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Cosa è il progresso? (2)
Cosa è il progresso?
E’ quello che le ha attribuito lo storico Gibbon.
Egli suppone che, dall’inizio del mondo, ogni secolo abbia aumentato e
aumenti ancora la ricchezza reale, la felicità, la conoscenza e, forse, la
virtù della specie umana. Questa definizione, che contiene una certa
perplessità dal punto di vista dell’evoluzione morale, è stata ripresa e
diversamente modificata, ampliata o ristretta, dagli scrittori moderni; resta
fermo il fatto che, nell’opinione comune, il termine progresso dovrebbe
comportare il miglioramento generale dell’umanità nel corso della storia.
Bisognerebbe però guardarsi dall’attribuire ad altri cicli della vita terrestre
un’evoluzione necessariamente analoga a quella che ha percorso l’umanità
moderna.
Le ipotesi assai plausibili che si riferiscono ai tempi geologici del
nostro pianeta rendono alquanto probabile la teoria di un’oscillazione di
periodi corrispondente in proporzioni considerevoli al fenomeno alterno delle
nostre estati e dei nostri inverni. Un va e vieni che comprende migliaia o
milioni di anni, o di secoli, comporterebbe una successione di periodi distinti
e contrastanti, determinando evoluzioni vitali molto diverse le une dalle
altre.
Che cosa diventerebbe l’umanità attuale in un’epoca di lungo inverno,
se una nuova era glaciale ricoprisse le isole britanniche e la Scandinavia di
un mantello ininterrotto di ghiaccio e le nostre biblioteche e i nostri musei
venissero distrutti dal gelo?
Bisogna allora sperare che i due
poli non si raffreddino simultaneamente e che l’uomo possa sopravvivere,
adattandosi a poco a poco alle nuove condizioni e trasferendo nei paesi caldi i
tesori della nostra attuale civiltà?
Ma se il raffreddamento è generale, è ammissibile che una sensibile
diminuzione del calore solare, fonte di vita, e l’esaurimento naturale delle
nostre riserve di energia possano coincidere con uno sviluppo ininterrotto
della cultura, nel senso di un miglioramento e quindi con autentico progresso?
Già in epoca contemporanea possiamo constatare che le normali
conseguenze della siccità terrestre, successive all’era glaciale, hanno
provocato incontestabili fenomeni di
regressione nelle regioni dell’Asia centrale. I fiumi e i laghi
prosciugati, le dune dilaganti hanno causato la sparizione delle città, delle
civiltà e delle stesse nazioni. Il deserto di sabbia ha sostituito le campagne
e le città.
L’uomo non ha potuto resistere alla natura ostile.
Qualunque idea ci si faccia del progresso, un punto sembra innanzi
tutto fuori discussione: in epoche diverse sono apparsi individui che, per
alcune caratteristiche, si pongono in primo piano fra gli uomini di ogni tempo
e di ogni Paese. Si riducono a una trentina i nomi dei personaggi che per
perspicacia, capacità di lavoro, bontà profonda, virtù morale, senso artistico,
o qualsiasi altro aspetto del carattere o dell’ingegno, costituiscono, nella
loro particolare sfera, dei tipi perfetti, insuperabili.
La storia della Grecia, in particolare, ce ne mostra grandi esempi; ma
altri raggruppamenti umani ne hanno posseduti: spesso li dobbiamo intuire
dietro ai miti e alle leggende. Chi si potrebbe definire migliore del Buddha,
più artista di Fidia, più inventivo di Archimede, più saggio di Marco Aurelio?
Negli ultimi tremila anni, il progresso, se vi è stato, è consistito in
una più larga diffusione di quella iniziativa un tempo riservata a pochi e in
un migliore utilizzo da parte della società degli uomini di genio. Alcuni
grandi ingegni non si accontentano di ammettere queste fondamentali
restrizioni: negano persino che ci possa essere un reale miglioramento nello
stato generale dell’umanità. Ogni impressione di progresso sarebbe, secondo
loro, una pura illusione e avrebbe solo un valore personale. Per la maggior
parte degli uomini, il cambiamento si confonde con l’idea di progresso o di
regresso a seconda che si avvicini o si allontani dal particolare gradino
occupato dall’osservatore nella scala degli esseri.
I missionari, quando incontrano dei superbi selvaggi che si muovono
liberamente nella loro nudità, credono di farli progredire dando loro abiti,
camicie, scarpe e cappelli, bibbie e catechismi, insegnando loro a salmodiare
in inglese e in latino. Da quali canti di trionfo in onore del progresso non
sono state accompagnate le inaugurazioni di tutte le fabbriche industriali, con
i loro annessi di bettole e ospedali!
Certamente l’industria ha portato effettivi progressi al suo seguito;
tuttavia è importante criticare con molto scrupolo i dettagli di questa grande
evoluzione!
Le miserabili popolazioni del Lancashire e della Slesia ci mostrano che
nella loro storia non tutto è stato vero progresso!
Non basta cambiare ceto ed entrare in una nuova classe sociale per
acquisire una più grande porzione di felicità; vi sono attualmente milioni di
operai dell’industria, di sarte, di donne di servizio, che ricordano con le
lacrime agli occhi la capanna materna, i balli all’aria aperta sotto l’albero
secolare e le veglie di sera attorno al camino. E di che natura è il preteso
progresso per le popolazioni del Camerun e del Togo, che hanno ormai l’onore di
essere protette dalla bandiera germanica, o per gli arabi algerini che bevono
l’aperitivo e si esprimono elegantemente in gergo parigino?
La parola civiltà, che si usa di solito per indicare il grado di
progresso di questa o quella nazione, è come il termine progresso una di quelle
vaghe espressioni i cui diversi significati si confondono.
Per la maggior parte delle persone, indica soltanto la raffinatezza dei
costumi e soprattutto le abitudini esteriori di cortesia; ciò non toglie che
uomini dal contegno austero e dai modi bruschi possano avere una morale di gran
lunga superiore a quella dei cortigiani che fanno complimenti cerimoniosi. Altri
vedono nella civiltà solo l’insieme di tutti i miglioramenti materiali dovuti
alla scienza e all’industria: ferrovie, telescopi e microscopi, telegrafi e
telefoni, dirigibili, macchine volanti e altre invenzioni che sembrano loro
sufficienti testimonianze del progresso collettivo della società; non vogliono
saperne di più, né penetrare nelle profondità dell’immenso organismo sociale.
Ma chi lo studia fin dalle sue origini, constata che ogni nazione
civilizzata si compone di classi sovrapposte, che rappresentano in questo
secolo tutti i secoli precedenti, con le loro corrispettive culture
intellettuali e morali. La società attuale contiene in sé tutte le società
anteriori allo stato di sopravvivenza; viste a contatto l’una con l’altra, le
situazioni estreme presentano uno scarto sorprendente. Evidentemente, la parola
progresso può essere causa dei più spiacevoli malintesi, a seconda
dell’accezione in cui è presa da chi la pronuncia.
I buddisti e gli interpreti della loro religione potrebbero contare a
migliaia le diverse definizioni del nirvana; allo stesso modo, secondo l’ideale
sul quale impostano la propria vita, i filosofi possono considerare come passi
in avanti le evoluzioni più diverse e persino le più contraddittorie. Per
alcuni il riposo è il sommo bene: si augurano, se non la morte, almeno la
perfetta tranquillità del corpo e dello spirito, l’ordine, quand’anche fosse
solo abitudine. Il progresso, come lo intendono questi esseri stanchi, non è
certamente quello concepito dagli uomini che preferiscono una pericolosa
libertà ad una tranquilla servitù.
Nondimeno, l’opinione comune relativa al progresso coincide con quella
di Gibbon ed implica il miglioramento della persona dal punto di vista della
salute, l’arricchimento materiale, l’incremento delle conoscenze, insomma il
perfezionamento del carattere, diventato certamente meno crudele, persino più
rispettoso dell’individuo e, forse, più nobile, più generoso, più altruista.
Considerato così, il progresso dell’individuo si confonde con quello della società,
rinsaldata da una forza di solidarietà sempre più profonda. In questa
incertezza, è importante studiare ogni fatto storico dall’alto e da lontano,
per non perdersi in dettagli e per trovare il distacco necessario con cui poter
stabilire i veri rapporti con l’insieme di tutte le civiltà connesse e di tutti
i popoli interessati.
Così, fra gli uomini di grande
intelligenza che negano nel modo più assoluto il progresso e persino ogni idea
di continua evoluzione in senso positivo, Ranke, pur storico di grande valore,
non vede nella storia che periodi susseguenti, che hanno ognuno il proprio
particolare carattere e che manifestano tendenze diverse, trasmettendo una vita
originale, imprevista, persino piccante, alle diverse tappe di ogni età e di
ogni popolo. Secondo questa concezione, il mondo sarebbe una specie di
pinacoteca. Se ci fosse progresso, dice lo scrittore pietista, gli uomini,
certi di un miglioramento di secolo in secolo, non sarebbero alle dirette
dipendenze della divinità, che vede in modo sempre uguale tutte le generazioni
che si susseguono nella serie dei tempi, come se esse avessero un identico
valore. Questa opinione di Ranke, così in disaccordo con quelle che si è
abituati a sentire fin dal diciottesimo secolo, giustifica una volta di più l’osservazione
di Guyau secondo cui l’idea religiosa è
in antagonismo con l’idea di progresso.
Se quest’ultima è rimasta a lungo sopita, appena risvegliata nei
filosofi del mondo antico più liberi di spirito, se ha preso vita e piena
coscienza di sé solo con il Rinascimento e con le rivoluzioni moderne, la causa
risale al dominio assoluto degli Dèi e dei dogmi che è durato dall’antichità al
Medio evo. Infatti, ogni religione parte dal principio che l’universo sia
uscito dalle mani di un creatore e che quindi abbia avuto inizio dalla suprema
perfezione....
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