CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

sabato 3 giugno 2017

QUESTA TERRA E' LA MIA TERRA ovvero il Sogno nel Sogno (19)

















Precedenti capitoli:

L'ultimo treno per Yuma (18/17)













Prosegue in:

La tempestosa nuvola... (ovvero il clima che cambia fine ed inizio secolo) (20)













Dopo un periodo di peregrinazioni, Joseph arrivò nella lunga valle di Nuestra Senora, e qui dichiarò il proprio domicilio…
Nuestra Senora, la lunga valle della California centrale, era verde, oro, giallo e azzurro quando Joseph vi giunse. Il fondo pianeggiante era immerso in alte avene selvagge e fiori di senape color canarino. Il fiume San Francisquito rumoroso nel suo letto di roccioni attraverso l’antro della sua piccola e stretta foresta. Due fianchi della catena costiera tenevano stretta la valle di Nuestra Senora, da un lato riparandola dal mare, e dall’altro dai venti violenti della grande vallata di Salinas.
All’estremo limite meridionale un passo si apriva nelle colline per lasciar uscire il fiume, e presso il valico stavano la chiesa e la piccola città della Vergine. Le capanne degli indiani si raggruppavano intorno ai muri di fango della chiesa, e benché ormai questa fosse spesso vuota e i suoi santi consunti e parte del suo tetto fosse crollato in un cumulo di rovine e le campane rotte, gli indiani del Messico continuavano a viverci intorno, e là tenevano le loro festività, ballavano la jota sul terreno e dormivano al sole.




Quando il suo podere fu registrato, Joseph partì per la nuova dimora. Sotto il cappello a larghe tese i suoi occhi brillavano di eccitazione e pareva ch’egli fiutasse avidamente la valle. Portava calzoni nuovi con un cerchio di bottoni di rame intorno alla cintura, una camicia azzurra e un panciotto, per la comodità delle tasche. Aveva stivali nuovi dal tacco alto e gli speroni luccicavano come fossero d’argento. Un vecchio messicano si trascinava penosamente entrando in Nuestra Senora. Il suo viso si illuminò di piacere quando Joseph si avvicinò. Si tolse il cappello e si fece da un lato.

‘C’è una festa in qualche luogo?’…

…chiese cortesemente…

Joseph rise di gioia.

‘Ho cento e sessanta jugeri di terreno su nella vallata. Vado a stabilirmici.




Gli occhi del vecchio viandante si posarono sul moschetto che stava nascosto nella sua guaina lungo la gamba di Joseph.

‘Se vedete un daino, senor, e se lo uccidete, ricordate il vecchio Juan’…

Joseph proseguì, ma gridò di sopra alla spalla:

‘Quando la casa sarà costruita darò una fiesta. Mi ricorderò di voi, allora, vecchio Juan’…

‘Mio genero suona la chitarra, senor’…

‘Allora verrà anche lui, vecchio Juan’…






















Il cavallo di Joseph procedeva svelto, scivolando con gli zoccoli tra le fruscianti foglie di quercia, i ferri risuonavano contro le pietre sporgenti. Il sentiero correva attraverso il bosco che seguiva il fiume. Mentre cavalcava, Joseph era timido e pure impaziente, come un giovane che vada di nascosto ad un appuntamento con una bella donna e per di più avveduta. Era un po’ stordito e oppresso della foresta di Nuestra Senora. C’era una strana femminilità nelle fronde e nei ramoscelli allacciati nella lunga grotta verde che il fiume tagliava tra gli alberi e nel lucente sottobosco. Le infinite navate verdi, i recessi e le alcove parevano avere un significato oscuro e promettente come simboli di un’antica religione.
Joseph rabbrividì e chiuse gli occhi…

‘Forse sono ammalato’…

…disse!

‘Quando aprirò gli occhi vedrò che tutto ciò è delirio e febbre’…




Mentre andava avanti lo prese il timore che questa terra fosse solo l’immagine di un Sogno nel Sogno e che si sarebbe dissolta in un mattino asciutto e polveroso. Un ramo di manzanita gli fece cedere il cappello che andò in terra, e quando scese di cavallo Joseph distese le braccia e si chinò per accarezzare la terra con le mani. Sentiva il bisogno di scuotersi per uscire da quello stato d’animo. Sollevò lo sguardo alle sommità degli alberi dove il sole splendeva sulle foglie frementi o il vento cantava roco.
Quando salì di nuovo in sella sentì che non avrebbe mai potuto perdere l’amore della terra. Il cuoio scricchiolante della sella, il tintinnio delle catenelle degli sproni, lo sfregare della lingua del cavallo sul rullo del freno erano accordi in maggiore sul pulsare della terra. Joseph s’accorse ch’era stato ottuso e ora s’era fatto sensibile, s’era svegliato dopo un lungo sonno. Nella profondità della sua mente c’era la sensazione di essere un traditore. Il passato, la sua casa e tutti gli averi della sua infanzia stavano per smarrirsi, ed egli non si scordava che doveva ad essi un ricordo.

…Se non stava attento questa terra lo avrebbe posseduto per intero…

…Ora il sentiero costeggiava una lunga collina protetta da fitti arbusti arruffati che persino i conigli dovevano farsi delle piccole gallerie per attraversarli. Il sentiero varcava a fatica la lunga e stretta sommità e giungeva a una cintura di alberi, querce rosse e verdi e querce bianche. 




Tra i rami degli alberi un minuscolo fiocco bianco di nebbia apparve e navigò delicatamente proprio sulla vetta degli alberi. Un momento dopo, un altro lembo tralucente lo raggiunse, poi un altro e un altro ancora. Veleggiarono un poco come fantasmi semimaterializzati, diventando sempre più grandi finché improvvisamente raggiunsero una colonna d’aria calda e salirono in cielo per mutarsi in piccole nubi.
Su tutta la valle le molte nuvolette bianche salivano e si formavano, come spiriti di morti che sorgessero da una città dormiente. Sembravano dissolversi contro il cielo, ma per esse il sole perdette il suo calore. In cima alla sommità c’era un ammasso di alberi giganti di madrone, e Joseph vide con stupore che essi parevano fatti di carne e muscoli. Levavano in alto membra rosse come carne scorticata, e contorte come corpi messi alla tortura.
Joseph seguitando a cavalcare, posò la mano sul ramo e lo sentì freddo, liscio e duro. Ma le foglie all’estremità delle orribili membra erano verdissime e lucenti. Spietati e terribili, gli alberi di madrone.

….Gridano di dolore quando bruciano…

Joseph raggiunse la sommità e guardò in basso le praterie della sua nuova proprietà dove le avene selvagge si muovevano in onde argentee sotto un venticello, e dove le chiazze azzurre dei lupini si stendevano come ombre in una chiara notte lucente, e i papaveri sulle colline laterali erano larghi raggi di sole.




Si alzò per vedere le lunghe praterie in cui gruppi di querce stavano come perpetue assemblee che governassero il paese. Il fiume con la sua maschera di alberi si tagliava un cammino contorto scendendo la valle. Poteva scorgere a due miglia di distanza, di fianco a una solitaria quercia gigante, la macchia bianca della sua tenda piantata là e poi lasciata da quando era andato a dichiarare il suo podere.

…Stette a lungo lassù…

Mentre guardava la valle, Joseph sentì invadersi le vene da un caldo fluido d’amore.

‘E’ terra mia’…

…disse semplicemente, e i suoi occhi brillarano di lacrime e il cervello gli si empì di meraviglia all’idea che gli appartenesse.
C’era in lui pietà per l’erba e per i fiori; sentiva che gli alberi erano creature sue e sua creatura la terra. E per un istante, gli parve di esser sospeso in alto e di guardare giù in basso.

‘E’ mia’

…disse ancora…

…‘E devo averne cura’…




…Il viottolo lasciò di nuovo il fiume, e mentre Joseph si avvicinava alla sua tenda le nuvole si mossero di nuovo all’indietro da Ovest ad Est come una cortina di lana grigia, il sole al tramonto scintillò sulla campagna lavata, splendette sui fili d’erba e lasciò faville sulle gocce nascoste nel cuore dei fiori di campo. Dinanzi alla sua tenda Joseph saltò a terra, tolse la sella dal cavallo strofinandogli la groppa e le spalle bagnate con un panno prima di lasciare che l’animale stanco cominciasse a brucare.

…E restò sull’erba umida di fronte alla sua tenda…

Il sole al tramonto scherzava sulle sue tempie abbronzate e il vento della sera gli scompigliava la barba. Il desiderio del suo sguardo divenne rapacità mentre guardava in basso la lunga valle verde. La sua fame di possesso per la Natura si fece passione.

E’ mia cantava…

‘Fino giù in fondo è mia, fino al centro della Terra’…

Pestò col piede la terra soffice. Poi la sua esultanza divenne un acuto spasimo che gli passò attraverso il corpo come un fiume ardente. Si gettò sull’erba e accostò la guancia agli steli bagnati. Le sue dita afferrarono l’erba bagnata, la strapparono e la strinsero ancora. I suoi fianchi batterono pesantemente la terra.




La furia lo abbandonò, e rimase freddo, stupito e spaventato di se stesso. Si levò a sedere e si asciugò il fango dalle labbra e dalla barba.

‘Che è stato?’…

…si chiese…

‘Che cosa mi ha preso?…Posso avere un bisogno così grande’…

Cercò di ricordare con precisione quello che era avvenuto. Per un attimo la terra era stata la sua donna.

‘Avrò bisogno di una donna’…

…disse…

‘Sarò troppo solitario qui senza una donna’…

Era stanco.

Il suo corpo era indolenzito come se avesse sollevato una roccia e quel momento di passione lo aveva spaventato….

(J. Steinbeck, Al Dio sconosciuto) 




















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