CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
30 MAGGIO 1924

giovedì 12 dicembre 2013

AMMAZZARE IL TEMPO: la coscienza (28)





































Precedente capitolo:

La via di mezzo.... (27)

Prosegue in:

Ammazzare il Tempo: la coscienza (29) &

Ammazzare il Tempo: ... breve cerchio... (30/31)













Se supponiamo che il modo di operare del cervello umano, cosciente o no, sia semplicemente l’esecuzione di un qualche algoritmo molto complicato, dobbiamo chiederci in che modo un algoritmo così straordinariamente efficace abbia avuto origine.
La risposta standard, ovviamente, sarebbe quella della ‘selezione naturale’. Nel caso di creature dal cervello evoluto, quelle con gli algoritmi più efficaci avrebbero avuto migliori probabilità di sopravvivenza e quindi, nel complesso, avrebbero lasciato una progenie più numerosa. Anche i loro discendenti avrebbero avuto la tendenza a presentare algoritmi più efficaci rispetto a quelli dei loro cugini, avendo ereditato gli ingredienti di questi algoritmi più efficaci dai loro genitori; così gli algoritmi migliorarono gradualmente – non necessariamente in modo continuo, giacché la loro evoluzione potrebbe aver proceduto a salti – fino a raggiungere il livello notevole che noi riscontriamo oggi nel cervello umano. 




Immaginiamo un qualsiasi programma ordinario per computer. in che modo potrebbe avere avuto origine? Non certo (direttamente) per selezione naturale! Esso deve avere avuto origine per opera di qualche programmatore umano, che dopo averlo scritto dev’essersi accertato che funzionasse correttamente. A volte un programma per computer potrebbe essere stato ‘scritto’ a sua volta da un altro programma, per esempio un programma per computer più complesso, ma questo programma dev’essere stato prodotto a sua volta dalla genialità e acutezza di un programmatore umano; oppure il programma potrebbe essere stato formato sulla base di vari ingredienti, alcuni dei quali prodotti da altri programmi per computer. In ogni caso, però, la validità e la concezione del programma risalirebbe in ultima analisi ad (almeno) una coscienza umana…




Se si crede che le azioni della coscienza dei programmatori di computer siano esse stesse semplicemente algoritmi, si deve credere, in effetti, che gli algoritmi si siano evoluti proprio in questo modo. Nondimeno, ciò che mi preoccupa in proposito è il fatto che la decisione circa la validità di un algoritmo non è di per sé un processo algoritmo! Si potrebbe tuttavia immaginare un qualche tipo di processo di selezione naturale che fosse efficace per produrre algoritmi ‘approssimativamente’ validi.
Personalmente, io trovo però una nozione del genere assai poco credibile. Qualsiasi processo di selezione di questo genere potrebbe agire solo sull’output degli algoritmi e non direttamente sulle… idee che sono alla base delle azioni degli algoritmi. Questo modo di procedere non sarebbe solo estremamente inefficiente, ma io credo che non funzionerebbe affatto…




 Nelle discussioni del problema mente-corpo ci sono due problemi separati su cui si concentra di solito l’attenzione: ‘In che modo un oggetto materiale (un cervello) può suscitare concretamente la coscienza?' e, inversamente, ‘In che modo una coscienza, attraverso l’azione della sua volontà, può influire realmente sul moto di oggetti materiali?’. Questi sono gli aspetti passivo e attivo del problema corpo-mente. Pare che noi abbiamo, nella ‘mente’ (o, piuttosto nella ‘coscienza’) una ‘cosa’ immateriale che, da un lato, è suscitata dal mondo materiale e, dall’altro, può influire su di esso.
Io preferirò però, nelle mie discussioni preliminari considerare un problema un po’ diverso e forse più scientifico – che è pertinente sia al problema attivo sia a quello passivo – nella speranza che i nostri tentativi di trovare una soluzione possano farci fare un po’ di strada verso una comprensione migliorata di questi antichi enigmi fondamentali della Filosofia. La mia domanda è: ‘Quale ‘vantaggio selettivo’ conferisce una coscienza a coloro che la posseggono?’.




Nel formulare la domanda in questo modo ci sono vari assunti impliciti. Innanzitutto c’è la convinzione che la coscienza sia di fatto una ‘cosa’ descrivibile scientificamente. C’è l’assunto che essa ‘faccia’ effettivamente ‘qualcosa’, e inoltre che ciò che essa fa sia utile alla creatura che la possiede, cosicché un’altra creatura equivalente in tutto ma priva della coscienza si comporterebbe in un qualche modo meno efficace. D’altra parte, si potrebbe credere che la coscienza non sia altro che un concomitante passivo del possesso di un sistema di controllo sufficientemente complesso e che, di per sé, in realtà non ‘faccia’ nulla (Questa potrebbe essere presumibilmente l’opinione, per esempio, del sostenitore dell’IA forte.).




Oppure, all’opposto, il fenomeno della coscienza potrebbe avere un qualche fine divino o misterioso – forse un fine teologico che non ci è stato ancora rivelato – e qualsiasi discussione del fenomeno nei termini delle sole idee della selezione naturale si lascerebbe sfuggire completamente questo ‘fine’. Un po’ preferibile, a mio modo di vedere, sarebbe una versione un po’ più scientifica di questo tipo di argomento, ossia il ‘principio antropico’, il quale asserisce che la natura dell’Universo in cui ci troviamo è fortemente vincolata dalla richiesta che esseri intelligenti come noi stessi debbano essere realmente presenti per osservarlo.….
Io considero il termine ‘coscienza’ essenzialmente come sinonimo di ‘consapevolezza’, mentre ‘mente’ e ‘anima’ hanno altre connotazioni che sono attualmente definibili in modo meno chiaro. Avremo già abbastanza difficoltà occupandoci della sola ‘coscienza’, cosicché spero che il lettore mi perdonerà se eviterò di occuparmi degli ulteriori problemi della ‘mente’ e dell’ ‘anima’.




C’è la questione di che cosa si intenda col termine ‘intelligenza’. Gli studiosi dell’IA si accupano, dopo tutto, di questo problema, piuttosto che del problema più nebuloso della ‘coscienza’. 
Alan Turing, nel suo famoso articolo, non si riferì in modo così diretto alla ‘coscienza’ bensì al ‘pensiero’ e nel titolo del suo articolo compariva la  parola ‘intelligenza’. A mio modo di vedere, quello dell’intelligenza è un problema sussidiario a quello della coscienza. 
Io non penso che crederei all’esistenza di una vera intelligenza la quale non fosse accompagnata dalla coscienza. D’altra parte, se gli studiosi dell’IA risulteranno.....

(R. Penrrose, La mente nuova dell'Imperatore) 

(Fotografie di: Ole Salomonsen)

(Prosegue.....) 
















Nessun commento:

Posta un commento