CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

sabato 13 maggio 2017

UN SOGNO NEL SOGNO... ovvero: OWL CREEK (5)










































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Un Sogno nel Sogno (4)  &

persi nei boschi (53)

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Owl Creek (6)













Un uomo stava in piedi sul ponte della ferrovia, nell'Alabama
settentrionale, e guardava le acque scorrere rapide sei metri
sotto di sé.
L'uomo aveva le mani dietro la schiena, i polsi legati da una
cordicella. Una fune gli stringeva il collo. Era assicurata a una
robusta trave sopra il suo capo e la corda in eccesso gli pen-
zolava all'altezza delle ginocchia.
Alcune tavole sconnesse, appoggiate sulle traversine che so-
stengono le rotaie della ferrovia, reggevano lui e i suoi carne-
fici: due soldati semplice dell'esercito federale, al comando
di un sergente che nella vita civile doveva essere stato un vi-
ce sceriffo.




A pochi passi, sulla stessa piattaforma provvisoria, c'era un
ufficiale nell'uniforme del suo grado, armato. Era un capitano.
A ciascuna estremità del ponte, stava una sentinella col fuci-
le in posizione cosiddetta 'spall'arm', vale a dire, verticale
davanti alla spalla sinistra, con il cane appoggiato sull'avam-
braccio piegato ad angolo retto davanti al petto - una posi-
zione regolamentare e innaturale che costringe a un porta-
mento eretto.
Non sembrava fosse compito dei due uomini sapere che
cosa stesse succedendo in mezzo al ponte; essi si limitava-
no a bloccare le estremità della passerella che l'attraversa-
va.




A parte una delle sentinelle, non c'era nessuno in vista; la
ferrovia si inoltrava per un centinaio di metri in foresta, poi
curvava e scompariva.
Senza dubbio, un po' più lontano c'era un avamposto.
L'altra sponda del fiume era terreno scoperto: un dolce pen-
dio terminava in una palizzata di tronchi d'albero piantati ver-
ticalmente, muniti di feritoie per i fucili e di un'unica stromba-
 tura da cui sporgeva la bocca del cannone di bronzo che domi-
nava il ponte.
A metà salita, tra il ponte e il forte, c'erano gli spettatori,
una compagnia di fanteria in riga, in posizione detta di 'ri-
poso', cioè con il calcio del fucile poggiato a terra, la can-
na leggermente inclinata all'indietro contro la spalla destra
e le mani incrociate sulla cassa.




A destra della linea stava un tenente, la punta della spada
a terra, la mano poggiata sulla destra.
A eccezione dei quattro in mezzo al ponte, nessuno si muo-
veva. La compagnia che guardava il ponte era immobile, lo
sguardo fisso, quasi fosse di pietra. Le sentinelle che guar-
davano il fiume avrebbero potuto essere statue messe ad
abbellire il ponte.
Il capitano a braccia conserte, osservava in silenzio il lavo-
ro dei suoi subordinati, senza un cenno. La morte è un di-
gnitario che quando arriva preannunciato va ricevuto con
manifestazioni formali di rispetto, anche da coloro che so-
no in maggiore intimità con lui.




Nel codice dell'etichetta militare, silenzio e immobilità so-
no forme di deferenza.
L'uomo che era impegnato a farsi impiccare aveva, all'ap-
parenza intorno ai 35 anni d'età. Era un civile, a giudicare
dall'abito da piantatore che indossava. Aveva dei bei linea-
menti; il naso diritto, la bocca risoluta, la fronte ampia, i lun-
ghi capelli neri pettinati all'indietro che ricadevano da dietro
le orecchie sul bavero della finanziera che gli calzava a pen-
nello.
Portava baffi e pizzo, ma non i favoriti; aveva grandi occhi
grigio scuro, con un'espressione gentile quale non ci si aspet-
ta da uno con la corda al collo. Evidentemente non era un
volgare assassino.




Il codice militare nella sua liberalità provvede a impiccare
ogni sorta di persone, e i gentiluomini non sono esclusi.
Completati i preparativi, i due soldati semplici fecero un
passo di lato e tolsero le tavole che li avevano sorretti.
Il sergente si girò verso il capitano, fece il saluto militare
e si mise proprio alle spalle dell'ufficiale che, a sua volta,
fece un passo di lato.
Quei movimenti lasciarono il condannato e il sergente alle
due estremità della stessa tavola, che copriva tre delle tra-
versine del ponte.
L'estremità sulla quale si trovava il civile arrivava fin qua-
si a toccarne una quarta. La tavola era rimasta in equili-
brio sotto il peso del capitano; ora vi rimaneva sotto quel-
lo del sergente.




A un segnale del primo, il secondo si sarebbe fatto di la-
to, la tavola si sarebbe ribaltata e il condannato sarebbe
caduto tra le due traversine.
Egli stesso poteva costatare la praticità e l'efficenza del
piano. Non gli avevano né coperto il viso né bendato gli
occhi. Osservò per un attimo il suo 'appoggio instabile',
poi lasciò che lo sguardo vagasse sull'acqua vorticosa
del fiume che scorreva a folle velocità sotto i suoi piedi.
Un pezzo di legno che danzava alla deriva attirò la sua
attenzione e con gli occhi seguì a lungo la corrente.
Con quanta lentezza sembrava che si muovesse!
E che fiume indolente!




Chiuse gli occhi per concentrare i suoi ultimi pensieri sul-
la moglie e sui figli. L'acqua, tinta dall'oro del primo sole
del mattino, la foschia che ristagnava sotto le sponde a
qualche distanza lungo il fiume, il forte, i soldati, il pez-
zo di legno; tutto aveva contribuito a distrarlo.
Si rese conto che qualcos'altro lo stava infastidendo.
A insinuarsi nel pensiero dei suoi cari era un suono che
non poteva né ignorare né comprendere, una percussione
distinta, acuta, metallica simile al colpo del martello del
fabbro sull'incudine; rimbombava allo stesso modo. Si do-
mandò cosa fosse, se provenisse da una distanza incom-
mensurabile o da poco lontano; sembrava l'una e l'altra
cosa.
Giungeva a intervalli regolari, ma era lento come il rintoc-
co di una campana che suona a morto.
Attese ogni colpo con impazienza e, non sapeva il perché,
con apprensione.
Gli intervalli di silenzio diventavano sempre più lunghi; gli
indugi lo facevano impazzire....

(prosegue....)













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