Se ti
imbatterai in un bosco sacro, denso di alberi vetusti e cresciuti oltre
l’altezza ordinaria e tale da sottrarti la vista del cielo con il fitto intrico
dei suoi rami che si coprono a vicenda, l’altezza degli alberi, l’appartata
solitudine e lo spettacolo suggestivo dell’ombra così compatta e continua pur
nel bel mezzo di una campagna aperta, ti comproveranno la presenza di un nume.
Se un antro formato da rocce profondamente erose tiene come sospeso un monte, un antro non fatto dalla mano dell’uomo, ma scavato da cause naturali per una larghezza così enorme, ebbene questo fenomeno colpirà il tuo animo con l’indefinita sensazione di una presenza divina.
Veneriamo
le sorgenti dei grandi Fiumi; la polla improvvisa di un imponente corso
d’acqua, scaturita dal sottosuolo, ha i suoi altari; si onorano le sorgenti di
acque termali. Alcuni stagni hanno acquisito sacralità per la cupezza o la
profondità insondabile delle loro acque.
Se vedrai un uomo restare imperterrito tra i pericoli, non toccato dalle passioni, felice nelle avversità, sereno in mezzo alle tempeste, un uomo che guarda gli altri uomini dall’alto e pone gli dei al suo stesso livello, non ti pervaderà un senso di ammirazione? Non dirai: ‘Questo essere è troppo grande e sublime perché si possa pensare che sia sostanzialmente simile al misero corpo in cui si trova’?
In lui è discesa una forza divina.
Un animo
che spicca sopra gli altri, un animo capace di dominarsi, di passare oltre a
ogni cosa, considerandola inferiore, e di ridere di tutto ciò che noi temiamo e
desideriamo, è mosso da una potenza celeste.
Un essere così grande non può sussistere senza il sostegno di un nume; pertanto con la parte migliore di sé egli risiede là da dove è disceso. Come i raggi del sole toccano bensì la terra, ma rimangono inglobati nella fonte dalla quale vengono emessi, così un animo nobile e santo, mandato quaggiù affinché conoscessimo più da vicino la divinità, ha con noi un rapporto di familiarità, ma rimane legato alla sua origine: di là prende riferimento, là volge il suo sguardo e il suo desiderio anelo, e partecipa della nostra realtà, ma come un essere migliore.
Qual è
dunque la natura di quest’animo che non risplende per alcun bene esterno, ma
soltanto del proprio?
Che cosa peraltro c’è di più stolto del lodare in un uomo doti che gli sono estranee?
Che cosa
c’è di più demenziale di un uomo che ammira ciò che può passare immediatamente
a un altro?
Freni
d’oro non rendono un cavallo migliore. In un modo fa il suo ingresso nell’arena
un leone con la criniera dorata, mentre tirandolo lo si vezzeggia e, ormai
spossato, è costretto ad accettare pazientemente gli ornamenti; in ben altro
modo un leone selvatico e integro nella sua fierezza. Quest’ultimo, certo
aggressivo come la natura lo ha voluto, impressionante per la sua selvaggia
bellezza – il suo unico vanto consiste nell’essere guardato non senza suscitare
paura – è preferito all’altro, illanguidito e coperto di lamine d’oro.
Nessuno deve gloriarsi se non delle proprie qualità.
Lodiamo la
vite, se carica di frutti i tralci, se con il suo peso abbassa fino al suolo
gli stessi pali di sostegno. C’è qualcuno che le preferirebbe quella vite da
cui pendono grappoli d’oro, foglie d’oro?
La virtù
caratteristica della vita è la feracità. Così anche nell’uomo si deve lodare
ciò che è propriamente suo. Quel tale ha una servitù avvenente, una bella casa,
semina vasti terreni, ha capitali molto redditizi; ebbene, nessuno di tali beni
è in lui, ma intorno a lui. Devi apprezzare in quest’uomo quanto non può essere
né tolto né dato, quello che è proprio della persona umana.
Tu chiedi: di che si tratta?
Dell’animo
e della ragione che nell’animo è perfetta.
L’uomo è
un essere animato provvisto di ragione; pertanto il suo bene raggiunge il
massimo compimento se egli ha assolto sino in fondo ciò per cui viene al mondo.
Ma qual è
mai l’impegno che la ragione esige da lui?
Nulla di
più facile: vivere secondo la sua natura. Ma questo compito è reso difficile da
una follia generale: ci spingiamo l’un l’altro nei vizi.
E come si possono richiamare sulla via della salvezza quelli che nessuno trattiene e che il popolo sprona?
Già costui
ti ha persuaso di essere un uomo virtuoso?
Eppure un
uomo non può in così breve tempo diventare virtuoso né essere riconosciuto come
tale.
Sai che
cosa ora intendo quando parlo di uomo virtuoso?
Un tipo come codesto tuo amico, uno di seconda qualità. Quell’altro, infatti, quello di primo rango, nasce forse ogni cinquecento anni, come la fenice. Non c’è da meravigliarsi che le cose grandi siano generate a grandi intervalli di tempo: le mediocri e quelle che nascono per confondersi con la massa, la Fortuna le produce spesso; le esimie, invece, ce le raccomanda per la loro stessa rarità.
Ma questo
personaggio è finora ben lontano da ciò che dichiara di essere e se sapesse che
cosa significa essere uomo virtuoso, non crederebbe ancora di esserlo, anzi
dispererebbe di poterlo diventare.
‘Però ha cattiva opinione dei cattivi’.
Lo fanno anche i cattivi e per la malvagità non c’è maggior pena dello spiacere a se stessa e ai suoi adepti.
‘Però lui
odia quelli che si servono con estrema arroganza di un potere grande e ottenuto
in un momento’.
Si
comporterà in modo identico, quando disporrà di un medesimo potere.
I vizi di molti rimangono nascosti perché sono vizi che non sanno imporsi, ma quando costoro si sentiranno soddisfatti dell’entità delle proprie forze, quei vizi diventeranno non meno audaci di quelli che la prosperità ha già messo allo scoperto. Ecco ciò che a loro manca: gli strumenti per sviluppare la propria malvagità (e quando in futuro ne disporranno diverranno ancor peggiori e pessimi agli elementi).
Analogamente,
si può maneggiare con sicurezza un serpente, sia pure dei più velenosi, mentre
è irrigidito per il freddo: intanto non gli mancano i veleni, ma sono
intorpiditi. Alla crudeltà, all’ambizione, alla sfrenatezza di molti manca il
favore della Fortuna, che li mette in grado di osare azioni pari a quelle degli
uomini più scellerati. Ecco come ti renderai conto che essi vogliono le stesse
cose: da’ a queste persone un potere adeguato ai loro desideri.
Ti ricordi che quando affermavi che un tale era totalmente condizionato da te, avevo detto che si trattava di una persona quanto mai volubile e leggera e che non lo tenevi per un piede, ma per un’ala? Ebbene, dissi una bugia: era tenuta da una piuma, e lui te la lasciò e fuggì. Sai quali spettacoli ti ha dato di se stesso, quante cose ha tentato, destinate poi a ricadere sulla sua testa. Non si accorgeva di precipitare in una situazione pericolosa, esponendo altri a dure prove; non pensava quanto fossero gravose le sue richieste, anche se non erano superflue.
Pertanto negli oggetti dei nostri desideri, che cerchiamo di realizzare con grande, faticoso impegno, dobbiamo constatare proprio questo: o che non presentano alcun vantaggio o che gli aspetti negativi prevalgono su quelli positivi. Certi, poi, sono del tutto superflui, altri di nessun valore. Ma non vediamo la situazione sino in fondo e ci sembra gratuito ciò che ha un prezzo molto alto.
La nostra
stupidità risulta chiaramente dal ritenere che si possa acquistare soltanto ciò
per cui sborsiamo denaro; chiamiamo invece gratuite quelle cose che paghiamo
con la nostra stessa persona. Quei beni che non vorremmo acquistare, se
dovessimo dare in cambio la nostra casa, un’area in posizione amena o un
terreno fertile, siamo più che mai disposti a ottenerli a prezzo di ansie e
pericoli e gettando via dignità e libertà e tempo: a tal punto nulla è per
ciascuno di noi più disprezzabile di se stesso.
Orbene, in tutti i nostri progetti e in tutto ciò che ci riguarda dobbiamo agire come di solito ci comportiamo verso il venditore di una qualche merce: consideriamo a quale prezzo ci viene ceduto l’oggetto dei nostri desideri. Spesso ci costa un prezzo altissimo ciò per cui non sborsiamo un quattrino.
Ti posso
indicare molti beni che, acquisiti o ricevuti per il favore altrui, ci hanno
strappato la libertà. Apparterremmo a noi stessi, se codeste cose non fossero
nostre.
Rifletti
dunque su questo punto non solo quando si tratterà di ottenere un vantaggio, ma
anche di subire una perdita.
‘È un bene
destinato a perire’.
Certo, ma è venuto dall’esterno: senza questo bene vivrai così facilmente come sei vissuto finora. Se lo hai posseduto a lungo, lo perdi dopo essertene saziato, se è stato tuo per breve tempo, lo perdi prima che tu ti sia abituato ad averlo.
‘Avrai
meno denaro’.
Certo, ma
anche meno seccature.
‘Minor
credito’.
Certo, ma
anche meno invidie.
Passa in rassegna questi beni che ci spingono alla follia, che perdiamo con un torrente di lacrime: ti accorgerai che in essi non il danno reca molestia, ma la nostra nozione di danno. Nessuno sente la perdita di questi beni, ma la pensa soltanto.
Chi possiede
se stesso, non ha perduto nulla.
Ma quante sono le persone che hanno la ventura di possedersi?
(seneca)
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