Prosegue con un...:
Ponte verso
l'Europa (2)
& mentre parlava
dei tempi passati (3)
Circa il vasto
orizzonte... (4)
Per anni
dopo la Rivoluzione americana l’aristocrazia del Sud formata da grandi
proprietari di schiavi aveva fornito la classe dirigente ai neonati Stati Uniti
d’America; non solo essa aveva dato loro la guida militare e politica della
lotta e il primo Presidente nella persona di George Washington e colui che ne
aveva formulato gli ideali politici in Thomas Jefferson; ma tutta un’autentica
pleiade di leaders, da Patrick Henry a Presidenti quali James Madison, James
Monroe e altri.
Essa si era
ispirata a ideali di moderazione, di temperata democrazia, di tolleranza e di
larga autonomia degli Stati e delle comunità. Come ebbe a dire uno storico
tedesco:
‘Per più d’un mezzo secolo gli uomini del Sud
erano stati la parte signoreggiante nell’Unione: possessori di vaste terre... che
facevano coltivare dagli schiavi, vivevano in grande agiatezza e potevano
appropriarsi di una più raffinata coltura; la maggior parte degli uomini di
Stato che distinguevansi in patria per ingegno e all’estero per compitezza di
modi e nobile orgoglio della potenza e libertà nazionale appartenevano a loro.
La Virginia, che aveva dato alla causa nazionale il grande Washington era
designata come patria del Presidente e i suoi abitatori stimati per ricchezza,
commerci e gentilezza di costumi... Non si può affermare che... gli uomini del
Sud abusassero della preponderanza nel governo... per egoismo; nelle loro
opinioni e tendenze erano guidati da idee più nobili che non le aristocrazie
d’Europa’.
Ma qual era
la base effettiva di tale classe?
Eugene D.
Genovese per primo l’aveva posta in luce con estrema chiarezza:
‘La schiavitù nel Sud non fu mera schiavitù... ma
la base su cui sorse una potente e notevole classe sociale, una classe che
costituiva solo una piccola parte della popolazione bianca: e tuttavia così
potente e notevole da tentare, con più successo di quanto i nostri
neo-abolizionisti si curino di vedere, di erigere una nuova – o piuttosto di
ricostruire una antica – civiltà’.
Quindi la
schiavitù costituiva la base sociale su cui sorgeva la grande sovrastruttura
della civiltà sudista, rimarchevole per la produzione di una sua propria cultura o visione del mondo, di
specifici principi di vita e di etica, di educazione, di comportamenti di
raffinatezza, di noblesse oblige.
Una
costruzione notevole, peculiare e anche brillante, come tutte le forme di
civiltà finora esistite; ma come ognuna di esse, con le basi fondate in terra,
nel fango dello sfruttamento di una classe produttrice, in questo caso gli
schiavi africani; e tale fondazione non poteva fare a meno di influenzare
profondamente e in maniera inestricabile la stessa civiltà sudista, che dagli
afroamericani ricevette anche vitali contributi nei campi della cucina, della
musica, della danza e della stessa peculiare parlata propria del Sud e quindi
l’intera sovrastruttura che su questa si ergeva, inserendo in essa (come
d’altronde accade in qualsiasi società divisa in classi: e per ora non ne sono
mai esistite di altro tipo che fossero valide) un profondo elemento di crisi e
un mal represso, incessante senso di colpa.
Per anni
gli Stati Uniti vissero sotto la guida saggia e prudente di tale aristocrazia;
non mancarono crisi, ma furono passeggere. La
più grave fu quella del Missouri, nel 1820, dovuta al tentativo prematuro di
un esponente politico del Nord di scindere l’alleanza tra piantatori del Sud e
ceti agrari del Medio Ovest, che però fu risolta mediante un compromesso grazie
soprattutto alla moderazione dei meridionali (sebbene all’orecchio preveggente
del vecchio Thomas Jefferson tale crisi suonasse come ‘un allarme di incendio
nella notte’ che presagiva la rovina dell’Unione).
Ma poiché
come giustamente insegnato da Vico e da Hegel nulla nel mondo è stabile, ma
ogni cosa è in continua, inarrestabile trasformazione, quello che preparò le
radici della rivoluzione che avrebbe spazzato via il potere della vecchia
aristocrazia sudista fu una duplice, radicale (anche se in inizialmente lenta)
mutazione.
Anzitutto la rivoluzione industriale.
L’embargo
del 1807 il quale colpiva il commercio da e per l’Europa e la guerra del
1812-15 contro la Gran Bretagna ebbero per effetto di stimolare, sotto la
spinta della necessità, lo sviluppo manifatturiero del Nord. Già nel 1817, anno
della morte dell’industriale bostoniano Francis Cabot Lowell, i suoi soci
dettero vita alla prima città basata sull’industria tessile cui dettero il suo
nome. Da quel momento lo sviluppo di tale branca dell’industria prevalentemente
nel Massachusetts, nello stato di New York e nella Pennsylvania fu inarrestabile.
Inizialmente gli aristocratici del Sud non guardarono con
occhio sfavorevole a tale evento: nel Mezzogiorno malgrado lo stimolo degli
eventi su citati uno sviluppo locale dell’industria era praticamente quasi
impossibile, essendo tutto il loro capitale
investito in terre e schiavi; nel
Nord invece embargo e guerra favorirono una vertiginosa ascesa dei prezzi dei
prodotti industriali promettendo favolosi profitti. Al principio i sudisti
trovarono razionale una simile divisione del lavoro: addirittura il loro grande
ideologo, John C. Calhoun della Carolina Meridionale sostenne una moderata
tariffa protettiva per stimolare un graduale sviluppo delle industrie nel Nord
che, in cambio, avrebbero assorbito la produzione cotoniera del Sud rafforzando
quindi una armoniosa coesistenza tra le due sezioni dell’Unione.
Si
sbagliava gravemente. Poiché in effetti la rivoluzione industriale che nel Nord
stava esplodendo fuori da ogni limite, contribuì radicalmente allo sviluppo
della seconda mutazione: il rapido inarrestabile sviluppo di nuove, moderne,
intraprendenti classi sociali, gli imprenditori da un lato e dall’altro gli
operai salariati. Sebbene già forte e combattiva, la borghesia imprenditoriale
aveva appena iniziato il cammino di un fantastico sviluppo; in essa la
distinzione con il nascente proletariato era ancora in un certo senso vaga; non
c’era quasi alcun padrone in questa nuova ondata che non venisse dalle file del
popolo; mentre non c’era praticamente alcun operaio che non aspirasse ad
assurgere egli stesso al ceto imprenditoriale, almeno come tendenza.
Una spinta
formidabile allo sviluppo dell’industria venne dalla crescita addirittura
incredibile dei trasporti ferroviari che, sebbene iniziati in Inghilterra
ebbero la loro più drammatica ascesa negli Stati Uniti. Come altrove si è detto
nel 1860 le linee ferroviarie
americane si estendevano per oltre 50.000 chilometri, in schiacciante
superiorità nel Nord; nel 1836 Samuel Morse aveva inventato il telegrafo
elettrico la cui estensione giunse presto a oltre 80.000 chilometri; e non è il
caso di ripetere qui la raffica di invenzioni che rivoluzionarono totalmente la
vita economica dell’Unione americana, specialmente però nel Nord: perché il Sud
rimaneva pressoché immobile, vincolato alla sua arretrata forma di agricoltura
e di lavoro coatto.
Parallelamente
l’esplosione dell’industrializzazione generava un grandioso aumento degli
agglomerati urbani settentrionali: basti qui citare l’esempio di Chicago, che
da 17.000 abitanti nel 1847 allorché vi fu installata la fabbrica delle nuove
mietitrici meccaniche e quindi delle mietitrebbie, balzò a 110.000 nel 1860,
collegata al resto dell’Unione da 11 linee ferroviarie con 74 treni al giorno,
il che, tra l’altro, ebbe l’effetto di porre in crisi l’antica via di smercio
dei prodotti agricoli del Medio Ovest (soprattutto grano) lungo il corso del
Mississippi e di orientarla, tramite le ferrovie, verso i porti di New York e
di Boston.
Un altro
decisivo contributo (e la nascente industria del Nord non avrebbe potuto farne
a meno) fu il crescente afflusso di immigrazione dall’Europa che forniva un
vero e proprio esercito industriale di riserva, una fonte quasi inestinguibile
di mano d’opera; cosa la quale significa che negli Stati Uniti il proletariato
non si era quasi per nulla formato dalla rovina di ceti artigiani e di piccoli
proprietari agricoli locali: l’industria americana aveva cioè assorbito la
enorme massa di tali diseredati prodotta dalle gravi crisi dell’Europa: essa
aveva per così dire importato le vittime delle crisi svoltesi altrove.
Ma la
quantità stessa degli immigrati trascinava con sé un altro problema: quello
delle immense terre non ancora sfruttate dell’Ovest. Esse infatti costituivano,
per così dire, la valvola di scarico delle tensioni sociali che l’enorme
aumento della mano d’opera disponibile sul mercato americano del lavoro avrebbe
inevitabilmente potuto generare. Naturalmente le masse popolari del Nord e
segnatamente quelle legate alla nuova agricoltura meccanizzata del Medio Ovest
erano ben decise a tenere sotto il proprio controllo il popolamento di tali
territori escludendone, tanto per cominciare, gli eventuali emigranti dal Sud,
con i loro schiavi neri. Fu questo il movimento dei freesoilers che in breve divenne una grande forza politica
dell’intero Settentrione. La volontà dei freesoilers
di escludere tassativamente dai Territori dell’Ovest la schiavitù africana fu
espressa senza ambagi da un politico che sarebbe divenuto nel tempo il loro
maggiore leader: Abraham Lincoln.
Nel suo discorso del 16 ottobre 1854
a Peoria, Illinois, i Territori dell’Ovest egli disse: ‘li vogliamo per la gente bianca libera’.
Naturalmente
il Sud si era reso conto che il sorgere nel Nord di nuove, formidabili classi
sociali gli stava, per così dire, tagliando l’erba sotto i piedi. Quello che i
sudisti tardarono parecchio a capire (ci volle infine il genio di John C.
Calhoun per comprenderlo) era che l’economia meridionale era stata, fin dalle
sue origini nell’era coloniale, del tutto dipendente dalle esigenze del mercato
capitalista mondiale che ne aveva condizionato la scelta stessa dei prodotti:
dapprima, al tempo del capitalismo mercantilista, il riso, l’indaco, il
tabacco; poi, dopo l’avvento in Inghilterra della rivoluzione industriale, il
cotone e, meno, la canna da zucchero. I sudisti, dato l’enorme smercio del loro
cotone sui mercati mondiali si erano illusi, con tale derrata, di condizionare
l’economia globale: mentre era vero il contrario. Fu Calhoun a rendersi conto
lucidamente che il Sud viveva in uno stato semicoloniale, e che (peggio) le
redini di tale economia semicoloniale stavano ormai passando dalle mani delle
grandi potenze colonialiste europee a quelle del capitalismo del Nord.
Nei primi
decenni dell’Ottocento poi, il contatto che gli Stati più settentrionali del
Sud, specialmente il Kentucky, avevano con l’agricoltura progredita del Medio
Ovest aveva cominciato a stimolare colà un processo per cui parecchi
coltivatori avevano venduto i loro schiavi al profondo Sud modernizzando i
propri metodi di coltivazione. Questo aveva provocato negli altri Stati
meridionali un surplus di mano d’opera schiava che non avrebbe potuto venire
assorbito che tramite l’espansione in nuove terre, a scanso di tensioni sociali
che avrebbero potuto condurre perfino alla temuta guerra servile.
Ma la tendenza espansionista derivava anche da un
importante fattore politico. La vasta e impetuosa immigrazione dall’Europa
stava aumentando oltre misura la popolazione bianca del Nord in rapporto a
quella del Sud. Pressoché nessuno degli immigrati si dirigeva a Mezzogiorno,
ove la via del lavoro era loro sbarrata dalla presenza della schiavitù.
Così da
lungo tempo i meridionali avevano perso il proprio controllo sulla Camera (ove
i deputati erano eletti in proporzione alla popolazione), ma conservavano un
precario equilibrio al Senato ove gli eletti erano due per ogni Stato.
Chiaramente se i Territori dell’Ovest fossero stati riservati ai soli coloni
del Nord, ciò avrebbe significato colà un rapido pullulare di Stati ostili alla
schiavitù e quindi la perdita per il Sud anche dell’equilibrio al Senato. Da
ciò la pressione sudista perché le terre occidentali fossero aperte anche
all’agricoltura a schiavi. Era l’unica via per riprendere almeno in piccola
parte quell’influenza politica che in passato aveva assicurato all’aristocrazia
del Sud la direzione politica dell’Unione, a quei tempi bene accetta anche
dalla borghesia mercantile del Settentrione cui era stata riservata la
prevalenza nel campo economico. Naturalmente se il Sud non avesse avuto un
proprio peculiare sistema sociale con alla testa una caratteristica e potente
classe aristocratica, l’eventuale scomparsa della schiavitù non avrebbe creato
alcun reale turbamento, come non lo creò un paio di secoli prima nel Massachusetts.
Del resto
la pressione espansionista era stata praticamente sempre presente nel Sud, a
cominciare dalla guerra per il Texas, che un rilevante numero di settentrionali
aveva digerito obtorto collo e che invece parecchi sudisti (non tutti, in
verità) avevano sostenuto in quanto avrebbe portato all’ingresso del Texas,
vale a dire di un nuovo Stato a schiavi, entro l’Unione.
Ma il più
importante movimento di opinione espansionista nel Sud fu quello che sosteneva
la necessità di strappare Cuba alla Spagna, non solo per aggiungere all’Unione
un nuovo, vasto paese a schiavi: ma per fare della zona caraibica una specie di
lago sudista che eventualmente agevolasse il contatto con l’altro grande Stato
schiavista, il Brasile: talché i due si sarebbero rafforzati a vicenda. Nel 1853-55 il Governatore del Mississippi, John A. Quitman, ex generale nella
guerra del Messico, cominciò addirittura a organizzare una spedizione di
volontari (che furono più acconciamente definiti filibustieri) per sbarcare a
Cuba e impadronirsi con la forza dell’isola: tutto finì in nulla quando il
Presidente filosudista Franklin Pierce si spaventò di fronte alle possibili
reazioni internazionali e tolse il permesso che inizialmente aveva dato a
Quitman.
Così di
fatto, viste precluse le altre vie, il Sud tornò alle idee di espansione verso
i Territori dell’Ovest. Che l’uso del lavoro servile nell’Ovest fosse
impossibile, i sudisti (a differenza di storici moderni come Charles W.
Ramsdell) non lo sostennero mai. Certo, nei Territori non si sarebbe trattato
di (impossibile) coltivazione del cotone: ma di altre attività, specialmente di
quella mineraria poiché tali terre erano ricche di minerali a cominciare
dall’oro recentemente scoperto in California.
Già in
Africa, prima dell’arrivo degli europei, i mercanti arabi e berberi avevano
sfruttato la mano d’opera nera schiava nelle miniere di sale; ed essa era
apparsa quanto mai adatta al lavoro minerario. Nelle Americhe poi vi era
l’esempio del Brasile dove migliaia di schiavi erano impegnati nelle miniere,
specialmente in quelle aurifere di Minas Gerais. E nel Sud si pensava
seriamente a impegnare il lavoro coatto su larga scala in attività minerarie
nelle terre dell’Ovest.
Quindi non
rimane che concludere che i sudisti aspiravano effettivamente ai Territori
dell’Ovest in quanto, per le ragioni su citate, si rendevano perfettamente
conto che senza l’espansione su nuove terre il loro mondo era condannato: ‘Non
c’è un solo proprietario di schiavi in questa Camera o fuori da essa’ dichiarò nel 1856 un parlamentare della
Georgia, ‘il quale non sia perfettamente conscio che ovunque la schiavitù sia
ristretta entro specifici limiti, essa non abbia futuro’.
Per
converso, i freesoilers del Nord (per
lo meno i più coscienti politicamente) avanzavano un programma che, per bocca
del loro massimo esponente, Abraham
Lincoln, doveva traversare due fasi. ‘Anzitutto il divieto assoluto di ogni
e qualsiasi espansione della schiavitù nei Territori dell’Ovest; poscia la
lenta estinzione della peculiare istituzione confinata entro gli Stati
originari’.
Naturalmente
Lincoln escludeva in questa seconda
fase ogni indebita pressione e auspicava un congruo indennizzo ai proprietari.
Quanto poi alla tesi proclamata e propagandata ad alta voce dagli estremisti
settentrionali, tra cui (ma non solo) il minuscolo (ma attivissimo) gruppetto
degli abolizionisti, secondo cui l’Unione si sarebbe trovata di fronte a una
minacciosa cospirazione del potere schiavista mirante a conquistare e ad
assoggettare gli interi Stati Uniti, essa era del tutto priva di fondamento. In
realtà l’azione del Sud era sostanzialmente difensiva; l’apparente sua
aggressività era generata da timore e frustrazione.
A dare ai
sudisti un senso di imminente naufragio contribuiva la montante marea antischiavista
che stava pervadendo l’intero mondo occidentale. Certamente nel Diciassettesimo e ancora nel
Diciottesimo secolo l’opinione pubblica europea aveva accettato la
schiavitù come cosa normale e i negrieri occidentali (specialmente inglesi,
olandesi e americani della Nuova Inghilterra) avevano accumulato enormi
profitti con la tratta; ma l’Illuminismo e la Rivoluzione francese non erano
passati invano; e ora la schiacciante maggioranza del mondo occidentale
considerava la schiavitù una istituzione arretrata e barbarica, ripugnante alle
coscienze liberali moderne e da eliminare il più presto possibile. In
particolare l’opposizione inglese alla peculiare istituzione era formidabile e
implacabile.
Il Governo
ed il Parlamento britannici tra il 1838 e il 1850 avevano radicalmente abolito
la schiavitù nelle colonie inglesi, in particolare nelle isole americane dei
Caraibi, ove la coltivazione della canna da zucchero a opera di falangi di
schiavi aveva per secoli prosperato.
D’altronde
l’aristocrazia del Sud, almeno tra i suoi membri più illuminati, a cominciare
da Thomas Jefferson, considerava la schiavitù un obbrobrio e una sciagura, ma
si rendeva perfettamente conto che tale peculiare istituzione era la base su
cui si reggeva tutto l’enorme edificio della società sudista.
‘Teniamo il
lupo per le orecchie; e non possiamo né continuare a tenerlo né lasciarlo
andare’: questo era un detto che circolava ampiamente nel Sud e ne esprimeva lo
stato d’animo dominato da una crescente angoscia.
Ma, si
potrebbe chiedere, perché il Sud non accettò la prospettiva che gli si
presentava: rinunciare all’espansione, mantenere la schiavitù entro gli Stati
ove essa già esisteva e rassegnarsi a cedere al Nord l’egemonia nell’Unione?
Lincoln, nella sua piattaforma elettorale aveva pure
offerto al Sud un Emendamento costituzionale che salvaguardasse la peculiare
istituzione da ogni e qualsiasi misura ostile del Governo e del Congresso: ma
solo là dove essa già esisteva. Ma sia lui che i freesoilers e i repubblicani tutti che lo seguivano erano risoluti
a rifiutare ogni e qualsiasi compromesso che consentisse in qualunque modo
l’espansione della schiavitù nell’Ovest: il Presidente e il suo Partito
sapevano benissimo che ciò avrebbe consentito l’attuazione del loro programma
di una futura estinzione della società a schiavi.
(R. Luraghi)