CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

mercoledì 21 febbraio 2024

LE NOSTRE E LE LORO REGOLE (1)

 








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d'una Venezia del Nord  


Prosegue con la 


Seconda parte 


& il Capitolo completo







OGGETTO: Comunicazione disdetta contratto d’affitto presso il Campo 1 del Lupo (ulula abbaia e difende la Natura ci inquieta e disturba)!

 

Facendo seguito alla nostra raccomandata datata 01-06-1223, trasmessa anche tramite corriere senza Mac & Pec in data 26-07-1323, e considerando le sue continue e reiterate violazioni del Regolamento Interno della Giostra in costume al Campeggio, ed in uso a disuso alla più nota e disturbata Compagnia, con la presente la Società scrivente (in tal modus-operandi senza più delinquente come il Lupo testé citato in Giudizio) è costretta a comunicarle formale disdetta del contratto d’affitto Camp 1, a lei intestato per l’occupazione della piazzola, abdicata alla piazzata padana di questa e ogni successiva caccia per mortificarla in ciò cui ama e dispensa l’intera Natura e l’eventuale ‘popolo’ he ode e ascolta, medita e pensa; promettendo con la presente disdetta il più noto ed immediato rogo; con esistenza a breve scadenza (giacché non del tutto ed ancora estinta) il 03-07-1384.

 

La invitiamo pertanto a lasciare libera da persone genti animi e spiriti - annessi e connessi - fiere bestie et lupi entro la piazzola da Lei occupata, assieme all’intera boscaglia non ancor usurpata del tutto, tanto dal Lupo come il suo creatore e produttore, consegnandola al più fiero e coraggioso Legnaiolo del Feudo. Noto come il cortigiano in uso alla medesima Corte.

 

Entro tale data dovranno essere saldati ortodosso ‘can(n)one’ d’imposta d’affitto (per il seguito della abdicata successione per eventuale nuovo e più raccomandato padano senza grana e più denaro!) annuale (non avendo posto magico-alchemico artifizio in uso alla dismessa neve giacché proprio Lei il responsabile di tale sventura e malefizio…) maggiorate dalle spese per l’energia che lei ha impropriamente speso in sua ed altrui reciproca difesa del Lupo, e giammai, come da noi più volte sollecitato, del raccomandato Cortigiano al canone convenuto del cannone di Leonardo, giacché il Colonnello pretende una diversa crisi energetica e i suoi assimilati.

 

In questi ultimi mesi di permanenza, la invitiamo nuovamente a rispettare quanto previsto dal Regolamento del ministro dell’Interno ed ora Ministro del trasporto, con o senza cavallo & da cui l’energia citata al canone convenuto; ed ad assumere un comportamento rispettoso nei confronti del personale della Compagnia, appostata in aree e attrezzature comunali protette dalle fiere dell’intera industriosa struttura, in più nobile e vantaggiosa caccia.

 

Ed altresì si prega a non badare alle varie buste sparse in terra, dette anche bustarelle! Ed inoltre di non sottostare nella zona a traffico illimitato della lavanderia affinché il bucato non venga macchiato dalla nostra centrifuga a lavaggio illimitato.   

 

E si prenda cura di non gettare escrementi sulla stessa (terra).

 

Distinti saluti. Ardesio Dicembre 2023

 

IL COLONNELLO DELLA COMPAGNIA




Rispondo a codesti servitori di diversi e altri interessi a cui ben asserviti e non confacenti al mascherato ‘ruolo’ inscenato, con un mio vecchio Tomo (…il mio certamente Eretico, l’altro invece un poco più ortodosso, ovvero, se Uno il Colonnello, due invece i Dialoghi a tutti loro serviti… con cui sfamare ma non certo avvelenare l’ingordo appetito accompagnato da uno strano distintivo in odor d’antico estinto…) da cui non solo una sofferta scelta e differente distinta appartenenza, ma anche e soprattutto una onestà con me stesso e la Natura di cui vado fiero in medesimo Campo condiviso con i miei amati Lupi.

 

E aggiungo qual premessa, attraversando a capo chino in umiliata comune umile contemplazione così medita di taluni sofferti luoghi - seppur apparentemente rinati in tutta la loro ordinata plastica bellezza -, composti di borghi e ricordi per sempre scomparsi, intravisti dal bagliore della neve ove incisa la dura e superiore bellezza nel ghiaccio scolpita, segnalare la lenta graduale ritirata, per poi ‘vomitare’ insofferente insofferenza  contraccambiata -. Dopo una vittoria scritta nel ricordo della superiorità della Natura (la quale se pur ferita ancora palesa e riesce a conferire il colore del Quadro a cui l’occhio non men dell’uomo che da lei dipende), ove trarre lo spunto per il grado della ‘sublimazione’ oggettivata nell’arte della vita, e in qual tempo d’angosciosa sofferenza da cui le presenti meditazioni in accordo a tutti coloro che riescono a sopravvivere, non tanto ai suoi capricci, ma alla maestosità da cui deriva ‘bellezza e sventura’ assommati all’ingordigia umana.

 

Difficoltà sofferenza ma in qual Tempo accordo di pace con ogni superiore Elemento, quando cioè l’uomo viveva un tutt’uno con ciò che da Lei si poteva e può trarre ancora.

 

Il ‘ricavato’, ovvero, - non tanto in questo ed ogni scritto - come direbbe il Filosofo interprete d’una ecologia più profonda non certo rilevata nell’immediato PIL, semmai nel secolar beneficio  che ‘dalla e nella’ Terra il buon pastore come il contadino, ed ogni artista di ugual elemento può trarre qual costante fiore frutto seminato, per l’appunto, come un buon scritto saziare la Natura dell’intelletto; sottratta al ‘bastone’, avverso alle giostrate ‘ruote’, il quale divide nell’avverso intendimento e suo proprio o improprio ‘uso’ (come taluni falsi profeti del progresso tendo a seminare e non certo minacciare nell’improprio utilizzo in ugual nostro sofferto comune cammino); ed in cui intendere e volere le entrambe condizioni poste: ovvero il noto bastone tra le ruote e procedere così incamminato in diverso Sentiero.




V’è un bastone per intendere procedere e volere con cui accompagnarsi al proprio ed altrui cammino come codesto Tomo; ed uno per offendere calunniare e mortificare!

 

Il cambiare le cose da cambiare, ovvero il mutatis mutandis  appartiene alla nostra comune linguaggio…

 

I parametri come mi appresto a leggere dall’ottimo libro in quel dì di Gromo in rappresentenza dell’intiera Vaseriana, dove conservo ancora l’onore di fermarmi per meditare Vie Sentieri e più assennate strade, mutati ed irrimediabilmente corrotti dal progresso (come sopra letto). Ragion per cui se pur contrario all’arme come al Re di Spade ed ad ogni fabbricante di morte, posso concordare con suddette note rilevate ed esplicitate non men che scritte di precursori d’un comune sentimento d’ugual amore di più profonda Natura.

 

Prendo atto, e riporto quanto scritto qual araldo di incontrovertibile Verità disgiunta dal falso progresso il quale ha cambiato mutato e corrotto ogni secolar rapporto con cui, a prescindere l’industriosa operatività dell’uomo rivolta alle proprie risorse ferrose, tendeva a stabilire l’ordine millenario della Natura; quell’uomo cioè, che seppur in un tugurio (non diverso dallo stesso Sé medesimo), è pur riuscito nell’intento manifesto di accordarsi e sottomettersi al suo volere, e non certo l’uomo oggettivato e dal falso benessere dedotto nominato progresso; e Lei di rimando contraccambia la scelta a dispetto della falsa ricchezza da ognun agognata e rincorsa…

 

Dedico cotal premessa a tutti coloro che vivono ed amano la propria Terra e per essa operano in ogni settore locale ove poterla al meglio difendere, cercando di promuovere i valori che l’hanno per sempre contraddista, oltre che nella bellezza anche nella sofferenza (soprattutto in cotal difficile hora) di sopravvivere in essa mantenendo integre le scelte scritte nei vasti panorami ugualmente amati e sofferti, adeguandosi al meglio alle difficili e sempre precarie alterne condizioni dell’Elemento.




E con ciò ‘pregarlo’ ‘adorarlo’ ‘elevarlo’ (anche quando costretti ad un più umano vaccino) al meglio in ogni (suo) manifesto improvviso linguaggio avverso alla pur minuscola statura dell’uomo. A chi riuscito in cotal difficile intento ed uscito dal sofferto tugurio e riparo della grandezza della Natura, Lei contraccambierà con un sorriso, con una carezza, con un abbraccio, scorto alle prime luci della primavera, ed ove quella carezza sarà un Poema o una muta Poesia, anche una lacrima offerta alla Vita. Qualcuno parla di un Dio attribuendo il rinato sacrificio, ma come disse un buon psicologo la Storia dell’uomo la puoi scorgere anche in quei borghi ove le tracce della sofferenza simmetriche alla Natura sopravvivono in tutte quelle testimonianze non men di Sogni per sempre cancellati erosi dal nuovo irreversibile malato progresso - in nome e per conto - di un ugual Dio o Demone pregato.  

 

L’AMBIENTE DEL ‘COSTRUITO’ 

 

 

Nel 1959 un numero speciale della voce di Gromo, lanciava un grido d’allarme:

 

‘Salviamo l’architettura rustica delle nostre valli’.

 

Si notava che le caratteristiche case, le piazzette con le fontane, le balconate, i portici, le decorazioni, le scritte, le insegne, avessero subito quasi tutte da oltre mezzo secolo mutamenti radicali, rifacimenti, demolizioni e rabberciamenti.

 

Se già in quel periodo la situazione era di questo tipo il confronto odierno non può essere considerato drammatico. La perdita di conoscenza della propria cultura, e il depauperamento sempre maggiore di forza lavoro legate alle tradizionali attività alpine, hanno avuto riflessi sull’ambiente, cambiandone le peculiarità qualitative rivolte al suo vero utilizzo.




Lo straordinario fra Natura e Ambiente, costruito dall’uomo e consolidatosi in secoli e secoli di intimo rapporto, è stato stravolto nell’equivoco termine di ‘moderno’ senza essere in grado di fornire modelli altrettanto validi e duraturi.

 

Le opere di artigiani, dal muratore al fabbro, non più legate al gusto del luogo, hanno raggiunto risultati standardizzati così da omologare l’immagine di una periferia urbana con interventi inopportuni all’interno delle nostre più belle vallate. La superficialità e l’arroganza progettuale hanno portato ad un grossolano carattere di edilizia sciatta e affrettata, appresa, come ricordava Luigi Angelini, ‘in permanenza di lavori vari e disparati’ e che ha trasformato totalmente le caratteristiche di un tempo di gran parte degli antichi villaggi di montagna.

 

Ma la cosa più sconcertante è che tutto ciò è apparso agli occhi dei proprietari e degli amministratori locali (ai quali tra l’altro ci rivolgiamo), come un fenomeno di ‘abbellimento’ e non di deprecabile alterazione. A questi interventi sul tessuto urbano consolidato si sono poi aggiunti quelli delle nuove edificazioni: banali, con anonime aperture su facciate a diversi piani; senza considerare le presuntuose ed inopportune - dal punto di vista non solo paesaggistico - totalmente fuori luogo, di ‘villette’ con contorni e contesti edilizi volgari ove prevale il cemento all’antica pietra.




E intanto a questo scempio - e non solo dal punto di vista architettonico e paesaggistico -, persegue la sistematica cancellazione o rimozione della Storia locale (simmetrica alla naturale da cui tratta) composta da antichi affreschi non meno di umili secolari testimonianze della stratificazione umana consolidata simmetricamente alla Natura in accordo con ogni pietra e non solo tratta da una miniera per puro scopo metallurgico-economico.

 

Via via muta irrimediabilmente l’urbanistica che per sempre aveva contraddistinto il luogo, il quale appare ‘stratificato’ nella ‘composta’ successione affine al terreno in cui sorto, quando cioè, si tenevano anche in specifico reciproco intendimento - oltre i punti cardinali - anche i benefici di secolari risorse naturali scritte nei quattro Elementi (sottratti ai futuri disgiunti alchemici rilevati) e non solo ‘albe e tramonti’ (comuni) rivolti alle stagioni del Tempo nel consolidamento ed affini alla vita.

 

Ciò dimostra tra l’altro la simmetrica predisposizione non meno della reciproca dipendenza ed appartenenza di ‘uomini bestie e frutti di natura’, i quali se pur sfruttati talvolta seconda una illogica scomposta predisposizione umana, sono sempre convissuti con il proprio ‘artefice’. Il qual ‘artefice’ differisce dal ‘cantore’ (cantando e sfruttando l’opera altrui compreso il secolar cantico di Madre Natura - diverso ed alieno - al poeta all’artista all’artigiano ‘antico creatore’ più che muratore edile…) ogni cantore il qual cantando abusa e pecca d’ingordo indigesto appetito affine allo schifo.

 

Sopravvennero disposizioni e regole le quali al meglio regolavano i mal disposti appetiti approdati allo ‘schifo’, apportando il giusto fiore e frutto contrario all’improvvisato ortolano, rimuovendo così lo scempio talvolta suscitato da tanto troppo appetito vestito da arrogante saccenza o se preferite ‘dotta ignoranza’.  




Ma in altri luoghi tutto questo non è avvenuto: per citare forme di tutela efficaci vicine alle nostre area alpine basterebbe ricordare alcuni paesi d’oltralpe…, da noi invece arriviamo al paradossale controsenso che si distruggono opere sopravvissute attraverso il tempo in modo corretto, per erigerne altre che dopo solo dieci anni denotano già uno stadio di degrado e totale abbandono rendendole del tutti inutili…

 

Anzi, aggiungiamo, facenti parte di ‘progetti’ rivolti sia allo sfruttamento ambientale mal edificati, sia nella volontà di usufruire ed attingere a risorse economiche destinandole, all’opposto per cui stanziate, squalificando nel peggioramento rilevato il fraudolento destino in uso (ciò detto vale anche per il privato).

 

Non è difficile rilevare e constatare ovunque suddette testimonianze le quali sono un perenne monumento all’incapacità manifesta degli operatori e amministratori locali avvicendati nella mala gestione territoriale accumunati dal reciproco solidale patto d’una insana economia scritta nella scadenza della breve o lunga sorte edile, e quindi del tutto inadatti nel rispettare tutelare comprendere e valorizzare - in reciproca armonia - l’Ambiente così degradato, ciò che più adatto al fine di raggiungere obiettivi scritti in ugual medesima Economia seminata e raccolta, o peggio ancora, raccolta e poi seminata, all’opposto cioè, nella più logica e confacente lunga scadenza beneficio d’ognuno…

 

Infatti rileviamo ugual edifici a fini edili non affini al senso di Natura eccetto quella dell’illogica economia del profitto i quali li ha legittimati nell’incapacità di leggere l’opera di un più Elevato Creatore, e certamente i contesti ovunque crescono come i frutti dello schifo paesaggistico protratto nel tempo i quali si differenziano fra le opere poste in essere nel beneficio d’una più corretta e sana economia turistica.

 

È poi del tutto assente la volontà del ‘controllo pubblico’ (si dice qual ottimo proverbio: chi controlla il controllore?) quando troppo spesso si delega suddetto a tutti coloro i quali primi nel contraffare Leggi a tutela ambientale camuffate ed ignorate per il miglior raggiungimento di dubbi e brevi fini economici con cui l’inesperta politica insedia e consolida il proprio e certamente ‘più esperto’ potere sugellato nel patto ‘mafioso-affaristico’ (ovunque rilevato e accertato) approdato ai vertici dello Stato e scritto nel pubblico consenso elettorale, ed altresì ignorando a tutti i livelli i conseguenti danni arrecati e non solo alla Natura, per ciò di cui mal intendono e dicono scritto nei valori - o peggio ancora - a beneficio dell’Economia…  




Bisogna altresì - per la propria ed altrui efficacia - smitizzare la credenza che operazioni di ‘salvaguardia’ (e non solo ambientale) abbiano bisogno di particolari tecnici, architetti, artisti: basterebbe che gli esecutori si guardassero in giro per ciò che appartiene al comune passato, e non più locale, in quanto tale ‘il passato’ conseguente ad un processo psicologico della Storia d’ognuno, e a cui ‘ognuno’ appartiene senza distinzioni di sorta. Rimuovere il Sogno a cui ognuno partecipe, nel distinto beneficio di un ambiente degradato nell’impropria valorizzazione edile o sportiva delimitando o circoscrivendo impropri perimetri privati significa un successivo ed uguale improprio utilizzo delle pubbliche risorse, oltre il danno morale psicologico e del libero arbitrio di potersi al meglio muovere per partecipare alla Natura mal posta e delimitata.  

 

Creare spazi per i cosiddetti ‘ricchi’ (provincial-metropolitani) e distinguerli dai più ‘poveri’ (o ignoranti montanari e contadini) creando barriere nelle quali si frantuma e disgrega la comune identità di appartenenza, sia essa la difficile realtà locale (ben diversa da una città…), o apportata da una più vasta metropoli provinciale, significa creare fratture irreparabili fra le necessità - le più vere necessità – locali, e quelle promosse dai diversi principi politici adottati a beneficio d’un transitoria economia, la quale ‘transita’ del tutto ignara del vero bisogno di cui necessita la Natura. E con Lei tutti coloro che per sempre hanno convissuto con essa.

 

Queste secolari fratture - per amor della stessa - vanno rimosse e non ignorate come avviene in taluni luoghi, ove si creano fratture insanabili a beneficio della guerra; oppure a beneficio d’una cieca politica utilitaristica che persegue i propri interessi di brevi trascorsi paesaggistici o sportivi tradotti e accumunati nella volontà edili. Intendere il reciproco rapporto d’appartenenza ovunque si consuma cotal fattura significa intendere anche un più elevato senso di economia adottata al fine di saper valorizzare ciò che meglio ci appartiene nei valori della cosiddetta patria, e questa non scritta nel cantiere (anche se dicono che abbisogniamo di ciò), bensì in tutti quei portoni e testimonianze d’un Sogno comune ‘in e per cui’ il più elevato senso della Storia.  




 Concludo questa breve premessa affinché prevalga il comune senso scritto nel Sogno d’ognuno, e porgo i miei ringraziamenti alla pro-loco di Gromo come a quella di Gandellino non meno di Valbondione, affermando che il mio fine quello di veder cotal bellissimi luoghi al meglio della realtà storico-paesaggistica valorizzata nel corretto intendimento in cui può e si deve saper ancora Sognare per ogni portone uscio e via, e respirare nell’armonia affine alla natura e non certo paura…

 

(E. Guglielmi & il curatore del blog in corsivo) 

 

 

LA SOFFERTA NATURA 

 

 

1806-1806. Il sacerdote Giovanni Filippi di Gandino ricorda che nel 1805 la Valle Seriana fu notevolmente infestata da due lupi e altre bestie nocive. Un neonato venne rapito dalla culla, altre persone adulte, due delle quali perite e altre rese quasi inabili al lavoro dalle ferite, furono le disgraziate vittime delle stragi di tali animali feroci.

 

Il religioso, pratico di caccia alleato con feroci malviventi, si mise a fabbricare a proprie spese alcune piccole capanne alle falde dei monti e nei luoghi più frequentati da queste bestie feroci, dove, collocando alcuni archibugi nottetempo e mediante un certo ordigno diretto sotterraneamente e senza alcun pericolo de’ passeggeri... nel 1806 rimasero estinti da se stessi, senza andar fallito neppure un colpo, cinque grossi lupi.

 

I lupi vennero uccisi nell’ultimo trimestre del 1806 e il Filippi, che per provarne la cattura ha conservato le mascelle (del loro dire vantandosi pubblicamente per mezzo di agnelli come grassi corrotti putti) si vantò pubblicamente di averne estirpato ragione e sentimento, privando loro di ogni sussistenza e alimento.

 

I lupi, almeno due di loro, così si narra e si narrerà ancora, tornarono sugli stessi luoghi per rimembrare alle italiche genti il potere della Natura ferita dalle corrotte gesta di cotal meschino piccolo paese.




 L’anno compreso tra l’autunno del 1992 e l’autunno del 1993 fu un periodo di transizione, per il branco e per noi. Kamots divenne adulto a tutti gli effetti e si trasformò in un amabile capo. Per me, quell’anno segnò la conclusione delle riprese, l’inizio della fase di montaggio, la partenza della troupe e infine la messa in onda del documentario Wolf: Return of a Legend. Il progetto, così come l’avevo originariamente concepito, stava volgendo al termine.

 

Avevo sempre saputo che il branco non poteva essere messo in libertà. Avevamo fatto uno sforzo comune per renderlo socievole e ridurre l’istintiva paura dell’uomo che è cruciale per la sopravvivenza di un lupo selvatico. In molte zone del West il millenario odio per questi animali è ancora una realtà, e un lupo che non teme gli esseri umani è condannato a morte. Oltre tutto, è contro la legge liberare dei lupi allevati in cattività.

 

La mia autorizzazione a tenere il branco nelle Sawtooth Mountains era temporanea. Sapevo che prima o poi avrebbe dovuto spostarsi, quindi fin dall’inizio mi misi in cerca di una sede permanente, un posto in cui i lupi potessero trascorrere un’esistenza comoda e sicura. Non avrei mandato avanti il progetto se non fossi stato convinto di poterli sistemare adeguatamente in qualche posto nelle vicinanze.

 

Per un anno facemmo programmi per il futuro, ma quando la città organizzò un incontro in modo che la comunità locale potesse esprimere la propria opinione, rimasi sconvolto nel constatare l’odio che la animava. Tutti gli antichi miti resistevano. Un tizio pronosticò che i lupi selvatici, attratti dal mio branco, sarebbero calati giù dalle montagne per tendere agguati a cittadini innocenti. 

(Jim e Jamie Dutcher)




 Ho solo sommariamente accennato ad alcuni stati d’animo. Ora potrei definire, tutte le volte che passo, volente o nolente per gli stessi luoghi, alle vere persecuzioni che diventano allucinazioni di quadri antichi, di processi cavillosi ed inutili per l’affermazione di quel potere e di quella cultura nemica del raziocinio, della ragione, dell’intuizione, della verità, a cui i nostri valenti aguzzini ci sottoponevano giornalmente, ed assieme ad esse (le persecuzioni) tutto l’ingombrante ed inutile bagaglio della loro arroganza, che la casta, come l’antico sovrano, delega ai suoi protetti. Ben piantati a delle comode poltrone, seduti mai viandanti e protesi verso la ricerca del vero sapere che la Natura ispira dispensa ed a cui in Lei deponiamo quale superiore credo nella cura del vero Intelletto.

 

Seduti, mai viaggiatori o eretici per queste visioni. Vere e proprie immagini di secoli passati che non sono cambiate dalla ferocia di allora al tormento di oggi. Dietro l’apparente modernità e rispettabilità di taluni luoghi si conserva ancora in segreti scrigni miracolosi, in tabernacoli d’oro, l’antico odore di bruciato. E vi parrà strano, ma si bruciano, come un tempo, uomini natura bestie e libri. Se non li si brucia, li si contempla da lontano per la copertina che vestono, si adoperano per quello che possono valere nell’apparenza di un titolo recitato nell’intermezzo di una beffa nuova, o per il peso di una tracciata spedizione che può conferire loro un probabile valore nel mercato della cultura tradotta in materia.

 

Ben altre Spedizioni o Sentieri meditiamo nella nostra amata Natura nonostante la loro arrogante arroganza mista a superba e calunnia!

 

Nell’odore che vorrebbe esser sudore di popolo, nella piazza antica e moderna…si bruciano libri e chi li scrive, e chi commette l’insano errore, non di collezionarli ma di leggerli per il gusto della verità e non della menzogna, è perseguitato. Così come chi prova a scrivere, ed esprimere una propria opinione di questo infausto teatro dell’apparenza.

 

I tempi sono rimasti immutati.

 

Non fatevi confondere dall’apparente ed illusoria modernità. Quei serbatoi di isolamento dove il regime trae certezza della propria natura e con essa illusione di consistenza funzionano in modo perpetuo ed invariato dalla gravità del moto storico che permette di fondare regni, stati, ed imperi.

 

Sono l’espressione dell’autorità.

 

Lì l’essere umano è ridotto alla pratica della spersonalizzazione, viene spogliato del diritto del pensiero e della parola. Viene ridotto ad un puro meccanismo che deve asservire la macchina a cui è chiamato ad obbedire. Se conserva verso quella antica natura, che non vuole morire, sentimenti più alti, più forti, più duraturi, delle regole del regime, perché il regime non ha regole ed ogni giorno sembra rinascere per la pratica antica della piazza; allora la piazza diviene inquisizione figlia di quella antica cultura che prevale nella logica irrazionale, poi è martirio.

 

(Giuliano Lazzari, Storia di un Eretico)


PROSEGUE CON LA SECONDA PARTE  


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