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In un testo tra i più recenti del Nuovo Testamento, la prima Epistola
di Pietro, scrivendo quasi certamente da una comunità dell’Asia Minore ad altre
comunità dell’Asia Minore in una situazione di tensione, se non di vera e
propria persecuzione, precisa quelli che a suo avviso dovrebbero essere gli
obblighi dei credenti (nel nostro caso cristiani e non) verso gli atei, coloro
cioè, propensi al più bieco materialismo privo di principi, affermando:
‘Carissimi, io vi esorto come stranieri ad astenervi dai desideri della
carne che fanno guerra all’anima’
Infatti, prosegue l’autore, la condotta del credente tra gli atei deve
essere irreprensibile: essi non devono prestare il fianco alle calunnie dei
denigratori non meno di quelle dei calunniatori.
Si tratta, per quanto ci consta, del più antico documento di una
concezione destinata a grande fortuna: la concezione della Fede come comunità
mondiale peregrinante su questa piccola Terra. Per meglio comprendere questa
novità, occorre tener presente che, il nostro breve intervento, si compone di tre
distinte concezioni profondamente diverse ma unite nell’intento di fede verso la
finalità di una riflessione certamente più profonda di quanto possa apparire ad
una approssimata lettura. Due concezioni una antropologica-individualistica
di matrice greco-ellenistica e la concezione teologico-collettiva propria della
tradizione ebraica.
Iniziamo dalla seconda di matrice biblica, a partire dal testo
fondamentale di Gn 12, 1, là dove il
Signore ingiunge ad Abramo: ‘Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e
dalla casa di tuo padre, verso il paese che ti indicherò’, individua nello
stesso Israele un popolo pellegrino, la cui condizione permanente di Straniero
non terminerà nemmeno con l’arrivo nella terra promessa, dal momento che anche
questa terra appartiene a Dio e, pertanto, Israele permane in essa ospite e
forestiero (Lv 25, 23).
Ne consegue
che, mentre la metafora dello Straniero indica, nella tradizione filosofica
ellenistica, una condizione di estraniazione dell’Anima, il vero sé dell’uomo,
rispetto alle sue concrete condizioni esistenziali, nella Bibbia, di contro,
essa serve ad indicare una relazione tra Dio e l’uomo, inteso nella sua
totalità (non vi è privilegia mento di una componente quale l’Anima) e come
popolo, sullo sfondo di una concezione positiva del mondo, creatura di Dio.
Queste due concezioni si erano incontrate, nell’ambito del giudaismo
ellenistico, nel pensiero di Filone Alessandrino, che, alla luce della sua
particolare filosofia mosaica, le aveva rilette e fuse, dando luogo a una
reinterpretazione destinata ad influenzare anche la tradizione cristiana. Il
suo particolare platonismo porta Filone ad estendere la situazione di
estraneità al mondo dal popolo eletto all’uomo in quanti tale.
Adamo, in seguito al peccato, fu cacciato dal paradiso ed esiliato. Di
conseguenza, ogni figlio di Adamo si trova a partecipare di questa condizione
di esilio. La sua vera patria, infatti, è il cielo; ognuno di noi entra nel
cosmo come una città straniera, in cui è destinato a soggiornare
temporaneamente. Emerge così, un secondo tema, legato ma distinto dal primo: la
vera patria di questo Straniero è non tanto il cielo, ma la città celeste, o
meglio, da buon abitante di Alessandria, la megalopoli di cui a rigore l’unico
cittadino è Dio.
Se è vero che Filone universalizza il tema del popolo eletto come
popolo migrante, pellegrino, è altresì vero che sullo sfondo delle sue
preoccupazioni etiche egli lo individualizza. Per un verso, riprendendo spunti
platonici, egli applica la metafora dello Straniero al dato etico- evolutivo;
per un altro, però, ciò che gli preme mettere in luce è che la condizione di
Straniero deve essere consapevolmente vissuta dal saggio. Il comportamento
biblico di questo comportamento etico-religioso, cui deve aspirare il saggio se
vuole ritornare nella sua vera patria, gli è fornito da Giacobbe.
Un ultimo spunto merita di essere sottolineato: proprio perché la vera
patria dell’amico di Dio è la città intelligibile, egli deve volontariamente
mantenersi in questa condizione di estraneità al corpo e al mondo. Se la sua
residenza è celeste, lo sarà anche la propria familiarità con Dio. Di
conseguenza, egli dovrà conservare la sua situazione di Straniero nel soggiorno
temporaneo nei confronti del corpo e del mondo, con la conseguente situazione
di estraneità. Il vero amico di Dio – questo in fondo il senso ultimo della
spiritualità di Filone, precorritrice di certa ascesi cristiana – è colui che,
estraniandosi dal mondo e rinunciando ai suoi beni, potrà così rifugiarsi
presso Dio....
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