domenica 4 dicembre 2016
IL TUO MALESSERE (sarà alleviato)
Prosegue in:
Intermezzo con la 'Grande Notizia': ....'Nessuno'... ha vinto...
......'Il tuo malessere Giuliano' diceva il vecchio Edesio le volte che si
lasciava visitare, attorniato da discepoli dei quali era il padrone che
riempiva d'autorità il vuoto del loro cielo.
'Il tuo malessere' ripeteva con voce nasale 'è una sfera sfuggita di ma-
no che rotola...'
Indovinava la voce di Zeus che m'echeggiava dentro.
Immagini divine venivano gettate in un pantano, a dileggio, a spreco,
esse chiedevano giustizia, dovevo fare di tutto per recuperarle.
Davanti a quelle rovine, che erano appena state templi splendenti, con
un grido della mente mi ritraevo.
Non potevo, non dovevo perdere me stesso.
Ma non solo rovine.
Durante il giorno giravo per viuzze di templi antichi, in quel labirinto
dell'anima ero Teseo in cerca di memoria e verità: un cofanetto di sar-
doniche e diaspri incisi dove Odisseo naviga in un mare furente, o re-
siste legato all'albero alle voci delle sirene, o acceca Polifemo col lun-
go palo appuntito.
Spesso erano frammenti di opere letterarie, come quel poema di Tele-
maco che viaggia all'incontrario cercando d'incrociare la traiettoria del
Primo Dio, o pagine mutilate d'oracoli caldei. M'incalzava il tempo, la
meridiana dipinta sulla parete della casa d'affitto, dove l'ombra dello
gnomone indicava lo scorrere delle ore, il futuro che precipita nel pas-
sato.
Dovevo inebriarmi gli occhi, sapere.
Mi immergevo nel grande mercato d'Oriente, smeriglio dei sensi, l'ab-
bondanza era sfida a ogni fame e carestia, legni odorosi, cunei d'armi,
stoffe, vaselli di profumi, avori ambrati, monili di seduzione, vini spezia-
ti, uve e pomi, pani sacri, processione di figure, colori torridi, elissi dove
l'offrire e il mangiare erano forma dello stesso mistero, ché l'uomo ingur-
gita ciò che dagli Dèi si sprigiona, ed è l'abbondanza, voglia di prosecu-
zione, memoria che tiene spalancata la carne.
Scendevo, a volte in androni sotterranei dove, sotto tendoni impolvera-
ti, scoprivo, e ossequiavo, statute di dee ornate: una pensosità in quelle
fronti al lume oscillante di torcia, una dolcezza in quei profili, l'arroganza
della giovinezza nel corruccio di quelle labbra, seni che respiravano de-
siderio, fianchi che spartivano la luce dall'ombra.
Un mondo infero, espulso, che brillava ancora d'una misteriosa armonia.
Non hai anche tu incontrato, quando eri ad Atene, Aristeo, quel parti-
colare silenzio nel mezzo delle letture, di lezioni altisonanti di maestri?
Dio e Demonio, dicevano, l'indice unghiuto a indicare un invisibile punto
davanti a sé, agitando nella foga i riccioli della capellatura bianca, essi
stanno nell'universo l'uno di fronte all'altro.
Da Dio derivano gli angeli, la luce e il giorno che ne è figliato, la virtù e
la religione vera, la vita eterna. Dal Demonio i dèmoni, la notte e la cali-
gine sua primogenita, lo stagno di zolfo, il vizio, la morte.
Due condottieri, due demiurghi.
Quel racconto finiva appena iniziato e ricominciava mordendosi la co-
da. Da quale dei due condottieri emana il male, dal secondo che lo pro-
duce o dal primo che lo emette?
'La verità, è rinchiusa..... aprite, aprite!'
Così smaniavi, così ripetevi, tra un gorgogliare di parole insensate, supi-
no sul tuo letto, la notte, e non ti accorgevi, in quel sonno agitato, del rag-
gio della luna che entrava da una finestra e veniva a posarsi sul tuo petto
sudato.
Ti svegliavi all'improvviso, battevi coi talloni sul pavimento, fissavi dritto
come quel contadino che avevo visto da bambino, a Macellum, mietere
il campo d'orzo sotto la grande terrazza e s'era fermato, appena arrivato
a una lastra di pietra che spartiva la messe da quella mietitura.
Temevi di risalire là dove eri caduto.
Negli ultimi tempi della mia permanenza a Nicomedia non avevo mietuto
abbastanza. Avevo ancora fame, paura delle decisioni sanguinarie di Gal-
lo, della vendetta dell'Augusto Costanzo che sarebbe saettata su entrambi.
Se dentro di me giudicavo con la ragione, e non mi stupivo delle ingiustizie,
anzi le vedevo come prova di un mondo consumato, al di fuori soffrivo la
vicinanza degli altri: la vitalità ottusa del branco che avanza calpestando la
sua porzione di terra, ed era la folla pettegola dei portici, quella moltitudi-
ne vociante che va per le strade della metropoli, gente di malanimo, difen-
sori accaniti del proprio sogno di fortuna, era lo schiavo dal servire sciatto,
il compagno di studi dalla curiosità annacquata, il notabile di corte dalla
lingua doppia.....
(L. Desiato, Giuliano L'Apostata)
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