CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
30 MAGGIO 1924

sabato 1 novembre 2025

COMMENTO ALLA VITA E ALLA MORTE

 








Prosegue con il 


Capitolo completo







Dinnanzi alla Natura e i suoi innumerevoli infiniti fraseggi, Frammenti di colori che traduciamo in Arte, quando l’Anima e lo Spirito in Armonia con l’intera Natura la quale ci ha creati, più o meno evoluti, più o meno consapevoli del rapporto imprescindibile che a Lei dobbiamo, e qual rinnovato pagano in disaccordo con il ‘Verbo’, medito una diversa Parola e Rima nascosta seppur Acerba avversa ‘all’oltraggioso peccato consumato’ divenir Commedia d’ogni creato, abdicando alla mela della Conoscenza, avversa alla dotta pedanteria degli ortodossi maestri del Tempio, assieme ad ogni frutto di una sublime Natura che li crea così saporiti e maturi per ogni Stagione di questo e altro ‘immondo peccato’ nell’eretica semplicità di assaporarne il gusto. 

 

Bell’è tacere de cotanta cosa,

 considerando el mio pocho intellecto,

 ma la gram fede mi muove e escusa,

 sì ch’io prego la virtù di sopra

 ch’alume l’alma del beato aspecto,

 e che l’inmaginar conseguischa l’opra.

 

Lì è una natura e tre persone,

 Lì dello sommo Bene è la pienezza,

Lì è con Pietà somma Ragione;

 E gli angeli benigni senza corpi

 Cantano sempre il Ciel pien d’ allegrezza,

 Non come a noi gridando ‘scorpi, scorpi’.

 

 Da questo cielo vien tutta la luce

La qual per l’universo ognora splende;

 

Questa, creando, Dio in noi la spira,

Ed ogni umano ha per sé l’alma sua;

 E tu, se l’ignoranza tua delira!

 

Ciò che comincia in tempo, in tempo muore;

 Passando e rinnovandosi li moti

 Del mondo, pur s’ appressa all’ultime ore.

Del quando, sono incerti li mortali,

 Ché i segreti divini non son noti,

 Ma son celati li più specïali. 

(Acerba, C. D’Ascoli)




E non certo dobbiamo e possiamo risolvere – cotal (duplice) peccato - come un conflitto interiore, dacché comprendiamo che i ‘maestri’ non accettano e tantomeno comprendono, all’ombra dell’oscuro Tempio, o della smarrita Selva al girone d’ogni Anima condannata senza salvezza alcuna, ciò di cui in medesima ombra d’un secolare Albero apostrofato e contemplato, inerente alla vita e il suo ugual principio, e come l’‘immateriale’ dimensione e forma compone l’Universo (compreso l’interiore) conferendo alla muta Natura la vera ricchezza, e maggior spettro di Linguaggio subordinato all’improprio dominio umano.

 

Congetturo secondo il parer mio,

E so che nostra conoscenza umana

 È cosa stolta verso l’alto Dio;

 Ma cominciando dall’età primiera…

 

Sperando così di risolvere un’antica contesa e il diverbio allorquando il Sentiero medesimo si divide procedendo verso la negata verità, dal dotto saccente ‘maestro’ esplicitando, in verità e per il vero, quanto in noi non ancora del tutto compreso evoluto, o peggio, maturato qual apparente conflitto interiore (prossimo alla patologia), di cui la ‘dogmatica’ e con lei un certo ‘dogmatismo’, oppongono il vincolo della materiale conoscenza per ciò che vede eppur non comprende, e il dipinto in Rima compone una nuova Eresia…




Ma perché forse questo imparare ad i giovani può parere cosa faticosa, parmi qui da dimostrare quanto la pittura (dell’intera Natura) sia non indegna da consumarvi ogni nostra opera e studio. Tiene in sé la pittura forza divina non solo quanto si dice dell’amicizia, quale fa gli uomini assenti essere presenti, ma più i morti dopo molti secoli essere quasi vivi, tale che con molta ammirazione dell’artefice e con molta voluttà si riconoscono.

 

Dice Plutarco, Cassandro uno de’ capitani di Allessandro, perché vide l’immagine d’Allessandro re tremò con tutto il corpo; Agesilao Lacedemonio mai permise alcuno il dipignesse o isculpisse: non li piacea la propia sua forma, che fuggiva essere conosciuto da chi dopo lui venisse. E così certo il viso di chi già sia morto, per la pittura vive lunga vita.

 

E che la pittura tenga espressi gli iddii quali siano adorati dalle genti, questo certo fu sempre grandissimo dono ai mortali, però che la pittura molto così giova a quella pietà per quale siamo congiunti agli iddii, insieme e a tenere gli animi nostri pieni di religione.

 

Dicono che Fidia fece in Elide uno iddio Giove, la bellezza del quale non poco confermò la ora presa religione. E quanto alle delizie dell’animo onestissime e alla bellezza delle cose s’agiugna dalla pittura, puossi d’altronde e in prima di qui vedere, che a me darai cosa niuna tanto preziosa, quale non sia per la pittura molto più cara e molto più graziosa fatta.

 

L’avorio, le gemme e simili care cose per mano del pittore diventano più preziose; e anche l’oro lavorato con arte di pittura si contrapesa con molto più oro. Anzi ancora il piombo medesimo, metallo in fra gli altri vilissimo, fattone figura per mano di Fidia o Prassiteles, si stimerà più prezioso che l’argento.

 

Zeusis pittore cominciava a donare le sue cose, quali, come dicea, non si poteano comperare; né estimava costui potersi invenire atto pregio quale satisfacesse a chi fingendo, dipignendo animali, sé porgesse quasi uno iddio. 

(L. B. Alberti)

 


 

L’Armonia, e non solo la Pittura che si ispira ad ogni cosa Creata, dovrebbe far parte della nostra Natura, della nostra specie, ma sappiamo anche, in verità e per il vero, che per ciò concernente l’Essere più evoluto del suo ultimo anello che tenta di dominarla sottometterla, nonché tacerla per come subordinata dalla Scrittura, dai remoti tempi della ‘creazione’ (li scorgiamo ancora questi esseri i quali in nome del loro Dio, e il rapporto esclusivo e non solo interpretativo, circa il danno  arrecato non solo alla Natura, ma al mondo intero), sussiste un eterno irrisolto rapporto conflittuale con noi stessi (creati dalla Natura) e la cosa creata (la Natura), e un antico Giano che procede ben oltre quanto dalla Natura ammesso e concesso nello stato evolutivo originario; dipingendo nel Quadro d’ogni giorno lo specchio della morte!

 

Che fu Mosè, e con lui l’antica legge.

 Da poi fu Cristo con gli ultimi giurni:

 Lascio la fine a lui che tutto regge,

 Ché terminare il mondo è in suo volere,

E i moti naturali e li diurni

 Di tutti i cieli, quanto al mio vedere.

 

Ma qui risorge il dubitare umano,

 Considerando le genti passate.

 Se sopra loro il ciel non fu più sano,

Ché il cielo impressïoni peregrine

 Non ha, sì come le cose create,

 Dunque, perché è di noi più breve il fine?

 

 Perché sì prodi, perché sì giganti

 Erano al tempo? Perché s’ è smarrita

Natura umana negli atti cotanti?

 Dico che ciò che è creato in tempo,

 In lui fu sempre la virtù finita;

 Passando stato, declina per tempo.

 

Bello è tacere di cotanta cosa

 Considerando il mio poco intelletto,

Ma la gran fede mi muove ed escusa,

 Sì ch’ io ne prego la Virtù di sopra

 Ch’ allumi l’alma del beato aspetto

 E che l’immaginar consegua l’opra.

 

 Era il Figliuolo innanzi il moto e il tempo,

E il Padre col Figliuolo una natura

 Eterna, ché non cade mai suo tempo.

 Questa era prima presso il primo agente;

 Se l’esser tutto per Lui tien figura,

Il fatto senza Lui, dico, è nïente. 

 

Allora cosa non va nell’essere cosiddetto umano?

 

Dobbiamo ancora parlare del male originario!?




L’etimologia del termine Ianus è stata oggetto di varie interpretazioni. Cercando di sviluppare la tesi in sé autorevole di P. Nigidio Figulo, A.B. Cook e, più recentemente, L.A. Mackay hanno pensato che la sua base possa essere ricondotta ad un ‘divianus’ dal quale si sarebbero sviluppati i vari ‘di(v)iana’, ‘dianus’, ‘ianus’, ‘iana’, ‘Diana’ di cui parla Varrone. La tesi sembrerebbe avere il pregio non solo di appoggiarsi a fonti antiche, ma di giustificare l’identificazione di ‘Ianus’ col sole (oppure con la luna, secondo Mackay) per l’asserita evidente relazione con la ‘luminosità’ insita nel significato del nome. Si ritenne perciò che ‘dianus’ si fosse formato su una base dia-derivata da un probabile ‘d(i)yeu’ - poggiante sulla radice indoeuropea ‘dey’, ‘brillare’, che attraverso l’adattamento ‘dy-ldi’ - si è conservata nel latino in termini come ‘Dionis’ o ‘Diana’ mentre non esiste il supposto ‘Dianus’ di P. Nigidio Figulo. 


Prosegue con il  Capitolo completo







giovedì 30 ottobre 2025

VERGINE ANNUNCIATA (ANNUNZIA)

 









Prosegue con... 


'Annunzia' 


quando un 'atto' 


illegittimo dal punto 


di vista della Legge






Vasari, sosteneva che Antonello si fosse formato a Bruges sotto la guida di Jan van Eyck. Tuttavia, Jan van Eyck morì nel 1441, quando Antonello aveva (probabilmente) undici anni, rendendo impossibile questa connessione. Un “Antonello de Sicillia” era presente a Milano nel 1456, elencato tra i provisionati trattenuti dal duca Francesco Sforza. La presenza simultanea di un Piero di Burges ha portato alcuni a credere che Antonello si fosse formato a Milano sotto la guida di Petrus Christus.

 

 

Il possibile collegamento con Petrus Christus è suggestivo. Questo pittore fiammingo lavorò a Bruges come importante seguace di Jan van Eyck; attrasse un significativo mecenatismo italiano; e, come Antonello, fu un ritrattista innovativo e un pittore devozionale. Tuttavia, in assenza di altre prove, la connessione è troppo debole per essere confermata.

 

La data di nascita di Antonello non è documentata, ma solitamente viene indicata nell’anno 1430, calcolata a partire dalla sua morte avvenuta nel 1479 e dall’affermazione del Vasari secondo cui il pittore morì all’età di 49 anni. Entrambi i genitori di Antonello gli sopravvissero, il che sembrerebbe supportare una morte prematura; e mentre alcuni studiosi vorrebbero posticipare la data di nascita leggermente prima, un anno di nascita intorno al 1430 corrisponde ai fatti principali della sua vita.




Antonello è documentato per la prima volta solo nel 1457, quando è già affermato come pittore a Messina: nello stesso anno verrà chiamato ‘magistro’ piuttosto che ‘pictor’, il che significa che era maestro della sua bottega. Il 5 marzo gli fu commissionato di dipingere un gonfalone per la confraternita di San Michele dei Gerbini a Reggio Calabria. In questo contesto, gonfalone indica un tipo di stendardo processionale bifacciale popolare in Sicilia, caratterizzato da due icone dipinte riccamente decorate e incorniciate da volute, volute ed elementi pseudo-architettonici.

 

La commissione specifica il soggetto: da un lato, la Vergine Maria che tiene in basso il Bambino Gesù con San Michele in alto, che tiene la sua lancia e il drago ucciso sotto i piedi; dall'altro, la Passione di Cristo.




Rostworowski ipotizzò che la piccola Crocifissione di Antonello ora al ‘Muzeul National Brukenthal’ potesse essere l’icona raffigurante la ‘passionem domini nostri jesu xpi’ (la passione di Nostro Signore Gesù Cristo) sul retro del gonfalone per San Michele a Messina, e le condizioni del pannello, che indicano un’esposizione alternata a periodi di sole e ombra, supportano l’idea che si trattasse di un oggetto processionale. In quest’opera, il Cristo crocifisso e due ladroni sono circondati dalla Madonna, da Giovanni e dalle tre Marie, ciascuna con un’espressione di dolore.

 

La testimone all’estrema destra, forse Maria di Cleofa, si copre completamente il viso con le mani eleganti. Dietro le figure si estende un ampio paesaggio che mostra il caratteristico golfo curvo di Messina e i monumenti locali, tra cui il monastero di San Salvatore.




Il precedente più ovvio per il formato con tre croci, una linea dell’orizzonte alta e uno sfondo di paesaggio urbano è il pannello della Crocifissione di Jan van Eyck, noto in molte varianti del XV secolo. Ad esempio, una Crocifissione ora attribuita a un artista valenciano anonimo adatta questa formula ‘eyckiana’ con un austero sfondo montuoso ed espressioni estreme di dolore tra gli spettatori in costumi elaborati. Mentre il pannello di Antonello condivide la struttura di base di queste opere, così come alcuni dettagli come le mani legate e scolorite dei ladri, le sue figure addolorate, uniformemente vestite con drappeggi semplici e pesanti, appaiono drasticamente ridotte al confronto.

 

A un esame più attento, l’opera presenta anche contrasti interni.




La scala delle figure è incoerente – Cristo è più grande e monumentale di Maria Maddalena, ad esempio – e anche la vista a volo d’uccello dello sfondo paesaggistico è incoerente con la visione frontale della crocifissione in primo piano. Le parti superiore e inferiore di questa Crocifissione sono così diverse, infatti, che per molti anni gli studiosi hanno sostenuto che fossero state dipinte in due decenni diversi (gli anni Cinquanta e Sessanta del Quattrocento) sotto due distinti circoli di influenza.

 

Tuttavia, come ha sottolineato Lucco, la stesura pittorica è uniforme e non vi è alcuna indicazione di una pausa così drammatica nella creazione del pannello.




Questa prima opera apre quindi una serie di interrogativi sulla formazione artistica di Antonello, in particolare su come sia stato esposto all’arte fiamminga e alle sue varianti mediterranee, e se vi siano state influenze concorrenti che spiegano le incongruenze dell’opera. A complicare ulteriormente la questione è una lacuna nella documentazione messinese tra il 1457 e il 15 gennaio 1460, quando il padre di Antonello, Giovanni, noleggiò una barca per riportare la sua famiglia a Messina da Amantea, in Calabria. Quando Antonello lasciò la Sicilia, e dove viaggiò sulla terraferma, è sconosciuto. Questo lascia due periodi significativi di incertezza nella prima fase della carriera di Antonello: prima della documentazione messinese del 1457, quando è già affermato come maestro di bottega, e dal 1457 al 1460.

 

Dopo il ritorno di Antonello a Messina dalla Calabria nel 1460, i documenti d’archivio lo localizzano in Sicilia fino al 1474. Suo fratello Giordano si unisce alla sua bottega come apprendista nel gennaio 1461; riceve numerose commissioni per completare altri gonfaloni e icone per confraternite, tra cui quelle di Sant’Elia dei Disciplinanti, San Nicolò della Montagna, Santa Maria Monialium a Messina, lo Spirito Santo a Noto, e la Trinità a Randazzo.




Nel 1461, Antonello riceve l’incarico di dipingere un’icona della Vergine Maria da Giovanni Mirulla. La famiglia Mirulla (anche Marullo o Merulla) risale al periodo normanno a Messina, con Giovanni documentato come senatore lì dal 1460 al 1461 e dal 1478 al 1479. Questo è l’unico contratto esistente per un’icona devozionale privata commissionata ad Antonello*.

 

 * Magister Antonius de Antoni pictor civis nobilis civitatis Messane sponte etc. se constituit et sollemniter obligavit per stipulacionem sollepnem nobili viro Iohanni Mirulla … formare et formatam designare fabbricare et compiere quondam ymaginem gloriose virginia Marie deauratam …”

 

[Maestro Antonello di Antonio, pittore, cittadino della nobile città di Messina, si costituisce e solennemente stipula al nobile Giovanni Mirulla… di formare e disegnare, fabbricare e completare l'immagine dorata della gloriosa Vergine Maria…] ASM, notaio Leonardo Camarda. D. Puzzolo Sigillo, “Antonello da Messina, la Beata Eustochia e l'Annunziata del Museo Nazionale di Palermo riaccostati da un documento inedito del 1461”.





Sebbene il dipinto sia oggi perduto, due opere successive, l’Annunciata di Palermo e quella di Monaco, dimostrano la raffinatezza del soggetto da parte di Antonello. Entrambe mostrano solo la Madonna su sfondo nero, con la presenza implicita dell’angelo Gabriele. Con la sottrazione dell’angelo e l’arredo interno tradizionale, tutto il peso emotivo e narrativo dell’evento ricade sulla figura umana.

 

Nell’Annunciata a Monaco, Maria adotta una postura tradizionale di preghiera e sottomissione con le braccia incrociate al petto. Insolite, tuttavia, sono le labbra leggermente socchiuse, come se si stesse rivolgendo all’angelo subito dopo il saluto. Ciò che sembra essere una precisa grafia nell’Antico Testamento di fronte a lei è in realtà una pseudo-scrittura: non c’è testo, solo immagini.




Nel celebre pannello di Palermo, Maria sembra riconoscere la presenza di Gabriele, ma l’angelo non è ancora mostrato. All’improvviso, una pagina del suo libro aperto si solleva, lei solleva la mano destra elegantemente scorciata in un gesto di saluto e chiude il mantello blu brillante con la sinistra. La sua veste, brillante sullo sfondo nero, raggiunge molti scopi pittorici. Stabilisce una forte piramide visiva, ancorata al modesto tavolo di legno in basso. Mantiene l’attenzione sul suo viso e sulle sue mani, che esprimono sottilmente le sue molteplici reazioni all’evento: la mano sinistra che chiude il mantello segna la sua modestia (Luca 1:34: Allora Maria disse all’angelo: ‘Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?’), la mano destra saluta, e il suo sorriso beato e lo sguardo fermo mostrano calma sicurezza.

 

La veste maschera anche le sue braccia e il corpo, aggirando la goffaggine prospettica e proporzionata che a volte deriva dall’inclusione delle mani in un ritratto troncato. Maria è giovane, dalla pelle liscia e disadorna, il suo viso è un ovale quasi perfetto. La piega della veste sulla fronte si allinea perfettamente con l’angolo sporgente del tavolo sottostante.




Eppure, nonostante tutta questa simmetria, non è un’astrazione idealizzata; gli osservatori l’hanno costantemente definita ‘una bellezza siciliana, così estranea a qualsiasi canone estetico, e quindi certamente un ritratto dal vero’, un ‘ritratto putativo’, e persino ‘una bellezza naturale che noi [italiani del sud] chiamiamo acqua e sapone’.

 

Di Antonello ci ricordiamo anche due magistrali ritratti di Cristo, di Lui ne ricordiamo le parole ove il Confine si snoda e il Sentiero risalta all’Opera ciò che non si vede ma Infinito per sua antica Natura…

 

Se vogliamo curarne il cancro velenoso ben sponsorizzato oltre che indistintamente ‘inalato’ qual linfa contraria ad ogni forma di Vita dobbiamo prenderne atto e consenso a noi negato nei dati riportati.




Ed anche se la Cima non meno del Golgota così come il Teschio in questo inizio d’Autunno ci pare una impresa senza speranza alcuna ammiriamo e prendiamo ispirazione da Madre Natura, o quella Madonna assisa alla nostra comune Croce, e scaliamo la montagna portiamo il peso di questa Natura che pian piano sboccia come un giovane o un morente Albero reclamare indistintamente la Vita specchio d’un Dio al contrario di quanto nel Tempio sponsorizzato e dicono pregato.

 

Contestiamo in democratica scelta motivata dal Diritto di cui ognuno potrà partecipare al cambiamento dovuto, e se appare una utopia se appare una partita persa se appare un cammino con solo una croce contrastare un falso ideale perseguito in nome di chi detiene il presunto potere, aggiungo, che quando la lotta e la battaglia in Natura - così come Lei insegna - il Diritto di sopravvivenza fa duro il cammino, così come la scienza insegna e non solo quella teologica, reclamare la specie più forte e non certo l’agnello conteso con un lupo, ed in quella, attestarsi l’evoluzione detta…




Dacché ne deduciamo che se seguiamo il Sentiero della Natura ed in Lei motiviamo l’uomo nato ed evoluto dobbiamo attestarci alle sue Leggi per proseguire detto cammino… e divenire saggi lupi giacché falsa ‘pecunia’ pascolare impropriamente la vallata martirizzata se annullate le condizioni della Vita (compresi gli Elementi con cui composto il Sentiero da ognun percorso e non certo pascolato) proponendo una falsa prospettiva divenuta ancor più falsa (economica) dottrina nelle medesime falsate condizioni in cui questa si manifesta brucare docilmente erba… e non solo circa l’evoluzione detta, dobbiamo gridare ancor più forte e attestarci nel dovuto futuro Euro Parlamento non meno della Democratica speranza in quei grandi Imperi ove la Deriva più che certa senza nessuna Geologia o Geografia attestarne moneta dettare Natura ed ove indistintamente la semplice Verità negata… e perseguitata…




E per concludere così come disse un poeta bussare alle vostre porte e gridare ancor più forte:

 

‘Se in verità vi credete assolti siete per sempre coinvolti…’…  

 

(Gesù entrò nel Tempio e violò e profanò come il Dio pregato nel mercato rilevato.

 

Gesù come l’Intera Natura ci chiede ed implora aiuto al Golgota della Terra crocefissa.

 

Ricordiamo l’opera!

 

Ricordiamo e rinnoviamo il suo Sacrificio!)   


 LEI CARO SIGNORE SCRIVE TROPPO (il rinnovato Capitolo….)






                                          

      

venerdì 24 ottobre 2025

DIFFERENZA FRA ERETICI e CIARLATANI, ovvero, IL GUANTO RITROVATO

 


















Precedenti capitoli di:


Prosegue con il...:















& Giuliana 'Facciatonda' (6)











La Dia ha notificato la misura degli arresti domiciliari a Filippo Piritore, ex funzionario della squadra Mobile di Palermo ed ex prefetto.

 

Lo rende noto la procura di Palermo. Piritore è indagato per il depistaggio delle indagini sull’omicidio dell’ex presidente della Regione Siciliana Piersanti Mattarella.

 

Sentito dai pm sul guanto trovato il giorno del delitto a bordo della Fiat 127 utilizzata dai killer, mai repertato né sequestrato, secondo i magistrati ‘ha reso dichiarazioni rivelatesi del tutto prive di riscontro, con cui ha contribuito a sviare le indagini funzionali (anche) al rinvenimento del guanto (mai ritrovato)’.

 

‘Il fatto’ - si legge nella nota della procura guidata da Maurizio de Lucia – ‘si colloca nell’ambito delle indagini che l’ufficio conduce con riferimento all’omicidio del presidente della Regione Piersanti Mattarella, evento che, per la qualità della carica che la vittima svolgeva, assume evidente carattere di ragione di specifico interesse pubblico’.

 

Il guanto, ritenuto un tassello importantissimo per risalire agli autori dell'omicidio, è sparito nel nulla. Ai pm, che l’hanno sentito come testimone a settembre del 2024, Piritore ha raccontato - mentendo secondo la procura di Palermo - di aver inizialmente affidato il guanto all’agente della polizia scientifica Di Natale che avrebbe dovuto darlo a Pietro Grasso, allora sostituto procuratore titolare delle indagini sul delitto.

 

Il magistrato, sempre secondo il racconto di Piritore, avrebbe poi disposto di fare riavere il reperto al gabinetto regionale di polizia scientifica e Piritore, a quel punto, lo avrebbe consegnato, con relativa attestazione, a un altro componente della Polizia scientifica di Palermo, Lauricella, per lo svolgimento degli accertamenti tecnici. L'indagato ha anche sostenuto che la Squadra mobile era in possesso di una annotazione da cui risultava la consegna.

 

Secondo l’accusa, però, quella raccontata dall’ex funzionario sarebbe una storia inverosimile e illogica da cui verrebbe fuori che una prova decisiva, tanto che della sua esistenza fu informato anche l’allora ministro dell'Interno Rognoni, sarebbe stata sballottata per giorni senza motivo da un ufficio a un altro. Le parole dell’ex funzionario, inoltre, cozzano con le testimonianze dei protagonisti della vicenda come Piero Grasso e l’agente Di Natale; con la prassi di repertare e sequestrare quanto ritenuto utile alle indagini seguita all'epoca in casi analoghi e col fatto che al tempo, alla Scientifica, non c’era nessun Lauricella.

 

‘Filippo Piritore, consegnatario del guanto sin dal momento del suo ritrovamento, pose in essere un'attività che ne fece disperdere ogni traccia - gli contestano invece i pm - Essa iniziò probabilmente a partire dall'intervento sul luogo di ritrovamento della Fiat 127, ove indusse la Polizia scientifica a consegnargli il guanto, sottraendolo al regolare repertamento e contrariamente a ciò che di norma avveniva in tali circostanze’. 

 

Il pm: ‘Le indagini inquinate da pezzi delle istituzioni’

 

 Le indagini sull’omicidio dell’ex presidente della Regione Piersanti Mattarella furono gravemente inquinate e compromesse dai appartenenti alle istituzioni che, all’evidente fine di impedire l’identificazione degli autori del delitto, sottrassero dal compendio probatorio un importantissimo reperto, facendone disperdere definitivamente le tracce’.

 

Lo scrivono i pm della Dda di Palermo che hanno ottenuto dal gip i domiciliari per depistaggio dell’ex funzionario della Squadra Mobile Filippo Piritore. Il riferimento è al guanto in pelle trovato nella 127 usata dai killer del politico sulla cui sorte l'ex prefetto avrebbe mentito.

 

Da non perdere!









Alla morte di don Chisciotte ciò che ricordiamo di lui, oltre penna e pennello esposti alle vicissitudini del Tempo, evoluto se pur immobile, osservato nell’orbita da chi mirabilmente lo ha (ri)creato dipinto e ben ritratto, l’apparente ‘pazzia’  nella dolente nota biografica accomunare l’Eresia alla Verità negata allo stesso, lento scorrere ai capricci del vento così come ogni Elemento ed ogni Straniero scagliarsi al mulino della inesorabile sua ed altrui evoluzione: minuti ore secoli numerati e transitati, ère immuni alla Verità così come la Ragione ed ogni Eretico rincorrere la propria Visione… immune al Tempo con solo negli occhi l’orrore del presente!

Fedele alla solitaria Dottrina negata derisa e perseguitata, combattuta fra Monopodio ed il triste Tempo numerato, e l’‘esule’ vittima d’ogni visibile invisibile reato da cui deriso e perseguitato; giacché chi afferra il senso nonché sottile ‘quadro’ della metafora qual dettaglio della dovuta congiunzione intuirà anche, che i favori del Secolo ogni Secolo conservato e dipinto maggiormente incline a Monopodio accompagnato da tutti i personaggi che lo omaggiano e proteggono, in Primo Piano o sullo sfondo comporre l’eterno panorama della Storia a voi narrata e felicemente vissuta…  

Dividere, per l’appunto, Infinito e Tempo…

Nella prospettiva con cui deriso descritto e ritratto…




La postura, si prenda dovuta nota nella differenza, che intercorre fra la postura detta e l’impostura, si compone nel mirabile ritratto che si conviene al gentiluomo virtuoso: lo sguardo è fermo, rivolto a noi, o meglio a voi, al vostro felice Tempo così mirabilmente transitato ciarlato vilipeso non meno che perseguitato, Rembrandt non distante negli anni dalle tristi vicissitudini del Cervantes, ci tramanda un mirabile dettaglio: il gentiluomo Six si sta sistemando il guanto con cui si predispone alla ‘vista’ dello spettatore, del resto chi lo osserva appartiene a ben vedere al Tempo transitato per ogni museo o Tomo ben rilegato.

Il Gentiluomo, invece, Infinito nel dettaglio della celata prospettiva raffigurare mirabile metafora la qual unisce Arte Poesia e Filosofia, Pittogramma di una velata eretica Dottrina nella postura per l’appunto, in cui il guanto degna maschera (ai nostri odierni intendimenti anche ‘mascherina) d’una più ordinata odierna impostura… di cui il Tempo transitato ne ammira la solitaria sottigliezza immune da qualsivoglia patologica corrotta Natura…




Il gentiluomo nell’ipotesi comune della Storia sembra che si stia sistemando il guanto sinistro sulla mano, preparandosi, per così dire, ad assumere la sua figura pubblica.

Me il pittore si è preoccupato di evidenziare con grande cura il pollice infilato nel guanto aderente, al punto di delineare l’estremità superiore dell’unghia sotto la morbida pelle di camoscio. È quindi altrettanto plausibile immaginare che la mano nuda, la destra, sia invece per sfilare il guanto. Ciò non significa, ovviamente, che dobbiamo invertire la direzione del movimento di Six – da un uscire ad un entrare, dal commiato al benvenuto -, quanto piuttosto la volontà di Rembrandt quando intende cogliere il soggetto proprio sull’ambiguo limite fra la casa ed il mondo esterno, tra pubblico e privato, per indurci altresì a pensare oltre che osservare nel dettaglio le due mani, ornate e protette da guanti (o da ‘mascherina’), nella più reale o irreale relazione e connessione in cui e per cui ritratto il gentiluomo condiviso e diviso tra relazioni pubbliche e private: una per il mondo e una per gli amici (degli amici) e per se stesso…




Il dettaglio del guanto (oppure l’odierna mascherina) serve unitamente a preservare l’osservato nel pubblico Tempo transitato, che pur osservando se medesimo non riesce a cogliere il sottile dettaglio del guanto calzato, oppure al contrario, sfilato, così come l’intero abito con cui la mascherina conferisce ulteriore odierno dettaglio del degrado sia se calzata, oppure, per l’intrepido futuro che attende per ogni pubblica relazione…, sfilata, nel costante rischio d’un contagio con cui l’impostura peggio d’ogni virus inganna e falsa ogni prospettiva ed inganna la vista…

Divisa e condivisa fra pubblico e privato!

Tra una casa e la scena d’un teatro…

Tra pubblico e privato non sufficiente un guanto, una mascherina, a preservarci dagli inganni accompagnati dai soprusi di Monopodio (e con lui chi al meglio lo nobilita e legalizza, fors’anche istituzionalizza), giacché da sangue ‘coronato’ e non ancor del tutto ‘guasto’ e ‘ulcerato’, dai remoti tempi in cui ogni falso sovrano o signore esige superiore pretesa nella ‘differenza’ posta e nell’apparenza vestita nonché adornata con ‘nobile’ ricchezza, quantunque sempre privata del dovuto Spirito da cui l’uomo; mai potrà nascere o evolvere Esemplare Novella nella ‘voce del sangue’ con cui scritta la Storia del nostro quanto altrui destino.




Tra pubblico e privato, per chi calza il guanto o cammina per la stessa ugual medesima strada scalzo, corre ed inciampa il Tempo preservato al tatto così come al contagioso respiro, d’una appestata realtà evoluta al panorama d’una Storia sempre corrotta…

Unita e divisa tra pubbliche e private risate di sdegno i Poeti di corte umiliarono Cervantes non reputandolo degno, il ritratto di se medesimo e di come il mondo cinto e calzato con ugual costume (e guanto) guasta l’intera Reale Compagnia non sopportandone l’altezzosa Rima ridotta al cortile d’una Osteria.

Il ‘quadro’ della Storia non meno della Rima al colore del pennello che l’accompagna ornata da Monopodio e chi al meglio, pur calzando guanto e mascherina, lo asserve e mantiene nel fasto della pubblica economia che nulla priva della ricchezza ottenuta pur il guanto e la maschera d’un penoso corrotto bilancio falsarne la Memoria, come Monopodio e l’eterna sua dottrina insegna…

Tra pubbliche calunnie il pastore incolpa il Lupo del danno mai arrecato alla pecunia del Monopodio di Stato, se pur il nobile paese assetato di gloria e colmo di arroganza e falsa dottrina divenuta morale di vita… umilmente ed umiliato calzo il guanto come la mascherina in ciò che divide Eretico e ciarlatano… astenendomi di inchinarmi, o ancor peggio, baciare le mani del Monopodio da cui ciò che Stato… e mai sarà…       

(il curatore del blog)




…Noi ci siamo riformati allontanandoci da loro, non contro di loro…; poiché facendo astrazione da quegli oltraggi e quello scambio di espressioni ingiuriose, che unicamente indicano la differenza fra le nostre tendenze e non nella nostra causa, esistono un unico nome e appellativo comune fra noi, un’unica fede e un necessario nucleo di principi comuni agli uni e agli altri; e perciò io non mi faccio scrupolo di conversare o vivere con loro, di entrare nelle loro chiese in difetto delle nostre, e di pregare insieme a loro, o per loro: non sono mai riuscito a percepire un qualche nesso logico con quei molti testi che vietano ai figli di Israele di contaminarsi con i templi dei pagani, essendo noi tutti cristiani, e non divisi da detestabili empietà, tali da poter profanare le nostre preghiere o il luogo in cui le diciamo; e nemmeno a comprendere perché mai una coscienza risoluta non possa adorare il suo Creatore ovunque, specialmente in luoghi dedicati al suo servizio; in cui, se le loro devozioni l’offendono, le mie possono piacergli, se le loro profanano il luogo, le mie possono santificarlo; l’acqua benedetta e il crocifisso (pericolosi per la gente comune) non ingannano il mio giudizio, ne fan menomamente torto alla mia devozione: io sono, lo confesso, naturalmente incline a quello che lo zelo fuorviato definisce superstizione; riconosco indubbiamente austera in genere la mia conversazione, pieno di severità il mio comportamento, non esente talvolta da qualche asperità; pure nella preghiera mi piace usare rispetto con le ginocchia, col cappello e con le mani…, insomma con tutte quelle manifestazioni esteriori e percepibili ai sensi…




…E quindi come vi furono molti riformatori, allo stesso modo molte riforme; tutti i paesi procedendo ciascuno col proprio metodo particolare, a seconda di come li dispone il loro interesse nazionale, insieme al loro temperamento e al clima; alcuni irosamente e con estremo rigore, altri con calma, attenendosi ad una via di mezzo, non con strappi violenti, ma separando senza sforzo la comunità, e lasciando un’onesta possibilità di riconciliazione; cosa questa che, sebbene desiderata dagli spiriti pacati disposti a concepirla effettuabile per opera della rivoluzione del tempo e della misericordia di Dio, pure a quel giudizio che vorrà considerare le attuali incompatibilità fra i due estremi, come questi dissentano nella condizione, nelle tendenze e nelle opinioni, potrà prospettarsi altrettanto probabile quanto lo è un’opinione fra i poli del Cielo…

…Ma per differenziarmi con maggior precisione, e portarmi in un cerchio più ristretto: non vi è alcuna Chiesa di cui ciascun punto tanto si armonizzi con la mia coscienza, i cui articoli, costituzioni ed usi sembrino così consoni alla ragione, e come formati per la mia speciale devozione, quanto questa dalla quale io traggo il mio credo, la Chiesa anglicana alla cui fede ho giurato obbedienza…




…Io non condanno tutte le cose del Concilio di Trento, e nemmeno approvo tutte quelle del Sinodo di Dort. In breve, là dove la Sacra Scrittura tace, la Chiesa è il mio testo; dove quella parla, questa è solo il mio commento; quando vi è l’unito silenzio di entrambe, non prendo da Roma o da Ginevra le leggi della mia religione, ma mi valgo piuttosto dei dettami della mia stessa religione.

È un ingiusta calunnia da parte dei nostri avversari, e un grossolano errore in noi, far risalire a Enrico ottavo la natività della nostra religione; poiché, sebbene sconfessasse il Papa, egli non rifiutò la fede di Roma, e non effettuò più di quanto i suoi stessi predecessori desiderarono e tentarono nei tempi passati, e per cui si ritenne si sarebbe adoperato lo Stato di Venezia ai nostri giorni.


Ed è ugualmente manifestazione poco caritatevole da parte nostra associarci a quelle volgarità plebee e a quegli obbrobriosi insulti contro il vescovo di Roma, cui come principe temporale dobbiamo un linguaggio castigato: confesso che c’è causa di risentimento fra noi; grazie alle sue sentenze io me ne sto scomunicato; Eretico è l’espressione migliore di cui dispone per me; tuttavia nessun orecchio può testimoniare che io lo abbia mai ricambiato chiamandolo anticristo, uomo del peccato, o meretrice di Babilonia. È metodo della carità sopportare senza reagire: quelle usuali satire e invettive del pulpito possono magari avere un buon effetto sul volgo, le cui orecchie sono più aperte alla retorica che alla logica; pure in nessun modo confermano la fede dei credenti più saggi, i quali sanno che una buona causa non ha bisogno di essere protetta per mezzo della passione, ma può sostenersi con una disputa contenuta.