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con Pietro Autier sulle orme del Payer (1) (2) (3)
Passaggi senz'anima (38)
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Il teatro del loro agire (40)
Salire sull’Ortles era mio desiderio da molti anni. La notte fra il 29 e il 30 agosto (ma le date sono un inutile dettaglio entro i confini della prigione del Tempo…) la passai con Pinggera ai piedi della Tabaretta, ma al mattino il tempo si guastò e pertanto tornammo alla pieve senza aver concluso nulla.
Il 30 agosto, sotto una pioggia incessante, visitai Solda di Fuori. Il
primo settembre giorno del mio 24° compleanno era di un sereno radioso. Per
assicurarmi un percorso adeguato per il mattino successivo, assieme a Pinggera
mi arrampicai per due ore sulle enormi pareti rocciose a sud di Cima Tabaretta.
Ad un’altitudine considerevole, fummo costretti al ritorno a causa di
uno strapiombo, nel quale, senza il tempestivo intervento di Pinggera, sarei
stato trascinato da un masso rotolato giù. Allora feci un grande disegno
dell’Ortles. Dormimmo ancora in quota, come il 29 agosto.
Durante la notte cadde pioggia e grandine, al mattino eravamo avvolti
nelle nubi e pertanto tornammo a Solda e salimmo subito sulla punta Beltovo. Il
pastore della malga di Schonleit mi fece sperare per il 4 settembre: Dio doveva
essere ancora in vacanza perché il tempo era così brutto, ma per allora sarebbe
diventato bello. Ed ebbi davvero la fortuna di scegliere per l’ascensione
sull’Ortles, come già per quella del Glockner, una giornata di rara limpidezza.
Per evitare lo scomodo pernottamento all’aperto, assieme a Pimggera mi
misi in cammino già alle 2 e un quarto del mattino. Alla luce delle lanterne ci
inoltrammo nella valle Marlet, passammo la vedretta coperta di detriti e la
grande morena laterale di sinistra e dopo le 4 arrivammo alle pendici della
Tabaretta. Le ombre della notte andavano gradatamente sfumando, le stelle
impallidivano, un bagliore rosato rivestiva la cima innevata dell’Ortles,
mentre le sue terribili pareti erano ancora avvolte nei toni ovattati
dell’alba.
Poi con i ramponi salimmo velocemente e allegramente lungo le pendici
tremendamente sgretolate della Tabaretta in una scogliera ripida e alle 6
eravamo sulla sommità innevata del Passo Tabaretta. Il panorama era già di una
incantevole bellezza, l’Ortles che si ergeva in possenti ondulazioni di
ghiaccio sembrava più alto che dalla valle.
Dopo una sosta di mezz’ora, procedendo lungo la cresta rocciosa girammo
attorno alle guglie selvagge di Cima Tabaretta passando su una parete di
ghiaccio e, arrivati sulla cresta di un contrafforte che si stacca verso ovest,
vedemmo davanti a noi il precipizio diverse centinaia di piedi della gola della
Tabaretta. Oltre la gola, la ripida parete inclinata a 45° e coperta di ghiaccio
della vedretta Tabaretta, sospesa sulla Valle di Tabaretta.
Secondo Pinggera, il picco era completamente cambiato da giugno; allora
era coperto di neve alta, che rendeva superflui i gradini, ora invece si
vedevano ‘solo crepe’. Ma questo non ci scoraggiò per nulla, Pinggera era tutto
ambizioso di poter ‘portare da solo un signore sull’Ortles’. Ci calammo lungo
la ripida fascia di detriti nel canalone e poi ci legammo alla corda. Evitando
la parte più ripida della parete, ci portammo più in alto possibile, ai piedi
di quella fila di rocce che dalla Cima Tabaretta prosegue verso l’Ortles, poi
dovemmo affrontare la gigantesca parete…
Risalendo in obliquo, per tre quarti d’ora Pinggera scavò
incessantemente gradini di ghiaccio friabile, mentre io lo seguivo passo passo.
L’ora successiva si proseguì senza sforzo, solo sul fondo di una terrazza
glaciale sporgeva una parete di ghiaccio friabile e i numerosi blocchi di
ghiaccio presenti richiamavano alla mente le scariche di ghiaccio. Ma l’ora
mattutina ci risparmiò questo pericolo.
(Prosegue....)
(Prosegue....)
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