PROSEGUE CON IL...:
Il mistero dei due Ambasciatori è in due atti!
L’installazione
del dipinto doveva soddisfare esigenze ben precise: perché si realizzasse
l’effetto voluto era necessario collocarlo nella parte inferiore della parete,
a filo del pavimento (o appena appena più in alto), in modo che questo
sembrasse continuare nel quadro.
Nel
castello di Polisy, la cui ricostruzione cominciò nel 1544, esso fu senza dubbio collocato da Dinteville in una
grande sala, di fronte ad una porta e vicino ad un’altra, ciascuna di esse in
corrispondenza con uno dei due punti di vista. Immaginiamo quindi una stanza
con un ingresso principale centrato su uno dei lati e due porte sul lato di
fronte: il quadro era collocato fra queste due porte, sull’asse dell’ingresso
principale.
Il Primo Atto comincia quando il visitatore entra dalla porta principale e vede davanti a sé, ad una certa distanza, i due signori che si stagliano sullo sfondo come un palcoscenico. Resta colpito dalla loro imponenza, dalla sontuosità dell’insieme, e dal realismo della raffigurazione. Un punto solo lo turba: lo strano oggetto che vede ai piedi dei due personaggi. Avanza per vedere le cose più da vicino; il carattere fisico, quasi materiale, della visione aumenta ancora quando si avvicina, ma quell’oggetto singolare rimane assolutamente indecifrabile. Sconcertato, il visitatore esce dalla porta di destra, la sola aperta.
Ed eccoci al Secondo atto.
Quando sta
per inoltrarsi nella sala attigua, gira la testa per dare un ultimo sguardo al
dipinto, ed in quel momento capisce tutto: per l’improvvisa contrazione visiva
la scena scompare e viene fuori la figura nascosta. Dove, prima, tutto era
splendore mondano, ora vede il teschio. I due personaggi, con il loro apparato
scientifico, svaniscono, ed al loro posto nasce dal Nulla il segno del Nulla. Fine
della rappresentazione!
PRIMO ATTO
La temuta bestia fuggita da una pagina antica, bestiario di una diversa rima, con il ghiaccio era solita parlare e quello gli rispondeva con un antico frammento. Fossile o orecchio di Dio, l’uomo pose la pietra in quel suo quadro antico mentre scrutava attraverso il fitto bosco quale fosse il pensiero migliore da proporre all’uomo barbuto, antico Dio, padre di una Dèa adorata ogni mattina, e dalla spirale di quella muta parola raccolta l’uomo vide un lupo, libero, correre come il vento come fosse un frammento caduto… nello stesso suo Universo.
Non
braccava nessuna preda quella mattina forse perché è un misero sogno di uomo o
animale che sia, ma qui si narra di un diverso Creato, dove forse anche gli Dèi
hanno dimorato! Correva per il vero, il fiero lupo, accompagnato
all’infallibile suo fiuto per mostrare quel potere antico assiso anche su un
Olimpo, come fosse una parola uscita da una poesia e ripetuta con una strana
rima… all’alba di una mattina: mito del Tempo quando la filosofia sposava un
diverso principio di vita, e della vita si nutriva, sì, ma abdicando l’ingordo
peccato di gola ad un mondo che tutto divora.
Pareva proprio la forza della Prima Parola libera come il vento, sgorgata dal ghiaccio e dalla neve, a cullarla una dolce primavera come fosse una Dèa antica. Correva muto, simmetrico pensiero di un Dio Straniero, che con questa parola fuggita scrive una nuova rima per la sua poesia.
E
l’ululato libero e solo piacque a quell’uomo nel suo lungo frammento.
L’uomo
osserva il lupo correre muto, sembra lo stesso suo passo: eretica parola
fuggita da una sacra scrittura, ombra nel bosco dove assieme celebrano la vita.
Proprio di questo si accorse mentre scrutava la cima, non era la sua preda ma
segreta e simmetrica preghiera.
Componeva
una pagina non letta nella grande materia, dove vi è un Primo Dio che vede e
provvede, ed un Secondo che fa di conto, e con il suo occhio pensa scrutare
quanto in realtà mai riesce vedere… in quella nebbiosa mattina.
Mai riuscì a calcolarne l’inizio in ogni libro narrato, storia del misterioso Creato di questa e ogni diversa vallata qui ora svelata. Solo dopo un po’, l’uomo ancor giovane e forse anche lui un po’ lupo, dava alla stessa equazione di un Primo Dio non detto…, Uno più Uno.
Ma
qui il conto compone una strana formula segreta, perché a quell’elemento non
ancora uomo perfetto se ne aggiunse un altro, dopo di quello, molti altri
ancora, così che l’uomo si accorse in quello strano Tempo che non era più solo
in quell’invisibile Universo.
Da uno, qual era, divenne Due, somma giammai detta quella mattina. Poi si moltiplicò, invisibile ogni sera, non molto lontano dalla camera che affittò, nella calda stagione del loro Creato, ad uno scienziato creatore del numero (o della laica preghiera...) per sempre svelato.
(Giuliano Lazzari; Lo Straniero)
La ricchezza dell’ingegnosità di Holbein e la disinvoltura della sua creatività hanno trovato l’utilizzo più riconoscente nel disegno per la xilografia. La maggior parte delle sue stamperie librarie più conosciute al mondo appartengono al periodo dal 1523 all’inizio del 1526. Anche se la maggior parte di essi sono stati pubblicati solo negli anni successivi, il fatto che siano stati tagliati da Lützelburger dimostra che sono stati realizzati in quel momento.
Uno
dei primi tagli dei disegni di Holbein
di Lützelburger fu il cosiddetto alfabeto
della danza della morte. Singole lettere apparivano già in stampe del 1524.
Holbein seguì sempre lo stesso tipo
di disposizione per i suoi disegni di lettere, che avevano lo scopo di decorare
i testi dei libri stampati sulla base dell’esempio delle iniziali dipinte nei
manoscritti medievali. La lettera stessa, che formò sempre nell’attuale forma
rinascimentale, cioè nella forma classica dell’antica scrittura latina, la
lasciò senza decorazione.
Gli
diede la decorazione con un quadro a figura quadrata, che fa da sfondo alla
lettera, senza nessun altro collegamento tra il quadro e la lettera se non
quello dell’armonia artistica delle linee.
L’argomento
era molto popolare.
Gli inizi delle cosiddette rappresentazioni della danza della morte risalgono al XIV secolo. Erano immagini che illustravano la nullità di tutto ciò che è terreno contrapponendo le figure dei vivi alle figure dei morti che un tempo erano state come loro e che ora non possedevano altro che la nuda bruttezza dei cadaveri in decomposizione o disseccati. Nel XV. Nel XIX secolo, in particolare, i monaci predicatori facevano spesso dipingere intere file di tali coppie sul muro in luoghi adatti, nel portico della chiesa, nel corridoio del chiostro o dove potevano essere viste da molti; versi esplicativi, formulati in modo popolare, furono scritti per esso.
Nei
versi i morti parlavano ai vivi, nelle immagini gli stringevano la mano. Questi
erano sermoni in immagini che avrebbero dovuto spingere lo spettatore a pensare
alla fine e dal fatto che nelle persone raffigurate tutte le classi, spirituali
e mondane, dalla più alta alla più bassa, erano segnate, indicava l’uguaglianza
di tutti nella morte. Le file delle coppie formavano una danza, per così dire.
Da questo si è sviluppata l’idea di intendere l’intera performance come una cerimonia
danzante; il tempo animava il sale dell’umorismo anche nelle cose molto serie.
Il
menestrello non poteva mancare al ballo.
Ma
colei che qui si armeggiò a danzare era la morte stessa, concepita come essere
personale e formata anche in forma di cadavere vivente. Queste immagini erano
le vere danze della morte. Basilea aveva anche una famosa danza della morte ai
tempi di Holbein, che si trovava sul
muro del cimitero del monastero del predicatore e che era una replica gratuita
di un’opera ancora più antica nel convento di suore di Klingenthal a
Klein-Basel. Il nome è rimasto fedele a tutta la cerchia delle
rappresentazioni, sebbene dall’inizio del XVI secolo la rappresentazione è
cambiata in modo significativo.
Nelle immagini corrispondenti che gli artisti di questo tempo, tra cui Holbein, hanno progettato, i morti non appaiono più e non c’è più alcun ballo. Al posto dei morti, è la morte che si unisce ai vivi in ogni quadro.
È tempo d’Inverno miei cari
viandanti, il tempo in cui la Stagione dell’Universo riflesso nella Creazione
della Terra, compie il ciclo della Natura, Divina Natura incarnata da un uomo
crocefisso.
Il Tempo in cui il ghiaccio assume linfa,
per poi risorgere in Primavera, possiamo leggere anche qui un cifrato messaggio
mai letto, o ancora incompreso?
Vengo dal Freddo Universo e rinascerò
in Primavera sul vostro giardino fiorito in nome e per conto di Madre Natura, e
seppure vi sforziate di decifrare il messaggio del ciclo della mia Natura,
sappiate che segue ugual medesimo principio dell’Universo.
Se tentate di decifrare una icona
provate ad approdare verso una intuizione non scritta, come chi perito per
ugual medesima mano in nome del materialismo storico cui il Sacrificio impose
ugual martirio.
E se quell’uomo, nella rovesciata
prospettiva, avesse lasciato un crittografato messaggio inciso nell’eterno
ricordo al di sopra e al di fuori d’ogni prospettiva, nell’anamorfica
distorsione cui assoggettata la Vita posta alle incomprese condizioni materiali
dell’uomo?
La Foglia in questo momento mentre la
guardo in apparente smarrimento di prospettico pensiero sembra suggerirmi che
forse proprio in questa Simmetria fra l’Artista e il Filosofo-Teologo si unisce
più certa ed invisibile prospettiva.
Si congiunge l’intento invisibile crittografato nell’unione di invisibili e spirituali profetici sentimenti ispirati in nome e per conto della Divinità a cui ognuno aspira.
Si congiunge un filo invisibile
scritto nel testamento privo di Parola, giacché nell’odierno come il Tempo
della Storia ci insegna, braccata da ogni maestro del tempio in nome della
politica del nuovo Impero unito al capitale della borsa; ed allora solo l’icona
e la retta comprensione, semplice comprensione ancora non letta, in quanto
Spiritualmente elevata (come un Pensiero che troppo alto vola ed ognuno lo
bracca con il fucile della ‘retta interpretazione’, per poi renderla al ciclo
della gravità assoggettata al Tempo nella prospettica comprensione incamminata
nonché numerata secondo i canoni della Storia,…) può restituirci la moneta
sottratta a Dio nella retta e più appropriata lettura dell’Opera posta!
Ma questo alto vola, rinasce così
come la Natura del suo Dio che lo ha evoluto per ogni Stagione in cui l’uomo
affonda la penna nell’inchiostro del fallace Pensiero, per non più comprenderne
il Mistero della direzione del Tempo scritta nell’Uno, in cui ugual penna
abdica medesimo Pensiero all’Icona con cui ammirare l’Elevata impareggiabile
quadro della Natura, compiere il prodigio del pellegrino quanto della innata
direzione cui l’uomo aspira senza mai uguagliare chi al di sotto dell’umana
condizione percettiva, e tentare ugual medesima avventura scritta in un’ottica
di presunta infallibile mira prospettica per ogni colpo offerto a Madre Natura,
per poi descrivere nella dotta parola ciò che mai ha compreso circa un più
probabile Elevato Pensiero.
Ovvero, come pensa crea e distribuisce Bene e Male in nome della sua Opera il buon Dio, talvolta o troppo spesso interpretato dall’umano e talvolta anche rinnegato - nell’urgenza della gravità terrena -, ed imporre non più evoluzione, ma i cicli umani disconoscendo l’assoggettata quanto interpretata Natura, da cui deriva l’egoistica presunzione dell’umanità – ovvero, cicli storici costanti esulare dalle più certe stagioni del Tempo evoluto da cui deriva, rinnegandolo.
Cicli assoggettati e subordinati
dall’umano principio, compreso il ‘capitale’ di cui gli Ambasciatori un più che
valido esempio, espresso ed inciso non più nella parola divenuta materiale
fallace moneta assoggettata al mercato di ogni impero; ma ‘crittografato’
intento Infinito al Tempo posto, avverso e contrario, quindi, ad ugual medesimo
Tempo dato, ovvero nato, da cui la materia o ‘punto di fuga’.
Quindi assoggettato alla
raffigurazione posta in duplice e rovesciata prospettica interpretazione,
esulare da ogni prospettiva materiale condizione, e giammai confacente alla
terrena condizione umana e non più Divina da cui, in verità e per il vero, ogni
suo gene deriva.
Negando il Sacro qual oppiaceo rinneghiamo la nostra vera e più certa appartenenza allo Spirito Infinito immagine di Dio, e con lui all’intera Anima mundi a noi congiunta, e mai sia detto disgiunta… Per Dio!! Divenuta Pensiero talvolta o troppo spesso perseguitato!
Così come un quadro ugualmente
contemplato, seppur ammirato nella più certa prospettiva esulare da questa
convergendo nel Teschio, cui simmetrico invisibile ed uguale ‘crittografato
messaggio’ impone meditata e più certo approfondimento abdicato nell’icona di
un Profeta dipinta senza prospettiva alcuna.
Solo preghiera!
Questo la foglia mi insegna mentre la
guardo osservo e medito e mi perdo nel suo invisibile Pensiero e Dio, scorgo la
sua immagine il suo volto, il suo benefico sorriso, il suo sollievo, perché
finalmente comprendo che ciò lui ci ha detto!
Rinascerà nei cicli corrotti del
nostro avvelenato tempo!
In questo primo autunno ove il giallo pallore abdica al suo incompreso Disegno sino alla più elevata segreta icona con la promessa nel mai dimenticare ciò che è, fu, e sarà ancora, l’abominio dell’uomo!
(Giuliano)
Di tutti i miti di Platone, quello della caverna del VII libro della ‘Repubblica’ è il più noto. In esso il filosofo racconta di uomini che, percependo solo le ombre che le cose proiettano sulle parete di una grotta, le scambiano per la realtà.
Erasmo
citava spesso quel mito, e al tempo di Holbein era difficile incontrare un
umanista degno di nota che non l’avesse mai menzionato. E’ anche un brano
particolarmente adatto agli ‘Ambasciatori’.
Il
giorno è il Venerdì Santo del 1533 il teschio proietta la sua ombra secondo un
angolo innaturale, almeno rispetto al resto del quadro, ma è l’angolo che
rappresenta correttamente l’ora del giorno al quale esso rinvia in molti modi.
Chiunque
sia nella posizione giusta per decifrare quel simbolo deformato può guardare in
alto secondo lo stesso suggestivo angolo, corrispondente all’altezza del Sole a
quell’ora e in quel giorno, e scorgere il volto del crocefisso seminascosto dal
tendaggio. Sofferenza e morte non sono la vera realtà; quella realtà da cui
l’uomo si fa invece guidare come dal Sole, secondo l’insegnamento del versetto
originale di Matteo 17,2, o di uno degli innumerevoli passi che a esso si
ispirano.
Per coloro che nel 1533 conoscevano il tema della crocifissione celato negli ‘Ambasciatori’, quello che per la maggior parte degli ammiratori moderni è solo un enigma prospettico era un pensoso invito a rammentare il momento più tragico del racconto biblico. Ma era anche alcune varie cose, perché la prospettiva del quadro racchiude altre promesse.
Guardando
in alto, verso il crocefisso, l’osservatore ha la possibilità di porsi su un
piano spirituale diverso da quello dei due diplomatici e degli strumenti
mondani del ‘quadrivium’ e la sfera della vita quotidiana diventa per lui meno
che pienamente reale. E’ questo il vero messaggio della fondamentale
organizzazione prospettica del dipinto; quello a cui tutti gli altri finiscono
col rinviare.
Un
messaggio di fede e speranza che conferma le tante allusioni alla promessa
cristiana di salvezza. Un messaggio ribadito più volte e in molti modi.
Ma
non stiamo facendo troppo credito a Holbein,
e a coloro che lo aiutarono a progettare ‘Gli Ambasciatori’?
A questo riguardo, è bene ricordare quanto fosse sofisticata la concezione medievale e rinascimentale dello scopo delle arti figurative, della letteratura e dell’esegesi; una concezione che nasceva dagli sforzi dei Padri della Chiesa nel campo del chiarimento e insegnamento della dottrina cristiana.
Nella
Scrittura, che della dottrina era il fondamento, essi riconoscevano quattro
diversi livelli di senso. Il primo era
il livello letterale, spesso consistente nel racconto puro e semplice di un
evento. Si pensava inoltre che un testo avesse un senso allegorico o metaforico
– un’ipotesi preziosa soprattutto quando il commentatore cercava, in un passo
dell’Antico Testamento, un’allusione a Cristo e alla sua divina missione.
C’era
poi il senso morale, cioè quanto si poteva ricavare dal testo circa il modo in
cui un cristiano dovrebbe comportarsi. Il quarto senso, quello anagogico (o
mistico) riguardava in sostanza il rapporto tra esistenza terrena e vita
esterna.
Holbein, artista di grande intelligenza e vissuto, pur non essendo un erudito, a stretto contatto con ogni genere di uomini di cultura, poteva avere una certa confidenza con questa quadruplice, e spesso citata, classificazione. Da rilevare, per cui, che l’opera pittorica qui rappresentata, probabilmente riguardò non tanto il Tempo in sé, quanto le eterne verità della fede, verità che, a loro volta, sono lo sfondo spirituale del dipinto, ma non ciò che lo rende unico.
Per
comprendere la sua unicità dobbiamo rivolgere lo sguardo a ciò che è in primo
piano, dove colori e forme trasmettono insegnamenti cristiani e forse anche
altro…
Il luogo del cranio: ‘Giunti a un luogo detto Golgota, che significa il luogo del cranio, gli diedero da bere vino mescolato con fiele… dopo averlo quindi crocifisso…’.
(J.
North)
(PROSEGUE CON IL SECONDO ATTO)
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