CON DEDICA A TUTTE LE CAMICIE NERE
CHE INVADONO LE NOSTRE MONTAGNE
La
piena satolla leggiadra Luna non giova al mio povero amico Lupo, o meglio, ciò
che in lui rimane dell’antica razza che indomita domina(va) le notti
disturbando gli opulenti sonni migliori e più distinti visori notturni;
assommati agli ‘incubi’ del dì, conferiti dal civico transito del pregiato
uso del nobile malgoverno accompagnato dalla prestigiosa replica del circo(lo) acrobatico esposto alla Fiera
d’ogni giorno; circolare andare e venire e sognare il treno che corre veloce fino al trenino d’ogni notte, ed ove ogni
paese e paesino gode alla sua vista il Panorama e con essa il piacere di
goderne elevata alla dote della mensa…
Nel favore, per l’appunto (ne faccia appunto… per il favore della Storia…), assommato al loro Dio di giostrarlo corrotto, ma quantunque, distinto pregiato odorato nonché pregato e giammai in fallo, e mai sia detto raggirarlo quando la giostra diviene fiera per il bene d’ogni grande o piccolo paese, sfrenato cavalcato così come conviene all’antica cavalleria, e ad ogni boutique esposta alla mercé della vetrina; e al somaro convien tacere e rimirarla dai tempi della volante dell’olandese, quando si espone al sortilegio del vizio dell’Eresia e ogni ControRiforma, e/o azienda agrituristica, la inforca mira e punta, promettendo giusta Forca in nome e per conto dell’Europa padana, ...o miglior piadina giorgiana!
La più saggia nutriente & saporita italiana!
La
differenza non conta quando la Gola e sì dolce e profonda!
Si narra anche, in questo Capitolo di rinnovata Storia risorta alla brace di una nota Natura Morta, che le Antiche Valli (hora rinomata osteria con vista alla pecorina, o meglio ricotta e tolta dalla vetrina della povera caciotta…) conquistate con il lume del ferro e del fuoco, nonché temprate da più nobile acciaio di cui ogni Cavalliere, e il suo vaporoso cavallo va’ fiero ed incensurato; ed ove, un tempo non certo remoto nella grande conca a forma di pregiata pentola con l’uso della nobilitata pressione evaporata ma ben cotta, ogni civile cavaliere transitando, s’agita e suda del suo stesso vapore al grado di perBacco e il prode Dionisio, indignato verso il Lupo e la sua strana Rima, promettendo il grado della giusta vendetta alcolica non ancora epatica cirrosi navigata…
Certamente sappiamo e riconosciamo che fra il Verso del Cavallo, e la Rima del povero braccato Lupo, corre una prolungata differenza conferita dai tempi supplementari della sibillina oracolare parabola, la qual dispensa, e mai sia detto artificialmente, giacché l’alchimia nel trasmutare sterco per oro, e contrario procedimento, Arte non sol di popolo ma d’ogni pagano Monopodio con l’indiscusso monopolio di governarlo al meglio, in più nobile elevato Pensiero.
Va Pensiero sull’ala dorata del giorno, il Pil di te va fiero, lo sterco sarà seminato durante le hore della notte quando la Gola si fa più sicura e profonda ed ogni cavaliere, o più umile scudiero, senza l’elmo dell’antica gloria conferita dalla pugna, potrà in suo grembo dormire sereno fori et entro le mura!
Al
tuo Inno ci inchiniamo e non più cantiamo né Rima né Verso!
Lo sappiamo il Progresso pascola la sua distinta pecunia in odor di lucido sterco per ogni Via e Sentiero, e quando ode una Rima avversa alla pressione della nobile scodella a vapore, ove regna l’indiscussa Ragione del fuoco, impreca e promette vendetta fin entro e fora le mura dell’antico Castello; hor hora che vi narro le gesta del Lupo d’un tempo e l’uomo che abbruscato e risorto per ogni paideia lo accompagnava, senza Lira caciotta calzari e denari prestati dall’usura d’ogni antico camino d’ogni giorno; ed ove anco la botte, almeno così si narra e conserva, il grado della dote migliore e non solo magna greca la clientela migliore, per ogni rosticceria o osteria narrato, fino alla Sfera della futura grana padana commentata per ogni Sacro Bosco con l’eterna promessa di divorarlo solo dopo la replicata Commedia che ben la distingue dal buco dell’Helvetica, ovvero colei che riparò e nacque nella fiera Helvetia, fors’anche in un’altra vita, quando la crosta della Luna l’illuminava e riparava nella combattuta Eresia dal macello dell’inCrociata Parola ed hora rinnovata in iscioperata ingloriosa Rima!
Tentarono di riparare ogni Buco della crosta e farne un vero Macello per ogni Gola, certamente più nobile e profonda, per seminare il Verso dell’antica Commedia divenuta rinnovata Dottrina, la quale nobilita agita e rizza la Fiera di cotal Giostra!
Rinnovandone le gesta nella forza della camicia, nella differenza che regna fra l’uovo e la gallina, e chi prima nacque nella sete di cotal cortigiana ingordigia, la quale regna sovrana e corrotta per ogni Gola certamente più capace e profonda…; umiliando la povera oliva e l’ascolana che l’havea rinnovata quando la Luna si fece piena e ricolma d’amore per il povero Eretico fu ito e risorto alla Fiera piazza ove ogni Libero Arbitrio si consuma allo stadio di Pilato l’innominato sindaco del ternano…
Per l’uso e consumo della più nobile stirpe della Gola, certamente più saporita e profonda, giacché il ‘seme’ di cotal humana specie si glorifica della nostra venuta.
Udirla
per ogni Passo fino alla Gola, quando viene povera scalza e ignuda, ovvero,
quando Aladino il sultano ne rimembrava… doti e gesta da futuro Capo (dal)
collo fiero e illuminato prezioso smeraldo del Verso…:
Costoro si erano espatriate per aiutare gli espatriati, e accinte a render felici gli sciagurati, e sostenute a vicenda per dar sostegno ed appoggio, e ardevano di brama per il congresso e l’unione carnale.
Eran
tutte fornicatrici sfrenate, superbe e beffarde, che prendevano e davano, sode
in carne e peccatrici e civettuole in pubblico e superbe, focose e infiammate,
tinte e pinte, desiderabili e appetibili, squisite e leggiadre, che
squarciavano e rappezzavano, laceravano e rattoppavano, aberravano e
occhieggiavano, sforzavano e rubavano, consolavano e putteggiavano; seducenti e
languide, desiderate e desideranti, svagate e svaganti, versatili e navigate,
adolescenti inebriate, amorose e facenti di sé mercato, intraprendenti e
ardenti, amanti e appassionate; rosse in viso e sfrontate, nere d’occhi e
bistrate, ricche di glutei e slanciate, dalla voce nasale e dalle cosce
carnose, occhiazzurre e cenerine, sfonde e sciocchine.
Ognuna traeva lo strascico della sua tunica e incantava col suo nitore chi la guardava; si incurvava come un arboscello, si svelava come un forte castello, dondolava come un ramoscello; marciava con una croce sul petto, vendeva per grazie le sue grazie, ambiva esser rotta nella sua cotta.
Giunsero
costoro avendo consacrato come in opera pia le sue persone, e offerto e
prostituito le più caste e preziose tra loro.
Dissero
che mettendosi in viaggio avevano inteso consacrare i loro vezzi, che non
intendevan rifiutarsi agli scapoli, e che ritenevano non potersi rendere a Dio
accette con sacrificio migliore di questo.
Si appartaron quindi nelle tende e padiglioni da esse ai falli rizzati, riunendosi a loro altre belle giovani loro coetanee, e apriron le porte dei piaceri, e consacraron in pia offerta quanto avevan fra le cosce, e manifestaron la licenza, e si volsero al riposo, e rimossero ogni ostacolo al largheggiare di sé: dettero ampio corso al mercato della dissolutezza, ornarono le rappezzate fessure, si profusero nelle fonti del libertinaggio, si chiusero in camera sotto gli amorosi trasporti dei maschi, offersero il godimento della loro merce, invitarono gli impudichi all’amplesso, montarono i petti sulle terga, largirono la mercanzia agli indigenti, raccostaron gli anelli delle caviglie agli orecchini, vollero esser distese dell’amoroso gioco.
Si
fecero bersaglio dei dardi, si ritennero lecito campo a ciò che è proibito, si
offrirono ai colpi di lancia, si umiliarono ai loro nemici.
Stesero il padiglione, e sciolsero la zona dopo stretta (l’intesa); divennero il luogo ove si piantano i bischeri, invitarono i brandi a entrar nelle loro vagine, spianarono il loro terreno per le piantagioni, fecero alzare i giavellotti verso gli scudi, eccitarono gli aratri ad arare, dettero ai becchi di scrutare, permisero alle teste di entrar nei vestiboli, e corsero sotto chi le inforcava a colpi di sprone; avvicinarono le corde dei secchi ai pozzi, incoccarono le frecce sulle impugnature degli archi, recisero i cinturini, incisero le monete, accolsero gli uccelli nei nidi delle cosce, raccolsero nelle reti le corna degli arieti cozzanti; rimossero ogni interdizione da ciò che è preservato, e si francaron dal velo di ciò che è nascosto.
Intrecciaron gamba, saziaron la sete degli amanti, moltiplicarono i ramarri nei buchi, misero a parte i malvagi delle loro intimità, dettero la via ai calami verso i calami, ai torrenti verso i fondovalle, ai ruscelli verso gli stagni, ai brandi verso i foderi, alle verghe verso i crogioli, alle cinture infedeli verso le muliebri zone, alle legna verso le stufe, ai rei verso le basse carceri, ai cambiavalute verso i dinàr, ai colli verso i ventri, ai bruscoli verso gli occhi.
Si
litigarono gli occhi.
Si
litigarono per i fusti d’albero, si buttarono a gara a raccogliere i frutti, e
sostennero che era questa un’opera pia su cui non ce n’è un’altra, specialmente
verso chi era insieme lontano dalla patria e dalle donne.
Mescerono
il vino, e con l’occhio del peccato ne chiesero la mercede.
Prosegue con il
Dinnanzi alla Natura e i suoi innumerevoli infiniti fraseggi, Frammenti di colori che traduciamo in Arte, quando l’Anima e lo Spirito in Armonia con l’intera Natura la quale ci ha creati, più o meno evoluti, più o meno consapevoli del rapporto imprescindibile che a Lei dobbiamo, e qual rinnovato pagano in disaccordo con il ‘Verbo’, medito una diversa Parola e Rima nascosta seppur Acerba avversa ‘all’oltraggioso peccato consumato’ divenir Commedia d’ogni creato, abdicando alla mela della Conoscenza, avversa alla dotta pedanteria degli ortodossi maestri del Tempio, assieme ad ogni frutto di una sublime Natura che li crea così saporiti e maturi per ogni Stagione di questo e altro ‘immondo peccato’ nell’eretica semplicità di assaporarne il gusto.
Bell’è tacere de cotanta cosa,
considerando el mio pocho
intellecto,
ma la gram fede mi muove e
escusa,
sì ch’io prego la virtù di
sopra
ch’alume l’alma del beato
aspecto,
e che l’inmaginar
conseguischa l’opra.
Lì è una natura e tre persone,
Lì dello sommo Bene è la
pienezza,
Lì è con Pietà somma Ragione;
E gli angeli benigni senza
corpi
Cantano sempre il Ciel pien
d’ allegrezza,
Non come a noi gridando ‘scorpi,
scorpi’.
Da questo cielo vien tutta
la luce
La qual per l’universo ognora splende;
Questa, creando, Dio in noi la spira,
Ed ogni umano ha per sé l’alma sua;
E tu, se l’ignoranza tua
delira!
Ciò che comincia in tempo, in tempo muore;
Passando e rinnovandosi li
moti
Del mondo, pur s’ appressa
all’ultime ore.
Del quando, sono incerti li mortali,
Ché i segreti divini non
son noti,
Ma son celati li più specïali.
(Acerba, C. D’Ascoli)
E non certo dobbiamo e possiamo risolvere – cotal (duplice) peccato - come un conflitto interiore, dacché comprendiamo che i ‘maestri’ non accettano e tantomeno comprendono, all’ombra dell’oscuro Tempio, o della smarrita Selva al girone d’ogni Anima condannata senza salvezza alcuna, ciò di cui in medesima ombra d’un secolare Albero apostrofato e contemplato, inerente alla vita e il suo ugual principio, e come l’‘immateriale’ dimensione e forma compone l’Universo (compreso l’interiore) conferendo alla muta Natura la vera ricchezza, e maggior spettro di Linguaggio subordinato all’improprio dominio umano.
Congetturo secondo il parer mio,
E so che nostra conoscenza umana
È cosa stolta verso l’alto
Dio;
Ma cominciando dall’età
primiera…
Sperando
così di risolvere un’antica contesa e il diverbio allorquando il Sentiero
medesimo si divide procedendo verso la negata verità, dal dotto saccente
‘maestro’ esplicitando, in verità e per il vero, quanto in noi non ancora del
tutto compreso evoluto, o peggio, maturato qual apparente conflitto interiore
(prossimo alla patologia), di cui la ‘dogmatica’ e con lei un certo ‘dogmatismo’,
oppongono il vincolo della materiale conoscenza per ciò che vede eppur non
comprende, e il dipinto in Rima compone una nuova Eresia…
Ma perché forse questo imparare ad i giovani può parere cosa faticosa, parmi qui da dimostrare quanto la pittura (dell’intera Natura) sia non indegna da consumarvi ogni nostra opera e studio. Tiene in sé la pittura forza divina non solo quanto si dice dell’amicizia, quale fa gli uomini assenti essere presenti, ma più i morti dopo molti secoli essere quasi vivi, tale che con molta ammirazione dell’artefice e con molta voluttà si riconoscono.
Dice Plutarco, Cassandro uno de’ capitani di Allessandro, perché
vide l’immagine d’Allessandro re tremò con tutto il corpo; Agesilao Lacedemonio
mai permise alcuno il dipignesse o isculpisse: non li piacea la propia sua
forma, che fuggiva essere conosciuto da chi dopo lui venisse. E così certo il
viso di chi già sia morto, per la pittura vive lunga vita.
E che la pittura tenga espressi gli iddii quali siano adorati
dalle genti, questo certo fu sempre grandissimo dono ai mortali, però che la
pittura molto così giova a quella pietà per quale siamo congiunti agli iddii,
insieme e a tenere gli animi nostri pieni di religione.
Dicono che Fidia fece in Elide uno iddio Giove, la bellezza del
quale non poco confermò la ora presa religione. E quanto alle delizie dell’animo
onestissime e alla bellezza delle cose s’agiugna dalla pittura, puossi d’altronde
e in prima di qui vedere, che a me darai cosa niuna tanto preziosa, quale non
sia per la pittura molto più cara e molto più graziosa fatta.
L’avorio, le gemme e simili care cose per mano del pittore diventano
più preziose; e anche l’oro lavorato con arte di pittura si contrapesa con
molto più oro. Anzi ancora il piombo medesimo, metallo in fra gli altri
vilissimo, fattone figura per mano di Fidia o Prassiteles, si stimerà più
prezioso che l’argento.
Zeusis pittore cominciava a donare le sue cose, quali, come dicea, non si poteano comperare; né estimava costui potersi invenire atto pregio quale satisfacesse a chi fingendo, dipignendo animali, sé porgesse quasi uno iddio.
(L. B. Alberti)
L’Armonia,
e non solo la Pittura che si ispira ad ogni cosa Creata, dovrebbe far parte
della nostra Natura, della nostra specie, ma sappiamo anche, in verità e per il
vero, che per ciò concernente l’Essere più evoluto del suo ultimo anello che
tenta di dominarla sottometterla, nonché tacerla per come subordinata dalla
Scrittura, dai remoti tempi della ‘creazione’ (li scorgiamo ancora questi
esseri i quali in nome del loro Dio, e il rapporto esclusivo e non solo
interpretativo, circa il danno arrecato
non solo alla Natura, ma al mondo intero), sussiste un eterno irrisolto
rapporto conflittuale con noi stessi (creati dalla Natura) e la cosa creata (la
Natura), e un antico Giano che procede ben oltre quanto dalla Natura
ammesso e concesso nello stato evolutivo originario; dipingendo nel Quadro
d’ogni giorno lo specchio della morte!
Che fu Mosè, e con lui l’antica legge.
Da poi fu Cristo con gli
ultimi giurni:
Lascio la fine a lui che
tutto regge,
Ché terminare il mondo è in
suo volere,
E i moti naturali e li diurni
Di tutti i cieli, quanto al
mio vedere.
Ma qui risorge il dubitare umano,
Considerando le genti
passate.
Se sopra loro il ciel non
fu più sano,
Ché il cielo impressïoni peregrine
Non ha, sì come le cose
create,
Dunque, perché è di noi più
breve il fine?
Perché sì prodi, perché sì
giganti
Erano al tempo? Perché s’ è
smarrita
Natura umana negli atti cotanti?
Dico che ciò che è creato
in tempo,
In lui fu sempre la virtù
finita;
Passando stato, declina per
tempo.
Bello è tacere di cotanta cosa
Considerando il mio poco
intelletto,
Ma la gran fede mi muove ed escusa,
Sì ch’ io ne prego la Virtù
di sopra
Ch’ allumi l’alma del beato
aspetto
E che l’immaginar consegua
l’opra.
Era il Figliuolo innanzi il
moto e il tempo,
E il Padre col Figliuolo una natura
Eterna, ché non cade mai
suo tempo.
Questa era prima presso il
primo agente;
Se l’esser tutto per Lui
tien figura,
Il fatto senza Lui, dico, è nïente.
Allora
cosa non va nell’essere cosiddetto umano?
Dobbiamo
ancora parlare del male originario!?
L’etimologia del termine Ianus è stata oggetto di varie interpretazioni. Cercando di sviluppare la tesi in sé autorevole di P. Nigidio Figulo, A.B. Cook e, più recentemente, L.A. Mackay hanno pensato che la sua base possa essere ricondotta ad un ‘divianus’ dal quale si sarebbero sviluppati i vari ‘di(v)iana’, ‘dianus’, ‘ianus’, ‘iana’, ‘Diana’ di cui parla Varrone. La tesi sembrerebbe avere il pregio non solo di appoggiarsi a fonti antiche, ma di giustificare l’identificazione di ‘Ianus’ col sole (oppure con la luna, secondo Mackay) per l’asserita evidente relazione con la ‘luminosità’ insita nel significato del nome. Si ritenne perciò che ‘dianus’ si fosse formato su una base dia-derivata da un probabile ‘d(i)yeu’ - poggiante sulla radice indoeuropea ‘dey’, ‘brillare’, che attraverso l’adattamento ‘dy-ldi’ - si è conservata nel latino in termini come ‘Dionis’ o ‘Diana’ mentre non esiste il supposto ‘Dianus’ di P. Nigidio Figulo.
Prosegue con il Capitolo completo
Prosegue con...
Vasari,
sosteneva che Antonello si fosse formato a Bruges sotto la guida di Jan van
Eyck. Tuttavia, Jan van Eyck morì nel 1441, quando Antonello
aveva (probabilmente) undici anni, rendendo impossibile questa connessione. Un
“Antonello de Sicillia” era presente a Milano nel 1456, elencato tra i
provisionati trattenuti dal duca Francesco Sforza. La presenza simultanea di un
Piero di Burges ha portato alcuni a credere che Antonello si fosse
formato a Milano sotto la guida di Petrus Christus.
Il
possibile collegamento con Petrus Christus è suggestivo. Questo pittore
fiammingo lavorò a Bruges come importante seguace di Jan van Eyck;
attrasse un significativo mecenatismo italiano; e, come Antonello, fu un
ritrattista innovativo e un pittore devozionale. Tuttavia, in assenza di altre
prove, la connessione è troppo debole per essere confermata.
La
data di nascita di Antonello non è documentata, ma solitamente viene
indicata nell’anno 1430, calcolata a partire dalla sua morte avvenuta
nel 1479 e dall’affermazione del Vasari secondo cui il pittore morì all’età
di 49 anni. Entrambi i genitori di Antonello gli sopravvissero, il che
sembrerebbe supportare una morte prematura; e mentre alcuni studiosi vorrebbero
posticipare la data di nascita leggermente prima, un anno di nascita intorno al
1430 corrisponde ai fatti principali della sua vita.
Antonello è documentato per la prima volta solo nel 1457, quando è già affermato come pittore a Messina: nello stesso anno verrà chiamato ‘magistro’ piuttosto che ‘pictor’, il che significa che era maestro della sua bottega. Il 5 marzo gli fu commissionato di dipingere un gonfalone per la confraternita di San Michele dei Gerbini a Reggio Calabria. In questo contesto, gonfalone indica un tipo di stendardo processionale bifacciale popolare in Sicilia, caratterizzato da due icone dipinte riccamente decorate e incorniciate da volute, volute ed elementi pseudo-architettonici.
La
commissione specifica il soggetto: da un lato, la Vergine Maria che tiene in
basso il Bambino Gesù con San Michele in alto, che tiene la sua lancia e il
drago ucciso sotto i piedi; dall'altro, la Passione di Cristo.
Rostworowski ipotizzò che la piccola Crocifissione di Antonello ora al ‘Muzeul National Brukenthal’ potesse essere l’icona raffigurante la ‘passionem domini nostri jesu xpi’ (la passione di Nostro Signore Gesù Cristo) sul retro del gonfalone per San Michele a Messina, e le condizioni del pannello, che indicano un’esposizione alternata a periodi di sole e ombra, supportano l’idea che si trattasse di un oggetto processionale. In quest’opera, il Cristo crocifisso e due ladroni sono circondati dalla Madonna, da Giovanni e dalle tre Marie, ciascuna con un’espressione di dolore.
La
testimone all’estrema destra, forse Maria di Cleofa, si copre completamente il
viso con le mani eleganti. Dietro le figure si estende un ampio paesaggio che
mostra il caratteristico golfo curvo di Messina e i monumenti locali, tra cui
il monastero di San Salvatore.
Il precedente più ovvio per il formato con tre croci, una linea dell’orizzonte alta e uno sfondo di paesaggio urbano è il pannello della Crocifissione di Jan van Eyck, noto in molte varianti del XV secolo. Ad esempio, una Crocifissione ora attribuita a un artista valenciano anonimo adatta questa formula ‘eyckiana’ con un austero sfondo montuoso ed espressioni estreme di dolore tra gli spettatori in costumi elaborati. Mentre il pannello di Antonello condivide la struttura di base di queste opere, così come alcuni dettagli come le mani legate e scolorite dei ladri, le sue figure addolorate, uniformemente vestite con drappeggi semplici e pesanti, appaiono drasticamente ridotte al confronto.
A un esame più attento, l’opera presenta anche contrasti
interni.
La scala delle figure è incoerente – Cristo è più grande e monumentale di Maria Maddalena, ad esempio – e anche la vista a volo d’uccello dello sfondo paesaggistico è incoerente con la visione frontale della crocifissione in primo piano. Le parti superiore e inferiore di questa Crocifissione sono così diverse, infatti, che per molti anni gli studiosi hanno sostenuto che fossero state dipinte in due decenni diversi (gli anni Cinquanta e Sessanta del Quattrocento) sotto due distinti circoli di influenza.
Tuttavia,
come ha sottolineato Lucco, la stesura pittorica è uniforme e non vi è alcuna
indicazione di una pausa così drammatica nella creazione del pannello.
Questa prima opera apre quindi una serie di interrogativi sulla formazione artistica di Antonello, in particolare su come sia stato esposto all’arte fiamminga e alle sue varianti mediterranee, e se vi siano state influenze concorrenti che spiegano le incongruenze dell’opera. A complicare ulteriormente la questione è una lacuna nella documentazione messinese tra il 1457 e il 15 gennaio 1460, quando il padre di Antonello, Giovanni, noleggiò una barca per riportare la sua famiglia a Messina da Amantea, in Calabria. Quando Antonello lasciò la Sicilia, e dove viaggiò sulla terraferma, è sconosciuto. Questo lascia due periodi significativi di incertezza nella prima fase della carriera di Antonello: prima della documentazione messinese del 1457, quando è già affermato come maestro di bottega, e dal 1457 al 1460.
Dopo
il ritorno di Antonello a Messina dalla Calabria nel 1460, i
documenti d’archivio lo localizzano in Sicilia fino al 1474. Suo
fratello Giordano si unisce alla sua bottega come apprendista nel gennaio 1461;
riceve numerose commissioni per completare altri gonfaloni e icone per
confraternite, tra cui quelle di Sant’Elia dei Disciplinanti, San Nicolò della
Montagna, Santa Maria Monialium a Messina, lo Spirito Santo a Noto, e la
Trinità a Randazzo.
Nel 1461, Antonello riceve l’incarico di dipingere un’icona della Vergine Maria da Giovanni Mirulla. La famiglia Mirulla (anche Marullo o Merulla) risale al periodo normanno a Messina, con Giovanni documentato come senatore lì dal 1460 al 1461 e dal 1478 al 1479. Questo è l’unico contratto esistente per un’icona devozionale privata commissionata ad Antonello*.
* Magister Antonius de Antoni pictor civis
nobilis civitatis Messane sponte etc. se constituit et sollemniter obligavit
per stipulacionem sollepnem nobili viro Iohanni Mirulla … formare et formatam
designare fabbricare et compiere quondam ymaginem gloriose virginia Marie
deauratam …”
[Maestro
Antonello di Antonio, pittore, cittadino della nobile città di Messina, si
costituisce e solennemente stipula al nobile Giovanni Mirulla… di formare e
disegnare, fabbricare e completare l'immagine dorata della gloriosa Vergine
Maria…] ASM, notaio Leonardo Camarda. D. Puzzolo Sigillo, “Antonello da
Messina, la Beata Eustochia e l'Annunziata del Museo Nazionale di Palermo
riaccostati da un documento inedito del 1461”.
Sebbene il dipinto sia oggi perduto, due opere successive, l’Annunciata di Palermo e quella di Monaco, dimostrano la raffinatezza del soggetto da parte di Antonello. Entrambe mostrano solo la Madonna su sfondo nero, con la presenza implicita dell’angelo Gabriele. Con la sottrazione dell’angelo e l’arredo interno tradizionale, tutto il peso emotivo e narrativo dell’evento ricade sulla figura umana.
Nell’Annunciata
a Monaco, Maria adotta una postura tradizionale di preghiera e sottomissione con
le braccia incrociate al petto. Insolite, tuttavia, sono le labbra leggermente
socchiuse, come se si stesse rivolgendo all’angelo subito dopo il saluto. Ciò
che sembra essere una precisa grafia nell’Antico Testamento di fronte a lei è
in realtà una pseudo-scrittura: non c’è testo, solo immagini.
Nel celebre pannello di Palermo, Maria sembra riconoscere la presenza di Gabriele, ma l’angelo non è ancora mostrato. All’improvviso, una pagina del suo libro aperto si solleva, lei solleva la mano destra elegantemente scorciata in un gesto di saluto e chiude il mantello blu brillante con la sinistra. La sua veste, brillante sullo sfondo nero, raggiunge molti scopi pittorici. Stabilisce una forte piramide visiva, ancorata al modesto tavolo di legno in basso. Mantiene l’attenzione sul suo viso e sulle sue mani, che esprimono sottilmente le sue molteplici reazioni all’evento: la mano sinistra che chiude il mantello segna la sua modestia (Luca 1:34: Allora Maria disse all’angelo: ‘Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?’), la mano destra saluta, e il suo sorriso beato e lo sguardo fermo mostrano calma sicurezza.
La
veste maschera anche le sue braccia e il corpo, aggirando la goffaggine
prospettica e proporzionata che a volte deriva dall’inclusione delle mani in un
ritratto troncato. Maria è giovane, dalla pelle liscia e disadorna, il suo viso
è un ovale quasi perfetto. La piega della veste sulla fronte si allinea
perfettamente con l’angolo sporgente del tavolo sottostante.
Eppure, nonostante tutta questa simmetria, non è un’astrazione idealizzata; gli osservatori l’hanno costantemente definita ‘una bellezza siciliana, così estranea a qualsiasi canone estetico, e quindi certamente un ritratto dal vero’, un ‘ritratto putativo’, e persino ‘una bellezza naturale che noi [italiani del sud] chiamiamo acqua e sapone’.
Di Antonello ci ricordiamo anche due magistrali ritratti di
Cristo, di Lui ne ricordiamo le parole ove il Confine si snoda e il Sentiero
risalta all’Opera ciò che non si vede ma Infinito per sua antica Natura…
Se
vogliamo curarne il cancro velenoso ben sponsorizzato oltre che indistintamente
‘inalato’ qual linfa contraria ad ogni forma di Vita dobbiamo prenderne atto e
consenso a noi negato nei dati riportati.
Ed anche se la Cima non meno del Golgota così come il Teschio in questo inizio d’Autunno ci pare una impresa senza speranza alcuna ammiriamo e prendiamo ispirazione da Madre Natura, o quella Madonna assisa alla nostra comune Croce, e scaliamo la montagna portiamo il peso di questa Natura che pian piano sboccia come un giovane o un morente Albero reclamare indistintamente la Vita specchio d’un Dio al contrario di quanto nel Tempio sponsorizzato e dicono pregato.
Contestiamo
in democratica scelta motivata dal Diritto di cui ognuno potrà partecipare al
cambiamento dovuto, e se appare una utopia se appare una partita persa se
appare un cammino con solo una croce contrastare un falso ideale perseguito in
nome di chi detiene il presunto potere, aggiungo, che quando la lotta e la
battaglia in Natura - così come Lei insegna - il Diritto di sopravvivenza fa
duro il cammino, così come la scienza insegna e non solo quella teologica,
reclamare la specie più forte e non certo l’agnello conteso con un lupo, ed in
quella, attestarsi l’evoluzione detta…
Dacché ne deduciamo che se seguiamo il Sentiero della Natura ed in Lei motiviamo l’uomo nato ed evoluto dobbiamo attestarci alle sue Leggi per proseguire detto cammino… e divenire saggi lupi giacché falsa ‘pecunia’ pascolare impropriamente la vallata martirizzata se annullate le condizioni della Vita (compresi gli Elementi con cui composto il Sentiero da ognun percorso e non certo pascolato) proponendo una falsa prospettiva divenuta ancor più falsa (economica) dottrina nelle medesime falsate condizioni in cui questa si manifesta brucare docilmente erba… e non solo circa l’evoluzione detta, dobbiamo gridare ancor più forte e attestarci nel dovuto futuro Euro Parlamento non meno della Democratica speranza in quei grandi Imperi ove la Deriva più che certa senza nessuna Geologia o Geografia attestarne moneta dettare Natura ed ove indistintamente la semplice Verità negata… e perseguitata…
E per concludere così come disse un poeta bussare alle vostre porte e gridare ancor più forte:
‘Se in verità vi credete assolti siete per sempre
coinvolti…’…
(Gesù
entrò nel Tempio e violò e profanò come il Dio pregato nel mercato rilevato.
Gesù
come l’Intera Natura ci chiede ed implora aiuto al Golgota della Terra
crocefissa.
Ricordiamo
l’opera!
Ricordiamo e rinnoviamo il suo Sacrificio!)