CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
30 MAGGIO 1924

domenica 16 luglio 2017

NOTE DEL TEMPIO IN ROVINA








































Prosegue in:

E brevi Frammenti in Rima (2)


Dedicato alla morte di un dissidente (uno dei tanti uno dei troppi...)













…Lascio lo zaino in una locanda vicino alla stazione…
Se non trovo il mio amico posso sempre tornare a fare un pisolino e poi prendere il primo treno per il mattino.
In un banco per strada mangio una scodella di minestra di riso di soia e la stanchezza sparisce all’istante.

…All’uscita del paese il cielo è punteggiato di stelle, e si sente solo il gracidare delle rane. Finisco in una pozzanghera, ma non importa, penso solo ad arrivare dal mio amico.
Intorno a mezzanotte, al buio, riesco a trovare il suo appartamento e busso alla porta.

‘Sei tu, diavolo’, grida per lo stupore e la gioia.

‘Da dove sbuchi?’, mi domanda.

‘Da sottoterra’.

Anch’io sono felice.

‘Porta il vino. No, fa troppo caldo, porta il cocomero’, dice alla moglie, una donna robusta, si direbbe una del posto. Lei si limita a sorridere, è di poche parole. Il mio amico non ha perso il buon carattere di un tempo.

Mi domanda se ho ricevuto il suo romanzo.
Dice che ha letto le mie opere e ha spedito il manoscritto alla redazione di una rivista che ha pubblicato un mio testo, pregandoli di mandarmelo. Dice che lo ha spinto a scriverlo un impulso irresistibile, ha voluto fare una prova per tastare il terreno.
Il romanzo racconta di un ragazzino di campagna malvisto dai compagni di scuola a causa del nonno ex proprietario terriero. Ogni giorno sente il maestro dire che bisogna isolare i nemici del partito e di classe, si convince che i suoi guai vengano da quel vecchio malato che non vuole proprio morire e così un bel giorno mette nel decotto per il nonno un fiore selvatico velenoso, che ti toglie quando si fa l’erba per i maiali. Al mattino, quando gli altoparlanti diffondono nel villaggio le note di ‘L’oriente è rosso’ per chiamare i contadini al lavoro nei campi, il ragazzino trova il vecchio riverso a terra con la bocca colma di sangue nero raggrumato.
E’ morto!




Il romanzo descrive lo stato d’animo del fanciullo che osserva, con gli occhi del bambino di campagna, un nonno incomprensibile.
Il redattore mi aveva restituito il manoscritto senza impiegare le solite formule di rito. Non aveva usato il consueto tono da burocrate, come: la trama non è ben congegnata, manca di forza, i personaggi non sono ben delineati, oppure non possiede a sufficienza i tratti del ‘tipico’. Aveva detto senza giri di parole che era ben scritto ma l’autore era andato troppo in là, le autorità non ne avrebbero mai consentito la pubblicazione. Avevo dovuto spiegare che lo scrittore era un geologo che lavorava in campagna, avvezzo ai sentieri di montagna, non poteva conoscere i limiti da non superare nell’odierno mondo letterario.

‘E quali sono i limiti?’.

Dagli occhi che lo fanno assomigliare a Pierre traspare l’incapacità di comprendere.

‘Ma come?’, prosegue lui, ‘Non si parlava sui giornali, proprio qualche giorno fa, di libertà di creazione artistica e, in campo letterario, della necessità di descrivere la realtà?’.

‘E’ per colpa di questa fottuta realtà, di questa fottuta questione, dipingere o meno la realtà non meno della Verità, che sono finito nei guai, ed è per questo che ora sono qui da te’, dico.

Fa una gran risata: ‘Quindi non ci sono speranze per la storia della mia amazzone’. Prende le foto e la ripone dal cassetto, poi dice: ‘L’ho conosciuta in un tempio in rovina dove ho alloggiato una volta che ero in viaggio per lavoro. Parlammo un giorno intero e mi confidò le sue vicissitudini. Ho riempito mezzo quaderno, sono le cose che ha vissuto di persona’.

Prende il quaderno da un cassetto e me lo sventola davanti agli occhi.
‘Ce n’è a sufficienza per un libro, il titolo l’ho in mente da un pezzo: ‘Note del tempio in rovina’ ’.

‘Non mi pare che sia adatto ad un racconto di cappa e spada’.

‘Certo, non lo è. Se ti interessa prendilo, dagli un’occhiata, ti può essere utile per un romanzo’.

Poi ripone nel cassetto anche il quaderno e dice alla moglie: ‘Portaci del vino, va’ ’.

‘Non parliamo di romanzi’, dico, ‘non riesco più a ripubblicare nemmeno vecchi saggi. Come vedono il mio nome, rimandano tutto indietro (e mi braccano per ogni dove…)’.

‘E tu faresti meglio ad occuparti solo della tua geologia! Come ti è saltato in mente di metterti a scrivere?’, interviene la moglie quando ci porta il vino.

‘E adesso come ti vanno le cose? Dimmi, dimmi!’…

E’ molto affettuoso…




‘Vago qua e là per evitare di essere costretto a fare autocritica. Di essere torturato. Sono in viaggio da mesi, aspetto che passi la bufera per tornare a casa. Là ove stabilisco un domicilio puntuale arriva la tortura…. Se la situazione peggiora mi cerco un riparo, poi taglio la corda. In ogni caso non mi farò mandare ai lavori forzati mansueto come un agnellino, come in passato i vecchi ‘reazionari’ ’.

Ridiamo entrambi di cuore.

‘Ti racconto una storia divertente. Quando facevo parte di una squadra incaricata di individuare miniere d’oro abbiamo catturato un selvaggio’.

‘Non prendermi per i fondelli. L’hai visto con i tuoi occhi?’.

‘Visto? L’abbiamo catturato! Cercavamo una scorciatoia per arrivare al campo prima del buio. Tra i boschi sotto la vetta della montagna c’era una striscia bruciata, piantata a granturco. In un campo tutto giallo si muoveva qualcosa, di sicuro un animale selvatico, pensammo. Per motivi di sicurezza in quei posti giravamo sempre armati. I compagni dissero che secondo loro si trattava di un orso o di un cinghiale. Dell’orso non c’era traccia, potevamo almeno procurarci un po’ di carne, sarebbe stata già una bella fortuna. Circondarono la zona. La cosa sentì il movimento e scappò verso il bosco. Erano circa le tre del pomeriggio, perché il sole era a ponente e la vallata era ancora luminosa. Come la cosa si mosse, la testa apparve tra le piante di granturco. Era un uomo selvaggio con i capelli lunghi fino alle spalle! Lo videro tutti. Erano eccitatissimi e gridavano: un selvaggio! Un selvaggio! Non lasciatelo scappare! Gridava un altro nel puntare il fucile. A stare tutto il giorno in giro per monti e valli capitava di rado di sparare, così si erano scatenati, chi correva, chi gridava, chi sparava. Una volta avvicinati lo costrinsero ad uscire, nudo come un verme. Barcollò, poi cadde a terra, aveva solo un paio di occhiali legati al collo con un cordone, e le lenti erano così consumate che parevano vetro smerigliato’.

‘E’ frutto della tua fantasia?’, dico.

‘E’ tutto vero, no?’, fa la moglie dalla stanza da letto.
Non si era ancora addormentata.

‘Quanto a inventiva mi superi, ormai sei un romanziere’.

‘E’ lui il vero romanziere’, dico verso la stanza della moglie, ‘ha un talento innato. A scuola non lo batteva nessuno, quando si metteva a raccontare storie restavamo tutti ad ascoltarlo a bocca aperta. Peccato che il suo unico romanzo sia stato stroncato prima di vedere la luce’.

Mi dispiace molto per lui.

‘Oggi parla tanto solo perché ci sei tu, di solito non dice mai una parola di troppo’, fa la moglie dalla sua camera.

‘Allora sta’ ad ascoltare’, dice alla moglie…

‘Continua’, lo incito. Ha acceso la mia curiosità.

Beve un sorso di vino per riprendere la carica.




‘Si avvicinarono, gli sfilarono gli occhiali, lo spinsero con la canna del fucile e gli domandarono duri. Se sei un uomo perché scappi? Tremava come una foglia, e gridava frasi sconnesse. Uno lo minacciò con il fucile, e urlò per spaventarlo: ti ammazzo se continui a fare il matto! Allora scoppiò in singhiozzi e raccontò che era fuggito da un campo di lavoro e non voleva tornarci. Che crimine hai commesso? Ero un reazionario. Ma è una vicenda vecchia, i reazionari sono stati riabilitati da tempo, perché non sei tornato a casa? Disse che i familiari non l’avevano voluto nascondere, così si era rifugiato su queste montagne. Dove sta la tua famiglia? A Shanghai. Che bastardi, perché non ti hanno fatto restare? Avevano paura di essere coinvolti. In cosa? I reazionari sono stati indennizzati con grosse somme di denaro, e ora tutti vorrebbero averne uno in famiglia. Ma non avrai per caso il cervello fuori posto? Rispose di no, che era solo molto miope. A quel punto si misero tutti a ridere come matti’.

Anche la moglie scoppia a ridere…

‘Sei un buontempone, solo tu riesci a raccontare storie del genere’.

Anch’io non riesco a trattenermi dal ridere, da tempo non ero così allegro.

“Nel…. [ometto la data dell’autore giacché interviene breve riflessione, questo racconto dedicato a chi sacrificato per la pace e avverso al totalitarismo di stato, sia esso in nome di un partito, sia esso per conto del libero mercato, cosicché ognuno si può riconoscere in quanto di seguito riportato, non meno del medesimo  come lui perseguitato, avversi ad ogni forma di tortura dedico questo breve parentesi a tutti i perseguitati, ma non solo: calunniati e perseguitati da chi avverso per propria natura ad ogni Verità della Storia… ed alla Memoria, e con lei, ogni Verità cancellata e contraffatta   numerare la Storia attraversata… e ben conservata… o fors’anche ben recitata…]… era stato bollato come esponente di destra e nel… era stato mandato in un campo di lavoro [uno dei tanti in ogni luogo ove il libero arbitrio perseguitato…]… Nel… era sopraggiunta una terribile carestia, non c’era nulla da mangiare, si era gonfiato come un pallone, era stato ad un passo dalla morte e così era fuggito a Shanghai dove rimase nascosto due mesi in casa. I familiari però volevano assolutamente che tornasse in prigione perché la razione di cereali non bastava nemmeno per una persona. Come avrebbero potuto continuare a nasconderlo in casa? Così se ne era andato a aveva trovato rifugio su queste montagne, dove viveva da più di vent’anni. Il primo anno lo aveva accolto una famiglia di montanari, per campare li aiutava a tagliare la legna e a fare qualche lavoro nei campi. Poi un giorno, saputo che la comune popolare stava per indagare su di lui, si era rifugiato in una zona impervia ed era riuscito a sopravvivere grazie a quella famiglia… I miei colleghi gli domandarono in che modo fosse diventato reazionario e lui spiegò che all’università studiava le antiche iscrizioni oracolari su gusci di tartaruga, era giovane e pieno di entusiasmo e nel corso di una riunione aveva manifestato opinioni sconsiderate sulla situazione politica. Allora gli dissero: seguici, torna ad occuparti delle tue iscrizioni oracolari. Ma lui si rifiutò, disse che doveva falciare il campo di granoturco che di dava cereali per tutto l’anno, e aveva paura che se fosse andato via i cinghiali avrebbero distrutto il raccolto. Al che i miei colleghi gridarono: e lascia che caghino sul granturco! Voleva andare a prendere gli indumenti che stavano in una grotta sotto la roccia, e che non metteva quando non faceva troppo freddo. Gli diedero una camicia da mettere intorno alla vita per portarlo al campo con loro’.




‘Finita?’.

‘Finita’, dice. ‘Comunque ho pensato ad un’altra conclusione…’.

‘Fa sentire’…

‘Il giorno seguente, dopo essersi rimpinzato e rinfrancato con un buon sonno ristoratore, scoppia all’improvviso in terribili singhiozzi senza che nessuno riesca a capire cos’abbia. Si avvicinano per domandarglielo ma farfuglia tra le lacrime qualcosa di incomprensibile. Alla fine si capisce una frase: se avessi saputo che al mondo ci sono persone così buone non avrei sopportato le ingiustizie di questi anni!’.

Avrei voglia di ridere ma non ci riesco…

Dietro le lenti si illumina in un sorriso malizioso.

‘E’ superfluo’, dico dopo aver riflettuto un istante.

‘L’ho aggiunto di proposito’.

Si toglie gli occhiali e li appoggia sul tavolo.

Mi accorgo che c’è più malinconia che malizia nei suoi sguardi, sembra un uomo diverso quando porta gli occhiali, con quell’aria onesta e gioviale. Non l’avevo mai visto sotto questa luce.

‘Vuoi stenderti un po’? mi domanda.

‘No, non importa, tanto non riuscirei a dormire’, dico.

Dalla finestra si intravedono i primi bagliori dell’alba. Fuori la calura si è dissipata e soffia una brezza fresca.

‘Possiamo chiacchierare anche sdraiati’, dice.

Mi sistema una branda di bambù, prende una sdraio per sé, poi spegne la luce e si stende.

‘Devi sapere che all’epoca mi misero sotto inchiesta e si occupò di me proprio la squadra che aveva catturato l’uomo selvaggio. Non mi fucilarono per un pelo. La pallottola mi ha scalfito il cranio, mi hanno mancato per poco, ho avuto fortuna. A parte questo, erano brave persone (questo bisogna pur dirlo…)…

‘Il bello nella tua storia del selvaggio è che ti mette allegria malgrado la crudeltà, perché la lasci intuire, non la descrivi direttamente’….

‘Ma aspetta mi è venuta in mente una nuova conclusione in nome dei vecchi tempi di scuola andati, ti ricordi quando studiavo e traducevo vecchi Papiri ed iscrizioni oracolari, ascolta ne ho trovata una’altra te la leggo…

Anche questa una buona conclusione oppure un inizio…’….





Parto poi torno, materialmente e con la memoria.
Tutti dovremmo avere memoria storica, genetica, morale,
ho scoperto però non essere una prerogativa umana,
una dote essenziale.
Parto poi torno e talvolta è come se non fossi mai nato,
o mai morto nella riva del torrente dove ricordo.
Nella riva del fiume dove dormo.
Nella tenda dove ascolto,
nel grande bosco dove prego.
Parto poi torno con la memoria
e il sogno che nulla scorda
in questa grande terra che non conosco,
in questa valle di cui non ricordo il nome,
per questa montagna che ogni anno che passa
trovo cambiata, mutata, rinsecchita.
Parto poi torno, cercando ogni volta una fuga,
una possibile strada di sopravvivenza.
Parto e poi torno dai tanti libri che mi ‘volano d’intorno’,
dalle tante pagine che mi fanno capolino,
dalle tante verità che mi scrutano mute,
dalle eterne parole che mi chiedono attenzione.
Attento il sentiero è periglioso!
Attento la valle è insidiosa!
Attento alle genti, pur la bella rilegatura,
evocano un’immagine impressa quale scudo araldico,
di una difficile lingua sull’antica copertina. (1)

Le stagioni che modellano il luogo sono dure,
gli oscuri passi dove talvolta scruto muto
l’espressione dei viandanti e abitanti, conserva tristi pagine,
pensieri lontani non in sintonia con la bellezza dei panorami.
Parto e poi torno nei miei e altrui ricordi,
e se evocarli può arrecare dolore,
se leggere la verità può portare rancore…..,
salgo sull’alto ripiano, cammino lento nell’altipiano,
scruto attento nella memoria,
cerco riparo là dove non sono accetto,
scavo scrupoloso nell’archeologia dei lineamenti,
fra una pagina e l’altra, fra una lacrima e l’altra,
fra una risata e l’altra, fra una presunzione e l’altra.
I ricordi vagano fra un gradale e l’altro,
che con puntualità da ‘bottegaio’ apro nell’oscura bufera
dove ho dormito, sognato, e immaginato.
Fra una pagina e l’altra vi è vita,
quella che ci fu negata nella lenta traversata,
sulla triste collina,
nel duro campo,
sulla difficile linea,
nella squallida baracca,
nella fredda e calda tenda,
nell’innominata chiesa,
nell’antico mulino,
vicino al fiume nel ricordo di una prateria,
un deserto, una distesa di ghiaccio,
un caldo lago e un silenzio che è solo l’inizio.
Un immenso ghiacciaio e una mare di verde, prima.
Una lancia appuntita, e una grande traversata, poi.
Una roccia, un frammento, una cascata, una via verso la vita.
Verso la verità.
Verso il ricordo,
sull’uscio della caverna,
dove ho abbandonato vita e dignità,
morale e decoro,
disciplina e responsabilità.
Amore e affetti,
vita e morte,
tempo e luogo.
Responsabilità e apparenza.
Salgo piano dalla collina alla montagna,
schivo i dardi, cerco accorto il sentiero,
studio attento la cartina,
guardo incosciente il panorama: attraverso l’occhio digitale
di un pensiero divenuto occhio magico della memoria,
attraverso l’anima di ciò che pensano senza anima,
attraverso la parola di chi non ha parola,
attraverso la pazzia di chi non conosce cura,
attraverso la cura di chi conosce il raro dono della ‘pazzia’,
attraverso pagine e ricordi scritti,
attraverso parole e sogni mai svelati,
attraverso libri ancora da scrivere, e altri per sempre dimenticati,
pagina per pagina;
respiro che diventa rantolo…poi pian piano sudore,
rancore, pietà e rumore.
Frammenti nel vicolo che diventa sentiero,
passo e fuga,
aria più tranquilla dicono, rarefatta;
roccia armoniosa, polmoni aperti,
più ossigeno per la via che diventa impervia,
per la solitudine che ti osserva,
per la roccia che ti scruta,
per l’acqua che ti parla
….e per il cacciatore che a fondo pagina ti punta.
Passo veloce per il corpo che corre,
per la pagina che finisce,
per il tomo che si chiude;
paura che prende, sangue che sgorga, anime in fuga,
vendette in agguato, odio non pagato.
Croci in cima alla vetta,
fosse vicino alla cantina,
sentieri prima della mèta,
storie che dominano la vita.
Il sudore si asciuga, il piede si riposa,
la parola dopo il pensiero traccia l’icona alla fine della via,
della strada, dell’affollata piazza,
alla fine dello stretto vicolo prima del mercato,
dove i ricordi diventano vivi, dove il calore divampa,
dove il condannato fu trascinato senza motivo,
dove la sentenza non ha repliche,
dove gli stracci e l’umile sacca sono più pesanti dell’anima,
dove lo sguardo nascosto è mutato nell’odio,
di volti come maschere prestati alla disciplina,
di chi mai appare perché il suo nome è solo un inutile confine,
che diventa Impero e poi solo un lungo tormento.
Il ghigno di chi ha sentenziato diventa tortura e la memoria dolore,
il freddo verità,
la povertà tua sola sostanza,
il tremore passo incondizionato di fuga e riparo,
l’onestà la colpa.
La cima l’estremo sacrificio, il fuoco l’ultimo ricordo.
Il sogno segna il passo.
L’incontro un libro scritto o forse ancora non del tutto …pregato.
La preghiera diviene litania,
e uguale componimento nelle pagine della storia,
la frase sconnessa l’oracolo di tanti e troppi Dèi dimenticati.
E …mai pagati!
La moneta ti osserva, il tempo la comanda.
La ricchezza ti scruta, la potenza l’orienta.
La volontà la sveglia, il sangue s’appresta, l’orgoglio avanza.
Il tempo, suo compagno, ti inganna, mentre contempli il tutto che danza.
Il tempo ritorna in cima alla vetta,
in cima alla stanza,
dove il libro sporge con incuranza e evidenzia una verità che parla,
e non vuol essere contata.
Una verità che segna il tempo e non vuole tempo,
che gela le membra, che annebbia la vista,
che duole fin dentro le ossa,
quelle dei vivi e quelle dei morti
…e quelli che moriranno ancora.
Il tempo in essa spera e comanda,
mentre la cima con orgoglio ritrovato contempli,
come un vecchio tomo mai morto,
come una vecchia stampa che ravviva i ricordi.
Sembra facile, per taluni, andare e tornare,
sembra facile per alcuni andare e parlare.
Ma io che non conosco moneta e tempo,

dovrò patire gli inganni della storia; 























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