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Nutrimento dai 'fotoni' (36/37)
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Ammazzare il Tempo: verità scientifica e verità ideologica (ovvero il regime velato) (39)
Per lungo tempo si è pensato che il lavoro dello storico e quello dello
scienziato fossero totalmente diversi, perché diversi erano i rispettivi fini e
metodi.
Secondo la terminologia introdotta da Wilhelm Windelband, la
storiografia è solo ‘ideografica’, in quanto si occupa di indagare e narrare
fatti singoli, irripetibili, mentre la scienza è ‘nomotetica’, in quanto studia
il mondo esterno all’uomo per ricavarne le leggi generali che lo regolano.
Le vedute positivistiche di Comte e di Stuart Mill, secondo le quali
esistono leggi generali della storia, che possono essere scoperte per via di
induzione, venivano spesso liquidate come sorpassate e piuttosto ingenue. E’
venuto il momento di rivedere criticamente quest’ultimo giudizio, valendosi
anche degli indirizzi seguiti recentemente dagli scienziati riguardo alla
storia del mondo fisico.
Gli storicisti un tempo dicevano che la storia appartiene alle ‘scienze
dello spirito’, mentre la scienza costituisce le ‘scienze della natura’: si
tratta di due campi del sapere essenzialmente differenti. Lo storico si deve
dedicare a comprendere i fatti, laddove lo scienziato ha per compito di
spiegarli.
Alcuni si lasciavano andare ad affermare che le scienze naturali non
portavano a una vera e propria ‘conoscenza’. Tutta questa dottrina ha perso
oggi molta della sua attrattiva e la si può criticare per diverse ragioni. In
primo luogo, il confinamento della storia all’ambito di eventi singoli o – come
a volte si dice – dei puri fatti non è accettato nemmeno da alcuni dei più
acuti storici moderni.
Basterà citare Gerges Duby, quando dice che: ‘La nozione di verità
nella storia si è modificata, perché l’oggetto della storia si è spostato, in
quanto la storia ormai si interessa meno di fatti che di relazioni’.
In secondo luogo, si può osservare che bandire in assoluto le leggi
generali dalla storia solleva gravi obiezioni e pare più dettato da una sorta
di ‘ideologia’ che da un esame
spassionato dell’argomento. D’altro canto, bisogna riconoscere che la scienza
moderna sta dando sempre più importanza all’aspetto ‘diacronico’ (ovvero
‘storico’) dell’Universo intero.
In quest’ordine di idee, perfino eventi come il big-bang o l’estinzione
dei dinosauri alla fine del Cretaceo – dei quali eventi ciascuno sembra essere,
in linea di principio, unico e irripetibile – stanno richiamando un enorme
interesse, non solo della comunità scientifica, ma anche del pubblico in
generale.
Si badi bene che la scienza naturale e la storia sono tuttora discipline
da non confondere, ma solo oggi molto meno distanti l’una dall’altra di quanto
non siano state nel passato.
Commenti senza commenti:
Stratificazione socio-culturale di uno stato…..: ‘Ove cotanta ignoranza dimora’
(Cecco d’Ascoli).
Che cosa sapevano gli imputati del tribunale che li processava? O solo
inquisiva.. o solo spiava? Ben poco, a giudicare dalle loro dichiarazioni.
Esemplare, a questo riguardo, l’interrogatorio di un contadino pisano,
Favilla de Mezzana, comparso nel 1575 davanti all’inquisizione per bestemmia:
-
Che tribunale è questo, sapete che ragione si tenga a
questo tribunale?
-
E’ il tribunale della santa Inquisitione.
-
Sapete che cause si trattano qui?
-
Padre no, perché non ho lettere….
Quel che
colpisce, in questo breve scambio, non è la risposta, ma la domanda. Perché il
tribunale dell’Inquisizione chiedeva che cosa gli imputati sapevano di lui?
Intanto una
rapida verifica consente di escludere che si trattasse di una domanda casuale.
Negli ultimi decenni del Cinquecento e nel corso del Seicento la domanda venne
rivolta piuttosto di frequente agli imputati, senza distinguere fra letterati e
uomini di cultura. Una rapida verifica in una qualsiasi filza inquisitoriale è
sufficiente a confermarlo.
Si chiedeva, ad esempio, ‘se sa perché Santo Offitio mette prigione le persone’; ‘quale siano le cause et i delitti sopra i quali intendi et giudichi il s. Officio’: e così via.
Le risposte
variavano: se Favilla da Mezzana non seppe dire niente, altri abbozzarono
risposte più o meno soddisfacenti.
Il 12 giugno
1620 l’inquisitore di Modena stava interrogando un giovane notaio modenese,
Francesco Zarlati, accusato di aver letto e fatto leggere libri proibiti. La
prima domanda fu quella rituale, se sapesse o almeno immaginasse la causa della
sua convocazione.
La risposta
fu piuttosto secca: ‘Signor, io non lo so se non me lo dice’. Ma l’inquisitore
non poteva dire, doveva domandare; ed ecco una seconda domanda, che prendeva la
cosa più alla larga: sapeva lo Zarlati contro quali tipi di persone procedesse
il Sant’Uffizio?
(A. Prosperi, Tribunali della coscienza)
(Fotografie di: Appie Bonis)
(Prosegue....)
(A. Prosperi, Tribunali della coscienza)
(Fotografie di: Appie Bonis)
(Prosegue....)
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