Prosegue con eretiche riflessioni &
non solo per gli addetti ai lavori....
Alla fine del XIX secolo le comunicazioni tra
Norcia, la Valnerina e Spoleto erano assicurati da un servizio di carrozze,
gestito dalla Società Nursina, al quale doveva succedere un collegamento
ferroviario che, attraverso le Valli del Nera, del Corno e del Tronto,
giungesse fino ad Ascoli Piceno. L’elevato costo dell’operazione indusse la
realizzazione di un collegamento automobilistico limitato a Norcia, il cui
viaggio inaugurale si tenne, nella tratta da Spoleto a Norcia, il 2 ottobre
1901.
Il servizio, secondo in Italia solo alla tratta
Voghera Tortona, fu garantito regolarmente a partire dal 12 ottobre 1902,
mediante tre vetture a vapore De Dion Bouton. Il servizio si rivelò quasi
immediatamente troppo costoso, soprattutto per la elevata incidenza dei costi
di manutenzione dei mezzi. Il 4 giugno 1905 un referendum decretò la
cessazione della gestione ad opera del comune di Spoleto, subito rilevata dalla
Società Nursina che già operava con un servizio concorrente di carrozze a
cavalli e che, con imprenditori di Spoleto e Norcia, costituì l'Impresa Trasporti
per la Montagna.
Nel 1909 entrò in servizio il nuovo parco vetture a benzina. Le persistenti difficoltà incontrate dal servizio automobilistico rilanciarono l’idea di un collegamento ferroviario e, nel 1904 fu conferito un incarico all’ing. Carosso per la elaborazione di un progetto di un tracciato che avesse collegato Spoleto a Norcia, proseguendo per Grisciano, al fine di raccordarsi con la Ascoli - Antrodoco - Rieti - Roma.
Il progetto, che prevedeva trazione a vapore, fu
consegnato nel 1909. Il 30 aprile 1912 fu deliberata la
concessione e costruzione della linea ferroviaria, affidata alla Società
Subalpina di Imprese Ferroviarie. Il progetto definitivo fu affidato
all'ingegnere svizzero Erwin Thomann, che già aveva progettato la famosa
ferrovia del Lotscheberg. I lavori di costruzione iniziarono nel 1913 e,
anche a causa degli eventi bellici, si prolungarono fino al 1926. Il
servizio di linea iniziò il 6 novembre di quell’anno ed ebbe come primo
direttore, per quasi trenta anni, l’ing. Paolo Basler.
Nel 1948 l’Ing. Basler elaborò un progetto, purtroppo rimasto inutilizzato, di diramazione a Cascia, con lo scopo di ridare consistenza ai trasportati. Tra il 1955 ed il 1957, nonostante già si parlasse di chiusura, fu attuato l’ammodernamento di tutta la linea, con la ricostruzione della sottostazione elettrica di Piedipaterno, danneggiata dagli eventi bellici, la sostituzione dei binari e delle traverse, la messa in funzione di quattro nuove automotrici.
Ci sono state nella storia delle ferrovie italiane,
numerosi tronchi che per la bellezza del paesaggio attraversato hanno
esercitato un grande interesse, ma per la Spoleto-Norcia soffermarsi
sull’accezione di questo termine è troppo poco!
Al di là dei risvolti puramente economici e degli
altri di carattere sociale, per questa linea più importante è metterne in
rilievo le implicazioni strettamente sentimentali e paesaggistiche ch’essa
rappresentava.
Di concezione pioneristica, essa ha significato un notevole esempio di unione tra progresso e paesaggio. Un Viaggio sulla Spoleto-Norcia non era un Viaggio di attesa e di noia, era un compromesso con il tempo: due sole ore per avere una miniera di sensazioni, di suggestioni per nulla scontate. Insomma un Viaggio nella favola, nella Natura, un vetro attraverso il quale montagne, gole, corsi d’acqua si fondevano insieme e davano un unico risultato.
Da Spoleto la ferrovia sale serpeggiando lungo il colle di Matrignano sfiorando gli ulivi disseminati sulla terra rossa. Da 311 m/sm si passa, dopo appena 5,2 km., a quota 515 sino alla fermata di Matrignano, superando il dislivello con pendenze massime del 45%. In questo primo tratto è il viadotto del Cortaccione, alto sessanta metri, che attraversa un paesaggio composto da roccia e arbusti e dove la selva, in taluni punti, si fa realmente fitta da coprire ogni cosa.
Sotto le arcate corre il Fosso del Cortaccione che nei periodi di pioggia riversa sul debole letto acqua e detriti. Dal viadotto si gode un panorama stupendo che nelle giornate chiare permette la visione di gran parte dell’Umbria Centrale. La ferrovia, prima di attraversare la strada provinciale, piega su se stessa tanto da comporre un caratteristico anello che termina all’imbocco del viadotto della Caprareccia, il più lungo del tracciato (146 m.) e anche il più importante.
Anche da qui si gode uno dei panorami più complessi
dell’Umbria. È possibile scorgere distintamente Trevi e Foligno. Quando non c’è
foschia si notano chiaramente Spello, Montefalco ed Assisi; con un po’ di
fortuna si riesce ad intravedere anche Perugia ed i colli a sud del Trasimeno.
La stazione della Caprareccia (590 m.) si apre al termine del ponte.
Dopo neanche un chilometro, in mezzo ad un bosco di
querce, è l’imbocco della galleria di Forca di Cerro che prosegue in rettilineo
per 1936 metri scavata a tratti nell’argilla e nella dura roccia. E qui il
punto più elevato del tracciato: 624,65 metri. Si esce così sul versante del
Nera e zigzagando inizia la discesa verso Sant’Anatolia di Narco, attraversando
prima la località di Tassinare e impegnando poi una serie di tornanti di
estrema suggestione ove il paesaggio passa inaspettatamente da brullo a malinconico
a rigoglioso.
Si scende con una pendenza media del 37% fino a Grotti e poi del 42% toccando anche qui punte del 45%. Il treno entra in tunnel strettissimi, per lo più in curva. Piena di suggestione è la galleria elicoidale (454 m.) a metà del tortuosissimo percorso. La linea, in questo tratto, interessa un’area montana limitata dai Fossi Vallegiana e Scentelle. Da quota 625 si scende, nel giro di poco più di nove chilometri, a quota 290, cioè alla stazione di Sant’Anatolia di Narco, superando un dislivello di 335 metri. Ora il treno è alla conquista di questa porzione della Valle del Nera, sino a Triponzo.
Da Sant’Anatolia di Narco proseguono parallele la
strada provinciale, il fiume Nera e la ferrata. Anche se ha termine il
susseguirsi di gallerie e viadotti, di gole e burroni, la linea non perde in
suggestività. Si infila tra roccia e vegetazione, costeggiando prati di un
verde acceso su cui si ha la sensazione che gli armenti pascolino da millenni.
E, potete giurarci, è lo stesso scampanellio che udivano i nostri antenati.
Se si abbassa lo sguardo si scorge il fiume ancora
purissimo e le acque che corrono turbolente, dove le trote rimbalzano ancora.
In alto si staglia un paesino diruto che si affaccia a picco sopra il treno. E
tra un breve tunnel e l’altro si consuma questo secondo fantastico tratto sino
a Triponzo (382 m.), attraverso Piedipaterno (313 m.) e Borgo Cerreto (360 m.)
con ascesa variabile tra l’8 e il 17%.
A Triponzo il Nera acquisisce le acque del Corno e nella parte terminale del corso del fiume la ferrata si incunea in uno degli scenari più affascinanti dell’intero percorso, in mezzo a gole strettissime con macigni che sporgono a picco e sembrano staccarsi da un momento all’altro; una natura dove la simbiosi avviene attraverso tre soli elementi: roccia, acqua e ferrovia.
Come alla Balza Tagliata, dove la visione è quasi
lunare e dove il misticismo, paura e silenzio si fondono insieme. Sino alla
fermata di Nortosce il treno sale con pendenza costante del 30%, poi l’ascesa
si fa dolce, del 9%, sino alla stretta di Biselli e alla fermata omonima a
quota 477. Ancora tre chilometri in salita (13%) e si esce a Serravalle (503
m.) dove il paesaggio, pur conservando un timbro di suggestione, diventa più
tranquillo. Si entra nella Valle del Sordo che è più dolce. Pioppi e salici prendono
il posto di querce, pini e ginestre.
Il treno sale ancora con una potenza media del 15%
mentre il paesaggio magicamente si spalanca alla valle di Norcia cinta da
innumerevoli punte, avamposti dei Sibillini: il Patino, il Ventosola, il
Cappelletta, il monte Serra.
Norcia è la situazione terminale della ferrovia, posta a 590 m/sm.
(A. Cioci)
La fine della ferrovia fu sancita dall’allora ministro dei trasporti, Oscar Luigi Scalfaro, il quale il 9 luglio 1968 firmando il decreto di chiusura, n. 2168, contribuì a quella opera di distruzione del patrimonio di archeologia industriale e rotabile che fu efficacemente proseguito negli anni successivi da almeno due generazioni di amministratori pubblici ignoranti e rozzi. Il 31 luglio l’ultimo convoglio transitò sulla linea. Ancora oggi quel che resta dei ponti, viadotti, caselli, stazioni testimonia del gusto e dell’arditezza di un’epoca, della perfetta integrazione nell'ambiente circostante.
Non possiamo quindi ringraziare Scalfaro per aver
contribuito alla chiusura senza prevedere nessuna ipotesi di riuso a fini
turistici, come qualche altro amministratore illuminato ha fatto in molte valli
dell’arco alpino.
Sin dagli anni Cinquanta era stata ventilata l’idea
di una possibile soppressione della ferrovia, ma il 1962 ratificò la data
ufficiale del braccio di ferro tra Autorità Governative e Società esercente
contro maestranze, politici e studiosi che vi si opponevano. Nel 1962 la
Commissione Interministeriale per il Risanamento dei Pubblici Trasporti in
concessione propose di attivare al posto della ferrovia un autoservizio. Fu
questo l’episodio che dette vita ad un primo Comitato di lotta costituito da
dipendenti della ferrovia stessa.
Il Ministero, davanti alle prime agitazioni, decise
di soprassedere.
Ma nel 1964 vi fu il primo decreto, il 106 del 21 agosto, che prospettava una
possibile soppressione. Un altro decreto, dell’anno successivo, stabiliva che
il treno doveva essere sostituito con un autoservizio; nel 1965 alla Società
Subalpina subentrò la Società Spoletina Impresa Trasporti. Oneri ed obblighi
passarono a quest’ultima fermo restando le proprietà rotabili che rimanevano
allo Stato.
IN DATA 29 LUGLIO 1968 LA SOCIETA’ AUTOMOBILISTICA ESERCENTE FACEVA
AFFIGGERE, NEI CENTRI INTERESSATI, QUESTO MANIFESTO:
“SI RENDE NOTO CHE CON D.M. 2166 DEL 9-7-1968 E’ STATA DISPOSTA LA
SOSTITUZIONE DELLA FERROVIA SPOLETO-NORCIA CON UN SERVIZIO AUTOMOBILISTICO
PARALLELO A DECORRERE DALL’1-8-1968…”
31 LUGLIO 2025
Un impattante ed imponente nuovo progetto ANAS per la statale Tre Valli da Sant’Anatolia di Narco a Serravalle di Norcia trasformerebbe irrimediabilmente la SS 209 Valnerina, una valle preziosa, stretta e incassata, ad oggi dichiarata dal Touring una delle più belle strade d’Italia.
Il Comitato Tutela Valnerina si sta battendo
affinché la Regione si ravveda e non permetta questo inutile scempio in cui
verrebbero sacrificati migliaia d’alberi e fatte brillare molte cariche sulle
pendici rocciose per far posto a banchine laterali di 1mt e 25 ciascuna, nel
tratto Sant’Anatolia – Borgo Cerreto e per lo svincolo ad altissimo impatto a
Serravalle. Senza contare il danno economico per le attività turistiche dei
piccoli e medi centri che vedrebbero il traffico deviato e canalizzato altrove
per anni. Inutile anche ribadire che il progetto interseca aree SIC e Cammini
ormai famosi in tutta Europa.
D’altronde, all’insaputa delle popolazioni,
fioriscono centraline e cabine elettriche all’interno di Parchi Fluviali, in
aree di possibile esondazione di quel fiume Nera mai domato, ma molto abusato,
sia per la captazione industriale delle sue acque, ‘esodate’ verso la costa
marchigiana, sia per il rifacimento dell’acquedotto colabrodo di Terni.
Risparmiamo disamine ed approfondimenti, per altro
già ampiamente trattati nei lunghi anni di lotta, sulla situazione dei Siti
d’Interesse Nazionale dislocati sul territorio a testimoniare l’ecocidio che,
soprattutto nella bassa Valnerina, è stato compiuto all’inizio del ‘900;
impunemente e senza rispetto alcuno per l’ambiente naturale, i diritti e la
salute delle popolazioni esposte alla tossicità del delirio industriale.
Situazioni d’inquinamento presenti ora come allora
in cui il ricatto antico è sempre: o salute o lavoro!
La Valnerina ternana in poco più di 10 anni, dal
1898 al 1911, passò dall’essere “La Valle delle Meraviglie” del Grand Tour celebrata
da Byron, Goethe e ritratta dai plenaristi come Corot, a delirio di ciminiere e
discarica industriale di cui paghiamo ancora i danni in termini di salute ed
ambiente.
Sì, in Umbria siamo scesi anche a valle, perché è
lì che le montagne hanno le radici e abbiamo lottato contro l’installazione
d’inceneritori che bruciassero i rifiuti della vicina Roma, come fossimo una
sua colonia, tanto si sa che se una zona è inquinata, un po’ più o un po’ meno
che differenza fa?
E che dire dell’utilizzo delle crete dell’Orvietano
come discariche a cielo aperto per fare un favore ad ACEA?
E delle mille cave che fioriscono ovunque
deturpando interi crinali, o dello sfruttamento delle nostre acque minerali
vendute per due soldi alle multinazionale e sottratte al legittimo diritto
delle comunità, che dire?
Per le sue risorse naturali, la sua posizione di
costolatura della penisola, così centrale e strategico, l’Appennino è sotto
attacco da sempre e ora più che mai!
Altro che “overtourism”!!!
Affermarlo fa pensare alla battuta di Jonny Stecchino di Benigni (tanto per citare anche noi qualche attore/regista…) che giunto a Palermo e parlando con il tassista, alla domanda di quale sia il problema della città, si sente rispondere: ‘il traffico!’
(M. C. Garafolo per Mountain Wilderness)