UNA FIRMA CONTRO I PESTICIDI (E NON SOLO)
Precedente capitolo con
Prosegue con il...:
& con la donna
Il
filo logico che mio malgrado cede a ‘ poetici deliri’, soprattutto tali in
questi odierni accadimenti, di cui il mio argomento in contrasto con un
‘germano’ (di cui Otto testimonia la sulfurea pretesa accompagnata da una
futura nota filosofica e post nazifascista), sicuramente appaiono fuori luogo -
ma non certamente fuori tempo - in quanto il mio Pensiero e il mio Linguaggio
simmetricamente nati da una nota musicale universalmente riconosciuta come la
matrice, lo spartito, della Lingua.
Quindi
dell’Infinito Linguaggio universale, e non più da un Frammento dello stesso,
ove la ‘nebbia artica’ del tempo lo ha ricondotto ad una condizione ‘indoeuropea’
di superiorità circa pronunzia e genetica, semmai una formazione dell’apparato
vocale e scheletrico in cui nato e comune destino di una più profonda
esperienza emotiva con cui svelare la nostra intera cultura, mai superiore o
inferiore, ricca o povera del futuro concetto con cui narrare il presunto
divario!
O meglio, che dico!?, ‘luogo’ e ‘logo’, visto che il ‘germano’ soprattutto quando ben anellato, un ‘logo’ sicuro per la sua ed altrui più profonda metafisica; seppur sappiamo non avere (ed essere), quindi possedere, quella completa esperienza per dedurre decifrare e trasporre, una medesima ugual ‘Idea’; in quanto la stessa ‘Idea’ deriva da una esperienza ‘mistica’ protratta nelle vaste Ragioni dello Spazio e Tempo, nell’interezza in cui l’intero Ecosistema viene vissuto percepito e dedotto solo successivamente ‘nella e dalla’ ‘materia’.
Quindi
postulare chi meglio la precede nell’immateriale che comporrà cotal dotta ‘materia’,
abbisogna di quella sacralità (di quel Sacro) da chi pervaso dall’esperienza
mistica; ovvero, con colui che accompagnato da Dio. Le sue fattezze talvolta,
dalla e nella stessa cultura che osserva sempre osservata con più rigoroso
sapiente mutismo, tradotto in un truce destino di chi privato del suo
Linguaggio pur parlando il principio e destino di ogni passata presente e
futura lingua; cambiano oggetto e forma, ma concordo con uno ‘svizzero’ che
intuì in quell’occhio, vuoto e smarrito, al pari dell’intero Universo, un
primordiale antico e Primo Dio!
E non in una solitaria stanza di addottorata acculturata somma dottrina universitaria, quindi considerare delirio, somma Poesia, anche da ogni Eretico pregata e gelosamente custodita, ci appare la più sana Dottrina metafisica da coniugare con un altrettante universalità di cui il santo profeta ci testimonia la propria capacità di ricongiungersi con la Natura intera, e quindi, pregare il suo e nostro comune Dio!
Certo
ammettiamo e sveliamo, e non più in antico aramaico, che qualcosa ci divide fra
un Primo e Secondo dato nelle vaste Ragioni e Regioni di medesimo Tempo!
Comunque, sia chiaro a cotal ‘germano’, dai remoti tempi in cui ancora non
atterrava o sorvolava nel nostro spazio naufragato, che la ‘materia’
successivamente data creata dal kaos degenerato degli Elementi non ancora al
compimento della futura bellezza, che quel ‘colpo’ (insomma lo ‘sparo’) nello
Stato della materia non fu una nostra Idea, in quanto la Tirannia di quella ‘strofa’
ci èra ed è estranea!
Forse una dolente nota della terra ove il germano nidifica e cova… Anche questo un mistero beffa di medesimo Linguaggio, Otto insegna e vola ancora nostro malgrado!
Più
e più volte sono rimasto ‘colpito’ (al pari ed ancor prima di colui che volava
come il protetto germano, seppur ancor imperfetto spacciato per un perfetto
pensiero) dalla genetica del Filosofo, non dalla complessità di come un
Pensiero semplice venga cotto con tanto troppo condimento; oppure abdicato ad
una presunta cucina vegetariana, più complessa e indigesta ancora, qual grande ‘dogmatico’
del pensiero come artefice della parola cotta a vapore…
(l’èra di Darwin e la sua Rivoluzione stanno per sopraggiungere… infatti dalla stessa cucina ricaveremo ugual Nulla di cui futura Lingua artica, giacché il ghiaccio e non solo quello artico più prestigioso e onorato, si sta sciogliendo, proprio fuori all’agghiaccio ove come bestie dimoriamo, con il Santo cui letta e vissuta o meglio convissuta, la nostra comune strofa; ovvero, un Inno in Lode alla Natura intera e la sua immensa grande povertà, e il Dio che così bella l’ha creata, la quale retrocede per sua povero incerto destino verso quel primo Nulla ove, oltre non Aver nessun Elemento da pregare, protendere Essere nell’incerto Divenire non più una Dottrina ove porre preghiera e riparo per la speranza della Vita nella semplicità per cui vissuta),
…ma sarò ancor più sincero, rimango colpito per entrambe due illustri personaggi dalle nozze mistiche con cui Giano coniuga l’antica Dottrina. Mi è rimasto sempre difficile da comprendere e digerire come due opposte genetiche coniugano la propria vita sentimentale per tutto ciò che sarà consumato per medesima cucina.
Infatti
sappiamo che la sposa ‘mistica’ del ‘germano’ ammirato nell’artifizio metafisico-acrobatico
della parola, sarà ancor meglio amata compresa per poi esser perseguita e
processata dalla futura sua amata donna, nella successiva prole che ne deriva e
deriverà ancora; la quale ci descrive come tutti i suoi parenti, quindi la sua
genetica, venne perseguitata cacciata, ed in ultimo deportata e seviziata con
l’intenzione di estinguere una intera razza, in odor di quella sposata dottrina
e il suo dogma nati dal kaos della materia originaria.
Per cui cotal Giano dalla doppia Natura appartiene alla nostra cultura, mentre il ‘germano’ che sorvola una zona estesa e sicuramente spazia altrettanto bene con il Pensiero, privo di quella vera metafisica attribuita alla ‘contemplazione’ che precede e procede oltre la Strofa.
Ovvero,
una muta Parola che vola e spazia come una Idea, e certamente più umile seppur
istintivamente coltivata con l’esperienza di un volo protratto nel Tempo in cui
condividere stesso medesimo, non più Pensiero, ma Ecosistema con cui apportare,
o meglio rapportare, l’esperienza attribuita a quella ‘povertà di mondo’ ed in
cui sappiamo cotal povertà Essere (quindi Avere nella propria genetica) il
mondo intero.
Questo
non solo il paradosso ma la chiave di lettura dell’intero diverbio!
Ovvero ed ancora, quella dialogante Madre Natura che edifica il nostro antico Tempio, e per “Tempio” non certo intendo quello cui il destino apostrofa e comanda un antico diverbio fra la materia e il suo opposto; indico semmai l’esempio di colui che ne è innanzitutto sprovvisto, in quanto edificato in un più vasto immateriale Regno Divino; incaricando un Profeta (non certo il primo neppure l’ultimo) e il suo Dio; giacché non ho mai condiviso in questa terrena esistenza il Sacrificio di cui agnello, evolvendo un antico e odierno Ecosistema, e non solo terreno, circa il gregge della vasta ‘pecunia’ ed il regno terreno in cui il pastore svolge l’antico compito, attribuendo ad un Lupo la colpa e l’apparente delirante blasfemo delirio di una diversa preghiera e istinto, giacché la sua prole figlia primogenita di una lupa, in quanto sappiamo che entrambe due sacrificati al destino di medesimo Principio scritto nella materia, per cui il Dio Uno nel dilemma che ne deriva…
Quindi,
per ciò detto ed anche additato hor hora come blasfema bestemmia bestemmiata;
perché, chi mai oserebbe contrariare una metafisica che appare come un Dogma
nel Dogmatismo cui destina una idea divisa e condivisa, oppure avversata, con
un noto evoluzionista?
Mai
sia detto!
Tutto
ciò debba avvenire in medesimo Tempio!
Dirà,
nel proprio delirante delirio il futuro ciambellano cancellerie e la sua amata
paradossale sposa!
Sarà
un serpente velenoso, entrambe sosterranno in cotal Regno, seppur fu Eva ha
commettere il peccato e Adamo perdonato!
Sono Eretico! quindi sostengo che la Poesia sia il miglior strumento che certifica l’essenza dell’esperienza la quale come tale deduce e indica una più concreta Metafisica, una ‘sacra’ metafisica di cui anche se la portata storica, come avviene ed avvenne, al tempo del filosofo preso in prestito, simmetricamente all’umile movimento del santo, degenerò loro malgrado verso una forma autoritaria di Governo, sia con l’Inquisizione qual comune denominatore che abdica ugual Libero Arbitrio, sia ad una Tirannia, quindi, ad un dogmatico dogmatismo in cui leggere e dedurre il risultato del proprio Tempo.
Ma
in questa sede noi trattiamo l’Infinito il quale seppur dedotto dalle vaghe
nebbie del Nulla, ci conduce e spazia verso una più certo ed umile contesto,
che ci unisce e non certo divide, con molta più semplicità per quanto esposto
dal nostro sommo dotto filosofo.
Ma noi come il povero Francesco siamo ‘poveri di mondo’ e di tutta quella cultura fuggita fino ad un umile grotta, in quanto Ognuno, Nessuno escluso, acculturato e accompagnato da più somma e Artificiale artificiosa Intellighenzia, che fa di ogni scemo un eccelso futuro addottorato in stato degenerativo e involutivo, posto in una più ricca e fornita grotta attribuibile all’oracolare dono del tempio come della materia.
La
summa, infatti, può portare e ricondurci verso un enunciato che nostro malgrado,
seppur vuole comporre una armonia, in realtà per sua interpretazione o equivoca
costruzione, tende a gettare seri dubbi sulla finalità in cui e per cui nato.
Una
equivoca, e non certo mal compresa dogmatica metafisica!
Noi invece adottiamo la semplicità, anche e seppur più povera e volgare di un povero Santo, del suo Linguaggio che con poche note, con pochi versi ci riconduce ad altrettanti suoi (e nostri) muti ed ancor più poveri confratelli per ogni dove, per ogni luogo, per ogni ELEMENTO, ove appunto percepito ugual sentimento.
Al
di fuori di ogni laboratorio, al di fuori di ogni ristretta cerchia di addetti
ai lavori, al di fuori di una nobile aula universitaria, e ci conduce per cieli
vasti ma sicuramente più limpidi, ove il Pensiero e l’Intelletto spazia e vola,
e diviene Uno con l’oggetto della nostra comune povertà e intendimento circa il
Dio pregato e bramato, nonché meditato attraverso l’occhio senza apparente
Anima di un selvaggio animale che vive con il solo istinto di sopravvivenza.
In
verità e per vero, sappiamo bene che se ‘curando’ uno solo di loro, lo
proteggiamo dalle nefandezze culturali dell’uomo, o dal suo strano Verbo
congiunto ad un addottorato Avverbio, avremmo riconoscenza dell’intero UNIVERSO animato e da
ogni pietra che muta si cela nella crosta e trema per il miracolo, per il
miracolo della vita; oltre il Dio che l’ha creato parte non distinta dall’occhio
dall’anca dallo stomaco e da ogni petalo, insomma l’Uno e il Tutto del suo
vasto REGNO!
Quindi, con tutta la mia carenza di Pensiero, e simile all’oggetto della Pietra congiunta simmetrica ad una bestia ove appoggiato il nostro bastone per intraprendere il Sentiero, medito ed elogio il carente seppur valido Pensiero... e ne faccio pietra di scandalo del noto Tempio da sempre sommamente pregato, letto e adorato, come gli antichi dèi di Odino il più selvaggio!
L’esperienza
sul campo mi induce a riflettere ugual Pensiero accompagnato dall’oggettiva
fisica e metafisica esperienza, di sottrarre innanzitutto il formale principio
per come svelarlo.
Ovvero,
non vi è povertà o ricchezza quando si ha un unico Elemento, e cosa intendiamo
per ‘unico’?, ovvero quando poniamo questa clausola, ‘unico’ qual Terra vissuta
e da ognuno convissuta nata dalla pietra fino alla più alta Cima la quale narra
la sua ed altrui muta Storia, sia in povertà e ricchezza, per come meglio
intenderla e edificarla, fu detto infatti, su di essa poggerai un Regno
invisibile alla materia.
Quindi ed allorché introduciamo questo nuovo parametro e distinguo, circa ‘povertà di mondo’ e ‘ricchezza’ dello stesso, andrebbe meglio definito e/o definiti i concetti relativi e attribuiti a ‘povertà e ricchezza’, o ricchezza e il suo contrario per come meglio contemplare cotal pietra e la sacra metafisica che ne deriva; ed in merito a ciò apportiamo un valido esemplare esempio del Santo Francesco, ed altresì adottiamo cotal utile distinguo per ciò che sarà una prossima enciclica.
Quindi
detto tutto questo appare chiaro ciò che per il filosofo intende ‘ricchezza’
potrebbe essere codificato e tradotto dal nostro ‘istinto’ qual ‘povertà di
mondo’.
È
questo un delirio?
Spesso, in verità e per vero, sono stato del tutto mortificato dall’istinto metafisico di un semplice animale, in quanto tale ‘nulla’, o meglio ‘povertà di mondo’, può sull’umano, eppure quante volte disdegna la ricchezza per il nulla di un più comodo gelo in cui narrare il suo costante rapporto connesso con l’intera NATURA, CORRE SULL’ACQUA PER CERCARE DI DIRMI, COME UN SUO LONTANO ANTENATO, CHE IL GHIACCIO GLI APPARTIENE ed apparteneva; e talvolta quando entra in un non lontano bosco sacro, non che diventi bestia selvaggia, o antico apostata pagano, ma reclama e predica l’artefizio della parola non men del Pensiero che la preannunzia per svelarmi l’incanto e la magia di Essere (non men dell’Avere) coniugati con il mondo intero.
È
sicuramente un ricco e difficile Libro da intendere e comprendere, più dell’introduzione
del filosofo metafisico!
Si
ferma e mi dice, con occhio vigile ed attento come il miglior maestro, zitto e
ascolta il vento!
Mi
zittisce e osserva mentre scavo nella nostra comune memoria diventando suo
segreto scudiero, poi si ferma e mi insegna a cacciare un pesce, e quando ode
ed annusa l’alito del vento per ogni suo elemento, volge gli occhi al cielo e
mi comanda di fare altrettanto.
Mi
destina alla Preghiera e il Dio che ingiunge, fors’anche ricongiunge, cotal
litania terrena!
Insomma,
cerca di farmi capire, come si farebbe ad un bambino appena nato, come si
sopravvive in tanta miserevole condizione di povertà, io che sembro ricco
nell’abito - ma nudo ed ignudo - divengo al suo più ricco cospetto!
La
sua veste appare un dono prezioso, la sua piuma, o meglio la penna, che
dall’alto mi osserva e implora ugual preghiera prima del grande Bing Bang della
materia, implora comanda e svela cotal insegnamento.
ED OGNI TANTO CONTROVENTO da Wind il prepagato profeta accompagnato esulare dal suo olfatto e maggior Vista connessa, il gheppio mi si affianca e vola per medesimo Sentiero, se prima èra un dubbio ora in questa solenne hora, solo una certezza ci fa volare in compagnia del Primo Elemento! Mentre l’idiota quando descrivo questa esperienza mistica accompagnato dal profeta pregato in indubbia e più ricca deficienza tenta di isolare l’antica Dottrina.
Chi
ricco, o in completa deficienza di mondo, domandiamo al dio del progresso?
Ammetto
di aver imparato la lezione, ma non ancora finito il mio ‘assunto’, in quanto suddetto
maestro ‘assunto’ a tempo pieno e indeterminato, ammettendo di gradire ogni sua
lezione di vita, piuttosto la dotta illustrissima ricca parola accompagnata
dalla sua sposa in verbo; non finisce mai e poi mai di stupirmi nella sua
proverbiale ignoranza, o povertà di mondo; quindi vi dicevo che assieme al
giorno e alla sua antica solarità che ispira la luce che lui emana, mi sono
accompagnato alla sposa con una Luna nuova, ovvero come gli antichi antenati,
ho accompagnato la sua indole sposata ad un Lupo, pastore e futura maestra di
ugual via per la saggia Compagnia, e non solo verbosa ricca parola, cantare una
diversa dottrina.
Una diversa Poesia!
Ebbene,
allorquando il mio maestro ha intuito un malessere terreno della nostra comune Compagnia,
in un cucciolo di pastore o orfano senza più il tedesco, per annunziarmi, o
meglio anticiparmi, una leggera differenza letta nella ‘displasia’ da me
dedotta e successivamente confermata, circa la sua capacità terapeutica per
meglio curarla nella totalità della ricchezza in cui ai suoi occhi appaio; ho
intuito anche che il mondo percepito va ben al di là di quanto a noi dato di
comprendere e tradurre nella totalità attribuibile all’humano ingegno.
Ovvero,
la nostra carenza di mondo abbisogna di un più che valido strumento diagnostico
per vedere ciò che il mio Maestro ha subito intuito.
Mentre un più ricco deficiente dotato di artificiosa intellighenzia e ad un piano leggermente di sotto, tende a rinnegare ciò che deduciamo qual vero dono di ricchezza mutandolo in povertà di mondo!
Ecco
per cui quella povertà di mondo, e quella santità di cui accennavamo in un
precedente post, ovvero, quando il Santo stava per divenire completamente
cieco, o soffriva per la carenza della vista, sicuramente percepiva il mondo
attraverso ogni sua sfumatura, attraverso quella stessa povertà che lo
accompagnava e accompagna ancora. Viveva nonostante ogni singola strofa anche
solo udirla.
E questa la sola e vera dote di cui dobbiamo far tesoro in tutta la povertà di mondo sposata qual sol dono di ricchezza!
(Giuliano)
N.B. Ed hor hora lor signori che sono serviti si possono accomodare al tavolo, ove noi in tutta la nostra povertà curiamo ogni singola pietra ed ogni osso, mentre loro lo divorano e spolpano, come l’antico antenato, e della piuma ne fece penna per narrare il nostro destino condito al nobile piatto del giorno!
Prosegue con:
la povertà e ricchezza
di questo mondo
Laudato sie, mi Signore, cun tutte le tue creature
Francesco
vuole lodare Dio con tutte le creature.
Assieme
a loro.
Si
mette sul loro stesso piano, condividendo con ciascuna di esse una condizione
di fratellanza in ragione della loro unica origine, della comune derivazione
dall’azione creatrice di Dio, Padre di tutti. Paternità che è origine, ma anche
e soprattutto appartenenza. Scrive Tommaso da Celano:
Era riempito di mirabile ineffabile gaudio, guardando con
meraviglia il sole, la luna, le stelle e il firmamento. Predicava certo ai
fiori, ai boschi, ai legni e alle pietre, come se fossero dotati di ragione.
Campi e vigne, ogni cosa bella dei campi, l’abbondanza d’acqua delle fonti, il
verdeggiare degli orti, la terra e il fuoco, l’aria e il vento ammoniva con
sincerissima purezza all’amore divino, esortava al lieto rispetto. Tutte le
creature infine chiamava con il nome di fratello a motivo dell’unico principio.
E ancora di lui si racconta:
In una circostanza, mentre attraversava con un altro frate le
paludi di Venezia, trovò una grandissima moltitudine di uccelli, che se ne
stavano sui rami a cantare. Come li vide, disse al compagno: “I fratelli
uccelli stanno lodando il loro Creatore, perciò andiamo in mezzo a loro a
recitare insieme le lodi del Signore” ’.
La
fratellanza universale è la dimensione fondante del francescanesimo. La
fratellanza di ognuno con tutti e con tutto. Su questa intuizione Francesco
modellò l’intera sua vita fin dal momento della conversione, quando,
riconsegnando al padre tutto quello che possedeva, compresi gli abiti che
indossava, nudo come in una nuova nascita, pronunciò davanti a tutti parole
incalcolabili:
Da ora in avanti non dirò più: padre mio Pietro di Bernardone, ma
Padre nostro che sei nei cieli.
Da quel momento farà uso delle categorie paterne solo per parlare del rapporto con Dio. La paternità universale di Dio Padre è il centro vitale di Francesco, da cui nasce appassionatamente ogni pensiero e ogni affetto.
Collocarsi
in un contesto di fratellanza universale comporta la distruzione di ogni
gerarchia secondo la quale l’uomo è stato solito concepire e catalogare gli
esseri. Comunemente essi venivano catalogati in ragione della loro diversa
partecipazione all’essere, in ragione della loro “perfezione”, come concepita
dall’uomo stesso, in un ordine che poneva nel gradino più basso il regno
minerale e, poi, a salire, progressivamente il regno vegetale e il regno
animale con al vertice l’uomo.
Sostituendo il principio della diversa partecipazione all’essere con il principio della “creaturalità”, e cioè del rapporto di ciascun essere con l’azione creatrice di Dio, per Francesco lo schema piramidale classico non ha più alcun senso. Cambia, infatti, completamente la prospettiva.
La
piramide, in base al principio della creaturalità, al limite, avrebbe dovuto
essere capovolta, ponendo al vertice il minerale, in quanto punto zero
dell’ente. Solo il minerale infatti mantiene intatto e manifesta con evidenza
il rapporto con Dio creatore in tutta la sua purezza e con l’immediatezza
originaria, non essendo offuscato da alcun filtro culturale o da qualsiasi
altra mediazione. Solo la pietra, tra gli esseri dell’universo, è rimasta
innocente nella sua nudità. Allora si capisce perché nella versione originaria
del Cantico, tra le creature, erano previsti soltanto esseri inanimati (il
sole, la luna, le stelle, l’acqua…).
E la stessa esistenza spogliata, l’esistenza nuda di Francesco nel suo rapporto con le cose, con il mondo, con la natura, con Dio, assume la concretezza e la libertà di un’esistenza minerale. Totalmente e direttamente aperta agli altri e all’Altro.
Una
seconda conseguenza di questa fratellanza universale fondata sulla comunità di
origine di tutto e di tutti è che ciascuno è chiamato ad essere se stesso. Ad
essere quello che è e nient’altro. La “creaturalità” esclude ogni alienazione e
ogni volontarismo. Le diverse forme di vita si rivelano, in tal modo,
incommensurabili. Gli esseri non possono venire valutati sulla base delle
strutture cognitive dell’uomo: ognuno esiste a modo suo e deve agire secondo la
sua propria natura. Francesco aveva compreso che l’uomo doveva abbandonare la
pretesa di proiettare la propria ombra sugli altri esseri del creato. E ne
aveva fatto una legge fondamentale della sua esistenza.
La nudità propria dell’esistenza minerale lo conduce al cuore dell’esistenza, allo svelamento dell’intimità, come l’ha chiamata Daniela Calabrò, per la quale intimità vuol dire ‘la possibilità di essere accolto e di accogliersi così come si è’.
spezialmente messer lo frate Sole,
lo quale è iorno, e allumini noi per lui.
Ed ello è bello e radiante cun grande splendore:
de te, Altissimo, porta significazione.
Tra tutte le creature che Francesco invita a lodare Dio assieme a lui, un posto privilegiato è assegnato a ‘messer lo frate Sole’, perché attraverso lui Dio illumina gli uomini e perché esso è immagine della stessa luce divina.
‘Diceva
che il sole è la più bella di tutte le creature’. E così, oltre che fratello,
lo chiama anche ‘messer’, e cioè “mio signore”, mettendo in evidenza la
posizione che occupa nel creato: esso è l’immagine del Padre, l’immagine della
potenza e della gratuità creatrice.
Lo
slittamento di senso dalla realtà fisica a quella spirituale o, meglio, la
sovrapposizione delle due dimensioni, è uno dei molti fraintendimenti in cui ci
imbattiamo nel nostro incontro con Francesco. Fraintendimenti da intendersi non
come equivoci, ma come passaggi che avvengono inavvertitamente da un
significato all’altro e che dilatano, arricchiscono e approfondiscono la
percezione della realtà.
Essi non confondono il pensiero; anzi, lo rendono più ricco e più chiaro, perché il peso delle parole non è esaurito dal loro senso più ovvio.
Ogni
significato spesso ne nasconde altri.
Ci
troviamo di fronte a un pensiero che nasce dal cuore e che prende il respiro
della poesia. Potremmo parlare anche di metafore, nel senso di immagini che ci
portano oltre se stesse, che ci conducono su un piano diverso della realtà,
senza tuttavia sottrarci o negare quello dell’immagine. Non si spiega
un’immagine riducendola alla sua componente empirica. Il sole con i suoi raggi
che cadono dall’alto illumina e feconda la terra, ma contemporaneamente è rappresentazione
di Dio che illumina la mente e il cuore dell’uomo: l’astro del giorno di Dio
porta “significazione”.
Francesco vede tutto in questa luce. Nel sole vede il Padre e il Creatore che abita una luce inaccessibile, luce alla cui luce tutto viene alla luce. L’unica condizione per vivere sensatamente è non rescindersi mai da questa sorgente.
La
luce del sole avvolge ogni cosa costituendola nella sua identità e nella sua
verità. Così la luce eterna avvolge di eternità l’uomo nudo e rivela la sua
verità. Nessuno può conoscere veramente se stesso se non in questa luce. Ma
anche ‘tutto ciò ch’è manifesto è luce’, come dice san Paolo nella sua Lettera
agli Efesini. Quando la creazione si offre nuda alla luce di Dio che la rende
interamente manifesta com’era nel primo giorno, allora essa è interamente luce.
In essa non c’è più alcun male.
Il Sole, “significazione” dell’Altissimo, è imparziale nella distribuzione della sua luce. Illumina ugualmente il buono e il malvagio. La sua “grazia” non viene donata al peccatore che si converte, in forza della sua conversione; il peccatore si converte per effetto della sua grazia, donata gratuitamente.
Francesco,
il quale, per la grave malattia agli occhi contratta in Egitto durante la sua
partecipazione alla quinta crociata, non sopporta la luce del giorno e la luce
del fuoco nella notte, canta la bellezza del sole e del fuoco. E ‘tenendo fisso
sempre l’occhio dell’intelligenza in quella somma luce, non solo conosceva
quello che doveva fare’, ma affondava la sua vista al di là del tempo, e ‘attingeva
dalla Parola increata ciò che riecheggiava nelle parole’.
Laudato si, mi Signore, per sora Luna e le Stelle:
in cielo l’hai formate clarite e preziose e belle.
Francesco qualifica la luna e le stelle come ‘belle’ e ‘preziose’. “Bello” è un aggettivo che nel Cantico ricorre tre volte e sempre legato a un essere luminoso: è bello il sole, sono belle la luna e le stelle, è bello il fuoco.
Che
cosa è la bellezza per Francesco?
Posto
che la bellezza è per definizione indicibile, Francesco la considera come la
presenza del divino nella materia. In essa prende forma il mistero, pur
restando mistero; prende forma l’inafferrabile, pur restando inafferrabile. È
il sempre più, il sempre oltre. Fa percepire una presenza che produce una
sensazione di stupore e di gioia, e che si traduce in un senso di eccedenza e
di pienezza dell’essere che Francesco avverte come pervasa dal Creatore.
Da essa nasce una specie di fame, una specie di desiderio che resta inappagato e inappagabile.
Se
la bellezza non può essere descritta, può tuttavia essere vissuta. Francesco la
vive soprattutto a contatto con la natura. Viene catturato dalla meraviglia
davanti allo spettacolo della natura, che indica come il suo “chiostro”. Prova
stupore per il cosmo, che lo fa vibrare nelle corde più profonde dell’anima e
lo mette in contatto con il divino:
Noi che siamo vissuti con lui, lo vedevamo rallegrarsi
interiormente di quasi tutte le creature, così che, toccandole e mirandole, il
suo spirito sembrava essere in cielo e non in terra.
La bellezza, dunque, per Francesco, non è altro che lo splendore che l’essere produce quando si svela all’uomo, lo splendore della verità delle cose nel suo comunicarsi, nel suo farsi presenza. Questo splendore ha il potere di colmare l’animo di colui cui appare con una sensazione di pienezza sovrabbondante, perché l’invisibile appare nel visibile, che non riesce a contenerlo.
Si
tratta di una comunicazione diretta con il divino, che non è collocato in un
mondo separato ma che si rivela al fondo delle cose:
Chi mai potrebbe esprimere il suo [di Francesco] grande trasporto
verso tutte le cose che sono di Dio? Chi sarebbe in grado di raccontare la
dolcezza che assaporava contemplando nelle creature la sapienza, la potenza, la
bontà del Creatore? Veramente la loro vista lo riempiva di una straordinaria e
indicibile gioia, quando osservava il sole, guardava la luna, fissava le stelle
o il firmamento.
Francesco dice che la luna e le stelle, oltre che ‘belle’, sono anche ‘preziose’. In merito basti ricordare che abitualmente egli riserva questo aggettivo ai luoghi sacri (le chiese) e agli oggetti del culto.
Questo
contatto con il divino racchiuso nel mondo rappresenta sicuramente l’impronta
lasciata nella sua anima dalla bellezza del creato, così che il Celano può
esclamare che lo stesso Francesco appariva ‘bello, splendido, glorioso’.
Poiché
dallo stesso Celano e da altre fonti veniamo a sapere che fisicamente Francesco
non era sicuramente bello, il fascino che gli era universalmente riconosciuto
risiedeva forse proprio nell’essere diventato un corpo specchiante il divino
incontrato nel fondo delle cose…
Il Cantico è, in qualche modo, la risposta gioiosa al richiamo del ‘nulla’. Del ‘nulla’ inteso non in chiave nichilistica, ma come contenitore dell’essere, come la casa dell’essere.
Del ‘nulla’ dei significati e delle intenzioni di cui l’uomo spesso carica e riveste le sue azioni. Le cose nel Cantico sono invece considerate nella loro semplicità di cose, nella loro nudità di cose, di modi diversi e sempre inediti di esprimersi dell’essere in sé inenarrabile (nullo omo è digno te mentovare).
(M. Bertin)