CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

giovedì 3 aprile 2014

UN DEMONIO? NO, MATTIA ZURBRIGGEN (13)


















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Le bestemmie di Piaz (12)

Prosegue in:

Andiamo! (14) 













Sulla Est del Colle Gnifetti si rivolge a Guido Rey e a Luigi Vaccarone
chiamandoli 'figli di cani'. Ma per loro è solo un 'Dio rozzo e imperio-
so'.
Sulla Est della Nordend replica seccamente a Carlo Restelli: 'Mattia
Zurbriggen una volta incamminato non torna più indietro'.

'Ein Tifal', rispondeva indespittita mia nonna Francesca quando le
chiedevo del 'Mathis'. E con un gesto risoluto della mano sembrava
ricacciarlo dritto all'inferno come si fa appunto con un demonio.
'Un Diavolo'.
Non sprecava una parola in più!



























Lei l'aveva conosciuto bene, essendo nata nell'Ottocento.
Da bambina andava a portare i 'frambos' per i signori dell'Hotel Mon-
te Rosa dove c'era il vecchio albergatore Franz Lohmatter e dove il
giovane Mattia faceva la posta ai clienti da accompagnare in monta-
gna.
Nessuno degli anziani di Macugnaga ha mai voluto parlare del.....
 'Mathis'. Inpossibile scucire un aneddoto, un giudizio.
Figurarsi un elogio!
L'avevano rimosso 'tout court' dalla comunità e dalla storia del paese.
Rimanesse pure in quella dell'alpinismo.






















Cose dei 'sciuri', gente originale che invece di starsene comodamente
in città veniva a faticare e a morire sulla Est del Rosa.
Bandito dalla comunità anche dopo morto, il 'Mathis' in realtà si era
già estromesso da solo quando aveva abbandonato la famiglia per an-
dare a Ginevra, dove sarebbe poi morto da barbone.....
Per sopravvivere la moglie e i figli furono costretti a vendere quel po-
co che era rimasto e ad affidarsi alla solidarietà della gente.
Per questo, di Mattia Zurbriggen non è rimasta una buona fama e nes-
suna delle tante reliquie delle sue spedizioni.
Al piccolo borgo, gli anziani e forse anche i giovani..., non l'hanno
mai perdonato.....






















Sono nato il 15 maggio 1856 a Saas-Fee nel Canton Vallese, in Sviz-
zera. Mio padre si chiamava Lorenz, e di mestiere faceva il ciabat-
tino; mia madre era Veronica del Prato, di Stalden.
Poiché Saas è situata vicino a Macugnaga, dove l'industria si era no-
tevolmente sviluppata grazie alle miniere di Pestarena, mio padre era
solito recarsi durante l'estate in quest'ultimo villaggio nella speranza
di ottenere un lavoro più continuativo per provvedere meglio alle ne-
cessità della sua famiglia, composta da sette figli.
Alla fine egli prese la saggia decisione di spostare là il nucleo fami-
liare e così, all'età di due anni, mi fu fatto attraversare il Monte Mo-
ro alla volta di Macugnaga.























Con il passare del tempo, tuttavia, i guadagni di mio padre divenne-
ro insufficienti a mantenere la prole. Tentato dalla prospettiva di un
salario più consistente, egli decise allora di diventare minatore.
Trascorsi non molti anni, rimase però vittima di un incidente: venne
colpito da alcuni massi e quaranta giorni dopo rese l'anima al Dio che
gliela aveva data.
Le difficoltà e la miseria della famiglia - che ben si possono immagi-
nare - non fecero che accrescersi. Allora io avevo appena cinque -
anni e mio fratello maggiore era soltanto tredicenne. Non potevamo
sperare nell'aiuto dei nostri parenti, poiché non eravamo in rapporti
con loro.





















Ma il buon Dio, che mai abbandona i suoi, provvide misericordio-
samente a tutte le nostre necessità. Quella povera donna di mia ma-
dre non si risparmiò nel fare tutto il possibile per i figli e faticò con-
tinuamente per il nostro bene.
Quando fummo in grado di aiutarla, ci facemmo carico del bestiame
dei vicini per la modesta paga di 40 centesimi.
Incominciai così a viaggiare nella speranza di trovare qualche im-
piego, però ero troppo giovane per avere possibilità di successo.
Nel frattempo il poco denaro che avevo in tasca si esaurì in fret-
ta.























Quanto si deprime un essere umano in tal frangente!
Mi recai a Sierre e fui ingaggiato per accudire i cavalli e i muli all'-
Hotel Girol, dove stetti diversi mesi. Ma una simile occupazione
poco si confaceva alle mie aspirazioni; per di più non mettevo da
parte proprio nulla e mi trovavo costantemente sprovvisto di mez-
zi.
Tuttavia in quel periodo imparai il francese e quando mi imbattei
in alcuni lavoranti delle miniere d'argento e rame di Chandolin, in
Val d'Anniviers - gestite da una compagnia tedesca -, decisi di re-
carmi sul luogo.
Là fui assunto negli impianti di fusione con il compito di assistere
i fabbri e trasportare il metallo per gli operai. Trascorso qualche
mese mi fu consentito di lavorare come....minatore.

(Prosegue...)

(Mattia Zurbriggen, Dalle Alpi alle Ande)















 

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