Prosegue in:
La Terra estranea... o straniera (2)
…Posso agevolmente camminare per dieci, quindici, venti e più miglia,
partendo da casa, senza incontrare alcuna abitazione, senza attraversare alcuna
strada se non lo fanno la volpe e il visone: prima lungo il fiume, e poi il
ruscello, e poi i campi e i boschi.
Per miglia e miglia intorno non vi sono abitanti…
Da alcune colline appaiono in lontananza le dimore dell’uomo e la sua
civiltà. Gli agricoltori e le loro opere sono appena più visibili delle
marmotte e delle loro tane.
L’uomo con le sue faccende, Chiesa e Stato e scuola, e i suoi traffici
e i suoi commerci, le sue fabbriche e la sua agricoltura, e la sua politica, la
più pericolosa di tutte. mi rallegra vedere quanto poco spazio occupino nel
paesaggio.
La politica è un campo assai angusto, e quella strada, ancora più
angusta, è a essa che conduce. E’ là che a volte dirigo il viaggiatore. Se
volete andare verso il mondo della politica, seguite la strada maestra, seguite
quel mercante, e la polvere dei suoi passi vi condurrà direttamente ad esso;
perché anche quel mondo ha semplicemente un suo spazio, non occupa l’intero
spazio.
L’oltrepasso, come oltrepasso un campo di fagioli, dirigendomi verso la
foresta, e subito lo dimentico. In una mezz’ora raggiungo punti della
superficie terrestre dove non è possibile all’uomo mettere radici, e dove
dunque non può esservi politica, che è per l’uomo come il fumo del suo sigaro.
Il villaggio è il luogo verso cui tendono le strade, una sorta di
espansione della strada maestra, come il lago rispetto al fiume. E’ il corpo a
cui le strade fanno da braccia e da gambe, trivio o quadrivio, crocevia
obbligato dei viaggiatori. La parola deriva dal latino ‘villa’ che insieme a
‘via’, ‘una via’, o ancora più anticamente ‘ved’ e ‘vella’, Varrone fa
discendere da verbo, ‘trasportare’, poiché la villa è il luogo verso cui, e da
cui, le cose vengono trasportate. ‘Vellaturam facere’ fu detto di coloro che
vivevano raggruppati. Da qui deriva anche la parola latina ‘vilis’ ed il nostro
‘vile’, nonché ‘villain’. Questo testimonia il grado di degenerazione a cui
sono esposti gli abitanti di un villaggio: spossati dal movimento che gli
turbina intorno e li schiaccia, senza che loro stessi mai intraprendano un
viaggio.
Alcuni non camminano del tutto; altri camminano lungo strade maestre;
pochi attraversano i campi. Le strade son fatte per i cavalli e per i mercanti.
Io, al contrario di loro, non percorro le strade, perché non ho fretta di
raggiungere una locanda, o una drogheria, o una stalla, o un magazzino
qualsiasi a cui esse conducono. Io cammino nella Natura come gli antichi
Profeti e Poeti…
…Qui intorno, attualmente, la parte migliore della terra non è
proprietà privata; il paesaggio non appartiene a nessuno, e il camminatore gode
di una relativa libertà. Ma verrà forse il giorno in cui questa terra sarà
smembrata in parchi per così dire di svago, di cui solo pochi godranno in modo
limitato ed esclusivo, in cui i recinti saranno moltiplicati, e altre
invenzioni respingeranno gli uomini sulla strada pubblica, e camminare sulla
terra di Dio significherà attraversare senza permesso la terra di qualche
gentiluomo. Godere di qualcosa in modo esclusivo generalmente significa essere
esclusi dal suo autentico godimento. Approfittiamo dunque delle opportunità a
noi offerte, prima che giungano tempi peggiori (o forse sono già arrivati…).
Cosa rende talvolta così difficile la direzione da scegliere?
La Natura possiede, io ritengo, un magnetismo sottile in grado di
guidarci nella giusta (e retta…) direzione, se ad esso ci abbandoniamo. Non è
difficile scegliere l’una o l’altra strada. Solo una è quella giusta. Ma siamo
spesso così stolti ed incuranti da scegliere quella sbagliata. Vorremmo
avanzare lungo quella strada, non ancora percorsa nel mondo reale, che sia il
simbolo perfetto del cammino che amiamo intraprendere nel mondo interiore e
ideale; ed è indubbiamente difficile scegliere la direzione, se essa non è ancora
distintamente tracciata in noi.
Quando esco di casa per una passeggiata, ancora incerto sul luogo in
cui dirigere i miei passi, e lascio che l’istinto decida per me, mi accade, per
quanto strano e bizzarro possa sembrare, di risolvermi, alla fine, per una
particolare direzione, verso un bosco, un prato, un pascolo abbandonato o una
collina in quella direzione. Il mio ago è lento a risolversi, oscilla di alcuni
gradi, e naturalmente non sempre tende nella direzione scelta – e su tali
variazioni ha un’assoluta autorità – ma oscilla sempre tra ovest e sudovest. Il
futuro è laggiù, per me, e da quella parte la terra sembra meno sfruttata, più
ricca. La linea tracciata dei miei passi forma, più che un cerchio, una
Parabola, o piuttosto l’Orbita di una cometa, una di quelle orbite che furono
ritenute curve senza ritorno, in questo caso aprentesi verso ovest, e rispetto
a cui la mia casa occupa la posizione del sole. Giro su me stesso, irresoluto,
a volte anche per un quarto d’ora, finché decido, per la millesima volta, di
dirigermi a ovest o a sudovest. Verso est vado solo se costretto, ma verso
ovest mi dirigo liberamente.
Nessun impegno mi chiama.
Mi è difficile credere di poter trovare una Natura libera e selvaggia,
per quanto possibile, oltre l’orizzonte a est. Non mi eccita la prospettiva di
una passeggiata in quella direzione; penso invece alla foresta che si staglia
contro l’orizzonte ad ovest; si estende verso il tramonto senza interrompersi
mai, ed in essa non vi sono né paesi né città di dimensioni tali da
infastidirmi. Lasciatemi vivere dove desidero, da questa parte c’è la città, da
quella la Natura selvaggia, e con sempre maggior frequenza io lascio la città e
m’inoltro nella Natura…
…Il mio stato d’animo infallibilmente si innalza in misura proporzionale
all’essenzialità del paesaggio. Datemi l’Oceano, il Deserto, la Natura
incontaminata!
Nel deserto l’aria pura e la solitudine compensano la mancanza di acqua
e di fertilità. Dice Burton, l’esploratore, a questo proposito: ‘il morale
migliora; si diventa franchi e cordiali, ospitali e sinceri… Nel deserto gli
alcolici provocano solo disgusto. Vi è un acuto piacere nella pura esistenza
animale’. Coloro che hanno viaggiato
attraverso la steppa dei tartari così riferiscono: ‘Nel riavvicinarsi alle terre
coltivate, l’agitazione, la confusione, il tumulto della civiltà ci opprimevano
e ci soffocavano; ci sembrava che l’aria mancasse e temevamo di dover morire
per asfissia da un istante all’altro’.
Quando ho bisogno di ricreare me stesso vado in cerca della foresta più
buia, della palude più fitta e più impenetrabile, a occhi cittadini, più tetra.
Entro in una palude così come in una foresta come un luogo sacro, come in un
‘sancta sanctorum’. Qui risiede la forza, la quintessenza della Natura. La
vegetazione selvatica ricopre il terreno argilloso, e la terra è benefica sia
per l’uomo che per gli alberi. E come la terra ha bisogno di molto concime per
essere fertile, così necessitano all’uomo, per la sua salute, grandi spazi
intorno a sé. Nella palude si trovano le sostanze forti di cui l’uomo si nutre.
La sopravvivenza di una città non dipende dalla rettitudine degli uomini che vi
risiedono, ma dai boschi e dalle paludi che la circondano. Una regione in cui
una foresta primitiva affondi le proprie radici nel materiale decomposto di
un’altra foresta primitiva è un territorio che favorisce non soltanto la
fioritura di grano e di patate, ma anche di poeti e di filosofi per le
generazioni a venire… Se vogliamo proteggere gli animali selvatici dobbiamo
garantire loro una foresta in cui possano vivere o a cui possono far ricorso.
Lo stesso accade per l’uomo!
Un centinaio di anni fa lungo le strade si vendeva la corteccia degli
alberi delle nostre foreste. Nella semplice scorza di quegli alberi ruvidi e
primitivi, io ritengo, qualcosa di fondamentale che rinvogoriva e consolidava
le fibre del pensiero umano. Rabbrividisco se confronto quel tempo all’attuale
degenerazione della vita nel nostro villaggio, in quest’epoca in cui non si è
in grado di raccogliere un pezzo di corteccia di spessore adeguato, e in cui
non si producono più né pece né terebinto! Le grandi civiltà, quelle che hanno
lasciato un’impronta umana e non solo storica, generazionale e non solo
materiale – sono sorte sul terreno imputridito delle antiche foreste primitive,
e da esso hanno tratto nutrimento. Esse sopravvivono sin tanto che la terra non
si esaurisce.
Povera cultura umana!
Ben poco si può sperare da una nazione che abbia esaurito la propria
matrice vegetale e che sia costretta a far concime delle ossa dei suoi padri,
dove il poeta si nutre solo del proprio grasso superfluo e il filosofo del
proprio midollo…
…Il mio desiderio di conoscere è discontinuo, ma il desiderio di
rigenerare la mente in atmosfere sconosciute, esplorando zone non ancora
percorse dalle mie gambe, è perenne e costante. ciò che di più alto possiamo
raggiungere non è la Conoscenza, ma l’Armonia con l’Intelligenza. Non so se
questa conoscenza superiore sia qualcosa di più definito di un racconto; è la
grandiosa e improvvisa rivelazione dell’inadeguatezza di ciò che sino a quel
momento abbiamo chiamato Conoscenza, la scoperta che vi sono in cielo e in
terra assai più cose di quante ne sogna la nostra filosofia…
…Mentre quasi tutti gli uomini si sentono spinti verso la società, pochi
sono fortemente attratti dalla Natura. Nonostante il loro sapere,
nell’atteggiamento verso la Natura gli uomini mi sembrano per la maggior parte
inferiori agli animali, che hanno in essa un rapporto meraviglioso.
Quanto poco sappiamo apprezzare la bellezza del paesaggio!
…Per quanto mi riguarda, credo di vivere, rispetto alla Natura, una
vita di frontiera, ai confini di un mondo entro cui compio occasionali,
fuggevoli incursioni, e il patriottismo e il sentimento di fedeltà verso lo
Stato nei cui territori apparentemente batto in ritirata sono quelli di un
imboscato. Sarei pronto ad inseguire una chimera per paludi e acquitrini
inconcepibili, pur di giungere ad una vita naturale, ma né la luna né le
lucciole mi hanno mai mostrato il cammino. La Natura ha un carattere così vasto
ed universale da non consentirci di identificarne un solo tratto. A chi cammina
lungo i sentieri familiari che si snodano intorno alla città può accadere di
trovarsi d’improvviso in una terra estranea, diversa da quella descritta negli
atti di proprietà, quasi sperduta, lontano, ai confini di Concord, dove la sua
giurisdizione ha termine e dove ciò che evoca il nome Concord non ha più alcun
significato…
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