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I nostri primi sogni i nostri primi pensieri (6)
Una roccia che si trova nell’emisfero nord
e che possiede una magnetizzazione rimanente che punta verso il nord magnetico
attuale e verso il basso è caratterizzata da una magnetizzazione normale, al
contrario, se la magnetizzazione punta verso il sud attuale e verso l’alto, la
roccia sarà caratterizzata da una magnetizzazione inversa o polarità magnetica
inversa. Il legame che si delinea fra tragitti d’inversione, il flusso fluido
nel nucleo esterno terrestre e la temperatura nel mantello lascia presagire una
possibile correlazione tra processi del nucleo e quelli della litosfera.
(F. C. Wezel, Compulsare gli archivi
storici della Terra)
Ora analizziamo una disciplina parallela alla precedente,
forse meno accreditata, ma sicuramente presente nella storia passata in maniera
ricorrente. Anche se, come spesso succede, non si ha reale cognizione nel
rapportarla nella giusta universalità che gli appartiene. Io la introduco,
perché, per associazione culturale quando penso alla stratigrafia geologica,
rimando le mie ‘intuizioni’ mentali anche a questo strato di verità poco
conosciuta e percepita.
La radioestesia è la capacità di misurare
le energie sottili, spiegabile anche come concetto di energia vitale. I primi
personaggi a fare riferimento, fuori dal contesto specifico di singole
mitologie, sono filosofi come Aristotele, Eraclito, Talete, Anassimandro, Empedocle (nella stratigrafia
dell’epoca specifica di appartenenza). Possiamo concepire che elettricità e
magnetismo, così come altre forme di energia riconosciute, siano forme di
espressione di energia vitale, una forza naturale vitale che in ultima analisi
è ciò che noi definiamo totalità di una visione complessiva dell’universo. I
popoli preistorici pensavano che l’energia vitale dipendesse fortemente dal
rapporto con gli elementi della natura, secondo la specie dei loro effetti,
degli dei o demoni, i quali avevano un grande significato. Abbiamo un elenco
lungo di popoli che lasciarono una documentazione scientifica sulla energia
vitale, ma traccia di essa la possiamo riscontrare anche in singole mitologie. Quindi
la specifica attinenza di questa disciplina, piuttosto antica, è la capacità di
misurare le energie sottili, energie chiamate in causa anche in specifici campi
della geobiologia. Nella vita di tutti i giorni siamo esposti con vari campi di
energia, dalla meccanica alla nucleare passando per quella elettrica, eolica
termica. Tutte energie quantificabili e misurabili. Al contrario questa energia
sottile non è rilevabile.
(Breve sunto di pagina web)
Che attinenza riscontriamo fra queste due
materie? Come rapportare la specifica simmetria appartenente al campo dei loro
studi nella logica disquisizione a proposito di un aspetto propriamente
negativo o demoniaco dell’uomo, evidenziato in ‘maschi bestiali’?
Un filo di congiunzione c’è, anche se
impercettibile, sottile appunto, ed apparentemente invisibile. Ho
precedentemente detto la volontà di cercare quel punto non direzionale fuori
dall’‘irreversibilità del tempo’, estraneo alle tendenze della vita, come
condizione materiale. Ebbene nell’aspetto dell’Universo incarnato
successivamente nella manifestazione della Terra sua figlia, abbiamo
individuato energie imprescindibili a cui essa (la vita) sottostà. Con il
confronto di due possibili concezioni di essa, una incline al moto più o meno infinito della spirale, da cui sono partito, l’altra ad una evoluzione non
direttamente connessa con i principi primi e fondamentali della vita stessa. Ho anche evidenziato
precedentemente come il ‘moto’ umano spesso non coincida con la progressiva
‘intelligenza’ non vista ma di cui godiamo il perfetto sviluppo di un disegno
cui percepiamo le forme esteriori, ‘apparenze di altri mondi’. Delineo due vie,
e con esse le fratture, non disgiungendo argomentazioni che mi riconducono
nell’ambito di connessioni in cui taluni eventi, che rilevo volta per volta, si
evidenziano nella loro apparente non uniformità.
Tra migliaia di anni, quando del passato
si potranno scorgere solo le linee principali, le nostre guerre e le nostre
rivoluzioni avranno ben poca importanza, se ancora se ne serberà memoria; ma
della macchina a vapore, e di tutte le invenzioni che ne sono seguite, si
continuerà a parlare forse come oggi parliamo del bronzo o della pietra
levigata; servirà a definire un’ epoca. Se potessimo spogliarci di ogni
orgoglio, se, per definire la nostra specie, ci attenessimo rigorosamente a ciò
che la storia e la preistoria ci presentano come la caratteristica costante
dell’uomo e dell’intelligenza, forse non diremmo ‘Homo sapiens’, ma ‘Homo faber’.
In definitiva, l’intelligenza, considerata per quello che sembra essere il suo
momento originario, è la facoltà di fabbricare oggetti artificiali e in
particolare utensili atti a produrre altri utensili, e di variarne
indefinitamente la fabbricazione. Ora, non è forse vero che anche un animale
non dotato di intelligenza possiede tuttavia utensili e macchine? Sì,
certamente; ma in questo caso lo strumento fa parte del corpo che lo utilizza.
E in corrispondenza di questo strumento c’è un istinto che sa servirsene. Certo
non tutti gli istinti consistono nella facoltà naturale di utilizzare un
meccanismo innato. Molto spesso si è fatto notare che la maggior parte degli
istinti sono il prolungamento, o meglio il compimento della stessa attività
organica. Dove comincia l’attività dell’istinto? Dove finisce quella della
natura? Non si sa. Nella metamorfosi
della larva in ninfa e in insetto perfetto metamorfosi che spesso richiedono,
da parte della larva, movimenti appropriati e una specie di iniziativa. Così,
considerando soltanto i casi limite in cui si assiste alla completa
affermazione dell’intelligenza e dell’istinto, emerge una differenza
essenziale: l’istinto compiuto è una facoltà di utilizzare e anche di costruire
strumenti organici; l’intelligenza compiuta è la facoltà di fabbricare e usare
strumenti inorganici. I vantaggi e gli inconvenienti di queste due forme di
attività saltano agli occhi. L’istinto trova a portata di mano lo strumento
adeguato che si fabbrica e si ripara da
sé, che presenta, come tutte le opere della natura, un’infinita complessità di
particolari e una meravigliosa semplicità di funzionamento esegue immediatamente, al momento giusto,
senza difficoltà e con una perfezione spesso ammirevole quanto gli è richiesto.
Per contro, conserva una struttura pressoché invariabile, in quanto modificarlo
implicherebbe modificare la specie. L’istinto è dunque necessariamente
specializzato, non essendo altro che l’utilizzazione di un determinato
strumento per un determinato fine. Lo strumento fabbricato dall’intelligenza è
invece uno strumento imperfetto, ottenuto solo a prezzo di uno sforzo, e quasi
sempre difficile da maneggiare. Ma essendo fatto di materia inorganica, può
assumere una qualsiasi forma, servire a qualsiasi uso, eliminare ogni nuova
difficoltà che si presenti all’essere vivente e conferirgli una quantità
illimitata di poteri. E’ meno efficace dello strumento naturale nel soddisfare
i bisogni immediati, ma lo è di più quando, e nella misura in cui, il bisogno è
meno urgente. E soprattutto reagisce sulla natura dell’essere che lo ha
fabbricato perché chiamandolo a esercitare una funzione nuova, gli conferisce
per così dire, una dimensione organica più ricca, essendo appunto un organo
artificiale che prolunga l’organismo naturale. Per ogni bisogno che soddisfa,
crea un bisogno nuovo; e invece di chiudere, come l’istinto, il cerchio
d’azione in cui l’animale si muoverà automaticamente, apre a questa attività un
campo illimitato, spingendola sempre più lontano e rendendola sempre più
libera. ISTINTO E INTELLIGENZA RAPPRESENTANO DUNQUE DUE SOLUZIONI, DIVERGENTI E
UGUALMENTE ELEGANTI, DI UN SOLO E IDENTICO PROBLEMA.
(H. Bergson, L’evoluzione creatrice)
Non (apparentemente) compatibili con il
dispiegarsi della spirale e conseguente evoluzione da cui sono partito, fino
agli eccessi di una probabile ‘intelligenza’ e conseguente divergenza in seno
al contesto della vita. Intelligenza che muta istinti e miti, in un crescendo
che culmina nell’avvento della rivoluzione industriale del 1750 circa. Queste
due differenti visioni della vita e conseguenti
mitologie che ne scaturiscono come portatrici di nuovi messaggi e
simboli, creano uno terremoto di dorsali
che si scontrano tra loro. Sono
fonte e concetto di confronto con la soluzione in un pensiero terminale, dove
il pensiero termina e diviene guerra. Condizione sempre esistita nella dinamica
sociale umana, ma oggi incarnata in diverse dimensioni nel momento in cui si
vuole mantenere integri i privilegi che l’intelligenza diversifica. Diversifica
questa specifica e innata condizione dell’uomo nelle differenti ramificazioni
tecnologiche quali apparenti risultati evolutivi. Benefici apparenti, appunto,
che lo differenziano dall’animale suo simile (come abbiamo visto in Plutarco).
Intensificando il concetto di guerra frazionandolo poi in altra veste. Tutte
convergenti con una singola soluzione, violenta, atta a mantenere consolidate
determinate prerogative non confacenti con gli elementi fondamentali della vita
stessa. Fondamentale è la condizione di come ci dovremmo rapportare con
l’ambiente circostante, di cui il primitivo nella ‘bestiale’ condizione
apparente, e nella sua visione mitologica ‘povera di mondo’, conserva quella
specifica appartenenza ad esso ed concreta dipendenza. Mutando ciò che non deve
essere mutato, si intacca il mito stesso, la Creazione. La Creazione diventa
sacrificio, assassinio, crocefisso, esilio, e molti altri nomi diversi. La fine
è inesorabile per tutti (i pochi - cioè
- che vivono la vita entro il moto originario).
Nel capitolo precedente, il destino della
fine di un popolo che adorava il serpente piumato Quetzalcoatl si profila
attraverso l’errata interpretazione di una mitologia, errata nella realtà
civilizzatrice e conquistatrice di un popolo che mutò il mito e se ne servì per
annientare per mano di Cortés e delle sue soldatesche iberiche, l’impero maya ed azteco. La visione civilizzatrice e
colonizzatrice con una visione dei fatti rispondente alla realtà storica di
allora non dissimile da quella attuale con il suo messaggio cristiano ne ha
sancito la definitiva scomparsa. In realtà conosciamo in quella civiltà una
raffinata percezione della realtà di cui conserviamo tesoro. Il mito diventa oggetto di controversia
attraverso la nascita dello stesso in seno alla cultura di un popolo. A secondo
della potenza sull’immaginario dell’inconscio collettivo corrispondente ai
desideri, sogni, ricchezze, di una società. La misura di questi fattori
mitologici determinano il grado di partecipazione a determinate ‘violenze’, che
giustificano la sopravvivenza del mito, talvolta esse possono essere anche
pacifiche, ma della stessa natura di quelle che consacrarono Cortés quale
colonizzatore ed estirpatore di immensi tesori.
Secondo la presenza di questi (miti),
nell’irrazionalità o razionalità di una società si può misurare il grado o la
capacità di ‘fuoco’ che un gruppo sociale può disporre e al contrario subire. A
mio avviso, non sono solo motivazioni di ordine economico a dettare le
condizioni per una guerra, ma subentrano queste appena dette (potenza del
mito), nel momento in cui una società deve condividere determinate scelte le
quali hanno una prerogativa primaria sulle altre, in quanto debbono mantenere
integri i miti cui poggiano i loro valori, da cui dipendono poi quelli di
natura economica. Ed a proposito di essi……
Si possono citare per tutte le suggestioni
avanzate da uno studioso di semiotica del folklore come Pierre Maranda, il
quale basa il suddetto parallelismo sull’ipotesi che al di là delle apparenze,
la moderna cultura di massa non faccia che rappresentare sotto nuova veste le
stesse configurazioni semantiche affermatesi in ambito mitologico. D’altro lato, in una società che ha scelto
come suo metro quello del ‘futuro’ piuttosto che quello del ‘passato’, e in cui
dunque anche la verità di una teoria scientifica viene più spesso misurata
sulla sua capacità di predire il futuro anziché sulla sua conformità con gli
eventi passati, il futuro tende ad essere investito da quella carica di fede
che i preletterati ripongono nella verità delle loro narrazioni mitologiche.
Per non uscire dall’argomento affrontato, basterà ricordare gli sforzi goffi e
pedanteschi con i quali moltissimi autori di fantascienza hanno cercato e
spesso inutilmente, di assicurare la verosimiglianza delle loro
invenzioni,trasformando l’immaginario in anticipazione, legando il frutto della
propria attività fantastica e dei segni che sarebbero presenti nel mondo reale,
a delle ipotesi teoriche che potrebbero preannunciare, a delle invenzioni
tecnologiche che potrebbero preludere, a degli eventi che potrebbero premonire.
Tale operazione, in effetti, è ancora una volta tipica del mondo mitico.
(G. Ferraro, Il linguaggio del mito)
Per concludere il capitolo riporto un esempio
storico a me caro per i concetti sopra espressi, che appare fonte e specchio
per le valutazioni interdisciplinare della conoscenza e il mito, domandandoci -
dove - la strada avrebbe condotto se evoluta in diversa direzione, e - chi -
nel panorama culturale successivo ha incarnato l’apostasia dell’imperatore, e
con essa tutte le ‘apparenti eresie’.
Cosa abbiamo imparato dalla breve ma intensa
storia di Giuliano l’apostata?
Lo scontro fra due diverse concezioni ed
interpretazioni di un unico mito nel quale il filosofo ne aveva analizzato.....
(Fotografie di Robert and Shana ParkeHarrison)
(Prosegue....)
(Fotografie di Robert and Shana ParkeHarrison)
(Prosegue....)
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