CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

domenica 17 agosto 2014

GNOSI PAGANA (12) (Eretici 7)


















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Il pubblico di Giuliano era composto, nella dialettica ‘Contra Heracleium’, per sua stessa e inorridita ammissione, da ‘menti disposte a tutto tranne che allo studio della filosofia…’.
Ad un tempo, predicatore, teologo e polemista, nonché monaco per il suo proverbiale ascetismo, egli si sforzò di dimostrare, al pari dei critici pagani dei secoli precedenti, che le parti salienti dei Vangeli, null’altro erano che un prestito dell’evoluzione ‘Gnostica della Storia umana’, episodi più o meno ricorrenti, nei quali il Divino cade nell’ ‘inumanità terrena’. Ed inoltre che le parti salienti dei Vangeli erano state prese in prestito dalla mitologia e dalla teologia del paganesimo, chiaramente questo aspetto ‘antropologico’ (o studioso della storia delle religioni…) della figura di Giuliano, non mancarono di suscitare irate reazioni da parte dei cristiani contemporanei, soprattutto quelli avvezzi ad un approccio ‘favolistico’ (ad uso di vecchiette e bambini) della disciplina teologica.




Il Filosofo Giuliano, mirava in primo luogo a convincere e dimostrare attraverso una ‘inattesa Gnosi’ per quei difficili secoli, l’opinione pubblica del legame esistente ed ‘imprescindibile’ fra la religione greco-romana ed i culti misterici semi-ufficiali, di cui in molti casi era egli stesso un seguace.
Desiderava che i suoi sudditi si rendessero conto dell’importanza assunta dagli ‘Dèi dell’Olimpo’, nel contesto di una teologia non meno originale del nascente cristianesimo.
La tentata riabilitazione spirituale di Euripide ne è un esempio storico di chiara manifestazione ‘velata’ dello Gnosticismo pagano. Solo degli ignoranti (quali erano e sono i Cinici..) potevano considerare irrilevante sul piano spirituale la filosofia di Eraclito ed Empedocle. Giuliano dimostra che, se Eraclito aveva indicato nella teurgia l’unica strada per giungere all’illuminazione, Empedocle, imbevuto della stessa conoscenza mistica di Giuliano, aveva descritto la condizione miserevole di coloro i quali sono ciechi dinanzi alle verità teologiche (anzi spesso come già successo al Cristo degli Ebrei, uccidono il loro stesso Dio, purché si assecondi il Dio Secondo degli Scribi del Tempio).




Giuliano, lo associa, come altri Gnostici Eretici prima di lui, nel tentativo della stessa ‘prosecuzione storica’, a Platone, Aristotele, Plotino e Giamblico, sottolineando ad un tempo l’origine orfico-pitagorica dei ‘misteri’ e la sostanziale unità della dottrina neoplatonica. Il motivo va ricercato nella difesa di una ‘teurgia’ con le parole prese in prestito da Plotino, ma si trincera dietro oscure formule pitagoriche quando teme di avere, a causa dell’entusiasmo teologico-divino, rivelato più del dovuto, anche a quegli stessi cinici-ignoranti che rappresentavano una forma corrotta e falsa di filosofia.
Linguaggio ermetico-velato che non sarà nuovo nella storia del pensiero culturale italiano, vittima di una futura ed agonizzante ignoranza.
Infatti, nel ‘Contra Haracleium’, Giuliano oltre a scagliarsi contro i ‘cani-ignoranti ed ipocriti’, afferma, sia pur in modo frammentario e allusivo, che la teurgia neoplatonica ‘ha’ profonde radici nella tradizione teologica greca (e di conseguenza questa con….). Da questo punto di vista si limita a ricalcare le orme del grande esegeta sincretista Giamblico, ispiratore dei due principali sviluppi della Scuola.




Adottando i principi della teurgia e le pratiche esoteriche degli ‘Oracoli Caldei’, Giamblico trasformò il neoplatonismo da filosofia fortemente caratterizzata in senso mistico a religione misterica; inoltre si sforzò di presentare la propria dottrina come l’unica in grado di riprendere i temi del pensiero filosofico greco dell’età classica.
Se il maestro di Apamea era il Padre pagano per eccellenza, Giuliano amava considerarsi il primo dei suoi apostoli (nella ferma volontà di salvare una cultura millenaria di ordine teologico-filosofico), infatti egli si adoperò per convincere i contemporanei che la dottrina morale e filosofica, ovvero il fiore della tradizione filosofica ellenica, affondava le sue radici in Oriente, e che Pitagora, Platone e Aristotele, si erano limitati a tradurre nei termini del ‘razionalismo ellenico’ un sapere conservato ed elaborato dai successivi sviluppi del pensiero greco.

(Prosegue...)














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