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L'equazione del... Tempo (43)
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Vida noua Vida... (45)
L’inverno durava ancora….
Imponeva la sua volontà e si prendeva il suo Tempo, riferisce
amaramente il cronista (l’umile cronista di questa breve vita…).
Conservava il suo pieno vigore, benché il sole brillasse ormai per gran
parte della giornata. In quel giorno di Pentecoste, il 4 di giugno dell’anno
1620 dopo il Nostro Salvatore, i bianchi campi di neve si stendevano ancora
immacolati verso l’orizzonte a nord…
Neppure una breccia di mare azzurro brillava nella luce. La Baia di
Hudson era una pista da ballo piana e deserta dove il vento, qua e là, invitava
un fantasma a danzare. Un po’ più a monte della foce del fiume, le navi erano
bloccate nella banchisa…
La più piccola, lo sloop ‘Lamprenen’, era stata trascinata verso la
costa mentre la fregata ‘Enhiorningen’ giaceva piegata su un fianco a circa 120
braccia dalla terra ferma…. La pressione dei ghiacci disegnava una gorgiera
intorno ai suoi fianchi catramati, un battere continuo proveniente dal ponte di
poppa risuonava lontano sulla terraferma….
Sulla costa, tra le capanne dei carpentieri, la neve era ancora alta.
L’oca selvatica aveva incominciato a migrare verso nord, i grandi stormi di
uccelli volavano imperturbabili sopra i campi, qui non c’era anima viva, qui
abitavano solo i morti e i morti non alzano il moschetto contro la prelibata
oca selvatica.
Nella neve si drizzava una cinquantina di croci di legno e sulla
distesa di ghiaccio, tra la più grande delle navi e la costa, giacevano quegli
uomini che non avevano neppure una croce. Alcuni erano per metà coperti di
neve, come se, sorpresi dal gelo, in assenza di una vera tomba avessero cercato
di proteggersi con uno di quei bianchi piumini.
Ma come già constatava sua eccellenza Movritz Stygge, rivolgendosi più
che altro a se stesso in quella fredda giornata di aprile in cui, in piedi sul
bastingaggio, le mani rovinate, osservava le croci: ‘I morti non hanno freddo,
al contrario. Tra loro c’è di certo qualche povero diavolo che spera che faccia
un po’ meno caldo là dove ora si trova’.
Queste profonde parole furono pronunciate il 7 aprile dell’anno 1620
dopo il Nostro Salvatore. Cinque giorni più tardi a bordo vennero fabbricate
tre nuove croci. Tra queste, una per il signor Movritz. Ma ciò accadeva tanto
Tempo fa’, oggi tutto è calmo nella Baia di Hudson…. Nel corso di questa lunga
giornata di Pentecoste l’unico rumore che si sente è il battere regolare che
proviene dalla nave più grande, dove una cima si è staccata dal sartiame e va a
colpire a brevi intervalli con un paranco il fianco del castello di poppa.
Lì accanto sono coricate tre figure, ma nessuna di loro chiede che cosa
sia che continua a picchiare in quel modo sopra le loro teste. Giacciono con il
viso contro il ponte e le braccia tese, come se, anche nella morte, volessero
aggrapparsi alla nave inclinata.
Navigano… non fanno domande….
Non l’hanno mai fatto…
Nello scaldavivande di bronzo della cabina di poppa il fuoco era
spento. Il sole di Pentecoste penetrò dall’arcuata finestra laterale, si posò
su un rotolo di cavi, sfiorò un boccale e disegnò il profilo di alcune figure
scure. Anche laggiù c’erano tre uomini coricati.
Il capitano riposava nella cuccetta vicina al tavolo, sembrava vecchio
e provato, ingrigito anzitempo. Il gabbiere era sdraiato sul tavolaccio a
sinistra e l’aiuto cuoco allungato sul pavimento davanti alla cabina del
capitano, la testa sepolta tra le mani rovinate.
Il sole di Pentecoste si imporporò per qualche istante nella lampada
che, appesa a una trave sopra il tavolo, rivelava l’inclinazione della nave nel
ghiaccio. Man mano che il giorno calava, il raggio di luce abbandonava l’ottone
lucente per scivolare sui tre uomini, attardandosi prima sull’uno e poi
sull’altro. Due di loro rimasero immobili. Il terzo si mosse….
Era il capitano….
Fuori aveva inizio lo spettacolo consueto della sera. La banchisa si
divideva in chiazze dorate e viola scuro. La neve si colorava d’azzurro.
L’inverno durava ancora. Sembrava che a poco a poco si fosse impadronito
dell’intera stagione successiva, ma a queste latitudini la primavera giunge
sempre all’improvviso…. Nella cabina di poppa il capitano, spinta via la pelle
d’orso, cercava di alzarsi, e il fiato che gli usciva dalle labbra formava piccole
nubi di vapore nel locale stantio.
Finalmente riuscì a mettere le gambe fuori dalla cuccetta, ma rimase a
lungo seduto, le mani appoggiate al tavolo, lottando contro le vertigini. La
cabina oscillava da un lato all’altro. Era come se la nave si fosse improvvisamente
liberata dal ghiaccio; poi, però, tornata in acque calme, ritrovò a poco a poco
l’inclinazione di prima.
Si guardò intorno, il gabbiere dormiva, l’aiuto cuoco era morto.
Volgendo poi gli occhi ai propri avambracci appoggiati al tavolo, si sfilò i
guanti con precauzione e fissò le sue mani rovinate, come se stentasse a
credere che erano proprio le sue. La luce penetrava quasi orizzontale nella
stanza, tra poco sarebbe stato buio. Dopo aver frugato un po’, pose sul tavolo
davanti a sé un quaderno, la delicata copertina di pergamena è macchiata di
sangue, sulla prima pagina sono scarabocchiate alcune parole:
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