Precedenti capitoli
Prosegue con le...:
AMBIENTI UMANI
Diversi
quadri di riferimento sono stati adottati a livello mondiale per progredire
nello sviluppo sostenibile e nell’azione per il clima. Tra questi, ritroviamo l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e, nello
specifico, i suoi Obiettivi di sviluppo sostenibile 6 e 13, finalizzati
rispettivamente a garantire la disponibilità e la gestione sostenibile
dell’acqua e dei servizi igienico-sanitari per tutti e a intraprendere azioni
urgenti per combattere i cambiamenti climatici e i loro impatti.
Anche
l’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici e il Quadro di riferimento di
Sendai per la riduzione del rischio di disastri 2015-2030 hanno fissato obiettivi e traguardi ambiziosi in materia
di clima. Questi accordi possono essere considerati per molti versi come un
“partenariato” tra diversi paesi.
Sebbene esistano quadri diversi, un’analisi recente mostra come i governi riconoscano sempre più spesso che l’azione per affrontare i cambiamenti climatici è inscindibile dalla realizzazione degli Obiettivi di sviluppo sostenibile per sradicare la povertà e la fame e ridurre le disuguaglianze (UNDP/UNFCCC, 2019).
La stessa
analisi osserva anche che, grazie ai suddetti quadri, il settore privato, le
città, le regioni, gli investitori, la società civile e altre parti interessate
sono stati maggiormente coinvolti in iniziative intersettoriali volte a trovare
soluzioni in merito ai cambiamenti climatici.
L’acqua è
stata riconosciuta come il “connettore in materia di clima” che consente una
più ampia collaborazione e un maggiore coordinamento tra la gran parte dei
traguardi fissati dall’Agenda 2030, l’Accordo di Parigi e il Quadro di
riferimento di Sendai (UNESCO/UNWater, 2020).
Recentemente, dal primo bilancio globale degli impegni assunti dalle Parti nel quadro dell’Accordo di Parigi (UNFCCC, 2022) è emerso che oltre l’80% dei paesi ha dichiarato di considerare le risorse idriche come un’area di intervento prioritaria in materia di adattamento. Per quanto riguarda la mitigazione, il bilancio rivela che le opportunità derivanti dalla gestione dell’acqua e dei servizi igienico-sanitari non vengono tenute sempre presenti dai paesi al momento di prendere impegni in relazione alla riduzione delle emissioni di gas serra, il che segnala un’area in cui sono necessari una maggiore cooperazione e più partenariati tra le comunità operanti nell’ambito del clima e in quello dell’acqua.
Tuttavia, per iniziare a rafforzare tale cooperazione, è essenziale comprendere chiaramente chi compone queste comunità e come si differenziano l’una dall’altra. Ad esempio, l’acqua è una risorsa gestibile, parte integrante dell’ecosistema, che in ultima analisi fornisce servizi all’umanità. Le parti interessate a tale risorsa sono per lo più costituite da utenti e operatori che lavorano nell’ambito di varie istituzioni e strutture di governance legate all’acqua, il cui obiettivo è massimizzare questi servizi proteggendo la risorsa per le generazioni future.
I cambiamenti climatici, invece, sono un processo o un fenomeno (molti potrebbero dire una “crisi”). Le parti interessate sono fortemente orientate alla scienza e si occupano principalmente di affrontare le cause dei cambiamenti climatici (mitigazione) o di gestirne gli impatti (adattamento).
[……]
Quando si parla di cambiamenti climatici, possiamo considerarci tutti parti interessate; in quanto i cambiamenti climatici toccano ogni aspetto della società. Tuttavia, esistono strutture distinte che si occupano delle questioni relative al clima e allo sviluppo sostenibile, e soggetti distinti gestiscono politiche e strategie legate al clima e all’acqua. Ad esempio, a livello nazionale, i ministeri dell’ambiente e dei cambiamenti climatici sono responsabili della pianificazione in materia di clima e della rendicontazione degli impegni assunti nell’ambito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), mentre i dipartimenti dei servizi per le risorse idriche, che spesso fanno riferimento a ministeri diversi, si occupano delle politiche e delle strategie di sviluppo in materia di acqua.
Accelerare l’azione attraverso i partenariati e la cooperazione tra le parti interessate in ambito idrico e climatico può creare ulteriori benefici per gli ecosistemi d’acqua dolce e per le persone più esposte e vulnerabili, riducendo i rischi di catastrofe, garantendo risparmi sui costi, creazione di posti di lavoro e opportunità economiche.
Ciò
richiede il miglioramento dei partenariati esistenti e, in alcuni casi, la
creazione di nuovi partenariati a tutti i livelli, da quello locale, a quello
nazionale, a quello di bacino fino a quello globale, il che di solito si può
realizzare al meglio attraverso processi che coinvolgono più soggetti (OCSE,
2015). Gli istituti di ricerca e di apprendimento, il settore privato e la
società civile, compresi le persone giovani, le donne e i gruppi emarginati,
svolgono un ruolo fondamentale in questo senso e sostengono gli sforzi volti a
supportare una leadership e un’azione governativa efficaci.
Lavorare insieme sulla gestione delle risorse idriche, sulla fornitura di servizi idrici e igienico-sanitari, nonché sulla salute, sull’inclusione, sull’alimentazione e sull’energia, può ampliare i benefici derivanti dalle attività di adattamento ai cambiamenti climatici e di mitigazione dei loro impatti.
Questo
approccio offre anche l’opportunità di assumere e armonizzare ulteriormente gli
impegni, al fine di rafforzare la responsabilità reciproca.
I cinque ‘acceleratori’
– competenze, finanziamento, innovazione, dati e informazioni e governance –
previsti dal Quadro di accelerazione globale dell’Obiettivo di sviluppo
sostenibile 6 (UN-Water, 2020) hanno ciascuno un ruolo cruciale da svolgere nel
contesto dei partenariati e della cooperazione in materia di acqua e clima, e
hanno il potenziale per contribuire ai progressi relativi all’Agenda 2030 e
alla resilienza climatica delle comunità, degli ecosistemi e dei sistemi
produttivi.
Sebbene i partenariati per i cambiamenti climatici e l’acqua siano di fatto extrasettoriali, le tre sezioni che seguono illustrano esempi di partenariati e collaborazioni in materia di acqua e clima a diversi livelli di cooperazione, che prevedono il coinvolgimento di diverse parti interessate e il ricorso a distinti “acceleratori”.
Le sezioni
relative alla dimensione intrasettoriale e a quella intersettoriale dei
partenariati e delle collaborazioni si concentrano su come l’azione per il
clima sia un fattore che innesca la promozione e il rafforzamento della
collaborazione, prima all’interno della comunità operante nel settore idrico e
poi all’interno delle aree di gestione di quest’ultima e delle altre risorse
naturali. La sezione sulla collaborazione “extrasettoriale” evidenzia invece le
opportunità che l’acqua offre ai processi incentrati sul clima e quindi ai
partenariati e alle collaborazioni che operano secondo quella prospettiva.
I rapporti più recenti del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC), pubblicati nel 2021 e nel 2022 (IPCC, 2021; 2022), confermano che i cambiamenti climatici hanno già alterato gli ecosistemi d’acqua dolce, provocando diversi impatti negativi sui sistemi umani.
Ciò
evidenzia, da una prospettiva intrasettoriale incentrata sull’acqua e dal punto
di vista climatico, la connessione e l’interdipendenza tra la gestione delle
risorse idriche (WRM nell’acronimo inglese) e la fornitura di servizi di base
come l’acqua, i servizi igienico-sanitari e l’igiene (WASH nell’acronimo
inglese).
Sebbene tale interconnessione sia evidente, ‘la possibilità di una collaborazione efficace e adattiva tra gli attori delle risorse idriche e quelli del settore WASH è ostacolata da mandati in contrasto fra loro, differenze nelle scale di gestione, vincoli finanziari e mancanza di piattaforme di coinvolgimento’.
(Questo
rapporto è pubblicato dall’UNESCO per conto di UN-Water. L’elenco dei
membri e dei partner di UN-Water è disponibile al seguente sito web: www.unwater.org.)
Gli
ambienti di acqua dolce ospitano una ricca biodiversità, compreso un terzo
delle specie di vertebrati. L’acqua dolce è anche essenziale per la nostra
sopravvivenza e il nostro benessere negli usi domestici, nella produzione di
energia, nella sicurezza alimentare e nell'industria. Sebbene le acque dolci
ricoprano meno dell’1% della superficie del pianeta, più del 50% della
popolazione umana vive entro 3 km da un corpo d’acqua dolce.
Questa
vicinanza dell’uomo può rappresentare una minaccia per le specie e gli habitat
di acqua dolce, inclusi molti hotspot di biodiversità a causa dell’inquinamento,
della captazione dell’acqua o della modifica del flusso, dello sfruttamento
eccessivo delle specie e della diffusione di specie invasive. Poiché gli ambienti
di acqua dolce sono altamente connessi, le minacce possono diffondersi
facilmente da un luogo all’altro.
Basato su 6.617 popolazioni monitorate, rappresentative di 1.398 specie di mammiferi, uccelli, anfibi, rettili e pesci, il LPI d’acqua dolce fornisce un’indicazione dello stato degli habitat d’acqua dolce.
Dal 1970 queste popolazioni
sono diminuite in media del 83% (range: -74% to -89%). Sulla base del campione
analizzato più ampio di sempre - 454 nuove specie di acqua dolce e 2.876 nuove
popolazioni sono state aggiunte al dataset - possiamo vedere che, come nel LPI
globale, il declino è simile a quello presentato nelle precedenti edizioni del
Living Planet Report.
Solo il 37% dei fiumi più lunghi di 1.000 km rimane libero per l’intera lunghezza. Quando alcune specie di pesci migrano per grandi distanze lungo queste rotte, la presenza di dighe e bacini idrici artificiali rappresenta una minaccia per la loro sopravvivenza.
Il
LPI dei pesci migratori d’acqua dolce (pesci che vivono in habitat di acqua
dolce in parte o esclusivamente) mostra un calo medio del 76% tra il 1970 e il
2016.
Circa
metà delle minacce a queste popolazioni sono rappresentate dalla perdita e
modifiche dell’habitat, in particolare causate da barriere alle rotte
migratorie.
Le soluzioni chiave per riconnettere gli habitat di acqua dolce sono da un lato aumentare la permeabilità delle barriere per i pesci, dall’altra rimuovere le dighe. Ad esempio, la rimozione di due dighe e il miglioramento della permeabilità di altre dighe nel fiume Penobscot nel Maine, negli Stati Uniti, hanno comportato un aumento del numero di aringhe di fiume, che sono passate da poche centinaia a quasi 2 milioni in cinque anni, consentendo alle persone di tornare a pescare.
Più di 140.000 specie sono state valutate utilizzando informazioni sulla loro storia evolutiva, dinamica di popolazione, dimensioni e struttura di distribuzione, nonché le loro variazioni nel tempo per assegnarle a una delle otto categorie:
Estinta
(EX), Estinta in natura (EW), In Pericolo critico (CR), In pericolo (EN),
Vulnerabile (VU), Quasi minacciata (NT), a Minor Preoccupazione (LC) o Carente
di Dati (DD).
Per cinque gruppi tassonomici in cui tutte le specie sono state valutate almeno due volte, il Red List Index (RLI) mostra le tendenze nel tempo nella loro probabilità di sopravvivenza relativa, sulla base di cambiamenti reali. Questi dati mostrano che le cicadee (un antico gruppo di piante) sono le più minacciate, mentre i coralli stanno diminuendo più rapidamente. I valori RLI di base sono disponibili per gruppi aggiuntivi che sono stati valutati solo una volta; i rettili hanno un valore RLI iniziale simile ai mammiferi e le libellule un valore RLI simile agli uccelli.
Sebbene la Lista Rossa IUCN valuti il rischio di estinzione, non indica un percorso per il recupero delle specie. Ora, i nuovi indicatori del recupero delle specie e dell’impatto di conservazione, noti come Green Status of Species, forniscono uno strumento per valutare il recupero delle popolazioni di specie e per misurarne il successo di conservazione. Se visualizzate insieme alle valutazioni della Lista Rossa, le valutazioni del Green Status mostrano un quadro più completo dello stato di conservazione di una specie.
Ciò rivela che, ad esempio, il rischio di estinzione di una specie può anche essere basso, ma la sua consistenza numerica rimane di molto inferiore rispetto ai livelli storici della popolazione (ad es. cicogna nera). Il Green Status può anche mostrare il potenziale impatto passato, attuale e futuro delle azioni di conservazione di una specie, mostrando il valore di azioni mirate per il suo recupero di questa (ad es. la rana di Darwin).
Combinando
le informazioni degli esperti dalle Liste Rosse IUCN sulla distribuzione
spaziale e sulle minacce a tutti gli anfibi, uccelli e mammiferi – per un
totale di 23.271 specie – abbiamo generato per questi gruppi mappe globali per
ciascuna minaccia rappresentata da agricoltura, caccia e bracconaggio,
deforestazione, inquinamento, specie invasive e cambiamento climatico.
Queste mappe mostrano che l’agricoltura è la minaccia più diffusa per gli anfibi, mentre la caccia e il bracconaggio hanno maggiori probabilità di minacciare uccelli e mammiferi. Geograficamente, il sud-est asiatico è la regione in cui è più probabile chele specie affrontino minacce a un livello significativo, mentre le regioni polari, la costa orientale dell’Australia e del Sud Africa hanno mostrato le più alte probabilità di impatto del cambiamento climatico, con una maggiore vulnerabilità per gli uccelli.
La
mappatura dell’impatto di queste sei minacce e la combinazione di queste
informazioni nelle aree ad alta priorità di conservazione (determinate ad
esempio dalla ricchezza di specie) consente di identificare nuovi hotspot di
priorità di conservazione e intensità di minaccia. Questo lavoro ha rivelato
che le minacce provenienti da agricoltura, caccia e bracconaggio, e
deforestazione sono particolarmente gravi ai tropici; mentre hotspot di
inquinamento sono particolarmente importanti in Europa.
L’Himalaya, il sud-est asiatico, la costa orientale dell’Australia, la foresta secca del Madagascar, il Rift Albertino e le montagne dell’Africa orientale, le foreste della Guinea dell’Africa occidentale, la foresta atlantica, l’Amazzonia e le Ande settentrionali fino a Panama e il Costa Rica nell’America meridionale e centrale, sono state tutte considerate ‘aree ad alta priorità per la mitigazione del rischio’ per tutti i gruppi tassonomici in tutte le categorie di minaccia.
Le
comunità biologiche possono cambiare radicalmente a causa delle pressioni umane
rispetto allo stato in cui sarebbero senza interferenza antropica, anche senza
che alcuna specie si estingua localmente.
L’Indice di Integrità della Biodiversità (Biodiversity Intactness Index, BII) varia tra 100-0%, con 100 che rappresenta un ambiente naturale indisturbato con un’impronta umana minima o nulla.
Se
il BII è del 90% o più, l’area ha una biodiversità sufficiente per essere un
ecosistema resiliente e funzionante. Al di sotto del 90%, la perdita di
biodiversità fa sì che gli ecosistemi potrebbero funzionare peggio e in modo
meno efficace.
Se
il BII è del 30% o meno, la biodiversità dell’area è esaurita e l’ecosistema potrebbe
essere a rischio di collasso.
I modelli BII ora includono le pressioni a livello di sito, le pressioni su scala paesaggistica, e informazioni sulla storia del paesaggio, ovvero quanto tempo fa la presenza dell’uomo copriva per la prima volta il 30% dell’area.
Tali indicatori possono essere utilizzati per verificare se le azioni di conservazione pianificate saranno sufficienti per fermare un’ulteriore perdita di biodiversità.
(W.W.F.)
Nessun commento:
Posta un commento