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Armi & (im)morali (7) &
Enotrio risponde al principe Quirino (8)
Prosegue in:
Il Sacrificio (10) ovvero:
Sfidare la violenza (11)
…Girard ritiene che una teoria unificata dell’evoluzione animale debba
spiegare come la selezione abbia operato a livello di gruppi sociali,
assicurando la sopravvivenza a quelli che riuscirono a dotarsi di strumenti
efficaci per far fronte ai pericoli che incombevano su di loro; pur senza
sottovalutare i pericoli esterni (scarsità di cibo e acqua, malattie,
predatori, ecc..).
Girard concentra la propria attenzione sul problema dell’aggressività
intraspecifica, che sembra costituire una minaccia tanto più grave quanto più
sono sviluppate le facoltà cerebrali. I fenomeni della vita associata, sia essa
umana oppure no, si lasciano comprendere pienamente solo se esaminati sotto il
punto di vista privilegiato della violenza intestina, la quale, nel corso dello
sviluppo delle forme animali più semplici alle più evolute di maggior
intelligenza, sembra divenire sempre più intensa e dotarsi di armi sempre più
sofisticate e letali; è perciò necessario comprendere come una crescente
propensione ai comportamenti violenti, i quali non hanno alcuna ragione per
risparmiare gli individui più vicini e appartenenti al medesimo gruppo, abbia
potuto consentire l’esistenza di società fortemente coese, quali quelle umane,
anziché renderle del tutto impossibili.
In altri termini, bisogna spiegare come sia stato possibile incanalare
la violenza verso l’esterno e sviluppare freni atti ad isolare una sfera di
(relativa) non-violenza, che poteva coincidere con la famiglia o con il gruppo
nella sua totalità. Tale problema si è presentato sia negli animali non-umani
sia all’uomo - ma a quest’ultimo in misura maggiore, vista la sua maggiore
capacità d’offendere ed aggredire grazie ad armi più potenti di quelle naturali
- ed è stato risolto in forme differenti.
Nella prospettiva di Girard ‘non c’è un inizio assoluto nell’emergere
degli elementi culturali nella storia dell’umanità’, che si stagliano piuttosto
su uno sfondo comune alla vita di tutti gli esseri dotati di istinti sociali;
anziché postulare una natura umana ideale e sempre già data, Girard indaga sui
lunghissimi processi che l’hanno plasmata e le hanno dato quel sovrappiù di
forza sul quale si fondano le sue pratiche di sfruttamento. La differenziazione
che ha dato origine all’umano è perciò cercata da Girard su un piano del tutto
diverso di quello postulato da altre teorie filosofiche (ragione, linguaggio,
ecc…), essendo legata al problema delle modalità di controllo della violenza,
vero punto di discrimine tra uomo e animale; ma tale differenziazione, a tutto
vantaggio della semplicità della teoria, nasce da meccanismi comportamentali
comuni a tutti gli animali e spiega anziché presupporre, le peculiarità della
specie ‘Homo-sapiens-sapiens’.
In coerenza con il taglio darwiniano adottato, grande rilevanza assume
nel suo pensiero il problema delle variazioni accidentali: la spiegazione
dell’emergere dell’umano, nettamente antifinalista, fa appello ad eventi contingenti
avvenuti in epoche remote. La stessa cultura umana è un fenomeno la cui
insorgenza è casuale e il cui perpetuarsi obbedisce unicamente alla legge del
miglior adattamento delle circostanze. Nelle poche pagine dedicate alla
relazione tra umani e animali, prevalentemente contenute in ‘delle cose
nascoste sin dalla fondazione del mondo’, Girard fornisce elementi sufficienti
ad avviare un discorso coerente antispecista, svincolato sia dalle
argomentazioni utilitaristiche sia da quelle legate al tema dei diritti e derivanti
piuttosto da un’analisi storica di lungo periodo sulle condizioni che hanno
reso possibile lo sfruttamento indiscriminato degli animali da parte della
‘specie simbolica’.
La lontanissima pratica di addomesticazione degli animali, sfociata poi
nel consumo abituale dei loro corpi per l’alimentazione e per mille altri
scopi, trova infatti una spiegazione solo nel rito, che è stato la scuola
dell’umanità primitiva in ogni aspetto della sua esistenza. Applicando e
svolgendo le intuizioni di Girard, dunque, possiamo affermare che ciò che ha
condannato gli animali alla situazione presente è una dinamica di esclusione
violenta, del tutto simile a quella esercitata nei confronti di altri esseri
umani più deboli, rivolta contro chi garantisce l’assoluta sicurezza di non
essere in grado di vendicarsi. Proprio la mancanza, negli animali, della
possibilità di difendersi e di operare ritorsioni efficaci, costituisce la
ragione ‘unica’ della loro collocazione ad un livello più basso della scala
ontologica e del dominio spietato che essi subiscono. Tutti gli altri argomenti
con i quali è stata sostenuta nel tempo la superiorità umana devono essere
intesi come costruzioni teoriche sostitutive volte ad occultare la natura di
una gerarchia che ha nella violenza il suo unico parametro; intere categorie
umane, prima di divenire sufficientemente minacciose da rendere il loro
sacrificio rituale e il loro sfruttamento economico troppo pericolosi, hanno
del resto subìto una sorte non troppo dissimile da quella degli animali.
Onestà vuole dunque che si strappi il velo dell’ipocrisia e si
riconosca il fondamento violento dello specismo, che non è umanistica
‘preferenza per ciò che è razionale’ ma accorta distinzione tra vittime dalla
cui ritorsione è necessario guardarsi e vittime inoffensive, delle quali si può
disporre liberamente. Il problema
dell’ominizzazione, ossia della differenziazione evolutiva dell’uomo dallo
sfondo comune alle altre specie, è affrontato da Girard grazie agli strumenti
offerti dalla teoria mimetica, da lui elaborata dapprima in riferimento alla
psicologia umana e poi applicata a tutti gli esseri dotati di vita sociale,
cioè alla grande maggioranza delle specie animali; la mimesi è infatti un
sistema di comportamento che si può ritrovare in qualunque essere dotato di un
cervello sufficientemente evoluto e si può presentare sia in forme
essenzialmente innocue, come l’imitazione del canto degli adulti da parte dei
giovani uccelli, sia in forme più pericolose, ma sempre istintuali, ad esempio,
quando un individuo risponde ad un atto aggressivo con un contrattacco.
Le lotte fra animali non durano all’infinito e non portano, d’abitudine
alla morte di uno dei contendenti. Si concludono, piuttosto, con l’accettazione, da parte del vinto, di
una supremazia dell’altro; l’individuo sconfitto frena da quel momento i propri
comportamenti appropriativi, con un’accettazione della superiorità
dell’avversario che comporta la rinuncia a imitarlo in alcune sfere precise
della vita.
Ma cosa succede allorché la potenza mimetica diviene troppo forte,
oppure, geneticamente (negli odierni tempi) ed artificialmente innestata!
(questo è un preoccupante processo evolutivo che proprio dal vasto mondo
animale dove esula completamente, attinge e divide, creando un divario
incolmabile tra la Natura e la corretta sua evoluzione nella negazione e
difetto dell’intelligenza, e l’opposto, l’artificialmente innestato e
proiettato verso una globalità che riconduce la stessa al vasto regno animale
ove tutto connesso ed unito ed anche nato; non ha caso ho riproposto un
frammento dell’opera di Unamuno il quale intuisce questa grande Eresia la quale
possiede una invisibile ma reale concretezza rimossa dalla coscienza quanto
dalla conoscenza dell’Anima (mundi) e quanto dello Spirito, nell’assenza di reali prospettive che dividono
e distinguono una ricchezza da una povertà di mondo posseduta, non rendendo
tangibile e conseguentemente distinguibile cosa appartenga alla povertà e cosa
alla ricchezza. La ricchezza di ieri, anche in ciò in cui per secoli abbiamo
unanimemente riconosciuto la Natura viene confusa per arretratezza; e il
l’odierno progresso ‘unito da una singola voce’ imitata dai più, retrocedendo
ragione e intendimento, al vero industrioso sano progresso…).
Si può infatti supporre che un più elevato sviluppo encefalico porti ad
una maggiore tendenza all’imitazione (non meno di maggiori gigabyte di memoria
connessa), fino al punto in cui essa diviene più forte della paura: non c’è
bisogno di scomodare Aristotele per accorgersi che l’uomo, fra tutti gli
animali, è il più atto all’imitazione (si scorgono casi di questa sino all’esilarante
epilogo che annulla le facoltà per cui il nome ‘homo’ e questo certo è un sogno
di antica levatura cui il ‘ditta-torello’ di turno coltiva la propria ed altrui
artificiosa piccola natura….)…
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