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Quadratura del cerchio Cerchiatura del quadro (15/1)
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Quadratura del cerchio Cerchiatura del quadro (17)
IPAZIA
Quasi venti anni fa, quattro neonati furono portati nella foresta,
dov’era stato costruito per loro un palazzo. Ciascuno d’essi ebbe un alloggio a
parte, in un ambiente da cui non è mai uscito. I primi amori ricominceranno e
vedremo quel che accadrà!
VOCE
Benissimo… Vai avanti così!...
IPAZIA
Perduto, è il tempo, in quanto ci sta alle spalle, è già passato… ma
perduto, anche, nel senso più grave e profondo, perché è stato sciupato… lo si
è lasciato trascorrere senza andare a fondo del suo potere di seduzione… della
sua verità… o della felicità incorruttibile che esso contiene!
VOCE
E allora?... Chi è Lei?... Chi è?... Beatrice? Eva? Ottilia? Ipazia?...
Una maschera che si mette una maschera sulla maschera per perdersi nei
sessantasette livelli di fuga tra i libri?
IPAZIA
Il tempo non è come una linea dritta. Ogni tanto si attorciglia. E se
uno va veloce come la luce, tutto il suo passato, come un filo, si arrotola in
un unico gruno di tempo. L’eterno presente!
VOCE
L’avete sentita?... E’ un cerchio perfetto, quello, no? Quello da
quadrare. Una tempesta di chicchi senza passato né futuro. Ecco il suo posto
presente! Stare col suo anello e danzare fuori dal tempo!
IPAZIA
Se tutte le cose fossero fatte sparire dall’Universo, spazio e tempo,
sparirebbero anche essi. Mentre per Newton lo spazio assoluto sarebbe ciò che
resta, se Dio annientasse la materia.
…Però… se il tempo assoluto sta
in un cerchio… allora…
VOCE
Allora ci viene voglia di essere tutti. Di non finire. Di avere più
tempo. Più vita. Più vite. Dove vanno, i personaggi dei libri quando finisci di
leggerli? Ma anche tra una pagina e l’altra, mentre li sfogli… dove vanno? Cosa
fanno? Si nasce, al mondo, in molte forme: albero, pesce, fiume, farfalla…
donna… uomo… Eretico…
(M. R. Menzio, Spazio, tempo, numeri e stelle)
IL SOGNO DI GIULIANO (Cerchiatura del quadro)
Parto poi
torno, materialmente e con la memoria.
Tutti
dovremmo avere memoria storica, genetica, morale,
ho scoperto
però non essere una prerogativa umana,
una dote
essenziale.
Parto poi
torno e talvolta è come se non fossi mai nato,
o mai morto
nella riva del torrente dove ricordo.
Nella riva
del fiume dove dormo.
Nella tenda
dove ascolto,
nel grande
bosco dove prego.
Parto poi
torno con la memoria
e il sogno
che nulla scorda
in questa
grande terra che non conosco,
in questa
valle di cui non ricordo il nome,
per questa
montagna che ogni anno che passa
trovo
cambiata, mutata, rinsecchita.
Parto poi
torno, cercando ogni volta una fuga,
una
possibile strada di sopravvivenza.
Parto e poi
torno dai tanti libri che mi ‘volano d’intorno’,
dalle tante
pagine che mi fanno capolino,
dalle tante
verità che mi scrutano mute,
dalle eterne
parole che mi chiedono attenzione.
Attento il
sentiero è periglioso!
Attento la
valle è insidiosa!
Attento
alle genti, pur la bella rilegatura,
evocano
un’immagine impressa quale scudo araldico,
di una
difficile lingua sull’antica copertina. (1)
Le stagioni
che modellano il luogo sono dure,
gli oscuri
passi dove talvolta scruto muto
l’espressione
dei viandanti e abitanti, conserva tristi pagine,
pensieri
lontani non in sintonia con la bellezza dei panorami.
Parto e poi
torno nei miei e altrui ricordi,
e se
evocarli può arrecare dolore,
se leggere
la verità può portare rancore…..,
salgo
sull’alto ripiano, cammino lento nell’altipiano,
scruto
attento nella memoria,
cerco
riparo là dove non sono accetto,
scavo
scrupoloso nell’archeologia dei lineamenti,
fra una
pagina e l’altra, fra una lacrima e l’altra,
fra una
risata e l’altra, fra una presunzione e l’altra.
I ricordi
vagano fra un gradale e l’altro,
che con
puntualità da ‘bottegaio’ apro nell’oscura bufera
dove ho
dormito, sognato, e immaginato.
Fra una
pagina e l’altra vi è vita,
quella che
ci fu negata nella lenta traversata,
sulla
triste collina,
nel duro
campo,
sulla
difficile linea,
nella
squallida baracca,
nella
fredda e calda tenda,
nell’innominata
chiesa,
nell’antico
mulino,
vicino al
fiume nel ricordo di una prateria,
un deserto,
una distesa di ghiaccio,
un caldo
lago e un silenzio che è solo l’inizio.
Un immenso
ghiacciaio e una mare di verde, prima.
Una lancia
appuntita, e una grande traversata, poi.
Una roccia,
un frammento, una cascata, una via verso la vita.
Verso la
verità.
Verso il
ricordo,
sull’uscio
della caverna,
dove ho
abbandonato vita e dignità,
morale e
decoro,
disciplina
e responsabilità.
Amore e
affetti,
vita e
morte,
tempo e
luogo.
Responsabilità
e apparenza.
Salgo piano
dalla collina alla montagna,
schivo i
dardi, cerco accorto il sentiero,
studio
attento la cartina,
guardo
incosciente il panorama: attraverso l’occhio digitale
di un
pensiero divenuto occhio magico della memoria,
attraverso
l’anima di ciò che pensano senza anima,
attraverso
la parola di chi non ha parola,
attraverso
la pazzia di chi non conosce cura,
attraverso
la cura di chi conosce il raro dono della ‘pazzia’,
attraverso
pagine e ricordi scritti,
attraverso
parole e sogni mai svelati,
attraverso
libri ancora da scrivere, e altri per sempre dimenticati,
pagina per
pagina;
respiro che
diventa rantolo…poi pian piano sudore,
rancore,
pietà e rumore.
Frammenti
nel vicolo che diventa sentiero,
passo e
fuga,
aria più
tranquilla dicono, rarefatta;
roccia
armoniosa, polmoni aperti,
più
ossigeno per la via che diventa impervia,
per la
solitudine che ti osserva,
per la
roccia che ti scruta,
per l’acqua
che ti parla
….e per il
cacciatore che a fondo pagina ti punta.
Passo
veloce per il corpo che corre,
per la
pagina che finisce,
per il tomo
che si chiude;
paura che
prende, sangue che sgorga, anime in fuga,
vendette in
agguato, odio non pagato.
Croci in
cima alla vetta,
fosse
vicino alla cantina,
sentieri
prima della mèta,
storie che
dominano la vita.
Il sudore
si asciuga, il piede si riposa,
la parola
dopo il pensiero traccia l’icona alla fine della via,
della
strada, dell’affollata piazza,
alla fine
dello stretto vicolo prima del mercato,
dove i
ricordi diventano vivi, dove il calore divampa,
dove il
condannato fu trascinato senza motivo,
dove la
sentenza non ha repliche,
dove gli
stracci e l’umile sacca sono più pesanti dell’anima,
dove lo
sguardo nascosto è mutato nell’odio,
di volti
come maschere prestati alla disciplina,
di chi mai
appare perché il suo nome è solo un inutile confine,
che diventa
Impero e poi solo un lungo tormento.
Il ghigno
di chi ha sentenziato diventa tortura e la memoria dolore,
il freddo
verità,
la povertà
tua sola sostanza,
il tremore
passo incondizionato di fuga e riparo,
l’onestà la
colpa.
La cima
l’estremo sacrificio, il fuoco l’ultimo ricordo.
Il sogno
segna il passo.
L’incontro
un libro scritto o forse ancora non del tutto …pregato.
La
preghiera diviene litania,
e uguale
componimento nelle pagine della storia,
la frase
sconnessa l’oracolo di tanti e troppi Dèi dimenticati.
E …mai
pagati!
La moneta
ti osserva, il tempo la comanda.
La
ricchezza ti scruta, la potenza l’orienta.
La volontà
la sveglia, il sangue s’appresta, l’orgoglio avanza.
Il tempo,
suo compagno, ti inganna, mentre contempli il tutto che danza.
Il tempo
ritorna in cima alla vetta,
in cima
alla stanza,
dove il
libro sporge con incuranza e evidenzia una verità che parla,
e non vuol
essere contata.
Una verità
che segna il tempo e non vuole tempo,
che gela le
membra, che annebbia la vista,
che duole
fin dentro le ossa,
quelle dei
vivi e quelle dei morti
…e quelli
che moriranno ancora.
Il tempo in
essa spera e comanda,
mentre la
cima con orgoglio ritrovato contempli,
come un
vecchio tomo mai morto,
come una
vecchia stampa che ravviva i ricordi.
Sembra
facile, per taluni, andare e tornare,
sembra
facile per alcuni andare e parlare.
Ma io che
non conosco moneta e tempo,
dovrò
patire gli inganni della storia;
ed io che
non conosco e non prego croci,
su una
croce di legno segneranno la mia moneta,
e il tempo
di chi la conia.
La rabbia
ci assale,
nel ricordo
del sentiero cancellato,
nella
certezza di un inganno mai raccontato.
Se anche lo
fosse, ed è,
il tempo e
denaro non permettono l’indugio della verità.
La verità
ammirata, annusata, respirata, contemplata, pregata e pianta,
nell’angolo
di un torrente, nell’antro di un caverna, nel fitto di un bosco,
al margine
di una vecchia mulattiera,
vicino ad
una lapide,
un sasso
che parla,
una croce
che urla,
un granaio
che brucia,
una casa
che piange,
una donna
che fugge,
uno sparo
che insegue,
una fila di
cadaveri che compare invisibile,
una corda
che pende,
il silenzio
di un urlo…e nessuno che ha udito.
Volti che
piangono,
volti che
scompaiono,
anime che
imprecano,
vendette
che esplodono.
Ma nel
fragore di tanto silenzio qui o lassù,
tutto il
tempo che è e ci è appartenuto, muove l’anima,
fa vibrare
l’oscuro sentimento dell’oracolo,
dello
sciamano,
del pazzo.
Pazzi per
secoli, abbiamo contato tempo e denaro,
per il Dio
del sacrificio.
Pazzi per
millenni abbiamo confuso ragione e sentimento,
verità e
preghiera, Dio e Diavolo.
In cima
alla via, in fondo alla valle, hanno chiuso il libro
che per
millenni si è aperto ai nostri occhi,
hanno
eretto croci e segnato vie e sentieri,
cancellato
pietre e montagne,
mari e
civiltà, anime e universi,
di un mondo
e una natura che parla la sua lingua,
la sua
storia,
il verso
del tempo e del luogo,
il
geroglifico stratigrafico della pietra…
…nostra
compagna che impreca, che suda, che scorre e arma.
Il tempo
dell’essere ed appartenere,
la moneta
di un più giusto e probabile Dio. (2)
Così ora,
tra una pagina e l’altra,
che dono
come panorami mai morti della natura umana,
che offro
come acqua preziosa,
come un
fiume dove non ci bagnammo mai due volte,
ma che
tanto sangue ha visto scorrere,
compongo in
frammenti,
sentieri e
strade,
fra scenari
da non dimenticare,
fra vallate
da ricordare,
fra case da
contare,
fra sogni
da numerare,
fra guerre
da fotografare....
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