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con gli approfondimenti,
ovvero,
LA CACCIA
“Quando ho
aggirato un cespuglio, ho visto in fondo a una specie di vicolo naturale nella
foresta, incorniciato come un quadro dagli alberi, una massiccia vecchia
femmina di rinoceronte.
…Era di
fronte a me, metà al sole e metà all’ombra.
Da un
cespuglio sporgevano i quarti posteriori di un altro. La distanza era di circa
settanta metri. Mi sono subito seduto e le ho disegnato un foro sul petto e uno sulla testa.
Tuttavia, sterzò e i due si allontanarono attraverso la foresta, schianto dopo
schianto, morendo in lontananza, segnando la loro rotta mentre si allontanavano.
Lo seguii e
ancora una volta vidi l’animale in piedi immobile dietro un cespuglio.
Ho sparato, e lo sparo è stato
seguito da un paio di brevi sbuffi rabbiosi, il calpestio di passi pesanti e
uno schianto spaventoso che è avanzato e poi si è spostato verso sinistra.
La gioia del cacciatore è nel grido di morte
della sua vittima, e si gloria di essere il discendente di una stirpe di
selvaggi preistorici. Quale altra prova possiamo volere della barbarie dell’intero
procedimento?
Oppure, ed
ancora, medita il seguente estratto dal recente libro dell’ex presidente Roosevelt, ‘African Game Trails’:
“Proprio davanti a me, a trenta metri di distanza, apparve da dietro i cespugli, che prima lo avevano nascosto ai miei occhi, la forma fulva e galoppante di un grosso leone senza criniera.
Crepa!
Il Winchester parlò, e mentre la pallottola dal muso molle gli attraversava il fianco, il leone sterzò così che lo mancai con il secondo colpo, ma il mio terzo proiettile finì sulla spina dorsale fino al suo petto. Scese, a sessanta metri di distanza, trascinando i quarti posteriori, la testa alta, le orecchie all’indietro, le mascelle aperte e le labbra contratte in un ringhio prodigioso, mentre si sforzava di voltarsi per affrontarci. Aveva la schiena rotta, ma di questo al momento non potevamo esserne sicuri; e se fosse stato solo sfiorato avrebbe potuto riprendersi, e quindi, anche se morente, la sua cura avrebbe potuto fare del male. Così Kermit, Sir Alfred e io gli abbiamo sparato insieme al petto.
Il muso si abbassò e morì.
È giusto,
parlando seriamente, che si permetta a persone che, per loro stessa ammissione,
sono ancora sotto l’influenza di impulsi molto primitivi, di trarre piacere in
questo modo barbaro senza che si levi una voce a favore delle vittime
innocenti?
Sembra che ci siano vari modi per cacciare il leone, uno di questi è rintracciarlo in una parte fitta della giungla e, dopo avergli dato fuoco a un’estremità, aspettare dall’altra con diverse pistole finché la bestia terrorizzata non si precipita fuori e incontra il suo destino.
Un altro metodo, che ci sembra
particolarmente vile, è quello di legare qualche animale domestico - asino, bue
o capra - come ‘esche vive’ per i carnivori più
grandi, mentre il cacciatore sta in agguato, al sicuro, per sparare al ‘gioco’
o successivamente per scovarlo nella sua tana.
In un caso
leggiamo quanto segue:
“Mi sono
svegliato dagli strattoni del guardiacaccia. Era in corso una terribile lotta
tra l’asino e il leone, ma una nuvola di polvere li oscurò completamente,
nonostante la luce brillante di una luna tropicale. Il leone riuscì a spezzare
le funi ea portare via per un certo tratto l’animale che si dibatteva. Quest’ultimo,
tuttavia, recuperando le gambe, emerse dalla nuvola di polvere e si diresse
lentamente verso l’accampamento. Prima che avesse percorso molti metri, il
leone l’aveva ripreso e questa volta l’uccise senza darmi la possibilità di
mirare a causa della grande nuvola di polvere”.
Questa pratica è menzionata anche dall’on. J.Fortescu ‘Racconto della visita in India delle Loro Maestà il Re Giorgio V. e la Regina Mary’, dove leggiamo:
“Durante la
notte, o nel pomeriggio, i buoi vengono legati in luoghi probabili per una
tigre, generalmente ai margini di una fitta giungla, e al mattino gli shikaris
(o guardacaccia, come dovremmo chiamarli) vanno in giro per vedere se qualcuno
di questi è stato ucciso.
Il signor
Fortescue afferma che…
“i rapporti
della mattina del 26 dicembre stabilivano che, sebbene sessanta buoi fossero
stati legati nella giungla la notte precedente, solo uno era stato ucciso”.
La scarsità
delle uccisioni in questa occasione si spiega con il fatto che molte tigri
erano già state uccise e la ‘selvaggina’ stava
diventando scarsa. Non è specificato quanti buoi in
tutto furono così sacrificati.
Che la
sofferenza effettiva testimoniata e raccontata sia solo una piccola parte del
tutto è ovunque evidente. Questi libri pullulano di casi in cui gli animali
scappano feriti, per indugiare per giorni, o forse settimane.
Leggiamo ad
esempio:
“Uccido un
grosso maschio (elefante), per quanto riguarda l’altro maschio e una femmina,
li ferisco ma li perdo entrambi dopo una giornata di inseguimento. Tuttavia,
siccome il maschio mi sembrava condannato, mando quattro uomini a cercarlo.
Tornano senza risultato dopo aver trascorso la notte all’aperto. Ho trovato
questo elefante morto il 26”…
…Cioè dopo
diciassette giorni in un clima in cui i corpi non giacciono a terra a lungo.
“Un buon cacciatore, per quanto attento,
abile o ben assecondato possa essere, deve considerare perduto uno ogni due
animali che insegue, a causa delle tante difficoltà della sua professione.
Questo è il minimo, per quanti feriscono o perdono tre o quattro animali prima
di ucciderne uno!
Resta
solo da dire qualche parola sulla moralità di questa forma di divertimento.
Si dice
spesso tra le persone umane che la caccia è solo
una reliquia di tempi più barbari, ma
a noi sembra essere qualcosa di più di questo. Potrebbe aver avuto origine con
l’uomo primitivo, ma ha sicuramente avuto importanti sviluppi propri negli
ultimi tempi. C’è poco in comune tra l’atto del selvaggio primitivo, che, per
amore del suo cibo, contrapponeva la sua forza e la sua abilità a un animale, e
il massacro totale e sconsiderato, aiutato dagli apparecchi della scienza
moderna, e portato avanti semplicemente per il piacere di uccidere.
Atti altrimenti sgradevoli e disgustosi possono a volte essere giustificati dal dichiarato motivo o semplice gusto, di mostrare il ‘trofeo’ accompagnato dell’amore per l’uccisione.
“All’alba
ci avviamo sul sentiero, sul quale ci sono macchie di sangue, seguite da
schizzi e grossi coaguli. Quando lo vediamo, ‘il cuore
si colma di gioia’, come dicono gli indigeni, e la vittoria è quasi
certa. Impariamo che ‘abbattere ad ogni botte un
animale grande come un cavallo omnibus, rigirarlo come se fosse un coniglio, è
un piacere che non si prova spesso”…
…e ci viene
anche detto come l’autore abbia avuto…
“il
piacere di guardare un magnifico leone senza criniera disteso in una pozza di
sangue”.
Sul vero movente
ci possono purtroppo essere pochi dubbi, e le scuse addotte dagli autori per il
loro lavoro omicida difficilmente sono degne di seria considerazione.
Le difese morali per questo tipo di sport sono della stessa natura dei famosi serpenti in Islanda: non ce ne sono; e le difficoltà del cacciatore di selvaggina grossa, quando cerca di difendersi, mostrano che la sua etica e la sua teologia sono dello stesso tipo primitivo delle altre sue fonti d'azione, tramandate da antenati barbari.
Uno
scrittore citato sopra ci dice, ovviamente, che non dà spazio a nessuno nel suo
“amore per tutte le
stupide creature uccise o torturate” - qualunque cosa ciò possa
significare - il che sembra giustificare il fatto che i proiettili sparati individualmente ogni volta
che ne ha la possibilità gli conferisce piacere, lasciandoli precipitare
attraverso le foreste, come descrive, nel dolore e nel terrore, molto
probabilmente per morire in agonia giorni dopo, prova quasi un senso di
orgasmo!
Un’altra scusa sollecitata è quella
dell’istinto di caccia in noi ci è stato dato da Dio (?!), e quindi vada eseguito?
Apparentemente non è mai venuto in mente allo scrittore che la pietà per gli animali innocenti è più vicina all’opera del Creato piuttosto che macellarli per uno strano modo di fare la vacanza d’un uomo sportivo amante della natura, possa anche essere un istinto seminato da Lucifero?, non meno dell’amore di macellarli, anche se apparentemente preferisce di gran lunga quest’ultimo gesto?
Che gli
sport sanguinari sviluppino e incoraggino uno spirito virile, necessario per il
progresso della razza è forse il più comune. Ma qui, sicuramente, all’inizio
abbiamo bisogno di una definizione dei termini. Se la virilità è sinonimo di
indifferenza alla sofferenza dei più deboli e di gratificazione egoistica a
scapito degli altri, se è virile far saltare un pezzo “grande come la corona di
un cappello” dal fianco di un timido cervo, basta per divertimento, allora
certamente questo sport è eminentemente virile.
Se, d’altra parte, le qualità che differenziano l’uomo civile dal barbaro sono una maggiore considerazione per i diritti dei deboli e una più profonda simpatia per i sentimenti degli altri, allora senza dubbio questi macellai dilettanti dovrebbero essere considerati un anacronismo in comunità civili.
L’indigeno
color cioccolato, si legge in un libro,
“non voleva
e non poteva capire che non eravamo venuti per combattere elefanti e leoni come
gladiatori nell’arena, ma per vincerli con tattiche superiori senza più rischi
del necessario, e dal maneggio giudizioso di armi di precisione” (il corsivo è
nostro).
Certamente
pensiamo che il selvaggio nudo qui mostri un istinto più fine per cosa può
essere nobile e virile in guerra rispetto al suo cosiddetto fratello
civilizzato.
Per il
gladiatore che ha il coraggio di affrontare il suo nemico in un giusto
combattimento singolo, a rischio mortale per se stesso, possiamo provare una
certa ammirazione, anche se il gioco è barbaro; ma per il macellaio che si
nasconde dietro un albero e uccide la sua vittima innocua con accorgimenti
meccanici con il minor rischio possibile per se stesso, non possiamo provare
altro che disprezzo.
…ci dice il
nostro eroe,
“quattro
elefanti giacevano morti, colpiti alla testa o al cuore, senza mai averci
visto. Il resto del branco se ne andò”.
LA SCUOLA
Apparentemente
un risultato glorioso nella stima degli autori, ma al quale dovremmo
vergognarci personalmente di vedere il nostro nome associato.
Spesso ci
viene detto che il vero modo per insegnare la gentilezza agli animali è ‘cominciare
dai giovani’ vediamo come sono iniziati all’antico rito i giovani al principio
del loro corso nelle scuole pubbliche…
“23 febbraio 1899. Tempo, un’ora e cinquanta minuti. Un’ottima
caccia, dato che l’odore era giusto, e siamo stati particolarmente sfortunati a
perdere questa lepre, che è stata picchiata quando è tornata a Salt Hill. Il
giorno dopo venimmo a sapere che la nostra lepre si era strisciata fino ad High
Street e poi a Burnham, ed era entrata in un locale conciata in modo tale da
non reggersi in piedi, fu catturata da alcuni ragazzi che vennero a dircelo
mezz’ora dopo, ma eravamo appena tornati a casa. Troppo sfortunati!”.
Ecco, ancora una volta, la testimonianza pubblicata di uno spettatore di una di queste corse di successo:
“Il 4
febbraio 1899: trovandomi nelle vicinanze di Eton, ebbi l’opportunità di
assistere a una di queste caccie alla lepre, e darò una breve ed esatta
descrizione di ciò che avvenne: alle tre circa 180 ragazzi, molti dei quali piuttosto
giovani, uscirono per un pomeriggio di sport con otto coppie di College
Beagles. Una lepre è stata trovata alle 3.15 vicino alla strada principale che
porta a Slough. È stata inseguita attraverso il cimitero e il terreno dell’ospizio
e in città in un zona costellata di ville, chiamata Upton Park. Fuggendo da
questo luogo, corse verso Eton, ma presto tornò a Upton Park con i numerosi
spettatori di Slough Road che gridavano ardentemente alla creatura stordita per
tutto il tempo. Questi inseguimenti circolari venivano ripetuti tre volte, la
lepre tornava sempre a Upton Park.
Per due volte l’animale si è avvicinata a pochi passi da dove mi trovavo, e la sua condizione di terrore e stanchezza era dolorosa da vedere. I ragazzi, che correvano dietro ai segugi si stavano divertendo molto, e due maestri del Collegio, mi dissero, erano tra loro. Passiamo ora alla scena finale, alla quale era presente un mio amico.
La lepre,
che era stata cacciata per due ore, essendo entrata in un angolo di Upton Park,
che era delimitato da reti metalliche, è stata afferrata dai segugi e fatta a
pezzi. Il capobranco allora corse, l’afferrò e le ruppe il collo. La carcassa
fu consegnata a uno dei custodi dei cani, che tagliò la testa e le zampe, i cui
trofei furono divisi tra i seguaci. Il custode con il suo coltello aprì quindi
il corpo e il padrone, prendendolo tra le mani e tenendolo in alto sopra i
cani, li raccolse con grida e infine lo gettò in mezzo a loro, come avevano
fatto, nella lingua degli Eton College Chronicle, ovvero: ‘sangue glorioso e meritevole’ ”.
Su talune proteste il dottor Warre replicò decisamente in merito alla virile educazione impartita ai giovani allievi:
“la caccia alla lepre non è illegale, non può
interferire con la libertà dei ragazzi in materia, molti dei quali, afferma, hanno l’abitudine di cacciare quando
sono a casa durante le vacanze e con l’approvazione dei genitori; anzi è bene per
le future generazioni figlie del nostro inarrestabile progresso, di mantenersi
aggiornati con i nuovi sistemi adottati simmetrici alle altrettante nuove
applicazioni in uso allo stesso, si tengano aggiornati e connessi fra loro, per
rendere la caccia ancora più concreta ai fini d’ogni bene per ogni sana e più remunerativa economia per ogni successiva guerra!”.
A
coloro, naturalmente, che considerano gli sport sanguinari non solo un vero
passatempo per gli uomini, ma un desiderabile svago per gli scolari e una forma
adatta di addestramento per il servizio militare, l’intera protesta contro le cacce
alla lepre nelle Scuole di ogni ordine e grado deve necessariamente sembrare
ridicola; la caccia prepara l’uomo verso un più elevato e nobile Destino contro
ogni Natura non ancora dominata e conquistata!
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