’.

 

Quando il Corvo venne a Snipes, disse: ‘Andrai sempre in stormi. Non uscirai mai da solo’. Pertanto vediamo sempre beccaccini in stormi’.

 

Il Corvo disse ad Asq-aca-tci, un uccellino dal piumaggio giallo-verde: ‘Andrai sempre in stormi. Sarai sempre sulle cime degli alberi. Ecco dov’è il tuo cibo’.


Il Corvo disse a un uccellino molto piccolo, Kotlai, delle dimensioni di una farfalla: ‘Ti piacerà. Sarai visto solo per dare buona fortuna. Le persone sentiranno la tua voce, ma raramente ti vedranno’.

 

Poi a Blue-jay Raven disse: ‘Avrai dei bei vestiti di piume. Sarai un buon parlatore. La gente osserverà i colori delle tue antiche penne formare la Voce del Vento’. 

(Miti dell’Alaska)





È un lento colpire quell’uomo assiso alla sua caverna!

 

Non ha ancora udito l’antica Parola.

 

Non ha compreso la Nota del Principio!

 

Per uccidere più che offendere.

 

Fors’anche per sopravvivere!




Il modo lo aveva appreso e ripetuto milioni di volte, lo aveva predato ai suoi antenati animali.

 

Di certo, per ciò che sappiamo e mai abbiamo ben compreso dal Mondo ove proveniamo, non èra un suono affine alla Musica del Creato, ma un qualcosa che in medesimo Atto e in ugual Scena di sopravvivenza, si ripete per scuotere ogni Armonia.

 

Per dissacrare e dissolvere l’antica Simmetria.

 

Sua acerrima nemica.




Qualcuno più uomo che Dio, rimembra l’asimmetrica distanza - seppur ben misurata - in ugual curva in cui il Creato inciampato nel dono del Tempo sottratto alla prima nota dell’Armonia, narrarne la materia non avendone udito la Sinfonia…

 

Ogni simmetria, ogni ghiaccio, ove nata la Prima Strofa dell’Universo.

 

Così l’uomo chino alla grotta ad incidere lo scalpo del nuovo trofeo. Secoli dopo correre in mare aperto, rompere le possenti mura del ghiaccio; conficcare l’arpione di ugual suono. Poi sulla stessa ‘onda’ squarciare il ventre immobile della balena. E alla luce della lampada imparare una preghiera troppo antica per essere pregata!

 

Sulla sottile crosta d’acciaio aspirare alla perduta Parola, mentre il mare e la nota diviene cupa burrasca. Alla miniera sulla soglia naufragata d’ugual caverna scavare l’oro della Terra, senza parola e Linguaggio che lo differenzia dalla braccata bestia.




Poi con l’unita divisa d’ugual Compagnia, immagazzinare ciò di cui si compone la tenebra della parola. Scrutare le viscere della Terra.

 

(Studia i venti, osserva le stelle, conta il tempo, impreca contro la pioggia, scalcia per una pietra focaia, brama la preziosa pietra senza intenderne l’armonia che l’ha creata)

 

Per ogni colpo di lancia dalla lancia in alto mare, l’Elemento irato e confuso lo affoga. Dalla Cima della cresta, ove ogni tanto il chiodo li precipita nell’Abisso ghiacciato nella cripta d’un fiume violato, la parete mostra il velo dei colori dell’Universo, lento comporre i colori della Parola. Una preghiera troppo antica per essere conquistata con il chiodo dalla stiva fino alla profanata cima.

 

Ogni muta voce si forma e scompone invisibile ordinare la parola degli Dèi, l’Elemento cadendo e risorgendo Infinito nel suo ciclo mostra il karma della propria lingua. Il suo segreto! I colori immobili si alternano simmetrici al Creato, un tempo prima del tempo affinché l’occhio percepisca da umano solo l’ultimo Secondo in cui nato. Nulla scorge e può di quella ripida discesa chiamata cascata mentre precipita nell’abisso dell’assetata parola.




Se poi ti incammini con gli Dèi per una verde galassia li scorgi identici nell’Universo che si dissolve allo specchio d’una diversa materia narrata che avanza nel tempo rimembrato e contato.

 

Gli Dèi per ogni loro Elemento profanato vogliono un cantore che ne comprenda il Linguaggio. Questo abbiamo imparato e per questa Poesia saremmo umiliati perseguitati e offesi dalla più nobile parola dell’uomo! 

(Giuliano)




C’erano  250.000  oche  delle  nevi  al  lago  Tule.  All’alba  le  trovavo  galleggianti  sull’acqua,  vicine  l’uno  l’altra  in  una sorta di  zattera  lunga  tre  quarti  di  miglio  e  larga  forse  500  iarde.  Quando  uno  stormo  comincia  a  sollevarsi  dalla  superficie  dell’acqua,  il  suono  è  come  una  burrasca  in  arrivo,  un  gran  fracasso  di  lamiere  ondulate  scosse con violenza.  (Se provi  a  separare mentalmente i  singoli  suoni,  sono  come  lembi di lenzuoli  d’asciutto cotone  che  sbattono  su  una  corda  da  bucato  mossa  dal  vento.)

 

Una  volta  in  volo  sono  abbaglianti… 

 

Volano  contro  la  luce   infranta del sole, e  il  candore  opaco  dei  loro  corpi,  un  candore  di  conchiglie  levigate  dall’acqua,  contrasta  con  il  bianco  più  grigio  delle  ali  traslucide  e  delle  penne  della  coda.  Da  vicino  mostrano  i  bianchi  densi  e  impeccabili  della  volpe  artica.  Contro  i  grigi  bluastri  di  un cielo  carico  di  tempesta,  il  loro  candore  ha  un  bagliore  surreale,  uno  splendore  senza  ombre.




Quando  si  nutrono  nei  campi  di  grano  intorno  al  lago  Tule,  le  oche  vanno  e  vengono  in  stormi  di  cinque  o  diecimila.  A  volte  ce  ne  sono  quaranta  o  cinquantamila  nell’aria  contemporaneamente. Si  alzano  dai  campi  come  fumo  in  grandi  correnti  vorticose,  salendo  più  in  alto  e  diffondendosi  nel  cielo  più  di  quanto  il  proprio  campo  visivo  possa  comprendere.  Un fluido stormo incurvato di diecimila oche  attraversa  gli spazi all’interno di un  altro stormo controcorrente;  mentre  al  di  là  sembra   passare  una grata dopo l’altra,  come le pareti scorrevoli delle case  giapponesi,  fino a quando smarrisci nel cielo il senso di profondità, come se stessi osservando verso l’alto dal fondo dell’oceano, attraverso il passaggio di grandi banchi di pesci, o grandi cetacei…

 

Ciò  che  mi  assorbe  di più delle specie osservate,  al  di  là  del  loro  bel  candore,  del  loro  numero  sbalorditivo,  del  grande  vigore  della  loro  vita,  è  l’abilità  con  cui  ogni  uccello  si  unisce  allo  stormo  più  numeroso  o  se  ne  allontana.  E  come  ogni  uccello  mentre  fa  parte  del  gregge  sembra  parte  di  qualcosa  di  più  grande  di  se  stesso.




Non  ho  mai  visto  una  singola  oca  muoversi  per  accogliere  una  che  stava  atterrando,  né  oche  sull’acqua  mai  disturbate  da  un’altra  che  decollava,  non  importa  quanto  strettamente  raggruppate  sembrassero  essere.  Non  ho  mai  visto  due  uccelli  nemmeno  sfiorare  l’aria  con  la  punta  delle  ali,  anche  se  sicuramente  devono  farlo.  Si  sollevano  insieme  in  un  vento  contrario  in  un  movimento  senza  soluzione  di  continuità  che  porta  migliaia  di  loro  dolcemente  a  terra  come  foglie  che  cadono  in  pochi  secondi. 




I  loro  movimenti  sono  infinitamente  attraenti  per  l’occhio  a  causa  di  una  tensione  che  creano  tra  le  linee  paraboliche  estese  del  loro  volo  e  i    movimenti  bruschi  ma  abili,  compiuti  in tre   dimensioni. E  c’è  qualcos’altro  che  ti  attira.  Vengono  dai  confini  della  terra  e  trovano  questo  laghetto  ogni  anno  con  infallibile  precisione.

 

Arrivano  dai  terreni  di  riproduzione  sul  bordo  settentrionale  del  continente  in  Canada  e  dalle  valli  fluviali  dell’isola  di  Wrangel  nell’Artico  russo.  I  loro  antichi  corridoi  di  migrazione,  attraverso  lo  Stretto  di  Bering  e  lungo  la  costa  del  Pacifico,  lungo  il  fianco  orientale  delle  Montagne  Rocciose,  sono  più  antichi  delle  nazioni  da  cui  volano. 

 

Le  vite  di  molti  animali  sono  vincolate  dagli  schemi  degli  uomini,  ma  la  determinazione  in  queste  vite,  il  loro  modello  tradizionale  di  movimento,  sono  un  ricordo  calmante  di  un  ordine  più  fondamentale.  La  compagnia  di  questi  uccelli  nel  campo  è  innocente. È  facile  sentirsi  trascendenti  quando  si  è  accampati  in  mezzo  a  loro.




Gli  uccelli  strattonano  la  mente  e  il  cuore  con  una  strana  intensità.  La  loro  capacità  di  stormire  elegantemente  come  fa  l’oca  delle  nevi,  dove  i  singoli  uccelli  si  trasformano  in  qualcosa  di  più  grande,  e  la  loro  capacità  di  navigare  su  grandi  tratti  di  quello  che  per  noi  è  uno  spazio  anonimo,  sono  abilità  misteriose  e  sofisticate.  Il  loro  volo,  anche  una  raffica  di  passeri  attraverso  una  piazza  cittadina,  ci  fa  piacere.  Nell’Artico,  si  possono  vedere  uccelli  in  gran  numero  e  questi  sentimenti  di  soggezione  ed  euforia  sono  aumentati.  In  primavera nel  Golfo  di  Anadyr,  al  largo  della  costa  russa,  la  superficie  dell’acqua  lampeggia  d’argento  con  banchi  di  aringhe  del  Pacifico  e  stormi  di  pulcinelle  di  mare  volano  direttamente  nell’acqua  dietro  di  loro,  come  una  grandine  di  ghiaia. 

 

Tornano  con  le  aringhe  su  ripide  scogliere,  dove  i  gusci  rotti  della  loro  prole  cadono  a  raffiche di  vento  nel  mare  a  migliaia,  come  neve.  Il  6  agosto  1973,  l’ornitologo  David  Nettleship  ha  doppiato  Skruis  Point  sulla  costa  settentrionale  dell’isola  di  Devon  e  si  è  trovato  faccia  a  faccia  con  una  colonia  riproduttiva  ‘perduta’  di  urie  nere.  Si  estendeva  a  sud-est  davanti  a  lui  per  14  miglia.




Sulla  Grande  Pianura  del  Koukdjuak  sull’isola  di  Baffin  oggi,  un  viaggiatore,  attraversando  i  fiumi  e  guadando  gli  stagni  e  i  ruscelli  intrecciati  che  esauriscono  e  alla  fine  sconfiggono  la  volpe  predatrice,  arriverà  su  grandi  cumuli  di  piume  di  oche  in  muta,  piume  che  possono  essere  presi  a  manciate  e  lanciati  in  aria  per  scivolare  verso  il  basso  come  pula. 

 

Dalle  scogliere  dell’isola  di  Digges  e  dell’adiacente  Capo  Wolstenholme  nello  stretto  di  Hudson,  due milioni  di  urie lomvia  dal  becco  grosso  nuoteranno    attraverso  l’acqua,  diretti  verso  i  loro  terreni  invernali  sui  Grand  Banks.




Non  è necessario lavorare molto a lungo  sul  campo  prima  di  percepire  che  la  scala  del  tempo  e  della  distanza  per  la  maggior  parte  degli  animali  è  diversa  dalla  nostra (umanità aggiungo)a.  Le  loro  dimensioni  complessive,  i  loro  metodi  di  locomozione,  la  natura  degli  ostacoli  che  affrontano,  i  mezzi  che  attraversano  e  la  durata  di  una  vita  piena  sono  tutti  diversi.  In  precedenza,  a  causa  della  facile  analogia  con  la  migrazione  umana  e  della  tendenza  a  pensare  solo  su  scala  umana,  i  biologi  trattavano  il  comportamento  migratorio  come  un  evento  speciale  nella  vita  degli  animali.  Hanno  sottolineato  le  grandi  distanze  coinvolte  o  le  notevoli  imprese  di  navigazione.

 

Oggi si tende invece a  non  differenziare  così  nettamente  tra  migrazione  e  altre  forme  di  movimento  animale  (e  vegetale).  Il  seme  di  acero  che  scende  a  spirale  verso  il  suolo  della  foresta,  la  farfalla  che  zigzaga  attraverso  un  prato  estivo  e  la  sterna  artica  diretta  verso  il  suo  viaggio  autunnale  di  12.000  miglia,  sono  tutti  alla  ricerca  della  stessa  cosa:  un  ambiente  più  favorevole  alla  loro  continua  crescita  e  sopravvivenza. 

 

Inoltre,  gli  scienziati  ora  intendono  i  movimenti  degli  animali  in  termini  di  sensi  di  navigazione  con  cui  non  abbiamo  ancora  familiarità,  come  la  capacità  di  rilevare  un  campo  elettromagnetico  o  di  utilizzare  echi  sonori  o  differenze  di  pressione  atmosferica  come  guide.  

(B. Lopez)       


[PROSEGUE CON IL CAPITOLO COMPLETO & il lento graduale....


dissolvimento]  & in bocca a lupo







         
             

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