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Se avrai imparato a disegnare la foglia (61)
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Orion (M. Twain) (63)
… È mia convinzione che il carattere umano è
legge, legge ferrea, e bisogna obbedirle, anche se non la si approva; è palese,
a mio modo di vedere, che il carattere è una legge divina e suprema e ha
precedenza su tutte le leggi umane. È mia convinzione che ognuna delle
leggi umane esistenti ha uno scopo distinto e un’intenzione precisa, e solo
questi: opporsi, cioè, a una legge divina e sconfiggerla, degradarla, deriderla
e calpestarla.
Non troviamo nulla di male se il ragno
proditoriamente tende la trappola alla mosca e le toglie la vita; non lo
chiamiamo assassinio; ammettiamo che il ragno non ha inventato il proprio
carattere, la propria natura, e non è perciò da biasimare per gli atti che la
legge della sua natura richiede ed esige. Facciamo perfino questa grossa
concessione: che nessun’arte e nessuna abilità potranno mai riformare il ragno
e persuaderlo a far cessare i suoi crimini.
Non biasimiamo la tigre perché ubbidisce alla
legge crudele del carattere che Dio le mise dentro e alla quale la tigre deve
ubbidire.
Non biasimiamo la vespa per la terribile
crudeltà che usa paralizzando il ragno con il suo aculeo e ficcandolo in un
buco nel terreno per farvelo soffrire per molti giorni, mentre i suoi piccoli
torturano sempre più l’impotente creatura con una morte lunga ed orribile,
rosicchiando dal suo corpo la razione giornaliera; ammettiamo che la vespa
obbedisce rigorosamente e impeccabilmente alla legge di Dio, così come è
richiesto dal carattere che Egli le ha messo dentro.
Non biasimiamo la volpe, la ghiandaia e le
molte altre creature che vivono rubando; ammettiamo che obbediscono alla legge
divina emanata dal carattere che Dio ha fornito loro.
Non diciamo alla capra e al montone: ‘Non
commetterai adulterio’, perché sappiamo che esso è radicato in modo
inestirpabile nel loro carattere, cioè nella natura con la quale sono nati; Dio
ha detto loro: ‘Tu commetterai adulterio’.
Se continuassimo fino a distinguere e
nominare separatamente i singoli caratteri distribuiti fra le miriadi del mondo
animale scopriremmo che la reputazione di ciascuna specie è determinata da un
tratto speciale e prominente; e scopriremmo poi che tutti questi tratti, e
tutte le sfumature di questi molti tratti, sono stati distribuiti anche fra
il genere umano; che in ogni uomo esistono una dozzina o più di questi
tratti e che in molti uomini esistono tracce e sfumature di tutti i tratti. In
quelli che chiamiamo animali inferiori il carattere è spesso composto
semplicemente di uno o due o tre di questi tratti; ma l’uomo è un animale
complesso e occorrono tutti i tratti per costituirlo.
Nel coniglio troviamo sempre mansuetudine e
timidezza, e mai coraggio, insolenza, aggressività; perciò quando si nomina il
coniglio ricordiamo sempre che è mansueto e timido; se ha degli altri tratti o
distinzioni - che non siano un’eccessiva e disordinata fecondità -, essi non ci
vengono in mente.
Quando consideriamo la mosca domestica e la
pulce, ricordiamo che per splendido coraggio il nobile cavaliere e la tigre
restano distanti e che per impudenza e protervia sono a capo dell’intero regno
animale, compreso anche l’uomo; se queste creature hanno altri tratti, essi
sono tanto oscurati da quelli che ho nominati che ad essi non ci capita di
pensare.
Quando si nomina il pavone ricordiamo la
vanità e nessun altro tratto; quando pensiamo alla capra ricordiamo l’incontinenza
e nessun altro tratto; quando si nominano alcune razze di cani ricordiamo la
fedeltà e nessun altro tratto; quando si nomina il gatto ricordiamo la sua
indipendenza - un tratto che egli solo, di tutte le creature, uomo compreso,
possiede - e nessun altro tratto, a meno di essere stupidi e ignoranti, e
allora pensiamo all’inganno sleale, un tratto comune a molte razze di cani ma
non comune fra i gatti.
Possiamo trovare un paio di tratti cospicui
in ogni famiglia di quelli che chiamiamo impudentemente animali inferiori; in
ciascun caso questo paio di tratti cospicui distinguono quella famiglia e sono
così importanti da stabilire eternamente e immutabilmente il carattere di quel
ramo del mondo animale. In tutti questi casi ammettiamo che i singoli caratteri
costituiscono una legge divina, un comando divino, e che qualsiasi cosa si
faccia in obbedienza a quella legge non possa biasimarsi.
L’uomo discende da quegli animali; da essi egli ereditò ogni suo tratto; da essi ereditò in
massa tutti i loro numerosi tratti, e con ognuno la parte della legge divina
insita in esso.
Da essi egli si distingue in questo: che egli
non possiede un singolo tratto che abbia la stessa e uguale importanza in
ciascun membro della razza. La famiglia umana non può esser descritta con una
sola frase; ogni individuo va descritto separatamente.
Uno è coraggioso, un altro codardo; uno è
mite e gentile, un altro feroce; uno è superbo e vanitoso, un altro umile e
modesto. I molteplici tratti sparsi, uno o due per volta, per il grande mondo
animale, sono tutti concentrati, in vari e delicati gradi di sfumatura di
intensità e sottigliezza, sotto forma di istinti, in ciascuno dei membri dell’umana
famiglia.
In alcuni uomini i tratti malvagi sono così
tenui da risultare impercettibili, mentre quelli più nobili emergono cospicui.
Noi descriviamo quell’uomo secondo i suoi bei
tratti e gli rendiamo lode e gli accordiamo alto merito per il loro possesso.
È ridicolo.
Non inventò lui i tratti che ha; non fu lui a
fornirsene; li ebbe in eredità quando nacque; glieli conferì Dio; sono la legge
che Dio impose a lui, ed egli non potrebbe sottrarsi all’obbedienza, anche se
lo tentasse.
Talvolta un uomo è un assassino nato, o un
furfante nato - come Stanford White -, e il mondo gli è prodigo di censura e di
biasimo; ma egli non fa che obbedire alla legge della sua natura, alla legge del
suo carattere; è affatto improbabile che tenti di disobbedite, e se tentasse
non vi riuscirebbe.
È un fatto curioso e umoristico che noi
scusiamo tutte le cose spiacevoli che fanno le creature che strisciano e volano
e nuotano e camminano su quattro zampe, riconoscendo sufficiente la ragione che
essi obbediscono alla legge della loro natura, che è legge divina, e sono
perciò innocenti; poi facciamo un voltafaccia, e pur avendo di fronte il dato
evidente che noi riceviamo tutti i tratti spiacevoli ereditandoli da quelle
creature, affermiamo pianamente di non aver ereditato insieme ad essi l’immunità,
ma ch’è nostro dovere ignorare, abolire e infrangere queste leggi divine.
A me sembra che tale argomentazione non si
regge sulle gambe e che non è tanto moderatamente umoristica quanto
violentemente grottesca.
È mia convinzione che la razza umana non è il
bersaglio adatto per le espressioni aspre e le critiche amare, e che l’unico
sentimento giustificabile nei suoi confronti è la compassione; essa non inventa
se stessa, e non ebbe parte nel progettare il proprio carattere debole o solido…
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