CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
30 MAGGIO 1924

mercoledì 7 febbraio 2024

LA DANZA DELLA MORTE (Primo & Secondo atto)

 









se dio di tutti noi 


il creatore perche' 


ci ha trascurati ?









PROSEGUE CON IL...: 


SECONDO ATTO







Il mistero dei due Ambasciatori è in due atti!

 

L’installazione del dipinto doveva soddisfare esigenze ben precise: perché si realizzasse l’effetto voluto era necessario collocarlo nella parte inferiore della parete, a filo del pavimento (o appena appena più in alto), in modo che questo sembrasse continuare nel quadro.

 

Nel castello di Polisy, la cui ricostruzione cominciò nel 1544, esso fu senza dubbio collocato da Dinteville in una grande sala, di fronte ad una porta e vicino ad un’altra, ciascuna di esse in corrispondenza con uno dei due punti di vista. Immaginiamo quindi una stanza con un ingresso principale centrato su uno dei lati e due porte sul lato di fronte: il quadro era collocato fra queste due porte, sull’asse dell’ingresso principale.




Il Primo Atto comincia quando il visitatore entra dalla porta principale e vede davanti a sé, ad una certa distanza, i due signori che si stagliano sullo sfondo come un palcoscenico. Resta colpito dalla loro imponenza, dalla sontuosità dell’insieme, e dal realismo della raffigurazione. Un punto solo lo turba: lo strano oggetto che vede ai piedi dei due personaggi. Avanza per vedere le cose più da vicino; il carattere fisico, quasi materiale, della visione aumenta ancora quando si avvicina, ma quell’oggetto singolare rimane assolutamente indecifrabile. Sconcertato, il visitatore esce dalla porta di destra, la sola aperta.




Ed eccoci al Secondo atto.

 

Quando sta per inoltrarsi nella sala attigua, gira la testa per dare un ultimo sguardo al dipinto, ed in quel momento capisce tutto: per l’improvvisa contrazione visiva la scena scompare e viene fuori la figura nascosta. Dove, prima, tutto era splendore mondano, ora vede il teschio. I due personaggi, con il loro apparato scientifico, svaniscono, ed al loro posto nasce dal Nulla il segno del Nulla. Fine della rappresentazione!



 

PRIMO ATTO

 

La temuta bestia fuggita da una pagina antica, bestiario di una diversa rima, con il ghiaccio era solita parlare e quello gli rispondeva con un antico frammento. Fossile o orecchio di Dio, l’uomo pose la pietra in quel suo quadro antico mentre scrutava attraverso il fitto bosco quale fosse il pensiero migliore da proporre all’uomo barbuto, antico Dio, padre di una Dèa adorata ogni mattina, e dalla spirale di quella muta parola raccolta l’uomo vide un lupo, libero, correre come il vento come fosse un frammento caduto… nello stesso suo Universo.

 

Non braccava nessuna preda quella mattina forse perché è un misero sogno di uomo o animale che sia, ma qui si narra di un diverso Creato, dove forse anche gli Dèi hanno dimorato! Correva per il vero, il fiero lupo, accompagnato all’infallibile suo fiuto per mostrare quel potere antico assiso anche su un Olimpo, come fosse una parola uscita da una poesia e ripetuta con una strana rima… all’alba di una mattina: mito del Tempo quando la filosofia sposava un diverso principio di vita, e della vita si nutriva, sì, ma abdicando l’ingordo peccato di gola ad un mondo che tutto divora.




Pareva proprio la forza della Prima Parola libera come il vento, sgorgata dal ghiaccio e dalla neve, a cullarla una dolce primavera come fosse una Dèa antica. Correva muto, simmetrico pensiero di un Dio Straniero, che con questa parola fuggita scrive una nuova rima per la sua poesia.

 

E l’ululato libero e solo piacque a quell’uomo nel suo lungo frammento.

 

L’uomo osserva il lupo correre muto, sembra lo stesso suo passo: eretica parola fuggita da una sacra scrittura, ombra nel bosco dove assieme celebrano la vita. Proprio di questo si accorse mentre scrutava la cima, non era la sua preda ma segreta e simmetrica preghiera.

 

Componeva una pagina non letta nella grande materia, dove vi è un Primo Dio che vede e provvede, ed un Secondo che fa di conto, e con il suo occhio pensa scrutare quanto in realtà mai riesce vedere… in quella nebbiosa mattina.




Mai riuscì a calcolarne l’inizio in ogni libro narrato, storia del misterioso Creato di questa e ogni diversa vallata qui ora svelata. Solo dopo un po’, l’uomo ancor giovane e forse anche lui un po’ lupo, dava alla stessa equazione di un Primo Dio non detto…, Uno più Uno.

 

Ma qui il conto compone una strana formula segreta, perché a quell’elemento non ancora uomo perfetto se ne aggiunse un altro, dopo di quello, molti altri ancora, così che l’uomo si accorse in quello strano Tempo che non era più solo in quell’invisibile Universo.

 

Da uno, qual era, divenne Due, somma giammai detta quella mattina. Poi si moltiplicò, invisibile ogni sera, non molto lontano dalla camera che affittò, nella calda stagione del loro Creato, ad uno scienziato creatore del numero (o della laica preghiera...) per sempre svelato. 

(Giuliano Lazzari; Lo Straniero)




La ricchezza dell’ingegnosità di Holbein e la disinvoltura della sua creatività hanno trovato l’utilizzo più riconoscente nel disegno per la xilografia. La maggior parte delle sue stamperie librarie più conosciute al mondo appartengono al periodo dal 1523 all’inizio del 1526. Anche se la maggior parte di essi sono stati pubblicati solo negli anni successivi, il fatto che siano stati tagliati da Lützelburger dimostra che sono stati realizzati in quel momento.

 

Uno dei primi tagli dei disegni di Holbein di Lützelburger fu il cosiddetto alfabeto della danza della morte. Singole lettere apparivano già in stampe del 1524. Holbein seguì sempre lo stesso tipo di disposizione per i suoi disegni di lettere, che avevano lo scopo di decorare i testi dei libri stampati sulla base dell’esempio delle iniziali dipinte nei manoscritti medievali. La lettera stessa, che formò sempre nell’attuale forma rinascimentale, cioè nella forma classica dell’antica scrittura latina, la lasciò senza decorazione.

 

Gli diede la decorazione con un quadro a figura quadrata, che fa da sfondo alla lettera, senza nessun altro collegamento tra il quadro e la lettera se non quello dell’armonia artistica delle linee.

 

L’argomento era molto popolare.




Gli inizi delle cosiddette rappresentazioni della danza della morte risalgono al XIV secolo. Erano immagini che illustravano la nullità di tutto ciò che è terreno contrapponendo le figure dei vivi alle figure dei morti che un tempo erano state come loro e che ora non possedevano altro che la nuda bruttezza dei cadaveri in decomposizione o disseccati. Nel XV. Nel XIX secolo, in particolare, i monaci predicatori facevano spesso dipingere intere file di tali coppie sul muro in luoghi adatti, nel portico della chiesa, nel corridoio del chiostro o dove potevano essere viste da molti; versi esplicativi, formulati in modo popolare, furono scritti per esso.

 

Nei versi i morti parlavano ai vivi, nelle immagini gli stringevano la mano. Questi erano sermoni in immagini che avrebbero dovuto spingere lo spettatore a pensare alla fine e dal fatto che nelle persone raffigurate tutte le classi, spirituali e mondane, dalla più alta alla più bassa, erano segnate, indicava l’uguaglianza di tutti nella morte. Le file delle coppie formavano una danza, per così dire. Da questo si è sviluppata l’idea di intendere l’intera performance come una cerimonia danzante; il tempo animava il sale dell’umorismo anche nelle cose molto serie.

 

Il menestrello non poteva mancare al ballo.

 

Ma colei che qui si armeggiò a danzare era la morte stessa, concepita come essere personale e formata anche in forma di cadavere vivente. Queste immagini erano le vere danze della morte. Basilea aveva anche una famosa danza della morte ai tempi di Holbein, che si trovava sul muro del cimitero del monastero del predicatore e che era una replica gratuita di un’opera ancora più antica nel convento di suore di Klingenthal a Klein-Basel. Il nome è rimasto fedele a tutta la cerchia delle rappresentazioni, sebbene dall’inizio del XVI secolo la rappresentazione è cambiata in modo significativo.




Nelle immagini corrispondenti che gli artisti di questo tempo, tra cui Holbein, hanno progettato, i morti non appaiono più e non c’è più alcun ballo. Al posto dei morti, è la morte che si unisce ai vivi in ​​ogni quadro.

 

È tempo d’Inverno miei cari viandanti, il tempo in cui la Stagione dell’Universo riflesso nella Creazione della Terra, compie il ciclo della Natura, Divina Natura incarnata da un uomo crocefisso.

 

Il Tempo in cui il ghiaccio assume linfa, per poi risorgere in Primavera, possiamo leggere anche qui un cifrato messaggio mai letto, o ancora incompreso?

 

Vengo dal Freddo Universo e rinascerò in Primavera sul vostro giardino fiorito in nome e per conto di Madre Natura, e seppure vi sforziate di decifrare il messaggio del ciclo della mia Natura, sappiate che segue ugual medesimo principio dell’Universo.

 

Se tentate di decifrare una icona provate ad approdare verso una intuizione non scritta, come chi perito per ugual medesima mano in nome del materialismo storico cui il Sacrificio impose ugual martirio.

 

E se quell’uomo, nella rovesciata prospettiva, avesse lasciato un crittografato messaggio inciso nell’eterno ricordo al di sopra e al di fuori d’ogni prospettiva, nell’anamorfica distorsione cui assoggettata la Vita posta alle incomprese condizioni materiali dell’uomo? 

 

La Foglia in questo momento mentre la guardo in apparente smarrimento di prospettico pensiero sembra suggerirmi che forse proprio in questa Simmetria fra l’Artista e il Filosofo-Teologo si unisce più certa ed invisibile prospettiva.




Si congiunge l’intento invisibile crittografato nell’unione di invisibili e spirituali profetici sentimenti ispirati in nome e per conto della Divinità a cui ognuno aspira.

 

Si congiunge un filo invisibile scritto nel testamento privo di Parola, giacché nell’odierno come il Tempo della Storia ci insegna, braccata da ogni maestro del tempio in nome della politica del nuovo Impero unito al capitale della borsa; ed allora solo l’icona e la retta comprensione, semplice comprensione ancora non letta, in quanto Spiritualmente elevata (come un Pensiero che troppo alto vola ed ognuno lo bracca con il fucile della ‘retta interpretazione’, per poi renderla al ciclo della gravità assoggettata al Tempo nella prospettica comprensione incamminata nonché numerata secondo i canoni della Storia,…) può restituirci la moneta sottratta a Dio nella retta e più appropriata lettura dell’Opera posta!

 

Ma questo alto vola, rinasce così come la Natura del suo Dio che lo ha evoluto per ogni Stagione in cui l’uomo affonda la penna nell’inchiostro del fallace Pensiero, per non più comprenderne il Mistero della direzione del Tempo scritta nell’Uno, in cui ugual penna abdica medesimo Pensiero all’Icona con cui ammirare l’Elevata impareggiabile quadro della Natura, compiere il prodigio del pellegrino quanto della innata direzione cui l’uomo aspira senza mai uguagliare chi al di sotto dell’umana condizione percettiva, e tentare ugual medesima avventura scritta in un’ottica di presunta infallibile mira prospettica per ogni colpo offerto a Madre Natura, per poi descrivere nella dotta parola ciò che mai ha compreso circa un più probabile Elevato Pensiero.




Ovvero, come pensa crea e distribuisce Bene e Male in nome della sua Opera il buon Dio, talvolta o troppo spesso interpretato dall’umano e talvolta anche rinnegato - nell’urgenza della gravità terrena -, ed imporre non più evoluzione, ma i cicli umani disconoscendo l’assoggettata quanto interpretata Natura, da cui deriva l’egoistica presunzione dell’umanità  – ovvero, cicli storici costanti esulare dalle più certe stagioni del Tempo evoluto da cui deriva, rinnegandolo.

 

Cicli assoggettati e subordinati dall’umano principio, compreso il ‘capitale’ di cui gli Ambasciatori un più che valido esempio, espresso ed inciso non più nella parola divenuta materiale fallace moneta assoggettata al mercato di ogni impero; ma ‘crittografato’ intento Infinito al Tempo posto, avverso e contrario, quindi, ad ugual medesimo Tempo dato, ovvero nato, da cui la materia o ‘punto di fuga’.

 

Quindi assoggettato alla raffigurazione posta in duplice e rovesciata prospettica interpretazione, esulare da ogni prospettiva materiale condizione, e giammai confacente alla terrena condizione umana e non più Divina da cui, in verità e per il vero, ogni suo gene deriva.




 Negando il Sacro qual oppiaceo rinneghiamo la nostra vera e più certa appartenenza allo Spirito Infinito immagine di Dio, e con lui all’intera Anima mundi a noi congiunta, e mai sia detto disgiunta… Per Dio!! Divenuta Pensiero talvolta o troppo spesso perseguitato!

 

Così come un quadro ugualmente contemplato, seppur ammirato nella più certa prospettiva esulare da questa convergendo nel Teschio, cui simmetrico invisibile ed uguale ‘crittografato messaggio’ impone meditata e più certo approfondimento abdicato nell’icona di un Profeta dipinta senza prospettiva alcuna.

 

Solo preghiera!

 

Questo la foglia mi insegna mentre la guardo osservo e medito e mi perdo nel suo invisibile Pensiero e Dio, scorgo la sua immagine il suo volto, il suo benefico sorriso, il suo sollievo, perché finalmente comprendo che ciò lui ci ha detto!

 

Rinascerà nei cicli corrotti del nostro avvelenato tempo!

 

In questo primo autunno ove il giallo pallore abdica al suo incompreso Disegno sino alla più elevata segreta icona con la promessa nel mai dimenticare ciò che è, fu, e sarà ancora, l’abominio dell’uomo! 

(Giuliano)




Di tutti i miti di Platone, quello della caverna del VII libro della ‘Repubblica’ è il più noto. In esso il filosofo racconta di uomini che, percependo solo le ombre che le cose proiettano sulle parete di una grotta, le scambiano per la realtà.

 

Erasmo citava spesso quel mito, e al tempo di Holbein era difficile incontrare un umanista degno di nota che non l’avesse mai menzionato. E’ anche un brano particolarmente adatto agli ‘Ambasciatori’.

 

Il giorno è il Venerdì Santo del 1533 il teschio proietta la sua ombra secondo un angolo innaturale, almeno rispetto al resto del quadro, ma è l’angolo che rappresenta correttamente l’ora del giorno al quale esso rinvia in molti modi.

 

Chiunque sia nella posizione giusta per decifrare quel simbolo deformato può guardare in alto secondo lo stesso suggestivo angolo, corrispondente all’altezza del Sole a quell’ora e in quel giorno, e scorgere il volto del crocefisso seminascosto dal tendaggio. Sofferenza e morte non sono la vera realtà; quella realtà da cui l’uomo si fa invece guidare come dal Sole, secondo l’insegnamento del versetto originale di Matteo 17,2, o di uno degli innumerevoli passi che a esso si ispirano.




Per coloro che nel 1533 conoscevano il tema della crocifissione celato negli ‘Ambasciatori’, quello che per la maggior parte degli ammiratori moderni è solo un enigma prospettico era un pensoso invito  a rammentare il momento più tragico del racconto biblico. Ma era anche alcune varie cose, perché la prospettiva del quadro racchiude altre promesse.

 

Guardando in alto, verso il crocefisso, l’osservatore ha la possibilità di porsi su un piano spirituale diverso da quello dei due diplomatici e degli strumenti mondani del ‘quadrivium’ e la sfera della vita quotidiana diventa per lui meno che pienamente reale. E’ questo il vero messaggio della fondamentale organizzazione prospettica del dipinto; quello a cui tutti gli altri finiscono col rinviare.

 

Un messaggio di fede e speranza che conferma le tante allusioni alla promessa cristiana di salvezza. Un messaggio ribadito più volte e in molti modi.

 

Ma non stiamo facendo troppo credito a Holbein, e a coloro che lo aiutarono a progettare ‘Gli Ambasciatori’?




A questo riguardo, è bene ricordare quanto fosse sofisticata la concezione medievale e rinascimentale dello scopo delle arti figurative, della letteratura e dell’esegesi; una concezione che nasceva dagli sforzi dei Padri della Chiesa nel campo del chiarimento e insegnamento della dottrina cristiana.

 

Nella Scrittura, che della dottrina era il fondamento, essi riconoscevano quattro diversi livelli di senso.  Il primo era il livello letterale, spesso consistente nel racconto puro e semplice di un evento. Si pensava inoltre che un testo avesse un senso allegorico o metaforico – un’ipotesi preziosa soprattutto quando il commentatore cercava, in un passo dell’Antico Testamento, un’allusione a Cristo e alla sua divina missione.

 

C’era poi il senso morale, cioè quanto si poteva ricavare dal testo circa il modo in cui un cristiano dovrebbe comportarsi. Il quarto senso, quello anagogico (o mistico) riguardava in sostanza il rapporto tra esistenza terrena e vita esterna.




Holbein, artista di grande intelligenza e vissuto, pur non essendo un erudito, a stretto contatto con ogni genere di uomini di cultura, poteva avere una certa confidenza con questa quadruplice, e spesso citata, classificazione. Da rilevare, per cui, che l’opera pittorica qui rappresentata, probabilmente riguardò non tanto il Tempo in sé, quanto le eterne verità della fede, verità che, a loro volta, sono lo sfondo spirituale del dipinto, ma non ciò che lo rende unico.

 

Per comprendere la sua unicità dobbiamo rivolgere lo sguardo a ciò che è in primo piano, dove colori e forme trasmettono insegnamenti cristiani e forse anche altro…

 

Il luogo del cranio: ‘Giunti a un luogo detto Golgota, che significa il luogo del cranio, gli diedero da bere vino mescolato con fiele… dopo averlo quindi crocifisso…’. 

(J. North)


(PROSEGUE CON IL SECONDO ATTO)








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