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con il digiuno
Duecentotrenta
milioni di euro per nuovi impianti di risalita e per i sistemi di innevamento
artificiale (o programmato). Il governo Meloni continua a puntare, per le aree
montane, sulla monocultura dello sci, nonostante la scienza e addirittura la
Banca d’Italia suggeriscano di avviare una transizione delle attività per le
terre alte a causa dei cambiamenti climatici. L’anno scorso il ministero del
Turismo aveva erogato, a fondo perduto, 200 milioni di euro. Quest’anno ha
fatto di più. L’avviso pubblico per il 2024 è stato pubblicato il 3 giugno, non
a caso nella settimana che precede le elezioni europee. E infatti la ministra
Daniela Santanchè ha dichiarato, contestualmente alla diffusione del bando, che
“nessun governo ha mai attenzionato il turismo e la montagna italiana come
stiamo facendo noi, prevedendo addirittura un fondo dedicato in legge di
Bilancio. Il nostro sostegno mira a programmare e gestire un settore di vitale
importanza, sia per i mesi invernali che per la destagionalizzazione, e che ha
bisogno di progredire attraverso un processo di rinnovamento alimentato da
risorse volte a favorirne una crescita sostenibile dal punto di vista
ambientale, economico, sociale e culturale”.
L’anno scorso a fronte di un investimento di 200 milioni di euro, il finanziamento complessivo, dopo l’approvazione della graduatoria dei beneficiari, è stato di circa 150 milioni di euro. Tante le stazioni sciistiche ammesse che hanno piste ben al di sotto dei 2mila metri di quota, quando la Banca d’Italia, in un report del 2022 incentrato sul turismo invernale e sulla crisi climatica, firmato da Gioia Maria Mariani e Diego Scalise, dimostra come l’innevamento artificiale (e la pratica dello sci alpino) non siano più sostenibili dal punto di vista economico. Ma il governo ha solo in mente la monocultura dello sci e, in sostanza, nessuna strategia di transizione per le attività delle aree montane: lo conferma l’ulteriore finanziamento del fondo “per l’ammodernamento, la sicurezza e la dismissione degli impianti di risalita e di innevamento”; e lo dimostra l’investimento, del 2023, relativo al turismo sostenibile: appena 25 milioni di euro.
Naturalmente
la notizia è stata accolta con favore da Federfuni e da tutte le persone che,
in qualche forma, hanno interessi nel mondo che gravita intorno allo sci alpino
(strutture ricettive, ristorazione, commercio, attività ricreative). Non è un
caso che l’avviso sia arrivato proprio a ridosso del voto per il Parlamento
europeo (l’anno scorso il documento era stato pubblicato il 23 di giugno).
Insomma, una carta in più da giocare con l’elettorato.
LA BANCA D’ITALIA
L’aumento
delle temperature e le stagioni invernali scarse di neve mettono a dura prova
l’industria del turismo invernale, uno dei settori economici più sensibili alle
condizioni atmosferiche. In questo rapporto rileviamo un nuovo set di dati che
confronta le condizioni meteorologiche e i flussi turistici in un campione di
39 stazioni sciistiche italiane negli ultimi 20 anni. Studiamo inoltre la
relazione tra condizioni della neve, skipass, e pernottamenti, a livello di
stazione sciistica mediante una stima con doppi effetti (fissi) per
quantificare il rischio di perdite turistiche dovute al cambiamento climatico.
Stimiamo
una relazione positiva e significativa tra le condizioni nevose e i flussi
turistici invernali nelle località alpine italiane. Secondo le nostre stime e
le proiezioni di consenso sulle variabili climatiche, nei prossimi anni gli
impatti dei cambiamenti climatici su skipass e pernottamenti potrebbero essere
significativi, soprattutto alle quote più basse. Troviamo anche prove che la
fornitura di neve artificiale ha solo un effetto debole sui flussi del turismo
invernale, indicando la necessità di un approccio più completo alle strategie
di adattamento.
Il turismo
di montagna fornisce un contributo significativo all’economia delle aree alpine
ed è uno dei i pilastri del settore turistico italiano: secondo i dati ISTAT,
prima della pandemia da Covid-19, circa il 13 per cento dei pernottamenti annui
avviene nelle zone di montagna, mentre le spese dei turisti stranieri per le
vacanze in montagna ammonta a quasi 2 miliardi di euro nel 2019 (Petrella et
al., 2019).
Se anche il
turismo estivo in montagna gioca un ruolo importante, gli sport invernali sono
uno di questi caratteristiche più attraenti e dipendono fortemente
dall’affidabilità della neve. Il turismo invernale è quindi uno dei settori più
sensibili alle condizioni atmosferiche, quindi una profonda comprensione degli
impatti e dei rischi che comporta la variabilità meteorologica per questo
settore è importante per la valutazione dei successivi (potenziali) impatti
economici dovuti ai cambiamenti climatici (Prettenthaler et al., 2016), nonché
per la simmetrica e più efficace progettazione delle future e più adeguate
politiche economiche.
La regione
alpina sarà tre volte più colpita dal riscaldamento globale rispetto al resto
del mondo dell’emisfero settentrionale. Si
prevede quindi che il cambiamento climatico avrà impatti più evidenti sul turismo
alpino europeo che in altre aree del mondo (Elsasser e Messerli 2001; Probstl
2006; IPCC 2007). In particolare, l’aumento delle temperature invernali si
tradurrà in una stagione sciistica più breve e uno spostamento della linea
naturale di affidabilità della neve ad altitudini più elevate (Abegg et al
2007; Steiger 2011).
Mancanza di
neve (come nell’inverno 2010-2011 nella maggior parte delle Alpi svizzere),
diminuzione del manto nevoso, la profondità della neve (Laternser e Schneebeli
2003) e l’affidabilità (del manto nevoso) potrebbero portare a un numero
inferiore di visitatori e una riduzione delle entrate, con gravi ripercussioni
economiche sulle destinazioni del turismo invernale, dove le comunità locali
tendono ad essere fortemente dipendenti dal reddito derivante da tali attività
del settore economico spazialmente concentrato e agglomerato.
Negli
ultimi tempi la ricerca sugli impatti dei cambiamenti climatici sul turismo ha
guadagnato sempre più interesse nel corso degli anni. Numerosi studi hanno rilevato
la relazione tra la domanda turistica in tutte le stagioni e le condizioni
meteorologiche e fattori climatici (Amelung e Moreno, 2012, Goh, 2012, Hamilton
et al., 2005, Lise e Tol, 2002, Ridderstaat et al., 2014).
Per quanto
riguarda il turismo invernale, la letteratura è più scarsa: gli studi esistenti
lo hanno focalizzato sul lato dell’offerta, valutando l’effetto dei cambiamenti
delle condizioni fisiche in montagna ambientale sugli sport invernali. In
particolare, per l’Italia basterebbe un aumento di 1°C per spostare al rialzo
la temperatura limite naturale di responsabilità della neve e mettere in
pericolo tutti i comprensori sciistici del Friuli Venezia Giulia e circa il 30%
di quelli del Veneto, della Lombardia e del Trentino (Abegg et al., 2007).
Analizzando
l’impatto di un aumento di 2°C sui pernottamenti a livello regionale nella
regione alpina e scopriamo che i paesi più colpiti sarebbero l’Italia e
l’Austria. Concentrandosi solo sull’Italia, (Bigano et al. 2006) rilevano che
l’Alto Adige sarebbe il paese più gravemente colpito dai cambiamenti climatici.
Il presente
contributo si propone di fornire evidenza della relazione tra condizioni della
neve e turismo invernale nelle più importanti regioni alpine italiane in
termini di flussi (skipass e pernottamenti), assemblando un set di dati a
livello di stazione sciistica: il nostro nuovo database, che corrisponde al
meteo condizioni con due misure di flussi turistici – numero di skipass e
pernottamenti per ciascuna località nelle ultime 20 stagioni invernali, ci
permette di ampliare la letteratura esistente in molti modi.
Innanzitutto,
per catturare l’effetto di disponibilità di neve sui flussi turistici più
sensibili al clima, consideriamo gli skipass, che comprendono anche gli utenti
quotidiani degli impianti sciistici che sono in grado di rispondere ai
cambiamenti meteorologici poiché i loro programmi sono più lunghi e facilmente
modificabili.
Integriamo
poi la nostra analisi con lo studio dei pernottamenti, anche presso la stazione
sciistica: utilizzando dati mensili, siamo in grado di stimare più precisamente
il rapporto tra turismo e le condizioni meteorologiche. Inoltre, facciamo luce
anche sulle località più diversificate e le strutture in grado di attrarre
turisti, anche se le condizioni meteorologiche non sono ottimali per gli sport
invernali. Mentre gli skipass sono rivolti esclusivamente alla domanda di
attività legate alla neve, hotel e le strutture ricettive non accolgono solo
gli sciatori ma anche i visitatori che vengono a divertirsi servizi di
montagna.
Stimiamo
una relazione positiva e significativa tra disponibilità di neve e flussi
turistici invernali nelle località alpine italiane, all’inclusione di una serie
di controlli di acquisizione caratteristiche dei diversi resort. Secondo le
nostre stime e le proiezioni di ‘consensus’ (EURO-CORDEX) sulle variabili meteorologiche, nei
prossimi anni gli skipass nelle località alpine italiane potrebbero diminuire del 7% in media
a causa del cambiamento climatico, con perdite materiali molto più elevate a
livelli inferiori di altitudine.
L’impatto sui pernottamenti, anche se meno grave, sarebbe comunque significativo. Località invernali più specializzate nel turismo, con un’offerta culturale e alberghiera più ampia, risultano ospitare più visitatori. Anche noi riscontriamo costoso un effetto dell’innevamento artificiale sui flussi turistici invernali, che puntano verso la necessità di un’attenta analisi costi-benefici di ulteriori investimenti in un settore ad alta intensità energetica e di risorse processi.
CONCLUSIONI
In questo
lavoro, abbiamo studiato la relazione tra i flussi turistici invernali e le
condizioni meteorologiche in a campione di stazioni sciistiche alpine italiane,
impiegando una strategia di stima degli effetti fissi panel su una nuova set di
dati assemblati che abbinano skipass, pernottamenti e variabili climatiche a
livello granulare. I nostri risultati, robustezza a una serie di controlli di
robustezza, indicano una relazione significativamente positiva tra gli skipass e
copertura nevosa. Migliori condizioni di neve tendono a corrispondere anche a
più pernottamenti.
L’innevamento artificiale non appare,
invece, economicamente utile e/o vantaggioso per sostenere flussi turistici
significativi.
Le Alpi
sono particolarmente sensibili ai cambiamenti climatici e il recente
riscaldamento è stato di circa tre volte superiore la media globale. I modelli
climatici prevedono cambiamenti ancora maggiori nei prossimi decenni, incluso una
riduzione della copertura nevosa, soprattutto alle quote più basse. I nostri
risultati suggeriscono che gli impatti del clima e il cambiamento nel turismo
invernale potrebbe essere sostanziale e particolarmente grave per le stazioni
sciistiche a bassa quota.
La
fattibilità delle misure di adattamento agli impatti dei cambiamenti climatici
è quindi di fondamentale importanza per i paesi alpini. Ciò è stato
riconosciuto dalla Convenzione delle Alpi, che alla fine del 2006 ha invitato i
membri a sviluppare tempestivamente strategie di adattamento. Mentre
l’innevamento artificiale resta una strategia di adattamento non adeguata ai
fini del turismo, e i nostri risultati confermano studi precedenti indicando
che non sembra essere né determinante né conveniente il sostenere i flussi
turistici con l’innevamento artificiale.
Inoltre,
i costi di innevamento aumenteranno in modo non lineare con l’aumentare delle
temperature aumenteranno e, se le temperature saliranno oltre una certa soglia,
l’innevamento semplicemente non sarà praticabile, soprattutto alle quote più
basse, le più colpite dai cambiamenti climatici. Come sottolineato dall’OCSE
(2007), addirittura se la neve artificiale può ridurre le momentanee perdite finanziarie
derivanti da casi occasionali di inverni carenti di neve, di contro non possono
proteggere dalle tendenze sistemiche a lungo termine verso inverni più caldi.
In questo
contesto di adattamento sono cruciali le strategie basate sulla
diversificazione delle attività e dei ricavi in montagna. Considerando il potenziale
di un insieme più ampio di servizi per sostenere i flussi turistici, si
potrebbero fare investimenti per ridurli dipendenza dell’economia montana dalle
condizioni della neve: ad esempio, rafforzando l’impegno turismo circolare,
stimolando e promuovendo il turismo estivo, ma anche le attività e il clima
invernale intrattenimenti indipendenti come gare invernali di trail running,
congressi, eventi educativi e sanitari.
Allo
stesso tempo, il turismo estivo nelle Alpi è spesso considerato un potenziale ‘vincitore’
poiché il Mediterraneo diventerà troppo caldo e perderà la sua attrattiva
climatica. In più temperate regioni europee, comprese le Alpi, dove l’idoneità
climatica per il turismo estivo potrebbe migliorare a causa del cambiamento
climatico (condizioni più calde e forse anche più secche), l’industria del
turismo potrebbe trarne vantaggio dalle avverse condizioni climatiche future
nel Mediterraneo. Allo stesso tempo, però, il ritiro dei ghiacciai, e lo scioglimento
del permafrost, non meno dei cambiamenti nell’idrologia, nella flora e nella
fauna e l’aumento dei processi geomorfici avranno tutti un grave ed inevitabile
impatto sul turismo a vari livelli e si ritiene che siano in gran parte
negativi.
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