CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
30 MAGGIO 1924

giovedì 19 dicembre 2024

MARCA DI CONFINE, ovvero, DA UNA SCHIAVITU' ALL'ALTRA (5)

 










Precedenti capitoli 


fra Nord & Sud (1/4) 


& il capitolo 


completo (6) 







    CARONTE ATTRAVERSO IL FIUME



Fuggire dalle città occupate è un molto rischioso. Quando Elena Čepurnaja lascia Černihiv lundicesimo giorno di guerra, la città è ancora sotto il controllo delle truppe ucraine, ma appena fuori già si combatte. Nelle pause fra gli scontri lesercito ucraino apre il ponte sulla Desna e lascia passare chiunque riesca a farlo prima del combattimento successivo. 

 

Quando la battaglia ricomincia il ponte viene chiuso di nuovo e i profughi aspettano che, poco distante, gli scontri per quello stesso ponte finiscano. Dopo ore di attesa fra le bombe Elena riesce ad attraversare il fiume; tre ore più tardi legge sui social che il ponte è stato fatto saltare e che sono stati i russi e gli ucraini insieme: entrambe le parti volevano mettere una barriera d’acqua invalicabile tra sé e il nemico.

 

Per un minimo di tregua.




La tregua non regge, i combattimenti intorno a Černihiv proseguono con la stessa intensità, ma intanto il ponte non c’è più. In macchina non si può più scappare.

 

È a questo punto che entra in scena il barcaiolo.

 

Nessuno lo ha mai visto.

 

Nessuno sa il suo nome.




Il barcaiolo agisce solo al buio, di notte. Parla soltanto con uno degli ottanta volontari di Rubikus, l’associazione che aiuta i profughi a fuggire dall’Ucraina devastata dalla guerra, ma risponde di rado al telefono ed è sempre molto evasivo.

 

Non dice mai per tempo dove e quando caricherà i profughi sulla sua barca per portarli sull’altra riva. Quell’uomo misterioso nemmeno indica in anticipo il punto esatto in cui li scaricherà e dove gli autobus dovranno aspettare per caricarli.

 

Di solito il volontario lo scopre mentre i profughi stanno già andando alla barca. A quel punto contatta gli autisti dell’autobus, che spesso rifiutano di aspettare nel punto indicato perché sanno, o hanno sentito dire, che da quelle parti la strada è minata.




Allora il volontario richiama il barcaiolo e gli chiede di riconsiderare la destinazione finale del suo pericoloso viaggio.

 

Ma lui rifiuta.

 

Di solito annulla il viaggio, non carica nessuno e sparisce per qualche giorno senza farsi più sentire. E i passeggeri tornano a casa e aspettano. A distanza di un paio di giorni il barcaiolo richiama il volontario e gli comunica di aver trovato un nuovo punto di imbarco e un nuovo punto di approdo.

 

E la trafila ricomincia.




Esserne certi è impossibile, ma tra i profughi corre voce che il barcaiolo abbia in qualche modo a che fare con l’esercito ucraino. Potrebbe essere lui stesso un militare. In ogni caso, il suo non è un barchino da pesca, ma uno scafo piuttosto grande che può trasportare fino a trenta persone. Prima di ogni viaggio il barcaiolo informa il volontario di avere raggiunto un accordo coi “ragazzi”, cioè con i soldati ucraini, mentre coi russi proprio non c’è verso, per cui non può garantire che non sparino mentre navigano sul nero dell’acqua e nel buio della notte, alla velocità minima per contenere il rumore.

 

Il barcaiolo chiede cinquecento dollari per ogni persona che imbarca.




Si fa presto a calcolare che ne guadagna quindicimila a viaggio. Non tutti, però, finiscono nelle sue tasche. È questo che significa il suo accordo coi “ragazzi”. Che deve allungargli qualcosa perché non sparino su quella barca che si muove lenta nel buio. Se i russi gli sparano addosso, dunque, forse non è perché vogliono uccidere chi scappa, ma perché vorrebbero la loro parte. Perciò, o il barcaiolo è avido e preferisce correre rischi piuttosto che allungare qualcosa anche a loro, oppure (a differenza di Vovan, di cui parleremo fra poco) non intende dare soldi ai russi.

 

Molto probabilmente è solo avido.

 

Così come alcune compagnie aeree vendono biglietti per più posti di quanti ne abbiano a disposizione, contando che qualche passeggero non si presenti e l’aereo si riempia comunque, allo stesso modo lui accetta per ogni viaggio più persone di quante ne possa effettivamente imbarcare. Ogni volta qualcuno resta a terra, ma la barca è sempre piena e il barcaiolo ha i suoi quindicimila dollari in tasca.


Notte, acqua nera, niente luci, una barca scura che si muove lenta. A bordo vecchi, bambini e donne. All’approdo esitano, hanno paura di guadagnare la riva senza neanche una specie di molo.




Il barcaiolo li sollecita, e allora scendono goffamente da prua, scivolano e cadono nell’acqua gelida, qualcuno fino alle caviglie, altri fino alle ginocchia. Poi arrancano verso terra sul fango viscido. Lì trovano ad attenderli degli autobus, dei piccoli autobus che nessuno ha mai visto prima, in Ucraina.

 

Appena tutti hanno preso posto, gli autobus partono. Al buio, a fari spenti. Dopo neanche un chilometro cominciano gli spari. Sono diverse mitragliatrici contemporaneamente. I proiettili colpiscono le fiancate e i finestrini. Gli autobus accelerano, vanno sempre più veloci, al massimo della velocità possibile a fari spenti su una strada buia. E finalmente si lasciano gli spari alle spalle.

 

Morti?

 

Feriti?

 

Nessuno, grazie a Dio.

 

Sono blindati, quegli autobus.

 

(Valery Panyushkin)









mercoledì 18 dicembre 2024

NORD & SUD

 











Prosegue con un...: 


Ponte verso 


l'Europa (2)  








& mentre parlava 


dei tempi passati (3) 







Circa il vasto 


orizzonte... (4)







Per anni dopo la Rivoluzione americana l’aristocrazia del Sud formata da grandi proprietari di schiavi aveva fornito la classe dirigente ai neonati Stati Uniti d’America; non solo essa aveva dato loro la guida militare e politica della lotta e il primo Presidente nella persona di George Washington e colui che ne aveva formulato gli ideali politici in Thomas Jefferson; ma tutta un’autentica pleiade di leaders, da Patrick Henry a Presidenti quali James Madison, James Monroe e altri.

 

Essa si era ispirata a ideali di moderazione, di temperata democrazia, di tolleranza e di larga autonomia degli Stati e delle comunità. Come ebbe a dire uno storico tedesco:

 

‘Per più d’un mezzo secolo gli uomini del Sud erano stati la parte signoreggiante nell’Unione: possessori di vaste terre... che facevano coltivare dagli schiavi, vivevano in grande agiatezza e potevano appropriarsi di una più raffinata coltura; la maggior parte degli uomini di Stato che distinguevansi in patria per ingegno e all’estero per compitezza di modi e nobile orgoglio della potenza e libertà nazionale appartenevano a loro. La Virginia, che aveva dato alla causa nazionale il grande Washington era designata come patria del Presidente e i suoi abitatori stimati per ricchezza, commerci e gentilezza di costumi... Non si può affermare che... gli uomini del Sud abusassero della preponderanza nel governo... per egoismo; nelle loro opinioni e tendenze erano guidati da idee più nobili che non le aristocrazie d’Europa’.

 

Ma qual era la base effettiva di tale classe?




Eugene D. Genovese per primo l’aveva posta in luce con estrema chiarezza:

 

‘La schiavitù nel Sud non fu mera schiavitù... ma la base su cui sorse una potente e notevole classe sociale, una classe che costituiva solo una piccola parte della popolazione bianca: e tuttavia così potente e notevole da tentare, con più successo di quanto i nostri neo-abolizionisti si curino di vedere, di erigere una nuova – o piuttosto di ricostruire una antica – civiltà’.

 

Quindi la schiavitù costituiva la base sociale su cui sorgeva la grande sovrastruttura della civiltà sudista, rimarchevole per la produzione di una sua propria cultura o visione del mondo, di specifici principi di vita e di etica, di educazione, di comportamenti di raffinatezza, di noblesse oblige.

 

Una costruzione notevole, peculiare e anche brillante, come tutte le forme di civiltà finora esistite; ma come ognuna di esse, con le basi fondate in terra, nel fango dello sfruttamento di una classe produttrice, in questo caso gli schiavi africani; e tale fondazione non poteva fare a meno di influenzare profondamente e in maniera inestricabile la stessa civiltà sudista, che dagli afroamericani ricevette anche vitali contributi nei campi della cucina, della musica, della danza e della stessa peculiare parlata propria del Sud e quindi l’intera sovrastruttura che su questa si ergeva, inserendo in essa (come d’altronde accade in qualsiasi società divisa in classi: e per ora non ne sono mai esistite di altro tipo che fossero valide) un profondo elemento di crisi e un mal represso, incessante senso di colpa.




Per anni gli Stati Uniti vissero sotto la guida saggia e prudente di tale aristocrazia; non mancarono crisi, ma furono passeggere. La più grave fu quella del Missouri, nel 1820, dovuta al tentativo prematuro di un esponente politico del Nord di scindere l’alleanza tra piantatori del Sud e ceti agrari del Medio Ovest, che però fu risolta mediante un compromesso grazie soprattutto alla moderazione dei meridionali (sebbene all’orecchio preveggente del vecchio Thomas Jefferson tale crisi suonasse come ‘un allarme di incendio nella notte’ che presagiva la rovina dell’Unione).

 

Ma poiché come giustamente insegnato da Vico e da Hegel nulla nel mondo è stabile, ma ogni cosa è in continua, inarrestabile trasformazione, quello che preparò le radici della rivoluzione che avrebbe spazzato via il potere della vecchia aristocrazia sudista fu una duplice, radicale (anche se in inizialmente lenta) mutazione.

 

Anzitutto la rivoluzione industriale.

 

L’embargo del 1807 il quale colpiva il commercio da e per l’Europa e la guerra del 1812-15 contro la Gran Bretagna ebbero per effetto di stimolare, sotto la spinta della necessità, lo sviluppo manifatturiero del Nord. Già nel 1817, anno della morte dell’industriale bostoniano Francis Cabot Lowell, i suoi soci dettero vita alla prima città basata sull’industria tessile cui dettero il suo nome. Da quel momento lo sviluppo di tale branca dell’industria prevalentemente nel Massachusetts, nello stato di New York e nella Pennsylvania fu inarrestabile.




Inizialmente gli aristocratici del Sud non guardarono con occhio sfavorevole a tale evento: nel Mezzogiorno malgrado lo stimolo degli eventi su citati uno sviluppo locale dell’industria era praticamente quasi impossibile, essendo tutto il loro capitale investito in terre e schiavi; nel Nord invece embargo e guerra favorirono una vertiginosa ascesa dei prezzi dei prodotti industriali promettendo favolosi profitti. Al principio i sudisti trovarono razionale una simile divisione del lavoro: addirittura il loro grande ideologo, John C. Calhoun della Carolina Meridionale sostenne una moderata tariffa protettiva per stimolare un graduale sviluppo delle industrie nel Nord che, in cambio, avrebbero assorbito la produzione cotoniera del Sud rafforzando quindi una armoniosa coesistenza tra le due sezioni dell’Unione.

 

Si sbagliava gravemente. Poiché in effetti la rivoluzione industriale che nel Nord stava esplodendo fuori da ogni limite, contribuì radicalmente allo sviluppo della seconda mutazione: il rapido inarrestabile sviluppo di nuove, moderne, intraprendenti classi sociali, gli imprenditori da un lato e dall’altro gli operai salariati. Sebbene già forte e combattiva, la borghesia imprenditoriale aveva appena iniziato il cammino di un fantastico sviluppo; in essa la distinzione con il nascente proletariato era ancora in un certo senso vaga; non c’era quasi alcun padrone in questa nuova ondata che non venisse dalle file del popolo; mentre non c’era praticamente alcun operaio che non aspirasse ad assurgere egli stesso al ceto imprenditoriale, almeno come tendenza.




Una spinta formidabile allo sviluppo dell’industria venne dalla crescita addirittura incredibile dei trasporti ferroviari che, sebbene iniziati in Inghilterra ebbero la loro più drammatica ascesa negli Stati Uniti. Come altrove si è detto nel 1860 le linee ferroviarie americane si estendevano per oltre 50.000 chilometri, in schiacciante superiorità nel Nord; nel 1836 Samuel Morse aveva inventato il telegrafo elettrico la cui estensione giunse presto a oltre 80.000 chilometri; e non è il caso di ripetere qui la raffica di invenzioni che rivoluzionarono totalmente la vita economica dell’Unione americana, specialmente però nel Nord: perché il Sud rimaneva pressoché immobile, vincolato alla sua arretrata forma di agricoltura e di lavoro coatto.

 

Parallelamente l’esplosione dell’industrializzazione generava un grandioso aumento degli agglomerati urbani settentrionali: basti qui citare l’esempio di Chicago, che da 17.000 abitanti nel 1847 allorché vi fu installata la fabbrica delle nuove mietitrici meccaniche e quindi delle mietitrebbie, balzò a 110.000 nel 1860, collegata al resto dell’Unione da 11 linee ferroviarie con 74 treni al giorno, il che, tra l’altro, ebbe l’effetto di porre in crisi l’antica via di smercio dei prodotti agricoli del Medio Ovest (soprattutto grano) lungo il corso del Mississippi e di orientarla, tramite le ferrovie, verso i porti di New York e di Boston.




Un altro decisivo contributo (e la nascente industria del Nord non avrebbe potuto farne a meno) fu il crescente afflusso di immigrazione dall’Europa che forniva un vero e proprio esercito industriale di riserva, una fonte quasi inestinguibile di mano d’opera; cosa la quale significa che negli Stati Uniti il proletariato non si era quasi per nulla formato dalla rovina di ceti artigiani e di piccoli proprietari agricoli locali: l’industria americana aveva cioè assorbito la enorme massa di tali diseredati prodotta dalle gravi crisi dell’Europa: essa aveva per così dire importato le vittime delle crisi svoltesi altrove.

 

Ma la quantità stessa degli immigrati trascinava con sé un altro problema: quello delle immense terre non ancora sfruttate dell’Ovest. Esse infatti costituivano, per così dire, la valvola di scarico delle tensioni sociali che l’enorme aumento della mano d’opera disponibile sul mercato americano del lavoro avrebbe inevitabilmente potuto generare. Naturalmente le masse popolari del Nord e segnatamente quelle legate alla nuova agricoltura meccanizzata del Medio Ovest erano ben decise a tenere sotto il proprio controllo il popolamento di tali territori escludendone, tanto per cominciare, gli eventuali emigranti dal Sud, con i loro schiavi neri. Fu questo il movimento dei freesoilers che in breve divenne una grande forza politica dell’intero Settentrione. La volontà dei freesoilers di escludere tassativamente dai Territori dell’Ovest la schiavitù africana fu espressa senza ambagi da un politico che sarebbe divenuto nel tempo il loro maggiore leader: Abraham Lincoln. Nel suo discorso del 16 ottobre 1854 a Peoria, Illinois, i Territori dell’Ovest egli disse: ‘li vogliamo per la gente bianca libera’.




Naturalmente il Sud si era reso conto che il sorgere nel Nord di nuove, formidabili classi sociali gli stava, per così dire, tagliando l’erba sotto i piedi. Quello che i sudisti tardarono parecchio a capire (ci volle infine il genio di John C. Calhoun per comprenderlo) era che l’economia meridionale era stata, fin dalle sue origini nell’era coloniale, del tutto dipendente dalle esigenze del mercato capitalista mondiale che ne aveva condizionato la scelta stessa dei prodotti: dapprima, al tempo del capitalismo mercantilista, il riso, l’indaco, il tabacco; poi, dopo l’avvento in Inghilterra della rivoluzione industriale, il cotone e, meno, la canna da zucchero. I sudisti, dato l’enorme smercio del loro cotone sui mercati mondiali si erano illusi, con tale derrata, di condizionare l’economia globale: mentre era vero il contrario. Fu Calhoun a rendersi conto lucidamente che il Sud viveva in uno stato semicoloniale, e che (peggio) le redini di tale economia semicoloniale stavano ormai passando dalle mani delle grandi potenze colonialiste europee a quelle del capitalismo del Nord.

 

Nei primi decenni dell’Ottocento poi, il contatto che gli Stati più settentrionali del Sud, specialmente il Kentucky, avevano con l’agricoltura progredita del Medio Ovest aveva cominciato a stimolare colà un processo per cui parecchi coltivatori avevano venduto i loro schiavi al profondo Sud modernizzando i propri metodi di coltivazione. Questo aveva provocato negli altri Stati meridionali un surplus di mano d’opera schiava che non avrebbe potuto venire assorbito che tramite l’espansione in nuove terre, a scanso di tensioni sociali che avrebbero potuto condurre perfino alla temuta guerra servile.




Ma la tendenza espansionista derivava anche da un importante fattore politico. La vasta e impetuosa immigrazione dall’Europa stava aumentando oltre misura la popolazione bianca del Nord in rapporto a quella del Sud. Pressoché nessuno degli immigrati si dirigeva a Mezzogiorno, ove la via del lavoro era loro sbarrata dalla presenza della schiavitù.

 

Così da lungo tempo i meridionali avevano perso il proprio controllo sulla Camera (ove i deputati erano eletti in proporzione alla popolazione), ma conservavano un precario equilibrio al Senato ove gli eletti erano due per ogni Stato. Chiaramente se i Territori dell’Ovest fossero stati riservati ai soli coloni del Nord, ciò avrebbe significato colà un rapido pullulare di Stati ostili alla schiavitù e quindi la perdita per il Sud anche dell’equilibrio al Senato. Da ciò la pressione sudista perché le terre occidentali fossero aperte anche all’agricoltura a schiavi. Era l’unica via per riprendere almeno in piccola parte quell’influenza politica che in passato aveva assicurato all’aristocrazia del Sud la direzione politica dell’Unione, a quei tempi bene accetta anche dalla borghesia mercantile del Settentrione cui era stata riservata la prevalenza nel campo economico. Naturalmente se il Sud non avesse avuto un proprio peculiare sistema sociale con alla testa una caratteristica e potente classe aristocratica, l’eventuale scomparsa della schiavitù non avrebbe creato alcun reale turbamento, come non lo creò un paio di secoli prima nel Massachusetts.




Del resto la pressione espansionista era stata praticamente sempre presente nel Sud, a cominciare dalla guerra per il Texas, che un rilevante numero di settentrionali aveva digerito obtorto collo e che invece parecchi sudisti (non tutti, in verità) avevano sostenuto in quanto avrebbe portato all’ingresso del Texas, vale a dire di un nuovo Stato a schiavi, entro l’Unione.

 

Ma il più importante movimento di opinione espansionista nel Sud fu quello che sosteneva la necessità di strappare Cuba alla Spagna, non solo per aggiungere all’Unione un nuovo, vasto paese a schiavi: ma per fare della zona caraibica una specie di lago sudista che eventualmente agevolasse il contatto con l’altro grande Stato schiavista, il Brasile: talché i due si sarebbero rafforzati a vicenda. Nel 1853-55 il Governatore del Mississippi, John A. Quitman, ex generale nella guerra del Messico, cominciò addirittura a organizzare una spedizione di volontari (che furono più acconciamente definiti filibustieri) per sbarcare a Cuba e impadronirsi con la forza dell’isola: tutto finì in nulla quando il Presidente filosudista Franklin Pierce si spaventò di fronte alle possibili reazioni internazionali e tolse il permesso che inizialmente aveva dato a Quitman.




Così di fatto, viste precluse le altre vie, il Sud tornò alle idee di espansione verso i Territori dell’Ovest. Che l’uso del lavoro servile nell’Ovest fosse impossibile, i sudisti (a differenza di storici moderni come Charles W. Ramsdell) non lo sostennero mai. Certo, nei Territori non si sarebbe trattato di (impossibile) coltivazione del cotone: ma di altre attività, specialmente di quella mineraria poiché tali terre erano ricche di minerali a cominciare dall’oro recentemente scoperto in California.

 

Già in Africa, prima dell’arrivo degli europei, i mercanti arabi e berberi avevano sfruttato la mano d’opera nera schiava nelle miniere di sale; ed essa era apparsa quanto mai adatta al lavoro minerario. Nelle Americhe poi vi era l’esempio del Brasile dove migliaia di schiavi erano impegnati nelle miniere, specialmente in quelle aurifere di Minas Gerais. E nel Sud si pensava seriamente a impegnare il lavoro coatto su larga scala in attività minerarie nelle terre dell’Ovest.

 

Quindi non rimane che concludere che i sudisti aspiravano effettivamente ai Territori dell’Ovest in quanto, per le ragioni su citate, si rendevano perfettamente conto che senza l’espansione su nuove terre il loro mondo era condannato: ‘Non c’è un solo proprietario di schiavi in questa Camera o fuori da essa’ dichiarò nel 1856 un parlamentare della Georgia, ‘il quale non sia perfettamente conscio che ovunque la schiavitù sia ristretta entro specifici limiti, essa non abbia futuro’.




Per converso, i freesoilers del Nord (per lo meno i più coscienti politicamente) avanzavano un programma che, per bocca del loro massimo esponente, Abraham Lincoln, doveva traversare due fasi. ‘Anzitutto il divieto assoluto di ogni e qualsiasi espansione della schiavitù nei Territori dell’Ovest; poscia la lenta estinzione della peculiare istituzione confinata entro gli Stati originari’.

 

Naturalmente Lincoln escludeva in questa seconda fase ogni indebita pressione e auspicava un congruo indennizzo ai proprietari. Quanto poi alla tesi proclamata e propagandata ad alta voce dagli estremisti settentrionali, tra cui (ma non solo) il minuscolo (ma attivissimo) gruppetto degli abolizionisti, secondo cui l’Unione si sarebbe trovata di fronte a una minacciosa cospirazione del potere schiavista mirante a conquistare e ad assoggettare gli interi Stati Uniti, essa era del tutto priva di fondamento. In realtà l’azione del Sud era sostanzialmente difensiva; l’apparente sua aggressività era generata da timore e frustrazione.




A dare ai sudisti un senso di imminente naufragio contribuiva la montante marea antischiavista che stava pervadendo l’intero mondo occidentale. Certamente nel Diciassettesimo e ancora nel Diciottesimo secolo l’opinione pubblica europea aveva accettato la schiavitù come cosa normale e i negrieri occidentali (specialmente inglesi, olandesi e americani della Nuova Inghilterra) avevano accumulato enormi profitti con la tratta; ma l’Illuminismo e la Rivoluzione francese non erano passati invano; e ora la schiacciante maggioranza del mondo occidentale considerava la schiavitù una istituzione arretrata e barbarica, ripugnante alle coscienze liberali moderne e da eliminare il più presto possibile. In particolare l’opposizione inglese alla peculiare istituzione era formidabile e implacabile.

 

Il Governo ed il Parlamento britannici tra il 1838 e il 1850 avevano radicalmente abolito la schiavitù nelle colonie inglesi, in particolare nelle isole americane dei Caraibi, ove la coltivazione della canna da zucchero a opera di falangi di schiavi aveva per secoli prosperato.




D’altronde l’aristocrazia del Sud, almeno tra i suoi membri più illuminati, a cominciare da Thomas Jefferson, considerava la schiavitù un obbrobrio e una sciagura, ma si rendeva perfettamente conto che tale peculiare istituzione era la base su cui si reggeva tutto l’enorme edificio della società sudista.

 

‘Teniamo il lupo per le orecchie; e non possiamo né continuare a tenerlo né lasciarlo andare’: questo era un detto che circolava ampiamente nel Sud e ne esprimeva lo stato d’animo dominato da una crescente angoscia.

 

Ma, si potrebbe chiedere, perché il Sud non accettò la prospettiva che gli si presentava: rinunciare all’espansione, mantenere la schiavitù entro gli Stati ove essa già esisteva e rassegnarsi a cedere al Nord l’egemonia nell’Unione?

 

Lincoln, nella sua piattaforma elettorale aveva pure offerto al Sud un Emendamento costituzionale che salvaguardasse la peculiare istituzione da ogni e qualsiasi misura ostile del Governo e del Congresso: ma solo là dove essa già esisteva. Ma sia lui che i freesoilers e i repubblicani tutti che lo seguivano erano risoluti a rifiutare ogni e qualsiasi compromesso che consentisse in qualunque modo l’espansione della schiavitù nell’Ovest: il Presidente e il suo Partito sapevano benissimo che ciò avrebbe consentito l’attuazione del loro programma di una futura estinzione della società a schiavi.

(R. Luraghi)