Prosegue in:
Nell'Anima collettiva (2)
…La coscienza non è la corrente dell’esperire vitale, ma nasce nella
misura in cui quest’ultimo è trafitto dal lampo della comprensione.
Prendiamo in considerazione, per accertarci di ciò anche empiricamente,
le forme in cui si manifesta la vita o, quanto meno, la vita organica.
Prendiamo ad esempio le piante!
In nessuna epoca e in nessun popolo si è mai dubitato del fatto che
esse siano viventi; il pensiero autentico ha in comune con quello arcaico la
tendenza a scorgere la pienezza della vita, ancor più che nell’irrequietezza
dell’animale, proprio nella lussureggiante vegetazione del bosco primordiale,
ed il culto degli alberi diffuso quasi dappertutto nella preistoria ha proprio
in ciò le sue radici.
Nessuno, a meno che non sia già pienamente incorso nell’errore sopra
esaminato, attribuirà perciò una coscienza alla pianta, ritenendola capace di
avere comprensione tanto del raggio di sole quanto perfino del proprio esperire
vitale della luce. E questo ci porta subito ad un punto ulteriore, in cui
conoscenza e vita sono nettamente separate.
Le componenti della vita, nelle piante come negli animali, sono – come noto
– le cellule.
La vita appartiene sempre al corpo cellulare; ma, in quanto tale, si
sottrae interamente alla coscienza. In ciascuno di noi, senza dubbio la vita
delle cellule risale ininterrottamente – attraverso milioni di morti e di
nascite di caduchi individui – fino ai primi giorni agglomerati di protoplasma
del ‘brodo primordiale’; i nostri ricordi coscienti, invece, non conservano
neppure più la vita embrionale del corpo nel ventre materno, per non parlare
delle esperienze vitali dei nostri progenitori. Mentre la vita in noi è
soltanto la parte anteriore ogni volta istantanea di una corrente incessantemente
fluente, che risale senza interruzione fino all’epoca in cui si formò la roccia
scistosa cristallina, la coscienza si vede invece limitata alla durata
esistenziale del singolo essere umano, e in confronto a quella diventa
letteralmente un nulla.
E’ possibile che, nonostante ciò, vita e coscienza siano state
confuse?
Intanto, non occorre guardare all’esterno, per trovare conferma del
fatto che la coscienza assomiglia soltanto al lampeggiare che continuamente si
accende sulle acque della vita, illuminando di volta in volta un raggio
limitato, ma lasciando gli orizzonti lontani nella loro oscurità inafferrabile alla
coscienza; quotidianamente, infatti, ne abbiamo coscienza da noi stessi.
Se la moderna scienza dell’Anima, che si presume tale, ha dovuto
lasciare in parte allo pseudo sapere del cosiddetto ‘occultismo’, in parte allo
pseudo sapere della medicina l’intero ambito del ‘dono profetico’, dal
presentimento, dal sogno, dall’istinto, fino al sentimento della lontananza,
alla chiaroveggenza e alla percezione sonnambolica - riuniti dal molto più illuminato
Romanticismo nel concetto di ‘polo notturno della coscienza’ -, ciò è allora l’espressione
non di una mera mancanza, bensì di una mezza paralisi del pensiero che ha la
sua origine nel disconoscimento intellettualistico della vita…
La vita non è percepita, bensì sentita con oscura intensità… E a noi
basta riflettere soltanto su questo sentimento, per accorgerci della realtà
della vita con una certezza, oltre la quale nulla può essere più certo.
Se giudichiamo, pensiamo o vogliamo, oppure desideriamo, sogniamo,
fantastichiamo, è l’unica medesima corrente del sentimento elementare della
vita a sostenere e pervadere tutto ciò, ed essa non può essere paragonata a
niente, ricondotta a nulla, né concepita né analizzata, e certo neppure mai ‘compresa’.
E poiché noi stessi, vivendo, sentiamo la vita, allora incontriamo la
vita anche nell’immagine del mondo. Detto in breve: viviamo la nostra vita e in
essa la vita universale…
(L. Bonesio, L’uomo e la Terra)
Esplicito cotal dire….
Sono
stato eretico predicatore alpinista scienziato geologo geografo storico.
Ho
combattuto guerre… mi hanno ucciso!
Mi hanno
messo su una croce.
Ho
discusso di resurrezione.
Ho avuto
delle visioni e ho cercato di interpretarle.
Ma prima
di esse sono stato sciamano.
E ancor
prima… miriade diverse di forme viventi.
Ho
pregato come un buddista sotto un albero.
Ho
pianto come un druido all’ombra di esso.
Poi ne ho studiato forma consistenza ed
utilità.
Dalla
bellezza dei rami e delle foglie ho compreso e studiato la loro funzione.
Ho
iniziato a respirare l’aria che mi ero guadagnato e grazie ad essa restituito
in quieta specie di parlare.
Sono
divenuto acqua e ho scavato letti che ora percorro in cerca della memoria.
Ho visto
grotte ne conservo ricordi e disegni che vi ho tracciato. Sono stato cacciatore…,
un tempo…
Mentre
adesso istintivamente guardo al suolo in cerca di qualcosa, una Vela mi insegna
e fiuta il passato divenuto presente.
Mi hanno
braccato… avverto l’odore della paura.
Mi hanno
ucciso.
Piango
me stesso sulle poche ceneri di un fuoco acceso di fretta.
Mi hanno
imprigionato… ancora vedo il maestoso castello in cui una volta ero signore.
La
congiura di nuovo padrona.
Ho fatto
miracoli.
Poi ho
studiato i segreti della vita.
Più
miracolosa ancora.
Ho
incontrato gente diversa ma con caratteristiche comuni.
Ho
parlato loro di filosofia e quando questa non bastava sono salito nello spazio
profondo per spiegare la vita ancora prima della vita.
Ho perso
forma peso e gravità.
Mi sono
dissolto in un gas scomposto. Mentre la
forza del calore divampava.
Perché
urlavo contro il Tempo… questo maleficio questo diavolo che mi ha legato in
questo luogo.
Sono
andato oltre la sua dimensione e qualche delatore mi ha denunciato… mentre
pregavo la verità… una verità senza Tempo.
Poi sono scomparso nel nulla di un punto e
forma contratta alla materia.
Mentre
gridavo all’orrore.
Sono
morto tante volte… e poi rinato nella gioia di una natura che non mi
disconosce.
Ma è
vero… con l’orrore negli occhi nella voce nel pensiero…
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