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La tempestosa nuvola del XIX secolo (26) & (27)
Prosegue in:
Napoleone è passato per di quà... (29)
Ora stiamo per assistere ad un mutamento di scena… lasciamo che la Nube
passi e che il grande Ruskin esponga le sue teorie in anticipo sui tempi giù
da basso… e, lasciamo me stesso, riverso sul tavolino in quel dì di
Cornovaglia…, ma non è possibile: devo pure accompagnarvi sino alla fine del
romanzo…
Se il lettore non ha potuto ancora farsi un’idea chiara di quel pezzo
di terreno situato in fondo all’orto di zio Tobia, la colpa non è mia, ma della
sua scarsa immaginazione; sono certo, infatti, di non aver lesinato i
particolari nella descrizione, anzi sovente mi vergogno della mia pedanteria.
Quando il fato, un pomeriggio, ispezionando i grandi avvenimenti degli anni
venturi, si ricordò a quale scopo quel piccolo lotto di terreno era destinato,
fece un cenno alla NATURA… fu sufficiente… la NATURA vi gettò sopra una mezza
vanga dei suoi più pregiati composti, con quel tanto di argilla sufficiente a
irrobustire gli angoli e le pareti dentellate, senza neppure quel pizzico in
più che avrebbe potuto danneggiare gli attrezzi e rendere quegli splendidi
lavori di fortificazioni un’orrenda fanghiglia, col tempo cattivo.
Zio Tobia, come il lettore ha potuto apprendere, portò con sé le piante
di quasi tutte le città fortificate d’Italia e delle Fiandre. Non appena il
duca di Maribourough e gli alleati attaccavano una città, zio Tobia
immediatamente ne allestiva un plastico in giardino. Il suo metodo, il più
semplice del mondo, consisteva nel prendere visione della pianta della città
non appena questa veniva circondata d’assedio (e se era possibile, anche prima,
quando se ne ventilava soltanto il progetto) e quindi riportarla, con misure
proporzionalmente più limitate, sulla verde spianata delle bocce, sulla cui
superficie, con l’aiuto di un grosso gomitolo di spago, di varie asticciole
piantate nel terreno, di parecchi angoli e contrafforti, riusciva a trasferire
le linee dalla carta e, dopo aver tratteggiato i contorni delle fortificazioni,
determinato la profondità e la pendenza dei fossati, gli spalti della trincea e
l’altezza precisa dei vari parapetti, metteva il caporale all’opera e tutto
procedeva regolarmente….
La NATURA del suolo, il genere stesso di lavoro e soprattutto zio
Tobia, col suo carattere affabile, che se ne stava seduto dalla mattina alla
sera a chiacchierare amichevolmente col caporale sugli ultimi avvenimenti,
rendevano la FATICA tale solo di nome.
Quando la fortezza era pronta, con tutti gli accorgimenti di difesa
adatti, veniva assediata. Zio Tobia e il caporale tracciavano la prima
parallela. Adesso vi prego di non interrompermi con l’obiezione che la prima
parallela deve essere sempre distante trecento tese dal corpo principale della
piazzaforte e che io non ho lasciato nemmeno un centimetro di spazio: perché
zio Tobia si era preso la libertà di invadere anche l’orto per poter ampliare
le fortificazioni della verde spianata, ragion per cui tracciava la prima e la
seconda parallela tra due file di verze e di cavolfiori.
Esamineremo ampiamente i vantaggi e gli svantaggi relativi, nel
racconto delle campagne di zio Tobia e del caporale, di cui sto tracciando ora
solo un abbozzo, che occuperà poche paginette… Le campagne stesse occuperebbero
col loro racconto parecchi libri, capisco perciò che verrebbe appesantito
troppo questo romanzo leggero e frivolo, volendole inserire così
sconsideratamente. Certo meriterebbero di essere stampate a parte. Studieremo
anche questo problema: per ora gustatevi il seguente abbozzo….
Quando la città con le sue fortificazioni fu terminata, zio Tobia e il
caporale cominciarono a tracciare la loro prima parallela, non a casaccio (come
molti potrebbero immaginare…), ma osservando le stesse distanze e misure usate
dagli alleati e, regolando gli assalti in base alle notizie raccolte dal
giornali (o da altre fonti… per ora anonime…), essi avanzavano di pari passo
con gli alleati durante tutto l’assedio… Quando il duca di Mariborough occupava
una posizione strategica, mio zio Tobia faceva altrettanto. Quando la facciata
di un bastione veniva abbattuta o una fortificazione distrutta, il caporale
prendeva il piccone e lo imitava.
E così proseguivano guadagnando (sì guadagnando…) terreno e
impadronendosi di una roccaforte dopo l’altra, finché tutta la città cadeva
nelle loro mani. Per uno che goda della felicità altrui non poteva esistere
niente di più bello che starsene dietro la siepe di carpine la mattina in cui
la posta recò la notizia che era stata praticata una breccia dal duca di
Mariborough nel corpo principale della roccaforte, e contemplare la gioia con cui
zio Tobia, seguito dal fedele Trim, partì anch’egli all’attacco.
L’uno con la gazzetta in mano, l’altro con una vanga sulla spalla
pronto a mettere in atto il contenuto del giornale…… Che ‘onesto’ trionfo nello
sguardo di mio zio mentre marciava alla volta del bastione! Che gioia intensa
nuotava nei suoi occhi quando si fermò accanto al caporale e gli lesse dieci
volte il capoverso, mentre questi lavorava, per timore che magari facesse una
breccia troppo larga o troppo stretta….
Ma quando la ‘chamade’ rullò e il caporale aiutò zio Tobia a salire
sulla terra conquistata, con le bandiere in mano sui baluardi… cielo! terra!
mare… ma a che servono le apostrofi? Con tutti i vostri elementi asciutti o
bagnati, mai riuscirete a comporre una droga così eccitante….
Su questo sentiero di felicità per molti anni e secoli, senza
interruzione di sorta, a meno che il vento soffiasse per una settimana o dieci
giorni sempre verso ovest, il che impediva al corriere di giungere dalle
Fiandre con le notizie e teneva in apprensione i due, su questo sentiero, dico,
zio Tobia e Trim camminarono…..
(L. Sterne, Vita e opinioni di Tristram Shandy)
(Prosegue....)
(L. Sterne, Vita e opinioni di Tristram Shandy)
(Prosegue....)
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