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Il Primo Pensiero (25)
Il Primo Dio o il Primo Pensiero riflesso nel mondo della materia. (Lo Straniero).
Idee di bellezza è il secondo
volume di ‘Modern Painters’; così come era successo per il primo, viene finito
nel corso dell’inverno, dopo un lungo periodo di intenso lavoro di scrittura.
Il libro esce nell’aprile del 1846, contemporaneamente alla terza edizione del
primo volume, che incomincia ad essere apprezzato anche oltre i confini
britannici.
In realtà Ruskin non si occupa
dei ‘pittori moderni’, ma si dedica essenzialmente agli artisti italiani… del
Quattrocento e del Cinquecento (vedi l’Indice) sulle cui opere ha avuto modo di
soffermarsi nel corso del viaggio del 1845. A differenza del primo volume tutto
rivolto allo studio del paesaggio, in questo nuovo lavoro le sue preoccupazioni
sono per la definizione di quelle che Ruskin chiama ‘idee di bellezza’. Egli
affronta il tema in relazione alla pittura, sia analizzando come il paesaggio
sia stato affrontato in letteratura. Rilegge i testi poetici degli autori inglesi
ed anche e soprattutto Dante….
La fine del XIII secolo è probabilmente l’epoca in cui si è più
fermamente creduto che l’arte potesse influenzare la mente umana senza fare
affidamento su una pura capacità di ‘imitazione’. In quel Tempo pittura e
scultura non si spinsero mai oltre una vaga somiglianza con la realtà.
Disprezzo per la prospettiva, chiaroscuro impreciso, assoluta libertà di
immaginazione e fantasia: arte e natura erano separate in modo deciso e voluto.
Ma proprio allora, il più grande poeta dell’epoca e forse di tutti i tempi,
caro amico del più grande pittore dell’epoca, con cui certamente ha un
frequente, profondo e libero confronto riguardo i temi della propria arte, così
si pronuncia sull’estrema perfezione raggiungibile in pittura e scultura:
Qual di pennel fu maestro, o di stile,
che ritrasse l’ombra e’ tratti, ch’ivi
mirar farieno uno ingegno sottile?
Morti li morti, e i vivi parean vivi:
non vide me di me, chi vide il vero,
quant’io calcai, fin che chinato givi.
Qui Dante espone un’idea precisa dell’arte suprema: come uno specchio o
una visione essa deve restituire l’immagine di cose passate o assenti. La scena
si svolge sul ‘duro pavimento’ trova una eterna rappresentazione di natura
angelica; oltre il cerchio di roccia le anime possono prenderne visione come se
il Tempo mondano fosse cancellato e si trovassero accanto agli attori nel
momento dell’azione. Non credo occorra l’autorità di Dante per costringerci ad
ammettere che questa sarebbe la più alta forma d’arte…..
Collezionare quadri può procurarci ogni sorta di piacere, mai un
piacere paragonabile alla possibilità di togliere la tela dalla cornice per
ammirare, una eterna immagine della scena che per noi è sempre stata solo
l’oggetto cui si è applicata la fantasia dell’artista. Ammirare ad esempio, la
Maddalena mentre riceve il perdono prostrata ai piedi del Cristo, oppure i
discepoli seduti con Lui alla tavola di Emmaus. Non una debole fantasia, ma
come se uno specchio d’argento appoggiato alla parete avesse ricevuto l’ordine di
trattenere miracolosamente i colori riflettuti per un istante. Se ciò fosse
possibile, non abbandoneremmo il nostro quadro, Tiziano o Veronese che sia?
Certo risponderà il lettore, ma per scene di tale genere, non per altre
poco interessanti. No di certo, se fossero scene volgari o dolorose. Ma ancora
non sappiamo se l’arte che rappresenta soggetti volgari o dolorosi ha tuttavia
grande valore ‘in quanto arte’. Sia detto con il dovuto rispetto per l’arte che
sceglie a soggetto ogni forma di bellezza, ma l’idea di perfezione espressa da
Dante sembra avvalorare tale ipotesi.
Spesso le persone di innato buon senso e con il coraggio delle proprie
idee, esprimono dubbi radicali sull’utilità dell’arte in conseguenza
dell’abitudine a confrontarla con la realtà. ‘A che mi serve un paesaggio
dipinto?’ si chiedono. ‘Vedo paesaggi più belli ogni giorno, durante la
passeggiata pomeridiana’. ‘A che mi serve l’immagine dipinta di un eroe o della
bellezza? Vedo esempi di eroismo più alto e luce di bellezza più pura sui volti
attorno a me, nulla che si possa rendere neppure con la più grande abilità’.
Evidentemente, per costoro gli unici dipinti di valore sarebbero degli specchi
capaci di restituire l’immagine costante di oggetti graditi e di volti amati.
‘No, - interrompe il lettore di scuola idealista, - nego che la natura
mostri cose più belle dell’arte; al contrario, tutto è imperfetto in natura
mentre l’arte rappresenta la natura come se fosse perfetta’. Ma allora, questa
natura perfezionata dovrebbe essere poi rappresentata in maniera imperfetta? Il
pittore che ha concepito la perfezione dovrebbe poi dipingerla in modo che
appaia solamente un quadro? Oppure ha ragione, anche in questo caso, Dante, e
la perfetta concezione di Pallade dovrebbe essere resa in modo da sembrare
Pallade, non la raffigurazione pittorica?
Non è facile trovare una risposta corretta perché risulta complicato
immaginare un’arte che raggiunga tale grado di perfezione. Il nostro potere di
imitazione è così debole che, se desideriamo una riproduzione perfetta,
dobbiamo scegliere un soggetto limitato e di basso livello. Non voglio ora
considerare le possibilità di ampliamento del potere di imitazione. Fino
all’oggi è rimasto certamente entro limiti angusti, tanto che difficilmente
possiamo concepire un’arte imitativa in grado di cogliere la gran varietà dei
soggetti disponibili. Il lettore però rifletta sul prezzo che pagherebbe per
poter fermare, in un momento, le scene più belle, spesso solo l’apparizione di
un attimo; per far rimanere una nuvola che se ne sta andando, fissare una
foglia che trema, il mutare di un’ombra; per costringere alla sosta
l’increspatura indisciplinata di un fiume e ordinare all’onda di un lago di
durare in eterno; per impadronirsi di un raggio di sole, oscurato e flebile e
pur tuttavia così bello; un falso, certo, ma che non sembri un falso,
l’immagine vera e perfetta della vita stessa.
Ma ancora non ho espresso in modo adeguato la regalità di un tale
potere. Consideri allora il lettore che si tratta, in realtà, della pura e semplice
possibilità di lasciarsi rapire, in ogni momento da una scena, da un luogo
ovunque esso sia; equivale al dono di una vita spirituale senza corpo.
Immagini, di seguito, cha tale dote negromantica non abbracci solo il presente
ma anche il passato e ci offra l’impressione di entrare nel corpo reale di
uomini ormai da Tempo trasformati in cenere, di ammirarne le azioni come se
fossero vivi ma non solo, con privilegio ben maggiore di chi condivise in vita
le loro gesta, accelerarne i gesti a piacere, osservare l’espressione di un
particolare momento e trattenerli sulla soglia di una grande impresa,
nell’attimo bruciante di una decisione immortale….
Sforzatevi di immaginare un potere così fatto e dite se si può
discorrere con superficialità dell’arte che ce lo attribuisce. Non è forse più
opportuno mostrare reverenza per un dono quasi Divino che ci accomuna alle
schiere degli Angeli e degli Spiriti offrendoci la loro stessa felicità?
Nel nuovo volume si incominciano
pure a intravedere alcuni temi sui quali si impegnerà con fervore il Ruskin più
maturo, come la critica al capitalismo, la condanna degli effetti della
rivoluzione industriale e la proposizione di modelli basati su un ‘comunismo’ a
sfondo cristiano. Malgrado John non abbia abbandonato del tutto le ricerche
sulla bellezza delle montagne, il Viaggio del 1846 non sembra essere
particolarmente ricco di risultati in questa direzione. I Ruskin valicano due
volte le Alpi, si fermano a Chamonix per quattro giorni, ammirano di nuovo le
cime dell’Oberland Bernese, ma gli studi alpini di John non fanno progressi.
Verso la metà di aprile (1849),
però, Ruskin finisce di scrivere ‘The Seven Lamps of Architecture’, mentre si
prepara a partire per un nuovo Viaggio con madre e padre. Ancora una volta un
suo libro esce mentre lui è lontano da Londra, e così si ritrova ad aspettare
negli alberghi le notizie sull’accoglienza ricevuta dal suo lavoro in patria.
Con il tour del 1849 John intende tornare allo studio del paesaggio alpino e
procedere nella stesura del terzo volume di ‘Modern Painters’. Per questo ha in
mente di passare diverse settimane a Chamonix e nelle Alpi per raccogliere il
materiale che gli serve per completare la sua opera. Di tutti i suoi Viaggi
nelle Alpi questo è quello più produttivo, sotto tutti i punti di vista. Lavora
senza posa, come è testimoniato dalla quantità di note raccolte nel suo….
Se in un luogo vediamo nulla di diverso da quello che c’è non
dipingeremo altro e rimarremo semplicemente dei pittori di paesaggio
topografico o storico. Se, arrivando in un luogo, vediamo qualcosa di diverso
da quello che c’è, allora lo dipingeremo; anzi, ‘dovremo’ dipingerlo, volenti o
nolenti, poiché è l’unica realtà alla nostra portata. Guardiamoci però dal
fingere di vedere questa irrealtà, se non la vediamo.
Il semplice rispetto di tale regola porrebbe fine a quasi tutte le
polemiche e spingerebbe moltissimi, tra coloro che ora sprecano completamente
la propria vita, a intraprendere un lavoro salutare. Per un artista, dunque è
importante definire, innanzitutto, se egli stesso sia dotato di un carattere
inventivo, oppure no. E’ facile accertarsene. Il pittore ha inventiva se gli si
presentano Visioni irreali che supplicano di essere dipinte; Visioni in forma
involontaria, soggette a un incontrollabile andirivieni; Visioni che non
vengono sollecitate nel caso decidano di non arrivare e non vengono scacciate
quando arrivano.
(Prosegue....)
(Prosegue....)
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