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(Arles, attorno al 7 febbraio
1889)
Mio caro Theo, dal momento che il mio equilibrio mentale era
assolutamente sconvolto, sarebbe stato vano tentare di scriverti per rispondere
alla tua bella lettera… Proprio oggi sono tornato temporaneamente a casa,
speriamo bene…
Pare che la gente di qui abbia una leggenda che la induce a temere la
pittura (ed amare la volgarità più inetta…), ed in città abbiamo parlato di
tutto questo. So che è lo stesso anche in Arabia, eppure abbiamo una quantità
di pittori in Africa, no? Il che prova che con un po’ di fermezza si possono
modificare simili pregiudizi o quantomeno che uno può dipingere.
Per sfortuna, però, io sono molto portato a lasciarmi suggestionare, a
far mie le credenze altrui e a non prendermi sempre gioco del fondo di verità
che può esserci nell’assurdo. Anche Gauguin, del resto, è così, come avrai
potuto constatare tu stesso, e anche lui era oppresso al pari di me, durante la
sua permanenza, da non so quale inquietudine.
Io, ormai, avendo soggiornato qui per oltre un anno, avendo sentito
pressoché tutto il male possibile sulla mia persona, di Gauguin, della pittura
in genere, perché non dovrei lasciare le cose come stanno, aspettando qui quel
che succederà?
Forse che potrei finire in qualche posto peggiore di quello in cui sono
già stato due volte, in cella d’isolamento?
Il vantaggio che ho qui è che – come direbbe Rivet – qui ‘sono tutti
malati’, sicché perlomeno non mi sentirò solo. Poi, come ben sai, a me piace moltissimo
Arles, per quanto Gauguin abbia assolutamente ragione di definirla la più
sporca città di tutto il sud.
Tanti saluti a Gauguin, spero che mi scriva, gli scriverò anch’io…(*)
(*) Il 26 febbraio, Salles scrive un’altra volta a Theo:
‘…il vostro povero fratello è di nuovo ricoverato all’ospedale. Come
avrete senz’altro saputo da lui stesso, era tornato a casa da qualche giorno. E
nondimeno, tutto nel suo comportamento e nei suoi discorsi, faceva temere che
il miglioramento costatato fosse soltanto apparente. Questo timore manifestato
da tutti s’è fin troppo tradotto in realtà. Una petizione firmata da una
trentina di vicini segnala ora al signor Sindaco il disagio che comporta
lasciare quest’uomo completamente libero, e adduce fatti a sostegno. Il
commissario centrale, al quale il foglio è stato trasmesso, ha subito fatto
portare vostro fratello all’ospedale con esplicita raccomandazione di non
lasciarlo uscire’.
Quella miserevole petizione afferma in effetti che il suddetto Vincent…
ha da tempo e ripetutamente dato prova di non essere in possesso delle proprie
facoltà mentali; e di lasciarsi andare ad eccessi nel bere dopo i quali si
ritrova in uno stato di sovreccitazione tale che non sa più quel che fa e quel
che dice…
Appare chiaro che per iniziativa di pochi individui senza scrupoli (i
coniugi Crevelin, bottegai similmente senza scrupoli, altri inquilini della
casa gialla, e l’amministratore…), i vicini si sono fatti montare la testa. La
petizione dà luogo ad una parodia d’inchiesta; alcune deposizioni (cinque, due
delle quali si limitano a confermare le altre tre) inconsistenti ma velenose
false e calunniose vengono oculatamente raccolte e il commissario di polizia,
manifestatamente sfavorevole a Vincent, il 3 marzo può esprimere il parere: ‘è
il caso di ricoverare quest’alienato in un ospedale speciale ed i suoi beni
messi all’asta giudiziari così che i suoi calunniatori ne possano godere frutti
e privilegi’.
Soltanto l’opposizione di menti più aperte – il reverendo Salles, il
dottor Rey – consentirà di evitare un ricovero d’ufficio.
Dal 22 febbraio, Vincent non ha più scritto.
Dopo la ‘fuga’ di Gauguin, dopo l’annuncio del prossimo matrimonio di
Theo, il ripudio da parte dell’intero vicinato nonché del borgo abitato,
esaspera la sua solitudine. Soltanto il 19 marzo, ricevendo una lettera del
fratello, Vincent riprende la penna: ‘Mio caro fratello, m’è parso di
intravedere nella tua bella lettera tanta fraterna angoscia rattenuta che mi
sembra mio dovere rompere il silenzio. Ti scrivo in pieno possesso delle mie
facoltà mentali e non come un pazzo ma da quel fratello che conosci. Ecco la
verità. Un certo numero di persone di qui hanno inviato al sindaco una petizione
(c’erano più di 80 firme) indicandomi come un individuo indegno di vivere in
libertà o qualcosa del genere. Il commissario di polizia o il commissario
centrale ha allora dato ordine di ricoverarmi di nuovo. Mi hanno privato anche
di alcune delle mie tele…
Sta di fatto che da giorni sono sotto chiave e chiavistelli e guardiani
in isolamento, senza che la mia responsabilità sia provata o perlomeno
provabile. Va da sé che nel mio intimo ho molto da ridire su tutto questo. Va
da sé che non riesco ad arrabbiarmi e che in un caso simile, se chiedessi
scusa, sarebbe come autoaccusarmi. Volevo solo avvertirti, riguardo alla mia
liberazione, che in primo luogo io non te la chiedo, perché sono convinto che
tutta l’accusa sarà ridotta a niente. Voglio solo dire che troveresti difficile
liberarmi. Se non tenessi a bada la mia indignazione, sarei giudicato
immediatamente pazzo furioso. Aspettiamo con pazienza; del resto, le emozioni
forti possono soltanto far peggiorare il mio stato. Ecco perché ti invito con
la presente a lasciar perdere, a non metterti in mezzo. Devi renderti conto che
la ragione con questa gente non può nulla…
A maggior ragione perché capirai che io, pur essendo assolutamente
calmo al momento, posso facilmente ricadere in stato di esaltazione in seguito
a nuove emozioni morali. Ora pui ben capire quale colpo sia stato per me
rendermi conto che c’erano qui delle persone tanto vili da mettersi in così
gran numero contro un solo individuo e per di più malato…’.
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