Precedenti Vani
Prosegue con il pastore
La voce del dissenso, oggi come un tempo che
pensavamo sepolto o dato per disperso, sembra prendere il sopravvento. La voce
del padrone regna et impera, incalza e veste il popolo sovrano con più nobile
capo firmato da ammirare alla sfilata del Corso, ove Ognuno ammirato ammira,
con solo il desiderio d’esser adorato aspirare alla puzza del profumato sterco
distribuito al mercato del giorno.
Nessuno escluso ovviamente!
Non essendo gradita la prosa - e/o la Rima di risposta
- si promette la fossa collettiva, la raccolta differenziata, e si raccomanda
morte prematura d’ogni avverso Pensiero armati del numero da circo dell’incaricato
di turno.
Ovvero, l’acrobata della calunnia telecomandata!
Infatti, in nome e per conto del monocromatico Pensiero a senso Unico e stile di Marcia premarcata, con divieto d’accesso dell’improprio e non concesso eccesso espositivo, con il conseguente pericolo con obbligo di far scattare il dispositivo del controllo del Libero Arbitrio; non oltre il limite consentito del passo dato e conferito dalla massa del peso specifico in transito, conferito dal rimorchio di turno adibito al carico e scarico merci; e altresì, intercettato su entrambe le corsie a piedi con umili calzari non ben autentificati, su strade solitarie e secondarie e non solo panoramiche, pericolose per chi non sa né pensare né favellare, figuriamoci il solo camminare senza stampelle telecomandate; fantasia e decoro,
...infatti, nutriti e vestiti dalla raccomandata velocità asservita al pil del giorno esposto alle 4 corsie iperveloci dell’I.A. con Diritto di precedenza assolutistica, correre dal mercato della notte per un giorno migliore del corriere iperveloce, evitando Diritto di recesso avverso ad ogni veloce progresso, astenendoci di nominarlo con il suo vero nome: modello rosso o nero non fa differenza fra chi non sa cogliere diverse altre e più sublimi elevate sfumature…, al semaforo dell’avvenire crocevia d’ogni lecito e illecito traffico… in balia del trafficato stilista del giorno - e la nobile sua e vostra consorte - bianca o nera come la lotteria della morte, con permesso di dote estratta a sorte per la fortuna dell’ottavo giorno d’un più fortunato Giudizio…
La merce deve correre veloce!
Il mercenario di turno mi attende all’uscio, compie il miracolo dell’imboscata con dedica & reclamo avverso al Bosco in transito in difetto del vero senso di marcia, potrebbe crollare sulla folla stipata in attesa della votata fortuna reclamata per ogni Fiera piazza civilizzata; figuriamoci la sorte della povera Selva sua amata compianta compagna per ogni incatenata Cima braccata da una più civile pulizia; mi giura & promette sangue e vendetta, una via crucis con processo farsa a cui destinare l’Eretico dell’intero Condominio poco gradito fino alla Cima del Golgota ove ogni illecito commercio sarà di nuovo permesso & concesso!; lo si attende alla Scala così come un antico Tempo telecomandato, fino alla replica con sublime...
...lirica interpretazione del baritono di turno, comprensivo dell’immacolata inarticolata madonna nonché breve comparsa dell’esercente mercenaria in rappresentanza della Ditta missionaria a tempo pieno e indeterminato per ogni stiva impiegata e navigata, quale sola e vera autentica incaricata, ovvero la migliore caratteriale disadattata in uso al progresso, creare la messa in Scena del sano patibolo da distribuire dalla loggia dell’intera piazza in delirio in assenza dell’antico bar del Colosseo: chiuso per riposo con Festino, famigerata località con vista e in perenne hotel bellavista & sempre in festa, per ogni amarcord...
...motorizzato e un più sfortunato cicloturista adattato; con replica dal Golgota al bar del botteghino con diritto di ricarica dal lotto del numero da circo, all’ombra del più nobile pettegolezzo servito dalla parabola ad ogni hora del giorno e non solo dell’aperitivo; la quale si guarda ed ammira estasiata allo specchio essendo la più bella del villaggio del giorno, è lei la Bellezza che traina la slitta, senza l’ululato dello scemo fargli da contorno; dimenticando donde, in verità e per il vero, si cela il principio della vero oro, bramato predato ed esiliato dalla locandiera, l’amica preferita per ogni hora della notte con annesso...
...monolocale da affittare per brevi periodi di più sano calore con uso di cucina mansardata per il tris della notte, a gente discretamente contattata e di buoni costumi con eccesso di vergata nostalgia per la caccia ad ogni Fiera ancora poco addomesticata nella misura della vera dote, con cui si misura & procaccia il palio in Terra di Natura, se poi viene azzannato e contraccambiato dell’avventura, non si lamenti della scarsità del Dialogo, la bestia l’osserva e medita da quando la lingua masticata da un ingordo palato senza diritto di sosta o transito presso la nota Isola pedonale con vista mozzafiato!
Ciao Bellezza, la meglio slitta del villaggio motorizzato!
Apparente Bellezza per ogni veicolo motorizzato in transito in cui far risaltare l’oculo, ovvero, il profilo iperveloce che scruta aspirare ad esser osservata nonché ammirata come la fiera più bella in transito, il resto del rimorchio arriverà dopo; la quale rimirata ammira ogni facciata proficuamente eretta alla nobiltà alloggiata del Libero Pensiero, alloggiato sino alla mansarda con vista; il quale avanza orgogliosamente ammobiliata di tanta troppa Bellezza magnificamente edificata, nonché sommamente cementata dal patto avverso ad ogni Natura, a cui ogni libero uomo votato contro la libertà nell’uguaglianza del transito, per ogni verde zona senza pedone alcuno con ZTL sollecitare la vera e duratura circolazione per la via del nuovo giorno; dal cuore pulsare all’arteria e dall’arteria fino alla vena della nobile autostrada correre ancor più veloce bramare l’oro della vera morte, in cui si ammirano annusano e un poco schifati, all’ora dell’aperitivo, si scambiano boccacce con smorfie di schifato disgusto per ogni viandante non certo gradito neppure motorizzato a pieno carico… & per di più senza il collaudato Casco…
Proveniente dal miracolo del Bosco procedere in transito per una più miracolosa ed antica Selva, e disgraziatamente proseguire in improprio avverso senso di marcia severamente punito dalla legge dello sceriffo incaricato; giacché il commercio della più onesta calunnia conferita e distribuita dal libero mercato gode della protezione del Tempio romano con cui saziare il popolo ingordo di sangue ancor vivo per ogni Bar der Colosseo, ed ogni dissenso apostrofato o solo predicato, comprensivo del miracolo della vita non certo gradito dal libero mercato.
Vigilato nonché accompagnato del più noto delatore dei tempi supplementari dell’Infame Colonna non lontano dal Piazzale dell’arme, armare ogni cabina errante con più nutrite schiere di letame da fagocitare e seminare per ogni più nobile via di codesta arte detta anche sagra cultura paesana, affinché ogni muro e più sano edificio rimanga ben pulito nutrito da fiero bianco agente del catrame in immobile attesa di divenire il miracolato beato santo del giorno, da contemplare e poi scaricare a tempo pieno per ogni borgo ove edificare la civiltà del progresso senza progresso alcuno, l’importante è seminare a tempo pieno e continuato ogni eccesso di sterco edificato.
L’attore di Stato in libero immobile transito, prepara la comparsa e interpreta, con comprovata industriosa maestria, la farsa antica, mima e calca la Scena da Ognuno reclamata e applaudita come il miglior manichino a cielo aperto, Nessuno escluso ovviamente, dai nobili tempi della boutique del famoso Monopodio & l’intero suo e vostro mal governo, da Ognuno indossato, ovvero da quando il pensiero ignudo ed infelice infermo correva cieco zoppo e umiliato senza calzari e con troppi denari al pascolo del feudo, oggi ammirato ed ancor più di ieri reclamato, seppur quest’oggi - ci informano - in restauro con la promessa di imminente riapertura per i primi morbi d’agosto…
Ma la Natura intera, anche in previsione d’ogni promessa calunnia a lunga scadenza, quale eterna antica rinomata pratica di questo nobile Paese incamminato con divieto di transitato, donde ne rinnovo la Memoria resuscitata, avverte e minaccia la Cima, e la povera sua dimora, potrebbe la farsa divenire tragedia per ogni eretico avverso ad un più nobile ciarlatano ben dimorato.
INTRODUZIONE SENZA DIRITTO D’ACCESSO AL DISSENSO
Chi ha visto le interminabili sfilate in parata
delle camicie nere, dei giovani, dei contadini, degli operai, degli atleti, dei
preti, delle monache, delle madri prolifiche, chi ha assistito alle cerimonie
nelle quali le più alte cariche dello Stato facevano atto di devozione al
regime, ed alle dimostrazioni oceaniche nelle maggiori piazze d’Italia, alle
folle deliranti per il duce, può intendere quali sentimenti dovesse vincere chi
continuava la lotta anche dopo superata la crisi per l’assassinio Matteotti:
aveva veramente l’impressione di muovere all’assalto del Monte Bianco armato
solo di uno stuzzicadenti.
La metafora del Monte Bianco da scalare con uno
stuzzicadenti, usata da Ernesto Rossi nell’introduzione al volume ‘No al
fascismo’ del 1957, è particolarmente calzante per descrivere la drammatica
condizione di coloro che, in modo e forme diverse, tengono vivo il dissenso e
l’opposizione al regime di Mussolini tra gli anni Venti e gli anni Quaranta.
Il fascismo, infatti, inizia subito a smantellare le libertà: prima con la fase violenta dello squadrismo, che culmina con la marcia su Roma e porta Mussolini al potere nel 1922; poi soffocando ogni forma di opposizione, nel quadro dello Stato liberale ancora formalmente operante fino al 1925-1926; quindi con una serie di leggi eccezionali che danno vita allo Stato autoritario vero e proprio, che può dirsi compiuto nel 1929; infine con un soffocante controllo poliziesco e la mobilitazione permanente della popolazione, fino alla crisi determinata dalla guerra.
Già alla fine del 1926 quasi tutti i leader e i
militanti dei partiti, gli oppositori attivi, ma anche quelli semplicemente
scettici o poco entusiasti, sono annichiliti da intimidazioni, spedizioni
punitive, arresti e forme di emarginazione e isolamento. Per molti di loro
l’unica salvezza è l’emigrazione forzata (o verso montagne ove controllati da
più noti padrini fedeli ai servizi).
Diversi altri pagano con la vita, assassinati in Italia e all’estero (come Giacomo Matteotti, don Giovanni Minzoni e i fratelli Carlo e Nello Rosselli) o deceduti per le conseguenze delle aggressioni, dei maltrattamenti e degli stenti patiti in carcere (come Giovanni Amendola, Piero Gobetti e Antonio Gramsci).
Ne deriva che i sindacati e i grandi partiti di
massa vengono letteralmente spazzati via e così nel 1943, alla caduta del
fascismo, il Partito socialista ha appena 3.500 iscritti rispetto ai 200.000
del 1920; quello comunista ne conta 5.000, dopo aver toccato punte di 10.000
all’inizio degli anni Trenta; il Partito popolare, che aveva oltre 250.000
iscritti, svanisce e lascia il posto alla Dc, che però deve ancora
strutturarsi; Partito d’Azione, Democrazia del lavoro, Partito liberale e
Partito repubblicano vantano numeri ancora più marginali.
Sotto il regime, d’altronde, non è ammessa alcuna forma di dissenso ed esprimere qualsiasi opposizione, protesta o anche solo malcontento è difficile e rischioso. Le uniche opinioni consentite sono quelle autorizzate in quanto allineate.
Il Paese è sotto lo stretto controllo della polizia
e delle sue spie, i prefetti diventano il braccio operativo del potere
dittatoriale e monitorano costantemente le attività sul territorio e lo spirito
pubblico della popolazione, mentre il Pnf e le organizzazioni ad esso collegate
diventano uno dei principali strumenti di mobilitazione, vigilanza e
costruzione del consenso. Ogni ambito della vita pubblica e privata, sociale,
lavorativa, scolastica, ricreativa e via dicendo è presidiato. Il concetto stesso
di cittadinanza si modifica, finendo per essere assimilato all’adesione al
fascismo, per cui solo chi è fascista è italiano, mentre chi si oppone è
escluso dalla comunità nazionale (di qui il termine fuoriusciti coniato dal
regime per gli esuli).
Allo stroncamento di ogni forma di opposizione ideologica, politica, culturale, economica e sociale concorrono congiuntamente il sistema repressivo e il processo di fascistizzazione della società, alimentato dalla mobilitazione delle masse e dalla persuasione dell’opinione pubblica basata sulle moderne tecniche di organizzazione, comunicazione e gestione dell’informazione.
È la cosiddetta macchina del consenso, un sistema
in grado – come osserva Simona Colarizi – di influenzare a fondo ‘processi
mentali e stati d’animo [...] che il fascismo vuole imporre agli italiani’,
sostenuto anche da forme di autocensura da parte di potenziali oppositori, per
omologazione al contesto o per timore delle conseguenze. Ed è attraverso questo
uso congiunto di forza e persuasione che il fascismo riesce a stabilire un
controllo quasi totalitario sulla società, riducendo al minimo gli spazi del dissenso
e alimentando viceversa quelli del consenso, come è emerso prima dagli studi di
Federico Chabod e Renzo De Felice, poi da quelli di Emilio Gentile, e in anni
più recenti da numerose ricerche che hanno consentito di delineare meglio il
fenomeno, distinguendo anche i confini tra forme di militanza convinta,
semplice inquadramento o irreggimentazione e mera sottomissione.
Non altrettanto però è stato fatto per il dissenso.
Quest’ultimo, infatti, pur occupando spazi
residuali, in modo non omogeneo nel tempo e nelle diverse zone del Paese, trova
a sua volta varie forme di espressione che spaziano dalla semplice
indifferenza, alla non adesione intima e privata solo relativamente espressa e
non necessariamente consapevole e politicizzata, fino all’antifascismo
militante, con espressioni che vanno dai comportamenti privati alle iniziative
individuali, fino all’impegno più organizzato. Ma, come ha osservato Patrizia
Dogliani evidenziando che ‘a lungo la storia dell’antifascismo è stata scissa
dalla storia del fascismo’, continuando a studiare fascismo e antifascismo come
antitetici ‘riserviamo la nostra osservazione essenzialmente a convinte élite
di fascisti e di antifascisti, privandoci di una migliore conoscenza invece
dell’ampiezza, dei limiti e degli andamenti del consenso al regime’.
Seguire il lungo percorso degli italiani attraverso
il fascismo prendendo in considerazione anche la componente minoritaria
dell’opposizione, sia quella militante, sia quella spontanea, popolare e spesso
politicamente inconsapevole, è quindi utile a favorire una visione più
equilibrata e completa del tema e contribuire a «determinare – citando ancora
Simona Colarizi – una nuova impostazione del problema storico
dell’antifascismo.
È noto, infatti, che l’attenzione storiografica si è tradizionalmente concentrata sul periodo della Resistenza, relegando le varie forme di dissenso e di opposizione degli anni precedenti in un ‘limbo più o meno agiografico’. Al tempo stesso non sono mancate tendenze volte a considerare la caduta del regime attraverso una congiura di palazzo e non per mezzo di una insurrezione di massa ad opera delle forze d’opposizione come un ‘fallimento dell’antifascismo’.
Ma è chiaro che l’esistenza di forme di non
allineamento, di esplicito dissenso e di vera e propria opposizione, lungo
tutta la durata del regime, nonostante la pressione dell’apparato di polizia,
rappresenta una precondizione di ciò che accade nel periodo successivo del
1943-1945. Esplorare e comprendere pienamente il rapporto tra gli italiani e il
fascismo, tra tessuto sociale e regime, consente di mettere ancor meglio a
fuoco l’intera vicenda dell’antifascismo e confermare il suo ruolo di primo
piano in quel frangente della storia italiana. E ciò riguarda in particolare la
zona magmatica del dissenso non organizzato e meno politicizzato, ancora poco
indagato, che nella sua evoluzione nel corso del tempo va a formare un terreno
fertile su cui poi attecchirà la partecipazione di molti italiani alla guerra
di liberazione.
La ricostruzione storica del dissenso, dunque, è qualcosa di complementare ma ulteriore rispetto a quella dell’antifascismo. È uno spazio di analisi del vissuto degli italiani sotto il regime più ampio, complesso, mutevole, variegato e per molti versi più sfuggente, che ha lasciato poche testimonianze dirette. Eppure svolge un ruolo pubblico, sociale e indirettamente politico dal quale non si può prescindere. Accanto all’antifascismo militante e organizzato, infatti, esiste un ‘antifascismo popolare’, radicato ‘nella realtà viva del paese’ il cui studio, come ricorda Giovanni De Luna, è ‘restato decisamente in ombra’. Un fenomeno che peraltro sconfina nel campo delle opinioni informali, personali, non pubbliche, che sfuggono alla morsa del controllo e della repressione e che pure sono importanti per analizzare compiutamente il rapporto tra gli italiani e il regime fascista, come è avvenuto ad esempio nella storiografia tedesca.
Anche le ragioni che animano il dissenso sono le più varie: c’è chi è sostenuto da antiche fedeltà ideali maturate prima dell’avvento del fascismo o appartenenti alle tradizioni familiari e delle comunità cittadine o di quartiere, chi appartiene alla categoria degli antifascisti ‘dormienti’, cioè coloro che sono rimasti in Italia e hanno abbandonato l’attività politica attiva ma di cui è nota la contrarietà al regime, chi non ha una cultura politica e una convinzione ideale ben connotata ma è istintivamente insofferente verso l’invadenza del regime, chi è mosso dal risentimento per le cattive condizioni sociali ed economiche e così via.
Così come sono svariati i luoghi del dissenso: per
strada, nelle trattorie, nei bar, sui tram, nei posti di lavoro, nel privato
delle proprie case. Solo raramente il dissenso espresso in ambito privato
sfocia in forme pubbliche (il popolare Bernardo Mattarella, amico di don
Sturzo, padre dell’attuale presidente della Repubblica Sergio e di Piersanti,
che verrà ucciso dalla mafia, strappa a quest’ultimo la tessera dei Balilla e
gli raccomanda di dirlo alla maestra delle scuole elementari che gliel’ha data).
E lo stesso vale per le sue forme, tra cui quelle cosiddette ‘povere’: barzellette, filastrocche, caricature, parodie di canzoni o di poesie, insulti e imprecazioni contro Mussolini e i gerarchi, statue parlanti (come nel caso di Roma), scritte murali (che spesso compaiono in occasione di date simbolo, come il 1o maggio, festa dei lavoratori, o il 7 novembre, anniversario della rivoluzione russa), ritocchi sarcastici di cartoline propagandistiche, volantini artigianali, intonazione di canti politici, in particolare Bandiera Rossa, culto e ricordo degli oppositori morti per mano fascista (da Matteotti a Gramsci) e ‘funerali sovversivi’.
Ad esempio Leonardo Sciascia ricorda che un cugino
del padre porta a casa un ritratto di Matteotti e la zia lo custodisce per anni
‘arrotolato, dentro un paniere in cui teneva filo da cucire e pezzi di stoffa’,
tirandolo di tanto in tanto fuori ma con l’invito al nipote di non parlarne con
altri. Manifestazioni di critica che Martin Broszat, con riferimento alla
Germania e al nazismo, ha definito Resistenz.
C’è anche un ‘antifascismo da osteria’, in quanto i presunti dissidenti pronunciano le loro invettive sotto i fumi dell’alcol, nel corso di litigi o per eccessi di rabbia dovuti alla disperazione e alla miseria, incappando nelle denunce di delatori di passaggio, colleghi, conoscenti o perfino parenti, ma spesso ritrattandole per evitare la condanna o alleviare le pene. Non mancano però filoni di dissenso sociale più profondi e meno estemporanei, che arrivano a dare luogo a proteste popolari quali cortei davanti alle sedi istituzionali e tumulti e scioperi nelle fabbriche e nelle campagne, soprattutto nei momenti più gravi della crisi economico-sociale: dopo la rivalutazione della lira del 1926-1927, nei primi anni Trenta con l’arrivo in Italia degli effetti della grande depressione e durante la guerra, specie tra il 1942 e i primi mesi del 1943.
Un dissenso, questo, che – a parte le
manifestazioni del 1942-1943 – ha più che altro un movente economico e sociale
e non politico-ideologico, coinvolgendo in particolare gli operai, che sotto il
regime assistono impotenti all’erosione della capacità d’acquisto dei loro
salari, e i contadini, penalizzati dalla crescente meccanizzazione delle
coltivazioni e dalla vita misera che si conduce nelle campagne.
Esiste anche un antifascismo solitario, quasi esistenziale, ingenuo, un po’ romantico e un po’ disperato, fatto di gesti individuali, come il tale che sfreccia in bici per le strade lanciando volantini contro il regime, o i due siciliani che, l’uno all’insaputa dell’altro, scrivono a stampatello decine di lettere anonime sperando che servano a far aprire gli occhi a qualcuno, o come il padre che all’ufficio anagrafe insiste per chiamare il figlio Lenin.
C’è poi un dissenso riconducibile alla classe
intellettuale, significativo, ma certamente meno diffuso e più concentrato su
alcune eminenti figure che rimangono in Italia. Dopo il Manifesto degli
intellettuali antifascisti promosso da Benedetto Croce nel 1925, varate le
leggi fascistissime, molti intellettuali che non emigrano si ritirano a vita
privata o si convertono a cantori del fascismo e del duce. Talvolta, per
garantirsi la possibilità di mettere in circolazione qualche frammento di
opinione contrastante col regime, lo mimetizzano in mezzo a ‘concessioni alla
dottrina o alle dottrine ufficiali della propaganda’, come sostiene, anche con
intenti autoassolutori, Delio Cantimori, ricorrendo a ‘espedienti e sotterfugi
di ogni genere’ per sottrarsi alla censura.
Lo stesso Benedetto Croce, che resta per tutto il Ventennio un punto di riferimento per il mondo della cultura liberale e antifascista, si richiama all’arte della ‘dissimulazione onesta’, teorizzata nella trattatistica del Seicento, come un modo di sottrarsi all’arbitrio del potere.
Anche nella scuola sono pochissimi i docenti che
non si allineano, come dimostra la vicenda del giuramento al regime fascista
del 1931. Più complesso è il rapporto tra il fascismo e la Chiesa e più in
generale il mondo cattolico, che vede momenti di incontro, attorno al
Concordato, ma anche di scontro, sulle leggi razziali e il ruolo delle
associazioni cattoliche. In ogni caso durante il Ventennio si contano circa 300
sacerdoti che a vario titolo vengono schedati nel Casellario politico centrale,
poiché adombrano temi critici verso il regime nelle omelie durante le messe o
nei rapporti con la comunità dei fedeli, comprese le confessioni, oppure si
schierano contro la guerra.
Un tema differente è la fronda che si sviluppa all’interno dello stesso movimento fascista. I frondisti sono, a partire dalla seconda metà degli anni Trenta, soprattutto alcuni giovani dei Guf e dei Littoriali, insofferenti verso i comportamenti dei gerarchi, specie in tema di corruzione, e verso alcune scelte di Mussolini, come la guerra di Spagna, le leggi razziali, l’alleanza con la Germania. In alcuni casi, nell’ambito di quel ‘lungo viaggio attraverso il fascismo’ raccontato da Ruggero Zangrandi, proprio il malessere generato da questi temi porterà ad approdare all’antifascismo e alla Resistenza (gli esempi sono innumerevoli, da Carlo Bo ad Elio Vittorini e tanti altri).
Quantificare e misurare questo variegato arcipelago
di situazioni riconducibili a forme di dissenso è difficile. Alcuni dati certi,
ma ovviamente non esaustivi, riguardano i 15.806 deferiti (748 donne) e i 5.620
processati (124 donne) dal Tribunale speciale, i 160.000 tra ammoniti e
vigilati speciali e i 17.000 confinati. Tra il 1926 e il 1943 ogni settimana,
come ha calcolato Altiero Spinelli, il regime infligge l’ammonizione o la
vigilanza speciale a 181 cittadini, ne invia 11 al confino, ne denuncia 24 al
Tribunale speciale e ne condanna 6 al carcere con pene da 1 a 30 anni.
Per avere un quadro il più possibile chiaro e approfondito occorre indagare il vasto, variegato e sfuggente universo delle convinzioni personali e dei comportamenti individuali e a tal proposito non mancano le fonti ufficiali da scandagliare per un’analisi articolata e generale: i rapporti delle prefetture, delle questure e dei carabinieri, i fascicoli degli antifascisti raccolti nel Casellario politico centrale, le relazioni del Pnf e dell’Ovra (e dei loro fiduciari/spie), le sentenze del Tribunale speciale che inizia ad operare dal 10 febbraio 1927.
La questione delle fonti è molto rilevante perché
riconduce all’inevitabile diversificazione del fenomeno in seno alla società.
Tale differenza, che si riscontra anche negli studi che hanno analizzato il
tema del consenso, caratterizza peraltro la produzione delle fonti stesse,
poiché è diversificata e disomogenea anche la capacità delle strutture di
controllo del regime di monitorare lo spirito pubblico degli italiani.
C’è ad esempio uno sbilanciamento tra città e campagne, in favore delle prime. C’è una maggiore continuità dell’ascolto nell’Italia centro-settentrionale rispetto a quella meridionale, tranne per i grandi centri urbani. Il regime stesso, del resto, preferisce concentrare gli sforzi su quegli ambienti e quelle aree dove ha riscontrato maggiore opposizione alla propria affermazione. Col passare del tempo, inoltre, subentra una propensione dei prefetti e dei funzionari fascisti a liquidare il tema dello spirito pubblico con semplici aggettivi, tipo ‘buono’ o ‘normale’, per evitare di evidenziare aspetti non ottimali che finirebbero per mettere sotto osservazione anche il proprio operato nelle province di competenza.
Non a caso studiosi come James C. Scott e Paul
Corner hanno sottolineato l’esistenza di hidden transcripts di dissenso, vale a
dire di espressioni o azioni indirette di opposizione o resistenza, mettendo in
guardia dall’accettare ‘acriticamente, come verità assoluta, i ‘public
transcripts’, ovvero le relazioni ufficiali e le dichiarazioni pubbliche di
adesione, soprattutto quando si ha a che fare con un regime, come quello
fascista, che combinava atteggiamenti autoritari con pretese di comportamenti
servili’.
Ed è proprio per ovviare a questi aspetti che alle fonti ufficiali vanno affiancate quelle private, come diari, lettere e memorie, le canzoni e i motti popolari, oltre alle trasmissioni radiofoniche e ai giornali. Assai utili sono anche le relazioni delle commissioni della censura (sia il commento d’insieme, che i brani di lettere in esse citati), anche se, come osserva Pietro Cavallo, sono ‘fonti sospette’, cioè documenti prodotti dal regime per il regime, condizionate da uno spoglio influenzato dalla prospettiva del censore, che decideva quali aspetti privilegiare o tacere, sminuire o evidenziare.
L’analisi incrociata di tutti questi documenti,
compreso come si è detto quelli dei processi del Tribunale speciale e dei
fascicoli del Casellario politico centrale che dipendeva dalla Divisione affari
generali e riservati della polizia (presso il quale tra il 1926 e il 1943
furono aperti 110.000 fascicoli di ‘sovversivi’ schedati, tra cui figurano
5.005 donne, contro i 40.000 fascicoli del periodo tra il 1896 e il 1926[30]),
consente di ricostruire da un’angolazione particolare le storie
dell’antifascismo e l’evoluzione del dissenso, cronologicamente e
tematicamente.
Ecco una possibile periodizzazione.
Non è casuale che il massimo di persecuzione giudiziaria avvenga proprio nel primo triennio di attività del Tribunale speciale, tra il 1926 e il 1929 (anno del plebiscito), dopo qualche fisiologica incertezza iniziale, con l’obiettivo da parte del regime di scardinare ogni residuo di opposizione. D’altronde questo periodo è anche quello in cui ancora si manifesta con una certa ampiezza l’opposizione al neonato regime, specie nei luoghi di lavoro ad opera dei partiti di sinistra e di quello comunista in particolare, mentre man mano che le maglie della repressione si stringono, gli spazi si assottigliano e si chiudono quasi del tutto. Le prime sentenze si concentrano su offese e vilipendio al duce, reati di stampa, ricostituzione del partito comunista e dei sindacati, agitazioni e scioperi.
Il periodo della crisi economica successiva al
crollo di Wall Street, che vede anche una maggiore presenza attiva del partito
comunista in Italia, fa registrare episodi di scioperi e di manifestazioni di
protesta in tutto il Paese, al grido di pane e lavoro, con protagonisti operai,
contadini, donne e disoccupati, che seppure abbiano solo di rado una precisa
connotazione antifascista, comportano una ripresa generalizzata di processi.
La parte iniziale del quinquennio 1935-1939 rappresenta quella di ‘minore conflittualità e di maggiore consenso per il fascismo, almeno fino alla guerra d’Etiopia e alla proclamazione dell’impero. La guerra civile spagnola costituisce invece l’occasione di rivincita per i fuoriusciti (Paolo Spriano osserva che per la prima volta, dopo il 1921-1922, ci si può battere a viso aperto e con un’arma contro il fascismo) e inizia a risvegliare anche gli antifascisti dormienti in Italia e le nuove generazioni native del fascismo, e nel 1938 anche le leggi razziali, pur essendo ampiamente accettate nella popolazione, fanno sorgere in alcuni dei dubbi.
Infine, lo scoppio della guerra mondiale vede una
crescita quasi immediata dei processi, che aumentano regolarmente di anno in
anno fra il 1940 e il 1943, a causa del crollo del cosiddetto fronte interno,
fino alla caduta del regime e di Mussolini, provocata però non dai partiti
antifascisti, all’epoca ancora troppo deboli, ma dal disastro bellico e dal
sopraggiungere degli Alleati, anche se in qualche modo favorita dal
ripensamento in atto da parte degli italiani, dalle manifestazioni e dagli
scioperi del 1942 e del 1943 e dalla congiura di palazzo ordita dall’esercito,
dalla corona e da pezzi dell’establishment italiano.
‘Oggi nessuno fu fascista, mai’, commenta ironico un granatiere all’indomani del 25 luglio 1943. Il ‘collettivo bisogno di rimozione’ degli italiani verso il fascismo, ha determinato in effetti un errore di prospettiva storica anche nello studio dell’antifascismo.
‘Il paesaggio storico che via via si è andato
definendo – come scrive Mario Isnenghi – è quello di un fascismo senza
fascisti, dove una patente di antifascismo, criptoantifascismo o, male che
vada, afascismo non la si nega a nessuno’.
Un’evidente falsità storica, che rende tanto più
importante raccontare il coraggio di quella minoranza di italiani che,
nonostante la persecuzione politica e poliziesca, mantenne accesa sotto la
dittatura la fiaccola della libertà e della speranza, con una ricostruzione
storica e documentale che consenta ‘di non racchiudere l’area del dissenso nei
confini della sola opposizione clandestina’, ma che contribuisca a ‘una
raffigurazione plastica, e non piattamente immota e uniforme, della società
italiana negli anni del fascismo’.
(Avigliano/Palmieri; Il dissenso al fascismo)