CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
30 MAGGIO 1924

venerdì 29 agosto 2025

COME SONO DIVENTATO STUPIDO!

 













Il 'quadro' clinico 


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Siamo nati intelligenti, almeno così dicono e sentenziano e non solo in merito al reddito qual differenza posta su medesimo Albero evolutivo, e poi per chissà qual nuovo Ramo creativo, siamo divenuti degli idioti depressi e anche un po’ dementi!

 

Colpa del Ritmo sbagliato su ugual nota e spartito, dal resto del ‘branco’ digitato reclamato nonché acclamato fino al più evoluto Colosseo, per evitare ogni retto Pensiero, da impartire ad ogni malcapitato che non rispetta la Danza della Morte messa in scena dalla premiata Compagnia dell’economica scienza del Teschio.

 

Siamo nati con l’Anima e lo Spirito equilibrato secondo le coordinate dell’Universo, ed hora in disaccordo con la parabola del  Teschio!




Siamo nati con l’Idea e il Pensiero creativo ed hora ad ogni hora al passo della macabra danza, parliamo e scrutiamo il nostro Teschio preferito!

 

Siamo in armonia e in accordo (o accordati) con il nostro liuto preferito, ed hora udiamo la nota e il sibilo d’uno strano spartito, non è un suono neppure una singola nota, neppure un verso del malcapitato Lupo che ci avverte dell’imminente pericolo, dal suo ululato ne riconosce l’emblema lo strano geroglifico, un colpo cupo che frena la corsa la nota fuori dallo spartito.   

 

Eravamo in armonia con il Sole ed il Vento, parlavamo alla Luna in sua compagnia, reclamiamo una nuova infausta Poesia, mentre abbracciamo ogni Albero di questa Selva, la pecunia dorme alla sua nota preferita credendosi una iena.




Eravamo in armonia con il ghiaccio e la neve, ed hora osserviamo questa idea pascolata alla dottrina preferita, non è né una pecora né una iena che gli fa compagnia, ma l’incrocio dal futuro ibrido mostro e piuttosto incerto, un antico bestiario ci rivelerà nome e segreto che si cela nell’idea del progresso.

 

Non lo comprendiamo ma gli diamo un nome, lo scrutiamo e osserviamo nel Regno preferito assieme affollare una strana Natura, di questi ve ne sono tanti che classificarli richiede un vasto e nuovo umano impegno. Mostri alati e danzanti in disaccordo con le Leggi dell’Universo, mostri con sette bracci tre volti e gemelli fraterni siamesi, con ambo i piedi da animali, con ambo le braccia attaccate e congiunte a strani terminali, con Pensieri mai nati e pascolati nella fattoria della pecora in compagnia di sua sorella e guardiana nonché compagna a tempo pieno dal nome ancora incerto.




Non sappiamo se una iena del Pastore o uno sciacallo del fattore, di sicuro ammiriamo uno strano esemplare da contemplare a tempo pieno per divenire ciò che non siamo mai stati, ma per il bene d’ognuno imparare a classificarli in ricordo del fu’ Aldovrandi, per poi immortalarli alla tavola migliore, quella in verità e per il vero, che eccita maggior scalpore.

 

Al ritmo della nota preferita, quando il branco assiso alla vista della grotta, l’intrepida tavola numerata come ogni parabola insegna nella graduale inarrestabile evoluzione, impone lo stupore, crea l’arte evolutiva.

 

Noi che in questa medesima hora difettiamo di Pensiero e Parola, li scrutiamo in questa superba dottrina… ed assiso assieme ad un mio amico Ambasciatore, anch’esso privato del nesso che rende il quadro degno del compito a cui non possiamo prestar né impegno e perduta ragione; ne cantiamo le gesta, ne reclamiamo il furore, ne lodiamo la grande immensa Intelligenza che da noi fu smarrita e persa, non solo nel quadro della nuova dottrina, forse l’ultima guerra fu la lama con cui la ghigliottina ne fece giustizia fino a perdere nesso e ragione di ciò che all’origine fu intelligenza…




Poi parola confusa ed astrusa… affogata in un lago senza nome per l’ultima sentenza con troppo spirito nelle vene con cui riporre, fors’anche abdicare, la cura del nuovo sapere… Li scorgiamo brindare al misfatto compiuto domandare Lettera e intero capitolo circa l’incompiuto… per il giusto compimento della Storia, affinché non si pensi che l’intelletto abbia abdicato all’istinto ciò di cui poneva giusto distinguo dalla Natura, il Dominio e l’Intelligenza sono il dono di Dio, chi Straniero in questa Terra mai ne potrà comprende l’opera intera dettata ad uno strano profeta…    

(Giuliano)

 

 

Il ristorante si riempiva. Un vichingo in miniatura uscì dall’orologio appeso al muro e, con la sua ascia, batté dieci colpi su uno scudo. Il brusio delle conversazioni in islandese e della musica autoctona trasformavano in isolotto il tavolo di Antoine e dei suoi amici. Gli odori di cucina e di birra si mescolavano e formavano una specie di nebbia sospesa sulla saletta del ristorante, mostri e dèi della mitologia islandese trasformati in lampioni sfavillavano sopra i clienti. I camerieri sopraffatti zigzagavano fra i tavoli addossati uno all’altro e pieni. Antoine prese dalla borsa il grande quaderno in cui aveva annotato la propria professione di fede. Chiese agli amici di non interromperlo e, con voce tesa e commossa, iniziò a leggere:



Ci sono persone a cui le cose migliori non si confanno. Possono essere vestite di cachemire e avere l’aria di barboni; essere ricche e piene di debiti; alte e incapaci nel basket. Oggi me ne rendo conto: appartengo alla specie di quelli che non riescono a rendere redditizie le loro doti, per i quali le doti sono persino degli inconvenienti.

 

La verità esce dalla bocca dei bambini. Alla scuola materna, essere trattati da intellettuali era un insulto infame; più tardi, essere un intellettuale diventa quasi una qualità. Ma è una menzogna: l’intelligenza è una tara. Come i vivi sanno che moriranno, mentre i morti non sanno nulla, penso che essere intelligente è peggio che essere stupido, perché uno stupido non si rende conto di esserlo, mentre una persona intelligente, per quanto umile e modesta, ne è necessariamente consapevole.

 

È scritto nell'Ecclesiaste che “chi accresce il proprio sapere, accresce il proprio dolore”; ma non avendo mai avuto la fortuna di andare a catechismo con gli altri bambini, non sono mai stato avvertito dei pericoli dello studio. I cristiani sono ben fortunati di essere messi in guardia, fin da giovani, di fronte al rischio dell'intelligenza; sapranno tenersene lontani per tutta la vita. Beati i poveri di spirito.




Coloro che pensano che l’intelligenza ha qualche aspetto nobile non ne hanno certamente abbastanza per rendersi conto che è una maledizione. I miei compagni di classe, i miei professori, tutti quelli che mi circondavano mi hanno sempre trovato intelligente. Non ho mai capito molto bene perché e come erano giunti a questo giudizio su di me. Ho sofferto spesso di questo razzismo positivo, di quelli che confondono l’apparenza dell’intelligenza e l’intelligenza, e vi condannano, con un pregiudizio falsamente favorevole, a incarnare una figura autoritaria.

 

Come l’opinione comune va in estasi per il giovane o per la ragazza di estrema bellezza, con l’umiliazione silenziosa di quelli meno dotati dalla natura, così io ero la creatura intelligente e colta. Quanto detestavo quegli incontri in cui contribuivo, mio malgrado, a ferire, a umiliare dei ragazzi e delle ragazze giudicati meno brillanti!


L’intelligenza è un fallimento dell’evoluzione. Al tempo dei primi uomini preistorici, immagino benissimo, in una piccola tribù, tutti i ragazzini che corrono nel bosco, inseguono le lucertole, raccolgono le bacche per cena; a poco a poco, nel contatto con gli adulti, imparano a essere uomini e donne perfetti: cacciatori, raccoglitori, pescatori, conciatori… 




 …Ma, osservando più attentamente la vita di questa tribù, ci si accorge che alcuni bambini non partecipano alle attività del gruppo: restano seduti accanto al fuoco, al riparo dentro la grotta. Non sapranno mai difendersi contro le tigri dai denti di sciabola, né cacciare; lasciati a sé stessi, non sopravviverebbero neppure una notte. Se trascorrono le giornate a non fare nulla, non è per fannullaggine, no, vorrebbero volentieri saltellare con i loro compagni, ma non possono.

 

La natura, mettendoli al mondo, ha perso colpi. In questa tribù c’è una piccola cieca, un ragazzo zoppo, un altro maldestro e distratto… Allora, rimangono nell’accampamento tutto il giorno, e siccome non hanno niente da fare e i videogiochi non sono ancora stati inventati, sono obbligati a riflettere e a lasciare vagabondare i loro pensieri. E passano il loro tempo a pensare, a tentare di decodificare il mondo, a immaginare storie e invenzioni.




Così è nata la civiltà: perché dei ragazzotti non avevano nient’altro da fare. Se la natura non deformasse nessuno, se la forma fosse ogni volta senza errore, l’umanità sarebbe rimasta una specie di proto-ominidi, felice, senza nessun pensiero di progresso, vivendo benissimo senza Prozac, senza preservativi né DVD dolby digital.

 

Essere curioso, volere capire la natura e gli uomini, scoprire le arti, dovrebbe essere la tendenza di ogni spirito. Ma se così fosse, con l’organizzazione attuale del lavoro, il mondo smetterebbe di girare, semplicemente perché prende tempo e sviluppa lo spirito critico.

 

Più nessuno lavorerebbe. Ecco perché gli uomini hanno gusti e disgusti, cose che li interessano e altre no; perché, altrimenti, non ci sarebbe società. Coloro che si interessano a troppe cose, che si interessano persino a questioni che non li interessano a priori – e che vogliono capire le ragioni del proprio disinteresse – ne pagano il prezzo con una certa solitudine.


Per sfuggire a questo ostracismo, è necessario dotarsi di un’intelligenza che abbia una funzione, che serva una scienza o una causa, un mestiere; molto semplicemente, un’intelligenza che serva a qualcosa. La mia presunta intelligenza, troppo indipendente, non serve a nulla, cioè non può essere recuperata per un utilizzo universitario, per un'impresa o uno studio d’avvocati.




Ho la maledizione della ragione; sono povero, celibe, depresso. Sono mesi che rifletto sulla mia malattia di riflettere troppo, e ho stabilito con certezza la correlazione fra la mia infelicità e l’incontinenza della mia ragione. Pensare, tentare di capire non mi ha mai apportato nulla ma ha sempre giocato contro di me. Riflettere non è una operazione naturale, ferisce, come se rivelasse cocci di bottiglia o filo spinato. Non riesco a fermare il cervello, a rallentare il suo passo.

 

Mi sento come una locomotiva, una vecchia locomotiva che fila sui binari, e che non potrà mai fermarsi, perché il carburante che le dà quella potenza vertiginosa, il carbone, è il mondo. Tutto quello che vedo, sento, ascolto, sprofonda nella caldaia della mia mente, la riempie e la fa girare a pieno regime.

 



Tentare di capire è un suicidio sociale, significa non avere più desiderio della vita senza sentirsi, controvoglia, come un uccello da preda e al tempo stesso un avvoltoio che fa a pezzi i propri oggetti di studio. Spesso si uccide ciò che si cerca di capire, perché, come nell’aspirante medico, non c’è autentica conoscenza senza dissezione: si scoprono le vene e la circolazione del sangue, la struttura dello scheletro, i nervi, il funzionamento intimo del corpo.

 

E, in una notte di paura, ci si ritrova in una cripta umida e buia, con un bisturi in mano, imbrattati di sangue, sofferenti di nausee continue, con un cadavere freddo e informe su un tavolo metallico.

 

Dopo, si può sempre cercare di essere un professor Frankenstein e rappezzare il tutto per farne un essere vivente, ma il rischio è di fabbricare un mostro omicida. Ho vissuto troppo nell'alterigia; oggi sento avvicinarsi il pericolo del cinismo, dell’acidità e dell’infinita tristezza; rapidamente, si diventa dotati per l’infelicità. 

(M. Page)








mercoledì 27 agosto 2025

DUE AMBASCIATORI

 















































Prosegue con 


il Dipinto [2]


& taluni dettagli 


accompagnati da 


'emblematiche dislessie' 


(o cattive compagnie?)











                                         
Il quadro di Hans Holbein che raffigura i diplomatici Jean de Dinteville e Georges de Selve, vescovo di Lavaur e amico di Jean, eseguito nel 1533 e noto come ‘Gli ambasciatori’, è tra i migliori e più noti esempi di ritrattistica rinascimentale.

Il suo fascino non è sempre immediato, ma Aubrey Beardsley non si vergogna facilmente, e qualunque fosse stata la sua impressione iniziale del dipinto, di sicuro anch’egli avrebbe ammesso che era un capolavoro di abilità tecnica, dal volto dei due uomini alla resa dei loro preziosi abiti: i risvolti in zibellino dell’abito di de Selve, l’ecclesiastico; la pelliccia, il camiciotto di raso e il velluto del secolare; perfino il tappeto che copre lo scaffale tra i due uomini, con la sua forte resa tattile.

Questo quadro è stato giustamente definito il più spettacolare tour de force della carriera di Holbein, e nessuno che l’abbia visto dopo il recente restauro si sentirà negarlo.




La tecnica di Holbein conserva intatto il potere di stupire che possedeva ai suoi tempi. L’artista aveva una solida formazione nel campo dell’accurata arte figurativa, avendo appreso molto tempo prima dal padre come eseguire precisi disegni dal vero e trasferirli sulla tela, ma nel 1533 la sua tecnica si era ulteriormente affinata.

Aveva imparato a dare più ricchezza e sottigliezza ai colori, e a conferire ai ritratti un’atmosfera di maggiore intimità. Questi progressi sono evidenti negli ‘Ambasciatori’.

Il dipinto è molto più che un doppio ritratto. Ma anche solo come tale, è opera ambiziosa e riuscita più di qualsiasi altra di Holbein che sia giunta fino a noi. Ed è una testimonianza della viva amicizia dei due soggetti del quadro, che l’artista mostra di aver ben  compreso e che ha espresso collegando e conciliando le loro personalità, apparentemente molto diverse.




Qualche anno prima, Holbein aveva eseguito l’altro doppio ritratto – ora perduto – di Desiderio Erasmo e del suo editore e amico Johannes Froben; perciò da questo punto di vista il quadro londinese non fu un esperimento.

E’ stato spesso affermato che nelle arti il segno del passaggio dal Medioevo al Quattrocento e al Rinascimento consiste nell’accento posto sull’importanza e unicità dell’individuo. Da quel momento, si dice, nelle arti figurative i caratteri dei personaggi vanno letti nei volti invece che immaginati in base alla vicenda – di solito religiosa – che l’artista rievoca, e alla quale in precedenza il carattere dei singoli era quasi sempre subordinato.

A partire dal Rinascimento l’individuo si muove con maggiore autonomia, fisicamente e spiritualmente. Holbein contribuì molto all’affermarsi di questa tradizione nell’arte dell’Europa settentrionale. Difficilmente ciò sarebbe stato possibile senza la finezza e gli artifici di una nuova tecnica pittorica, capace tra l’altro di dare profondità all’immagine  come là dove Holbein raffigura uno dei due diplomatici con un piede più vicino all’osservatore, il quale avrà ancora di più l’impressione di essere di fronte a persone reali in uno spazio tridimensionale; tutti sintomi di indebolimento dell’antico ordine sociale.




Dipinto quando l’artista aveva tra i trenta e i quarant’anni, e al culmine della forza creativa, ‘Gli ambasciatori’ è una magnifica illustrazione della discontinuità tra vecchio e nuovo ordine sociale.

I due uomini del dipinto erano i rappresentanti della Francia presso la corte inglese, e in questo senso il titolo attuale è corretto. Alcuni lo contestano per le stesse ragioni per cui gli appassionati di Mozart si oppongono all’uso di termini non scelti dal musicista per denominare le sue composizioni. Nessuno si aspetta che un titolo possa dire tutto il dipinto, ma almeno non dovrebbe essere fuorviante. Chiamare l’imponente quadro di Holbein semplicemente ‘Gli ambasciatori’ significa presentarlo prima di tutto e soprattutto come un ritratto, e sollevare questioni che non hanno mai avuto una risposta soddisfacente – perché in realtà il dipinto rappresenta anche molte altre cose.

Se l’opera sembra suggerire innumerevoli commenti e interpretazioni non è tanto a causa delle biografie dei due uomini che essa raffigura, quanto per gli strumenti che affollano lo scaffale e occupano il centro della composizione, senza contare il teschio fortemente deformato e inclinato che è in primo piano vicino al bordo inferiore.




Senza dubbio, le allusioni al mondo della cultura e alla transitorietà della vita umana intendono illuminare le personalità, i precedenti e le aspirazioni dei due diplomatici; eppure, per ragioni tutt’altro che ovvie, Holbein sembra aver dato loro uno speciale risalto. Perlopiù, le prime spiegazioni di questo fatto singolare sono state di tipo generale.

Alcune hanno sottolineato il temperamento malinconico di uno degli ambasciatori o di entrambi, e letto l’intera opera come un ‘momento mori’, un complesso di variazioni sul tema dell’onnipresenza e ineluttabilità della morte. Altri si sono accontentati di un breve accenno all’opposizione di materiale e spirituale, vanità delle arti e delle scienze e più profonde verità della religione. La complessità della natura morta al centro del quadro è senza paragoni nell’opera di Holbein.




Alcuni vi hanno visto un’allusione ai trionfi del XVI secolo nei campi del sapere e delle esplorazioni, senza mai, o quasi, entrare nei particolari. Coloro che hanno provato a indagare i possibili sensi simbolici del dipinto hanno di solito guardato alle vicende della Riforma e alle tensioni politiche e religiose di quel periodo. Di solito, veniamo sollecitati a immaginare i pensieri dei due soggetti, e principalmente la loro preoccupazione per il futuro del mondo cristiano, di particolare importanza per loro sia in quanto diplomatici, sia a causa delle loro posizioni nella gerarchia civile o religiosa.

Un innario luterano sul ripiano inferiore è stato considerato un indizio della loro generale tolleranza in materia di religione; come una preghiera allo Spirito Santo quale guida in un difficile momento storico; e perfino un appello alla completa tolleranza della causa protestante, con la quale, peraltro, né Dinteville né de Selve si identificavano personalmente.
















venerdì 15 agosto 2025

MONDO SOTTERRANEO













Precedenti Fari  


Prosegue con il: 


Capitolo completo  


& il suicidio della 


moderna società






 

La combinazione fra arte e natura è realizzata interamente dall’arte quando lo stesso marmo viene riprodotto con la pittura; paesaggi, case, vascelli su mari tempestosi, figure umane e intere scene vi compaiono fra meandri minerali imitati dalla stessa mano. Una bella serie di imitazioni del genere si può vedere nella chiesa di campagna di Appending, in Baviera, i cui altari sono rivestiti da finti marmi dipinti su legno. L’insieme proviene dallo studio degli Zellnes, padre e figlio, specializzati in Gemalten Marmorierungen nelle quali il genio barocco prosegue il suo gioco dì fantasia, su di un supporto ancora più povero che non gli fornisce alcuno spunto.

 

In questo periodo sono in voga certe pietre prodigiose, in cui si crede di scorgere un riflesso del mondo circostante. Le ritroviamo nella maggior parte delle Kunstkammern in cui venivano accumulate opere d’arte, strumenti scientifici, oggetti esotici e ogni sorta di curiosità naturali, e in particolare in una delle più celebri di tali raccolte, quella del castello di Ambras in Tirolo, culla del collezionismo absburgico. Ancora nel 1687 un viaggiatore osservava nella quattordicesima galleria

 

‘pietre che rappresentano alberi, frutti, conchiglie, animali, e che sono opere pure della Natura’.




Non si tratta unicamente di paesaggi: fra quelle sinuosità sfumate si delineano anche esseri animati ed oggetti.

 

Ad Athanasius Kircher, gesuita tedesco trapiantato a Roma e visionario-studioso dalle ambizioni sconfinate, dobbiamo il compendio più completo di queste dottrine. L’opera, che risale al 1664, attinge a numerose fonti ma le rinnova in una sintesi che è parte di un’ampia cosmogonia. Il suo Mondo Sotterraneo è grandioso e fiabesco: mari di fuoco e d’acqua, comunicanti fra di loro attraverso i canali e i fiumi che alimentano gli oceani e i vulcani della superficie terrestre, ne traversano le distese.

 

Con le sue cavità e le sue arterie, lo spaccato del globo terrestre evoca un organismo animale; in quelle caverne abitano uomini e demoni, fiere e draghi, mentre minerali e metalli vi nascono spontaneamente assumendo spesso aspetti inquietanti. La natura è un geometra, un ottico che segue tutti i progressi della prospettiva, ed è anche un pittore. Essa pensa e agisce come l’uomo, o meglio è soggetta all’azione delle stesse potenze superiori. La prima parte del libro VIII, dedicata alla Mineralogia, contiene un’ampia trattazione delle forme, delle figure e delle immagini che la Natura disegna nelle pietre e nelle gemme, e inoltre delle loro origini e cause.




L’autore procede metodicamente. Dapprima egli divide le pietre in base ai soggetti: figure geometriche e tutte le lettere dell’alfabeto; visioni celesti - asteroidi e stelle, falce di luna e sole; mondo terrestre - paesaggi, vegetazione, città; esseri viventi - uccelli, quadrupedi, uomini; immagini religiose - Cristo, la Vergine col Bambino, la Madonna di Loreto, san Giovanni Battista, san Gerolamo. Quindi ne spiega la formazione in quattro modi:

 

l. Cause fortuite;

 

2. Disposizioni del terreno che funge da matrice e attitudine delle forme e degli umori alla pietrificazione;

 

3. Magnetismo che agglomera forme consimili;

 

4. Volontà divine e angeliche.




Piante e pietre nascono dallo stesso suolo, e in esso le loro sostanze si mescolano dando luogo a una contaminazione. Il muschio vegetale penetra nei minerali e si trasforma in erbe e in frutti pietrificati, mentre nei cristalli e nei marmi germogliano degli arboscelli. Certe pietre a forma di animale sono fossili, ma in terreni e materiali atti ad accoglierle nascono anche immagini perfette, come sotto l’azione delle correnti magnetiche che provocano la galvanoplastica.

 

Allo stesso modo si formano nell’interno di certe pietre le immagini sacre; oggetti di culto, crocefissi abbandonati sul suolo durante lavori di sterro s'imprimono in esso con l'andar del tempo, com’è avvenuto per l’iscrizione INRI di Tivoli. Stretta fra due lastre di marmo sepolte sotto terra, la figura finisce col penetrare profondamente nella loro sostanza.

 

Ma tutte queste cause occasionali divengono feconde soltanto grazie alla provvidenza divina, che determina nella Natura un così gran numero di effetti prodigiosi: la genesi delle immagini nelle pietre è frutto delle medesime forze che presiedono alla nascita delle nuove stelle nel cielo e dei mostri sulla terra. Il libro fornisce inoltre istruzioni di carattere chimico. Le figure devono essere dipinte su carta, mescolando al colore del vetriolo e altri liquidi corrosivi; se messa fra due tavolette di marmo accuratamente levigate, la pittura ne compenetra la sostanza in capo a due o tre mesi.




Si può anche dipingere direttamente su di una superficie di marmo bianco con ammoniaca e acido nitrico sapientemente mescolati ad altri elementi, e allora tutto il materiale solido accoglierà l’impronta del disegno. Parecchie pietre figurate erano con tutta probabilità dei falsi. Il testo è illustrato da esempi conservati nei musei (soprattutto nel museo Aldrovandi: uno solo appartiene alla raccolta Kircher) e provenienti da varie parti del mondo, dalla Terrasanta al Cile.

 

Ora le figure vi emergono confusamente in mezzo a chiazze e asperità, ora vi si stagliano con nettezza; in certi casi l’illustratore ha inserito l’immagine voluta alterandone appena i tratti.

 

Le origini di tali visioni vanno ricercate nell’antichità classica. Nei suoi libri sulle gemme e sulle pietre, ‘la massima follia degli uomini’, Plinio descrive una quantità di fenomeni analoghi. Un blocco di marmo di Paro, staccandosi dalla roccia lungo gli spigoli, lasciò vedere improvvisamente un’immagine di Sileno (XXXVI, IV).




…Nei dintorni di Munda in Spagna, là dove Cesare aveva sconfitto il giovane Pompeo, si possono vedere pietre palma te, vale a dire pietre che una volta spezzate presentano il contorno del palmo della mano (XXXVI, XXIX). Le pietre asteriti contengono immagini del sole e della luna (XXXVII, XLVII), e infine le venature di un’agata appartenente a Pirro ‘rappresentavano naturalmente, e senza intervento di arte un gruppo mitologico: Apollo con la lira, le nove Muse e persino gli attributi particolari di ognuna di esse (XXXVII, 111).

 

Altre meraviglie del genere vengono enumerate da Salino (230 c.); nelle agate di prima qualità, le venature disegnano varie creazioni della natura: le agate provenienti dall’India raffigurano ora foreste, ora animali. Nel Trattato dei Fiumi dello pseudo-Piutarco, apocrifo databile a un periodo anteriore al 227, sono citati gli autoglifi, in cui è raffigurata la Madre degli dèi, ifiladelfi che rappresentano figure umane (quando se ne pronuncia il nome si staccano da quanto li circonda e si accostano gli uni agli altri), i cristalli attorti in forme umane. Di tali descrizioni sono indicate le fonti: il Trattato delle Piante di Ctesifonte, il Trattato delle Pietre di Aristobulo, i Racconti Tragici o Traci di Trasillo di Mèndes… 

(]urgis Baltrusaitis)

 

 


 

 

ALLA RICERCA DEL REGNO… 

 

 

La spedizione dell’HMS Challenger fu la prima spedizione organizzata e finanziata per uno scopo scientifico specifico: esaminare i fondali marini profondi e rispondere a domande approfondite sull’ambiente oceanico. Wyville-Thomson avrebbe raccolto i dati risultanti nei Rapporti Challenger in 50 volumi, inaugurando l’era dell’oceanografia descrittiva. Sperava di confutare la teoria azoica, recentemente proposta, che postulava l'esistenza di una ‘zona morta’ al di sotto dei 550 metri in tutti gli oceani del mondo, e di dimostrare le scoperte di Darwin.

 

La nave della marina militare ristrutturata era dotata di laboratori e sale di lavoro all’avanguardia, delle più recenti apparecchiature scientifiche e di un sistema telegrafico con cui inviare i risultati a casa.




 Sheerness, 22 novembre 1872

 

Abbiamo due battelli a vapore a bordo e circa 30 miglia di linea d’altura e linea di dragaggio; le altre sei barche le prenderemo quando entreremo nel fiume la prossima settimana. Tutti i membri del personale scientifico sono a bordo e sono stati impegnati durante la settimana a stivare la loro attrezzatura. Ci sono alcune migliaia di piccole bottiglie ermetiche e piccole scatole delle dimensioni di scatole di San Valentino, imballate in contenitori di ferro per conservare campioni, insetti, farfalle, muschi, piante ecc. C’è una sala fotografica sul ponte principale, anche una sala dissezione per sezionare orsi, balene, ecc.

 

                                             Joseph Matkin Challenger 





Gli obiettivi scientifici dello Challenger, stabiliti dalla Royal Society, erano:

 

Studiare le condizioni fisiche delle profondità marine nei grandi bacini oceanici (fino alle vicinanze della Grande Barriera di Ghiaccio Meridionale) in relazione a profondità, temperatura, circolazione, gravità specifica e penetrazione della luce.

 

Determinare la composizione chimica dell’acqua di mare a varie profondità, dalla superficie al fondo, la materia organica in soluzione e le particelle in sospensione.

 

Accertare la natura fisica e chimica dei depositi di acque profonde e le fonti di tali depositi.

 

Studiare la distribuzione della vita organica a diverse profondità e sui fondali marini profondi.

 

Dal dicembre 1872 al maggio 1876, il Challenger percorse quasi 115.000 km (69.000 miglia), toccando tutti gli oceani tranne l’Artico. Un set di dati standard fu raccolto in ciascuna delle 360 stazioni lungo la rotta. Campioni e dati furono accuratamente restituiti in Scozia per analisi sistematiche e documentazione.

 

Le tre tecniche di base disponibili per il loro studio scientifico erano il sondaggio, il dragaggio e la lettura della temperatura. Prelevarono anche campioni d’acqua utilizzando diverse bottiglie di campionamento e avevano a bordo un idrometro per misurare la salinità dell'acqua di mare analizzandone la densità.


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