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Il
presente post dedicato all’acrobatica lucciola del palco (& a i suoi
altrettanto acrobatici fratelli con cui si cimenta & accompagna)
Nel Cinquecento nuove leggi, i cambiamenti sociali del
neo-feudalesimo e quelli religiosi seguiti al Concilio di Trento, stabilizzano
la società: la comunità dell’elemosina si trasforma gradualmente in quella
della fiera. Il Garzoni nel 1584
include ormai ‘Cerretani e Ciurmatori’ non più tra i mendicanti ma tra i ‘Formatori
di spettacoli in genere’, e li dipinge ‘sì ingannando e gentil uomini e villani
con questa maestria così maliziosa’ ma anche ‘dando piacere con le bagatelle et
frascherie’.
È dal XVI sec. che, il termine cerretano
unendosi col termine ciarlare, designa l’arte degli artisti-venditori
ambulanti. Il virtuosismo dell’inganno fisico si confonde con quello verbale: è
tra Quattro e Cinquecento che
fachiri e acrobati del miracolo si completano con la vendita di prodotti
miracolosi in veri e propri ‘numeri’, su un palco o in cerchio. Una
straordinaria descrizione dell’epoca, sempre del Garzoni ci rivela come la
dimostrazione di unguenti, polveri e bevande necessiti di ulteriori tecniche di
illusionismo o contorsionismo per dimostrarne l’effetto.
Designano
la nuova categoria termini come ciurmadori, giocolieri, bagatellieri. Ma
soprattutto la professione appare distinta come ‘salir in banco’, e si designa
come un preciso mestiere il ‘cerretano di banco’ o il ‘sali in banco’: donde ‘saltimbanco’
e i numerosi suoi sinonimi. Banco designava indistintamente la banca per il
prestito, il banco per la vendita e quello per le esibizioni: e gli operatori
di tali attività erano spesso indistinti. Il legame tra spettacolo e commercio
prende una forma e ‘l’arte dei cerretani si trasforma da espediente organizzato
in piccola industria della persuasione pubblicitaria finalizzata al commercio
delle illusioni’.
I saltimbanchi ereditano dai mendicanti gli aspetti corporativi che, secondo le abbondanti testimonianze, servono da autoprotezione, canali informativi, organizzazione dei giri attraverso luoghi di commercio che preludono al concetto di tournèe. Forme primitive di corporazioni nomadi di saltimbanchi sono presenti un po’ in tutte le culture agricole e commerciali. Nella Russia dei primi secoli skoromohki (da cui ‘scaramacai’) indica indistintamente chiromanti e giocolieri di strada, già ben organizzati in gruppi.
L’aspetto
corporativo è una caratteristica anche degli artisti orientali, dove il
passaggio da arte del mendicare ad arte dello spettacolo/vendita è ancor più
evidente, accentuato dalla divisione socio-religiosa in caste. In India gli
artisti di strada si sono sempre distinti in due categorie: fakir (asceta) e jadoowalla (prestigiatore/giocoliere nel senso più tradizionale).
Il termine fakir indica in origine ‘mendicante’.
Una delle prime caste di giocolieri nomadi indiani era quella dei Madari (un
misto di cultura musulmana e induista), che si spostavano secondo le stagioni.
Ancora oggi in India due sono le caste riconosciute del teatro di strada: i Maslets, che si riconoscono come esecutori di una prestazione artistica, spesso con permessi pubblici regolari, il cui profitto deriva dalla più o meno tollerata vendita di amuleti, e gli Jaduas, che invece collegano l’uso dei numeri di destrezza all’attività criminale. In India ancora ai nostri giorni il prestigiatore e il giocoliere di strada rivendicano una superiorità su musicisti, maghi ambulanti o mostratori d’orsi che chiedono l’elemosina col piattino, rispetto alla propria attività il cui introito viene invece dalla vendita di piccoli amuleti dopo lo spettacolo.
In India
questa forma medievale dello spettacolo mendicante sembra essersi fermata per
secoli: in un epoca relativamente vicina a noi, al principio del XIX secolo, un missionario
raccontava di ritorno dall’India: ‘Tra gli esseri degradati che formano
l’abisso della società in India devono essere classificati i giocolieri,
ciarlatani, montimbanchi, prestigiatori, acrobati, ballerini sulla fune etc:
essi sono di due o tre caste che praticano queste professioni, viaggiando da
paese in paese per trovare spettatori o gonzi. Non è sorprendente, in un popolo
così credulone e amante del meraviglioso come gli Indù, che tali impostori
abbondino. Essi sono visti come maghi e stregoni, come uomini votati alla
stregoneria e tutte le scienze occulte, guardati con paura e diffidenza’.
Un altro viaggiatore, Pelsaert, ne nota lo stile di vita, ricordando che ‘essi vivono promiscui come i nostri gitani’. Nel 400 l’arrivo degli zingari in Europa costituisce uno degli apporti storici basilari per la nascita culturale del circo moderno. Queste tribù nomadi, maghi/mostratori di bestie (designati all’epoca dal greco athìnkanos, donde forse zingaro), in parte da una complessa migrazione di tribù iniziata nell’XI secolo dal subcontinente indiano, come è evidente dai tratti somatici.
Appaiono in
Europa agli inizi del ’400, e sono
da allora destinati ad essere confusi con il mondo dei mendicanti (secondo la
costante diffidenza verso il diverso e l’esotico), formando comunità in Europa
Germania, Spagna, Gran Bretagna, e Italia, ove si diffondono specialmente
presso Bologna. Le cronache li designano come cingani, cingari, indiani, egyptians
(donde gipsy) oppure bohemiens (dal
legame con Sigismondo di Boemia nel XV sec.).
Tre sono le grandi tribù: rom (dal sanscrito dom, nomade) meno legati allo spettacolo; gitani (da tchinganie, comunità di artigiani diffusa dal 300 d.C. nelle isole greco-slave), stabilitisi in Spagna e noti per musica e arte equestre; sinti (da Sind, Pakistan occidentale), quelli che unendosi ai saltimbanchi rinascimentali o alla borghesia stabile hanno generato molte famiglie moderne dello spettacolo viaggiante.
Il loro
vagare si inserisce presto nella nascente comunità nomade dello spettacolo
europeo, apportandovi le loro specialità: animali ammaestrati, musica,
marionette, ombre, lettura della fortuna. La cattura e l’addestramento di orsi
diventa una loro diffusissima, caratteristica, dando vita alle comunità
specifiche degli ursari o orsanti, in Italia esistenti fino al secolo scorso.
‘Composto un palco vi salgono a fare prima il
ciarlatano e poi il commediante e […] lo spacciatore del secreto s’introduce
alla lode grande et incomparabile del suo meraviglioso medicamento e serrate le
scatole e levati i bauli, il banco si cangia in scena, ogni ciarlatano in
commediante’.
Episodi simili a questo del 1652, già dal Quattrocento rappresentavano la progressiva mutazione dal commercio allo spettacolo, un passaggio che alla fine del Rinascimento confluirà nel fenomeno del teatro di fiera. Dal mendicante, attraverso il commerciante si è ormai giunti all’artista di professione.
Il
saltimbanco, o banquiste, indica
ormai un mestiere. Il numero circense o la scenetta teatrale si slegano dal
commercio, e possono proporsi come forme indipendenti. Nel 1453 la Caduta di Costantinopoli aveva contribuito ad una
migrazione di nuovi artisti verso Occidente. La centralità di Venezia
arricchisce le tradizioni della fiera e del carnevale in cui meraviglie e brevi
spettacoli anche a pagamento si possono ammirare nei casoti eretti nelle calli.
Le cronache notano ormai due tipi di artisti:
‘Distinguo tutti i recitanti in due ordini: uno
di coloro che si chiamano comunemente i commedianti, e questi fanno le loro
azioni dentro […] sale o stanzoni assegnati. L’altro […] di quelli che si
nominano i ciarlatani, e questi fanno i loro trattenimenti e giuochi nelle
strade e nelle piazze […]; i
ciarlatani diventano commedianti e si servono della commedia come di mezzo
efficace per allettare al banco, donde fanno lo spaccio’.
È il
momento di nascita di una vita artistica regolare e di vere e proprie troupes, sia di attori che di acrobati:
il primo atto costitutivo di una compagnia teatrale ‘dell’Arte’ è del 1545, nata dall’incrocio tra il
commercio ciarlatanesco e la cultura degli umanisti; la più antica compagnia
circense che si conosca, quella dei Chiarini, è registrata Parigi dal 1580, ma esistente da chissà
quanto. L’artista è spesso erudito, sa scrivere canovacci o ha dimestichezza
con le parole difficili per decantare col proprio ciarlare gli animali
meravigliosi o i fenomeni che presenta.
Seppur legittimati dalla società, gli artisti ne restano ai margini: del 1607 è un processo a tre saltimbanchi presso Bagnoregio (Lazio), in cui dalla vita dei protagonisti emerge la frequentazione con la prigione, la fuga continua, la fame, i viaggi, i permessi comunali e la clandestinità. In parallelo alla nascita della commedia dell’Arte, in Inghilterra il teatro elisabettiano assorbe dal mondo popolare la figura popolare dello zotico saggio/stolto, e sorta di parallelo anglosassone dello zanni: al ruolo e al nome teatrale di fool (dai buffoni medioevali) si alterna quello di knave e gradualmente quello di clown.
Come per la
danza e il teatro, nelle corti europee si sviluppa una sorta di acrobazia ‘erudita’,
lontana dalle precarietà della strada, e lo stesso avviene in Cina e India.
Così come nelle corti nascono i giochi di società e di tavolo (alla base della
moderna prestidigitazione), tra XVI e
XVII sec. si sviluppano gli sport e i divertimenti ginnici. Due sono i
primi trattati esistenti di acrobazia moderna: uno è un trattato sugli sport
antichi scritto nel 1573 in Latino;
l’altro più specifico è nel 1599 di
Arcangelo Tuccaro: uno dei tanti avventurieri legati al mondo dello spettacolo,
che nel 1599 è saltarin du roy alla corte di Enrico IV. È in grado di scrivere in
francese, e in una forma letteraria erudita e alla moda come il ‘dialogo’, un
trattato di acrobazia che resta come il primo riferimento scritto delle
tecniche circensi.
A Mantova e a Ferrara si diffonde il gusto per il meraviglioso, che va dalle wunderkammer, antesignane dei musei dei fenomeni, alla moda di nani o esseri mostruosi impiegati spesso per intere generazioni come buffoni alle corti estensi o dei Gonzaga. Gli Angiò continuano l’usanza degli zoo privati. Uno zoo nel 1519 è scoperto dagli spagnoli anche a Tenochitlàn, al palazzo di Montezuma, con gabbie riccamente intarsiate. Il ruolo delle corti rinascimentali europee è determinante anche per un’altra forma di genesi del circo moderno: il cavallo.
Si è già
detto del ruolo storico della classe militare, in ogni epoca e cultura, per la
maturazione delle discipline equestri, nei fenomeni spesso sovrapposti di
festa, conquista ed esercitazione
o nell’uso equestre-spettacolare delle piazze fiorentine, romane e parigine sul
modello classico. La prima grande scuola equestre, (diretta antenata
dell’equitazione circense ‘moderna’ ottocentesca) è la cosiddetta ‘scuola
napolitana’, che fiorisce nel ’500
fondata da Cesare Fiaschi, e forma cavalieri leggendari come Pignatelli, De La
Broue e Plouvinel, oltre a generare una sterminata trattatistica.
Gli ‘ingressi’ in città di sovrani e le ‘prese di possesso’ sono tra le prime definizioni di vere e proprie messe in scena spettacolari. Altra forma primordiale è quella medievale del torneo e poi del carosello. Verso la fine del ’500, queste spesso cruente manifestazioni assumono gradualmente forme più simboliche e teatrali, e finalità allegoriche di celebrazione in occasione di nozze o anniversari di sovrani. La struttura in lunghezza dei tornei sembra restare l’impianto scenico d’origine quando queste nuove forme emergono nel primo ’600.
Dal
Rinascimento alla Restaurazione ci sono almeno due secoli di genesi di tutte le
forme di spettacolo moderno. Ma sarà solo dalla Rivoluzione Francese che si può
parlare di luoghi e generi per teatro, danza, opera, circo così come li
intendiamo: forme codificate e svolte in luoghi specifici. Fino ad allora
bisogna sforzarsi di immaginare un teatro non sempre definito, in cui in una
stessa serata si combinavano divertimenti di ogni genere.
I primi luoghi di spettacolo a pagamento abbinano confusamente gli acrobati e gli attori delle fiere ad una riscoperta dei divertimenti classici da arena, spesso cruenti, tramandati dall’antichità con i tornei medievali. È certo che la struttura del teatro elisabettiano evolve dalle due arene circolari, lungo il South Bank del Tamigi, dedicate l’una a combattimenti mortali tra cani e tori (The bull baiting), l’altra a quella tra cani ed orsi (The bear baiting), documentate dal 1560 e progenitrici del teatro elisabettiano.
I loro
gestori erano spesso imprenditori di spettacoli. I legami tra il mondo di
acrobati e attori e quello dei combattimenti di animali o macellai sono più che
casuali (nel ’700 Antonio Franconi, pioniere del circo in Francia, emergerà da
questo mondo). Tra il 1576 e il 1614
nascono a Londra dieci teatri che, quadrati o circolari, presentano
programmazioni miste. Quando le compagnie elisabettiane edificano (a pochi
passi dai siti delle arene da combattimento) il primo Blackfriars (1576) lo
Swann (1587) e il Globe (1599), le lotte o i drammi vi si alternavano
indistintamente a funamboli, contorsionisti delle fiere, scimmie a cavallo o a
qualche virtuoso equestre, costituendo un divertimento continuo per ore.
È interessante notare che a distanza di soli pochi metri dai siti d’origine di questi teatri, due secoli dopo nasceranno i primi circhi della storia. Molte sono le testimonianze nel Regno Unito di funamboli turchi o francesi, saltatori italiani e giocolieri di varia provenienza. Quando nel 1578 l’Arlecchino Tristano Martinelli giunge a Londra, nelle spese di corte figurano ‘un materasso, cerchi e tavoli con trespoli per acrobati italiani’.
Gli stessi
drammi erano ricchissimi di acrobazie ed effetti di illusionismo. La pianta
elisabettiana non è del resto che un innesto tra il palco fieristico della
Commedia all’italiana e l’arena classica. Questo tipo di teatro all’aperto
polifunzionale si estende al continente: a Norimberga il Fechthaus (1628), è un
cortile quadrato molto simile al Fortune londinese: gestito dalla corporazione
dei macellai, le lotte tra animali vi si alternano a funamboli, spettacoli
acrobatici o equestri.
Nel Seicento, se la Commedia dell’Arte cercava di legittimare il proprio teatro in luoghi specifici, anche gli artisti di circo provavano ormai l’urgenza inarrestabile di un proprio contesto alternativo alla fragilità e periodicità del sistema fieristico. Un esempio illuminante (e stranamente documentatissimo per l’epoca) è a Londra (1590-1620 ca.) quello del cavallo sapiente Morocco. È questi una vera celebrità del suo tempo (è citato anche da Shakespeare), il cui padrone Banks aveva creato una vera e propria arena recintata, tollerata dalle autorità: uno dei primissimi esempi al mondo di luogo circense specifico a pagamento
Di recente
si è scoperto un suo contemporaneo anche in Italia, con l’annuncio per lo
spettacolo a pagamento di un cavallo acrobata in Piazza dei Mercanti a Milano
nel 1618. A Londra, dal 1620 al 1634
John Williams, esibitore di un elefante, tenta a più riprese con alcuni soci
l’apertura di un anfiteatro sul modello di quelli del teatro e dei
combattimenti, con l’intuizione di riunire cavallerizzi, acrobati, funamboli in
un luogo specifico e permanente e in un unico spettacolo. Questa prima idea di
circo come oggi lo intendiamo non vedrà la luce: con la guerra civile del 1642 i teatri chiudono e i
combattimenti di animali sono osteggiati dai puritani; nel 1660, con la Restaurazione, della vita teatrale elisabettiana
non resteranno che rovine.
Anche in Cina, in piena dinastia Ming, uno splendido dipinto lungo diversi metri ritrae illusionisti, equilibristi, musici e giocolieri che si esibiscono assieme per la festa del nuovo anno dinanzi all’imperatore Xian Zong in un luogo accuratamente allestito. Dovunque, è il tentativo di nascita di un’industria teatrale vera e propria.
Professione
emblematica della ‘genesi dei generi’ nel periodo tra ’600 e ’700 è quella del bal
di corda: a metà tra acrobazia e danza, lo spettacolo sulla fune impone
l’accompagnamento musicale, oltre a un minimo di tematizzazione drammaturgica e
di tecnica mimica interpretativa. L’iconografia del periodo è sterminata.
Assieme alle marionette, la danza sulla corda risulta la forma di escamotage
più sicura per aggirare le restrizioni dei teatri privilegiati.
Dalla metà del ’600 a quella del secolo dopo, nella sola Parigi vi sono le testimonianze di oltre un centinaio di troupes o singoli artisti di cui settanta sono ballerini sulla corda. I primi grandi maestri di ballo o mimi del teatro moderno sono figli di danzatori sulla fune: una disciplina che deve rendere armonico il senso dell’equilibrio e coniugarlo con l’espressività del gesto (nel primo ’800, Funambules resterà il nome del più celebre teatro di pantomima).
La danza
sulla corda si confonde anche con il genere della ‘corda volante’, una specie
di antenata del trapezio, e molti degli artisti si cimentano in entrambe le
varianti. Tra le prime celebrità è attorno al
1670 Jacob Hall. Poi vi sono le prodigiose funambole: come ‘la famosa
prussiana’ o ‘la celebre olandese’, sempre nel corso del ’600. Ravel e Chiarini risultano essere le famiglie più
antiche, ma Grimaldi (famiglia da cui nascerà il primo grande mimo-clown) e
Violante sono nomi che si ritrovano a Londra e a Parigi per oltre un secolo,
così come quelli di vari turchi musicisti sulla fune.
Mahomet Carahta verso il 1740 sembra uno dei più celebri. Si è ipotizzato che la sistematica provenienza mediterranea di questi artisti sia un chiaro legame con i funamboli del mondo antico. Sulla corda è presto possibile compiere elaborati equilibri con pile di bicchieri e altri oggetti: la specialità è presto popolarissima, con vere e proprie star internazionali, come il prodigioso Duncan McDonald. Altrettanto celebre è nel ’700 la scimmia ballerina sul filo del Signor Spinacuta, che farà in tempo ad esibirsi nei primi circhi delle colonie americane.
Si
diffondono anche i funamboli a grandi altezze. Molto popolari sono poi i
posturers, nome antico dei contorsionisti: nel ’600 e ’700 sono giovinetti che
piegano il loro corpo per arricchire i programmi di illusionisti o
marionettisti, come Joseph Clark. Altre tecniche che si sviluppano nel ’600 sono i leapers e vaulters,
saltatori in lunghezza secondo le tecniche diffuse nel Rinascimento: con
rincorse su trampolini essi saltano attraverso una serie di cerchi, o sopra
file di cavalli.
Altro genere popolare è quello dei forzuti, generalmente tedeschi, con troupes come quella di Moriz, legata ai primi teatri di fiera. Il fenomeno non è solo continentale, ma riguarda subito anche le colonie: nel 1753 a New York un danzatore di corda, Anthony Dungee, erige un locale apposito per le sue esibizioni.
La parola è
forse il segreto più importante per capire la nascita degli spettacoli moderni.
La parola consente di conquistarsi un pubblico e di mantenerlo, di raccontare una
storia, di creare energia teatrale: anche per funamboli e maghi, si scopre che
la trama, il pretesto tematico, catturano il pubblico per mostrare sofisticate
meraviglie.
Il circo,
esaltazione dell’arte muta ancor più della danza, forse non sarebbe mai
esistito senza divieti e censure che le autorità hanno voluto per legittimare
alla vita teatrale solo poche compagnie drammatiche. E anche nell’ambito di
queste, sono note alla fine del XVII
sec. le tensioni degli italiens per potersi esibire in altre lingue.
Se però agli attori è consentito integrare il loro organico con acrobati, a
questi ultimi solo raramente è concessa una licenza per quelques discours accompagnés de sauts.
La genesi del circo si plasma per due secoli su rivendicazioni a catena: nel tardo ’600 i teatri francesi ostacolano gli italiani i quali, una volta legittimati, se la prendono col teatro acrobatico dell’ex-burattinaio Jean-Baptiste Nicolet (1728-1796) che, ottenuto a fatica un teatro fisso (1759), a sua volta nel 1786 tenterà di impedire l’emergere di simili strutture rivali. Gli artisti del teatro di fiera e poi del boulevard hanno aggirato in tutti i modi il veto alla parola: con monologhi alternati, frasi scritte su cartelli o fazzoletti, col grammelot, distribuendo foglietti, col canto di couplets.
Il
paradosso straordinario è che da queste forme di difesa sono nati generi precisi
come l’opera lirica, la pantomima e il circo, e con esse artisti moderni: un
non-danzatore come il mimo e un non-attore come il clown.
Prima di conoscere
l’invenzione della pista, la vita pre-circense europea si sviluppa in modo non
dissimile da quella orientale: e cioè con compagnie teatrali-acrobatiche. Cìò
avviene nel fenomeno del teatro di fiera in cui a lungo convivono fianco a
fianco la baracca delle tragedie classiche con quella degli equilibristi,
l’esibizione del rinoceronte e gli spettacoli di canto.
La fiera periodica come fenomeno commerciale europeo è un concetto medioevale. La prima è a Parigi quella di St. Denis, nata nel 629 sotto il regno di Dagoberto. Molte altre sorgono ovunque in Europa, e in particolar modo a Londra. Gradualmente, le forme di vendita-spettacolo evolvono da dopo il Rinascimento in attività teatrali sempre più mature e definite: venditori di balsami o operateurs (cavadenti) come Tabarin o Scaramouche sono passati alla storia per il loro talento teatrale, acrobatico o di prestidigitazione.
Nel 1580 la compagnia acrobatica Chiarini, la prima di
cui si ha traccia, è alla fiera di Saint Germain, la stessa dove nel 1595 è
accettata la prima richiesta di autorizzazione per presentarvi commedie ‘all’italiana’:
decretando la nascita del théâtre de la
foire in quanto genere, che susciterà le ire degli attori all’Hotel de
Bourgogne ma il favore dei cittadini e quindi delle autorità.
Questo mentre già da decenni nelle corti si esibivano compagnie comiche come i Gelosi (1574) e i Confidenti (1572) (poi gli Accesi e i Fedeli) o acrobati ‘eruditi’ come Tuccaro: modelli teatrali e circensi per gli spettacoli di fiera, il cui pubblico fa gola ai teatri ufficiali. In meno di un secolo lo spettacolo di fiera assume una maturità teatrale definita. Nel 1640 a Parigi la fiera di St. Germain e quella di St. Laurent sono un panorama molto preciso: ai palchi improvvisati di comici-venditori si è ormai sostituita una distesa sterminata di baracche con veri e propri teatri dotati di scenari e macchine. Marionette, esibizioni di animali (del 1611 è la lotta con un leone) e bal di corda sono forme più tollerate rispetto a quelle di troupes che, presentando scene recitate, creano concorrenza ai teatri.
Nel 1678, sempre a Parigi, la troupe di attori dei
fratelli Charles e Pierre Alard, assieme a quella del ballerino sulla fune
Maurice Van der Beek crea il primo vero teatro di fiera in cui Les Forces de l’Amour et de la Magie è
la prima commistione compiuta tra commedia dell’arte, acrobazia, musica e pantomima:
un segnale per cui nuove forme teatrali stanno nascendo e con esse il bisogno
di luoghi e contesti.
Nel 1697, l’espulsione degli italiens da Parigi (poi riammessi nel 1715 alla morte di Luigi XIV) fa crescere i teatri di fiera e accogliere la richiesta di divieto di dialoghi da parte della sempre più potente Comédie Française, da poco fondata (1680). È l’inizio della battaglia tra i divieti e gli ingegnosi escamotages: la vedova di Van der Beek, Jeanne Godefroy, ‘inventerà’ l’opera comique sostituendo i dialoghi con rime cantate (1708), altri daranno vita alla pantomima acrobatica, mentre sia gli italiens che altri teatri tentano senza successo di aprire loro succursali nella fiera attorno al 1720: le troupes di danseurs de corde e marionettisti hanno la meglio sul pubblico.
Il fenomeno
è ormai enorme: alle due fiere parigine si aggiunge quella di St. Ovide (1763).
Si tratta ormai di veri e propri quartieri teatrali, come anche a Londra, in
cui nascono insegne specializzate in generi nuovi e precisi, spesso a causa dei
divieti stessi. Una stabilizzazione è inevitabile. Nel 1726 la chiesa,
proprietaria del terreno della fiera di St. Germain, espropria i forains e ne demolisce le baracche:
destino simile avranno presto quelle di St. Laurent (1786) e St. Ovide (1777).
La fine delle prime fiere è la prima tappa verso la nascita dei teatri di Boulevard, dove sia per restrizioni legislative che originalità artistica, si osserva la prima definizione in generi delle forme teatrali moderne. L’apertura dell’Ambigu Comique con gli spettacoli comici di Audinot (1769) e il teatro di Nicolet (ormai battezzato Les Grands Danseurs du Roi dopo un’esibizione per Luigi XV) con le riviste acrobatiche, entrambi sul Boulevard du Temple, sono le prime tappe del passaggio dalla fiera alla vita teatrale legittima. E non è un caso che nel 1775 alla Comédie-Française (la grande nemica dei forains), la prima versione del Barbiere di Siviglia di Beaumarchais sia costruita su canovacci di parades delle baracche da fiera.
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