CHI DELLA FOLLA, INVECE,

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lunedì 12 febbraio 2024

PARLI DI COSE CHE NON CONOSCI (e ciò non solo un difetto...!)

 








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circa la tracotanza...







Senocrate fu il primo filosofo ad accordare importanza al demone, la lacunosità delle testimonianze non ci consente di ricostruirne il sistema demonologico nella sua completezza. Invece nell’Epinomide possiamo individuare una abbastanza esaustiva trattazione della demonologia immediatamente successiva a Platone. 

 

Dopo un elogio della matematica in quanto dono del cielo, fondamento della virtù, delle arti e di ogni bene, l’autore passa ad una metodica esposizione teologico-cosmologica, affermando che agli dei visibili, gli astri, esseri intelligenti dal corpo igneo, segue la stirpe dei demoni, i più elevati dei quali sono denominati eterei (si noti il nesso tra questi enti gerarchicamente inferiori agli dei e l’elemento etere, che pare rinviare a quegli esseri che più tardi entreranno nella tradizione greco-romana con il nome di angeli); al di sotto di essi troviamo la classe aerea, che occupa il terzo posto, quello intermedio, ed ha perciò la funzione di interprete e va onorata con preghiere di ringraziamento per la sua benevola opera di intercessione.

 

Queste due classi sono completamente trasparenti alla nostra vista e, pur essendo molto vicine a noi, non ci appaiono per nulla; il loro ruolo di intermediari è reso possibile dalla posizione mediana, che permette loro di passare facilmente dalla terra ad ogni regione del cielo.

 

Tali esseri possiedono una mente eccelsa, apprendono facilmente e sono dotati di ottima memoria; conoscono tutto ciò che noi pensiamo ed hanno una particolare predilezione per chi è moralmente buono e bello e una viva avversione per il malvagio. Tuttavia partecipano al dolore, a differenza degli dei che, avendo nella loro natura la perfezione, sono estranei alla sofferenza e al piacere.




La classe seguente è costituita dai semidei generati dall’acqua (una formulazione che induce ad interpretare questi enti come eroi, dato l’appellativo di semidei e la collocazione successiva ai demoni aerei): talvolta si riesce a vederli, altre volte essi scompaiono del tutto alla vista, lasciando sbalorditi con le loro vaghe apparizioni.

 

L’attenzione alle epifanie degli esseri divini, che rientrano nell’ambito della loro essenza-potenza-attività, costitutiva di ciascun essere sarà una costante nella tradizione del pensiero platonico e la ritroveremo nel De mysteriis, dove Giamblico dedicherà un intero libro, il secondo, alle apparizioni; l’accentuarsi della trascendenza del divino porta in effetti tanto più a concentrarsi sull’aspetto fenomenico di questo, quanto più la sua essenza si fa lontana ed inconoscibile all’uomo.

 

Nel complesso l’autore dell’Epinomide sembra voler ribadire l’onnipresenza del divino nel cosmo, già teorizzata agli arbori della filosofia greca, attraverso l’assegnazione dei vari gradi dell’essere a ciascuno dei cinque elementi. In tale contesto emerge, da un lato, la fedeltà alla nozione platonica di demone intermediario; dall’altro, una stratificazione del demonico che rimanda ad una acuita trascendenza del divino, riscontrabile, nello stesso periodo, in Senocrate.




La demonologia occupa un ruolo di spicco nella sfaccettata riflessione di Plutarco di Cheronea, poliedrico scrittore vissuto tra il 50 e il 120 d.c. Anche se dalle sue opere trapela soprattutto la rielaborazione della dottrina del demone anima, su cui ci si soffermerà nel prossimo capitolo, anche la nozione del mediatore riveste una notevole importanza: ne costituisce la premessa la concezione plutarchea di dio, che è in se stesso lontanissimo dalla terra, incontaminato, incorruttibile, puro da ogni materia che soggiaccia alla distruzione e alla morte.

 

In tale contesto si ribadisce la funzione degli esseri intermedi, grazie ai quali si ha un punto in comune e un legame tra noi e la divinità; una teoria, questa, curiosamente considerata di origine straniera: è incerto, afferma l’autore, se essa sia dovuta a Zoroastro e ai suoi magi, oppure sia tracia e derivi da Orfeo, o sia egizia o frigia. Se, comunque, si sottraesse l’aria tra la terra e la luna, l’unità e la coesione del tutto risulterebbero spezzate; così chi non ammette la categoria del demonico toglie continuità e relazione tra il mondo degli dei e quello degli uomini, eliminando esseri che svolgono il compito di interpreti e ministri.

 

L’elemento aria, grazie alla sua fluidità, assume una certa conformazione in rapporto a ciò che viene pensato dai demoni, e comunica agli uomini divini ed eccezionali il pensiero di colui che ha pensato.




Lo status dell’intermedietà implica perciò la connessione con la divinazione e gli oracoli, già prerogativa dell’Eros platonico. Nel De defectu oraculorum il tramonto degli oracoli è attribuito alla scomparsa dei demoni ad essi preposti: se queste entità vengono messe al bando o emigrano altrove, gli oracoli perdono la loro virtù; con la ricomparsa di quelle, essi riacquistano voce, come strumenti suonati da musicisti.

 

Il racconto del barbaro del Mar Rosso riconduce la virtù oracolare ai demoni; lo straniero, che trascorre la maggior parte del tempo in compagnia di ninfe erranti e demoni, ed è più oltre definito egli stesso un demone, è ispirato all’arte mantica un giorno all’anno, quando profetizza sulla riva del mare. Anche in Il volto sulla luna  si allude ai demoni che assistono e servono Crono nell’isola dove è imprigionato; essi sarebbero dotati di capacità profetiche, in grado di trarre innumerevoli vaticini. Di fatto sembra che i demoni intervengano nella mantica in qualità di sorveglianti e custodi della giusta proporzione di quella temperie prodotta dall’anima umana e dall’ispirazione profetica; come nell’accordo di uno strumento, essi eliminano ogni eccesso nel rapimento estatico, introducendovi una commozione pacata e serena.

 

Un’organica esposizione demonologica ci è fornita nel VII sec. a.c. da Esiodo in ‘Le opere e i giorni’: la prima stirpe umana, annota lo scrittore, è la stirpe aurea dei tempi di Crono, che dopo la morte sono diventati demoni puri terrestri, custodi dei mortali; essi hanno cura della giustizia e delle azioni malvagie, sono vestiti di nebbia e sparsi ovunque sulla terra.




La seconda stirpe, argentea, è assai peggiore della prima; dopo la morte, questi demoni sono chiamati mortali beati sotterranei.

 

Dopo una terza stirpe, ancora inferiore, la quarta è quella degli eroi. La classe demonica è perciò costituita dagli Spiriti dei morti, investiti del compito di custodire i viventi; essi si inseriscono in una precisa gerarchia determinata da qualità morali (dal migliore al peggiore); la loro funzione sembrerebbe rivolta più ad una collettività indeterminata che ai singoli individui.

 

Alla teoria del demone anima deve ricondursi, in ultima analisi, l’intera demonologia del pitagorismo antico.

 

Abbiamo osservato come le Memorie pitagoriche immaginavano l’aria pullulante di anime chiamate demoni ed eroi, che inviavano sogni e segni ai viventi; apprendiamo da una testimonianza di Plutarco nel ‘De genio Socratis’ che Simmia di Tebe, discepolo di Filolao, considerava il demone il vero nome dell’anima.

 

Dalla lettura di un Frammento (14) dello stesso Filolao è possibile istituire un nesso tra l’anima demone e la dottrina della metempsicosi, centrale nel pensiero pitagorico: l’anima è vincolata al corpo in conseguenza di una colpa; la credenza nella trasmigrazione delle anime occuperà un ruolo non trascurabile nella demonologia di Empedocle e di Platone.




Agli assunti demonologici dei seguaci di Pitagora si avvicinano altri filosofi dei secoli VI e V: nel Frammento 73 di Eraclito leggiamo che l’uomo inesperto è solito prestare ascolto al demone, come un bambino ad un uomo: il demone è perciò un’entità legata all’individuo, gerarchicamente e moralmente superiore, che ammonisce con buoni consigli.

 

Per Empedocle i demoni sono anime inserite nella ruota incessante della trasmigrazione, che si trovano, prima di terminare il loro ciclo, a rivestire aspetti di uomini, piante, animali; l’obbligo di reincarnarsi dipende dall’onta dei crimini commessi. Dopo molte incarnazioni queste anime muoiono, cioè vengono assorbite nella divinità universale.

 

Riallacciandosi alla tradizione di matrice pitagorica, poi canonizzata da Senocrate, e adattandola alle nozioni dell’astrologia, Porfirio ritiene che l’individuo felice sia colui che, conoscendo il proprio quadro astrale e quindi il demone personale, è in grado di allontanare la fatalità per mezzo dei sacrifici; ma, obietta Giamblico, se il demone ci è stato assegnato in base alle configurazioni celesti al momento della nascita, ed è in base a queste che possiamo individuarlo, come potremmo distruggere il destino mediante la conoscenza di un essere assegnatoci, appunto, dal fato?

 

La critica del Calcidese prende le mosse da una ferma gerarchia di valori che vede i principi divini e trascendenti, come i demoni, decisamente più in alto rispetto alle realtà scientifiche e umane quale, appunto, l’arte degli oroscopi.





Anche la riflessione sul demone personale, quindi, dipende dalla complessa serialità dell’esistente, e dal postulato che le realtà superiori non possono in alcun modo trarre origine da quelle inferiori, o essere vincolate ad esse: ne è prova la già citata impassibilità degli enti divini, che, in quanto sostanze incorporee ed eterne, non possono accogliere al loro interno mutamenti provenienti dai corpi.

 

Beninteso, Giamblico non intende affatto escludere il nesso tra astrologia e indagine sul demone personale, quanto piuttosto ribadire che, poiché per il demone stesso vi sono cause più antiche, le tavole astrologiche non sono indispensabili e possono venire sostituite dalla mantica divina. La teurgia, intesa come culto divino, si rivela quindi supremo strumento di conoscenza, per il resto, Giamblico è pronto a difendere l’astrologia reputata un dono degli Dei.

 

La dottrina astrologica rientra nella divinazione che si compie in previsione dell’avvenire attraverso le viscere, il volo degli uccelli, gli astri. In sostanza questo genere di mantica, sia pur mediato dai segni, è veritiero perché riconducibile agli Dei, che modellano essi stessi mediante la Natura, a loro disposizione per la produzione dei fenomeni.

 

Ricorrendo alla divinazione sacra e alla teurgia, osserva Giamblico, è possibile risolvere qualsiasi difficoltà e incertezza legate ai calcoli astrologici, come l’ardua individuazione dell’anima, da cui a sua volta dipende la determinazione del demone. Tuttavia quest’ultimo non è dato dal signore della casa soltanto, dal momento che esistono principi ben più universali di esso: il Filosofo intende mettere in guardia Porfirio dal disgiungere un singolo elemento dal tutto, preoccupandosi di saldare l’immagine del demone ad un assetto cosmico ordinato e compatto.




Questo essere, in effetti, sta già in forma di modello: la nozione lo riporta alla sfera delle idee prima che le anime discendano nel mondo del divenire. Dal momento in cui un’anima lo sceglie come guida, subito il demone si fa suo realizzatore: quando essa discende verso il corpo la lega ad esso, governa l’essere vivente che è in comune con lei, fornisce i principi di tutto ciò che viene concepito con il ragionamento, guida le azioni dell’individuo fino al momento in cui, mediante la teurgia ieratica noi poniamo un dio come guardiano e sorvegliante della nostra anima.

 

A questo punto il demone cede a questo essere più potente, gli consegna il dominio sull’elemento psichico oppure gli si sottomette per collaborare con lui, insomma si rende in qualche modo servo del dio che comanda.

 

È soprattutto nell’opera De abstinentia di Porfirio che la distinzione in senso dualistico fra il demone buono e quello malvagio si fa netta, con un’interessante interrelazione tra la natura del demone e la sua fisicità tramite il concetto del pneuma: quest’ultimo è la materia sottile ed aerea assunta dall’anima nel corso della discesa attraverso le sfere celesti, di cui essa dovrà liberarsi durante la risalita.

 

Nel caso in cui il pneuma assorba la materia diverrà pesante, e coloro che se ne rivestono saranno percepibili alla vista; perciò i demoni malvagi, dominati dal pneuma, restano ancorati alla materia, tanto che è possibile vederli, mentre quelli buoni dominano sul pneuma attraverso il Logos.

 

I demoni malvagi causano sciagure e pestilenze e insinuano negli uomini opinioni errate sugli dei; risalta qui l’analogia con quei cristiani che reputavano i demoni fomentatori di eresia, a partire da quando, nel II sec. d.c. Ignazio di Antiochia usa il sostantivo demone in senso negativo per indicare una dottrina errata: il diavolo viene considerato allora responsabile di ogni forma di dissenso e, d’altra parte, l’esistenza stessa del dissenso è vista come prova evidente dell’intervento diabolico.

 

(F. Innocenzi da G. Lazzari, Un mondo perduto)



 

 

 


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