CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
30 MAGGIO 1924

lunedì 19 gennaio 2015

I NOSTRI PRIMI SOGNI I NOSTRI PRIMI PENSIERI (7)






















.... Accumulo di eccedenze produttive. Nella prima ondata di conquista, molti dei luoghi sacri aborigeni vennero saccheggiati e violati, e molti degli originari abitanti di pelle un po’ più scura furono trasformati in profughi, privati purtroppo per sempre, di uno scopo di vita.
‘La nostra Terra è stata trasformata in un deserto dagli insensati bianchi’, solevano dirmi trent’anni fa molti degli Aranda più anziani, indirizzando lo sguardo ad un territorio tristemente privato del suo precedente stato di fertilità da anni e anni di siccità e da accumuli di eccedenze senza precedenti. Commentando con amarezza la rapida distruzione delle piante alimentari selvatiche e la quasi completa estinzione di molte specie di marsupiali, che prima abbondavano, essi dicevano tristemente: ‘Gi anziani che conoscevano il modo di chiamare a raccolta le nubi della pioggia, far moltiplicare gli animali e mantenere verde la Terra, adesso sono morti, e anche la nostra Terra sta morendo’.
Il Tempo ha attenuato molti dei più foschi colori di questo sgradevole quadro – il quadro di sedicenti esseri umani ‘avanzati’ che infangano (ed infrangono..) i loro stessi ideali di condotta civile e cristiana quando vengono a contatto con un popolo ‘primitivo’, la cui agonia è stata liquidata come stolta resistenza all’avanzata della Cultura del Progresso da parte di selvaggi fermi all’Età della Pietra. Sfortunatamente per gli abitanti dell’Australia centrale, l’uomo bianco invase per primo il loro territorio, nel momento in cui il flusso crescente del colonialismo europeo stava soffocando ovunque la resistenza dei non-europei, e il tronfio orgoglio dell’uomo bianco era al culmine della sua arroganza. Molti osservatori contemporanei delle vicende mondiali ritengono che la ‘hybris’ degli Europei del XIX secolo abbia avuto la sua degna ricompensa nel XXI secolo; e ovunque, nell’attuale era atomica, seri dubbi su molti aspetti della propria cultura tradizionale invadono la mente degli intellettuali progressisti.




… A noi che viviamo in Australia sembra di dover fronteggiare un nuovo paradosso. Gli abitanti originari di questo paese hanno vissuto per centinaia di anni in uno stato di amorevole vicinanza con la Natura, accontentandosi dei più scarni e poveri possessi materiali. Nella loro lotta per l’esistenza questi uomini si sentivano sicuri del fatto che, nonostante le malattie, la siccità e le catastrofi naturali, l’esistenza continua di uomini, animali e piante sarebbe stata salvaguardata per tutta l’Eternità, poiché essi credevano che tutti gli organismi viventi fossero parte globale della vita di questa Terra, vivente ed eterna. Quando gli europei vennero in Australia, portarono con sé piante da coltivare e animali da addomesticare. Inaugurarono un’epoca moderna di alto progresso tecnologico e di grandi lavori ingegneristici. Nel giro di poche generazioni a partire dai primi insediamenti bianchi, l’Australia divenne una nazione con una cultura materiale pienamente novecentesca, e poté gloriarsi di possedere ‘uno dei più elevati standard di vita’ del mondo.
La fede cristiana e una visione scientificamente accurata dell’Universo sostituirono quella che, a molti dei primi invasori bianchi, era dovuta sembrare una massa confusa di ‘grossolane superstizioni’ generate dalle ‘infime menti’ della ‘più miserabile razza sulla faccia della Terra’. Eppure questi cambiamenti rivoluzionari e nel complesso molto redditizi, che oggi assicurano a tutti gli australiani contemporanei, sia neri che bianchi, abbondante cibo, un buon standard di salute, nonché la rinnovata promessa del più gratificante progresso materiale in ogni campo, non sembrano aver portato con sé un ‘aumento proporzionale di felicità umana’. E’ un fatto che, sfortunatamente, tutti gli australiani oggi sono arrivati a condividere i timori, i dubbi, e il forte senso di disillusione tipici di quella comoda costruzione fittizia moderna che è l’‘Uomo Comune’, ovunque su questa Terra egli si trovi.




La nostra età moderna manca, tristemente, di quel senso vitale e di quella profonda convinzione di essere in comunicazione con delle verità e dei valori che si credono eterni. Di conseguenza molti di noi, se non tutti, sentono di aver perso qualcosa che i nostri progenitori un Tempo possedevano – una fiducia che cominciava là dove la conoscenza, derivata dai sensi e dall’intelletto, aveva raggiunto il suo limite massimo, una fiducia che può appropriatamente essere descritta come ‘la fede nelle cose in cui si spera, la certezza della realtà che non si vedono’. Sembra certo che sia stata la battaglia tra Scienza e Religione, cominciata nel XIX secolo, a rendersi responsabile in larghissima misura del senso di malessere psicologico che caratterizza le società del XX secolo. Proprio quando religione e scienza cominciano a scontrarsi, ogni comunità perde il senso dell’integrazione con l’Universo circostante. Per quanto i critici, sentendosi superiori, possano sorridere dei semplici concetti religiosi del ‘popoli primitivi’, resta il fatto che i numerosi tentativi moderni di elevare il progresso materiale a più alto e nobile obiettivo gli sforzi umani, e di fornire un sostituto del tutto adeguato e soddisfacente della religione sotto forma di spiegazioni dell’Universo formulate in termini di mere equazioni matematiche, hanno finora dato a pochissimi senso di sicurezza nel presente, o speranza di un mondo più umano nel futuro.
L’uomo civilizzato contemporaneo è circondato di beni materiali di una ricchezza non mai neppure sognata dalle civiltà precedenti, e il suo futuro è protetto dalla complessità delle macchine dell’assistenza sociale tipica dei moderni Stati assistenziali. Ma, benché la sua immaginazione corra il rischio di venire accecata dal bagliore delle batterie dei riflettori scientifici, che cercano di alzare il velo da tutti i misteri  della mente, della materia, dell’energia, che erano  avvolti nell’oscurità per i nostri progenitori, l’uomo civilizzato moderno non sembra aver conquistato un reale sentimento di sicurezza (compresa quella sicurezza psicologica, oggetto e motivo di queste ‘epistole’…), nello Splendido Mondo Nuovo di sua creazione. In verità, dietro il luccichio delle conquiste umane giace il timore persistente che la Terra su cui l’uomo vive, quella Terra nata da una stella all’inizio dei Tempi, possa un giorno, alla semplice pressione di un bottone per opera della mano di un folle, dissolversi in una polvere stellare radioattiva, in un’inimmaginabile catastrofe di calore, esplosioni e fuoco.




Forse persino l’uomo civilizzato potrebbe migliorare le sue prospettive di un futuro più sicuro adottando alcuni dei concetti di tolleranza e cooperazione su cui gli aborigeni australiani basavano il loro sistema sociale e politico. Sembra certo che l’uomo moderno riconquisterebbe molta della perduta pienezza emotiva, se gli si potesse ancora una volta mostrare il modo di mettere in contatto la sua esistenza temporalmente limitata con le ricchezze e le verità insite nell’Eterno, attraverso una fede che fosse formulata in termini capaci di armonizzarsi con una visione scientificamente corretta dell’Universo. I cinici, guardando indietro alle pagine macchiate di sangue che narrano la storia del sorgere e dell’affermarsi delle grandi religioni del mondo, avranno poche difficoltà a trarre da esse una serie di argomentazioni contro l’atroce fanatismo e l’intolleranza che tanto spesso sono stati partoriti da organizzazioni umane costituitesi al fine di prorogare e conservare anche le convinzioni più nobili (di contro ugual fanatismo di quel fondamentalismo religioso con medesimi intenti ed obiettivi…).
Eppure, può la scienza da sola penetrare realmente i misteri fondamentali e vitali dell’Anima, della materia, dell’energia, che determinano il benessere umano?
Possono le nozioni di bene e male venir determinate, definite, pesate e misurate attraverso astratte formule, siano esse matematiche, fisiche o chimiche?
E’ possibile dimostrare attraverso il solo ragionamento logico, o con equazioni matematiche, che gli uomini e le donne sono ‘esseri liberi’ nelle loro azioni più determinanti?
E’ forse l’Universo, nel quale passiamo per un breve lasso di Tempo, il mero risultato del cieco caso, o sarebbe forse più corretto definirlo come un ‘Universo Teologico’, governato da precise leggi logiche?
(T. G.H. Strehlow, I sentieri dei Sogni)




Trovare la ‘soluzione’, cercare una probabile ‘terapia’, o una ‘semplice equazione universale’ per malesseri comuni come hai formulato nella tua analisi è cosa Teologica con un fine umanitario nel quale non solo la gratificazione economica può sollecitare e motivare ulteriormente il tuo senso di ricerca, ma anche, per opposta visione, trovare quella giusta connessione che tale motivazione ti ha suscitato scoprendo verità ‘Invisibili’ nella loro immutata Prima Sostanza, Immateriali, e talvolta o molto spesso, Incomprensibili ad un linguaggio cui pensiamo affidare la comprensione della grammatica della vita, compreso quel Dio che tanto cerchiamo fuori.. o dentro di noi, verità con le quali ti devi misurare e confrontare per rendere il tuo obiettivo più… Divino che Umano.
Ed a un Trovatore, affido, qual Straniero io sono, un barlume di Poesia che la Rima della vita ci accompagni in questa Preghiera Antica….




Volto non aveva, come un Libro Grande tomo senza titolo di giacenza nello scaffale della storia: biblioteca di oscura memoria. Ed anche mai si era udita la sua strana lingua. Una fitta nebbia è il ricordo della storia purgata dell’immonda Eresia. Forse perché convinta del sole che dopo illumina l’intera vallata essere la sola via, e con essa la vita.
Certo è, io che ho scrutato e letto ogni libro, io che ho adorato ogni profumo antico di un prato, di un fiore, un albero appena fiorito mentre la sua preghiera si nascondeva…: ho visto il vero Dio Infinito senza alba… e quell’uomo comporre la Prima nebbia.
Non avrei certo goduto il mio sogno incompiuto nella materia caduto. Ogni muschio di quella primavera, ogni foglia e frutto, giammai avrebbe sfamato… il mio spirito arguto. Sono un Trovatore, ed ora che gli anni son passati mi appoggio al mio bastone, un tempo fui anche scienziato botanico e geologo. Nella ragione e nel raziocinio ho costruito il mio inchino alla stessa alba di quel mattino. Poi a nuova vita, tornato dal mio strano peccato di spiare ogni elemento del creato, in poesia mutai la mia Dèa.




Lei era atea, a nulla credeva, eccetto che, ad un numero senza uno Spirito, ad una equazione senza un’anima, per scoprire poi ad un principio di mattina, fra una cifra ed una parentesi, che anche se l’equazione può spiegare l’elemento, in realtà vi è un caso costante che rende ogni numero imperfetto.
Uno scherzo, uno strano segno di un sogno ancora non letto. Un sovrano strano che rende la mia scienza suo diletto, per burlarsi del mio… Dio. Così, quando nel tramonto della mia ora volsi gli occhi ad una diversa parola, ad un diverso principio, rinacqui all’alba di un nuovo mattino.  La poesia in questa vita divoro come fossi un animale in cerca di cibo, con solo l’istinto principio del suo stomaco che chiede nutrimento… per saziare lo spirito.
Poi, ho compreso, su un letto di fiume, quando la stagione mutò il suo corso, che ogni strofa dovevo ricomporre dalla nebbia di quella prima mattina di una fame antica che mi divora. Non è solo una crosta di Terra che sazia la mia memoria, oppure una conchiglia con cui compongo e ascolto l’intera storia. Ma un frammento, una parola, una poesia, una visione antica, fuggita…. all’alba di una mattina.
In una vallata forse l’ho trovata, un tempo, quando Dio mi ha sussurrato parte del frammento… da lui creato. Ebbi la certezza di capire ogni cosa. Ebbi la presunzione di intuire e vedere ogni elemento, prima e dopo, quel poco avvistato. Scavai la memoria di quel torrente, vidi ghiaccio e fuoco e pensai di essere padrone di ogni elemento, ed il sogno ricomponevo nel segreto di un… laboratorio. Pensai di conoscere il mistero della vita, ciò che vedo, non accorgendomi che in realtà ero più cieco di prima. Ogni esperimento confermavano la potenza del mio Dio. Forse perché pensavo di vedere o intuire la sua forma, il suo pensiero, riflesso nello specchio della mia breve ora. Forse perché pensavo di scorgere il mistero non ancora svelato dell’intero Creato. Addirittura ebbi la presunzione, nell’ora che volge al tramonto, di udire la parola, la musica antica, come un boato dal nulla della mia ora.




Dopo di quello scorgevo la grammatica della vita: milioni di ère a cui diedi un nome, fondai la mia disciplina.
Nulla vi era eccetto quello che vedevo.
Nulla vi era oltre il breve frammento della vita.
In quella vita, fui ateo, senza spirito, eccetto la conoscenza del mio arbitrio, scienza saggia, fors’anche priva di poesia, poi, quando ancora non era tramontata (la stagione ora … non ricordo…), la luce pensai vedere, cercando di spiare più da vicino l’occhio di un Dio.
Ho scomposto il suo mistero, il suo occhio, e vi lessi ogni segreto: onda e particella del creato, poi un caso… cambiò il mio destino. Il sole si oscurò, il giorno si spense, come un pozzo senza fondo, un buco nero senza contorno.
Così compresi che ciò che non si vede… è artefice e mente.
Così capii che nell’occhio di quel Dio si nasconde un ‘delirio’ antico, non appartiene alla divina luce del Creato.
Anche se questa è illusione di vita, il principio della realtà divina regna nella nebbia di una Prima Mattina, dopo una scura notte, dove a stento ci sembra di scorgere il Giorno della Vita…. Certo è, che questa fu ed è Eresia, perché, benché ateo, tutta la mia scienza dimorava su un libro, quasi fosse una Bibbia, e se pur il mio Dio creò il mondo in millenni di sudore, era in un certo modo parente, non dico stretto, di uno stesso Dio Straniero al suo verbo alla luce di uno stesso mattino.
Io e quel prete, o Papa che sia, adoriamo la vita così come fu concepita in funzione dell’uomo suo signore e padrone. Possiamo nutrire divergenze, ma il resto di quanto pregato dell’intero Creato, da me.. e quel prete, è materia ed elemento su cui debbo porre la mia legge.
Ogni cosa creata fu a noi donata non solo per studiare occhio e pensiero del mio Dio… non detto, ma per scrutare cammino e sentiero da qui fino su… in quell’azzurro cielo solo appena accennato… Per questo la notte osservo le stelle, sì certo… noi veniamo da quelle, vi scorgo la mente del Creato, per il prete è Dio l’artefice di tanto spettacolo. Ogni altra magia o antica alchimia, scienza arcana… eresia o strega che sia.., spiriti inquieti di altri misteri, appartengono ad un mondo confuso di una mente malata fors’anche approssimata… Confusi nell’ignoranza pagana di uno Sciamano futuro ciarlatano e di una superstizione antica che vuole ogni cosa viva….
      
     

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