CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
30 MAGGIO 1924

mercoledì 27 dicembre 2017

DALLA FOGLIA ALL'UOMO (M. Twain) (62)



















Precedenti capitoli:

Se avrai imparato a disegnare la foglia (61)

Prosegue in:

Orion (M. Twain) (63)














… È mia convinzione che il carattere umano è legge, legge ferrea, e bisogna obbedirle, anche se non la si approva; è palese, a mio modo di vedere, che il carattere è una legge divina e suprema e ha precedenza su tutte le leggi umane. È mia convinzione che ognuna delle leggi umane esistenti ha uno scopo distinto e un’intenzione precisa, e solo questi: opporsi, cioè, a una legge divina e sconfiggerla, degradarla, deriderla e calpestarla.




Non troviamo nulla di male se il ragno proditoriamente tende la trappola alla mosca e le toglie la vita; non lo chiamiamo assassinio; ammettiamo che il ragno non ha inventato il proprio carattere, la propria natura, e non è perciò da biasimare per gli atti che la legge della sua natura richiede ed esige. Facciamo perfino questa grossa concessione: che nessun’arte e nessuna abilità potranno mai riformare il ragno e persuaderlo a far cessare i suoi crimini.




Non biasimiamo la tigre perché ubbidisce alla legge crudele del carattere che Dio le mise dentro e alla quale la tigre deve ubbidire.

Non biasimiamo la vespa per la terribile crudeltà che usa paralizzando il ragno con il suo aculeo e ficcandolo in un buco nel terreno per farvelo soffrire per molti giorni, mentre i suoi piccoli torturano sempre più l’impotente creatura con una morte lunga ed orribile, rosicchiando dal suo corpo la razione giornaliera; ammettiamo che la vespa obbedisce rigorosamente e impeccabilmente alla legge di Dio, così come è richiesto dal carattere che Egli le ha messo dentro.




Non biasimiamo la volpe, la ghiandaia e le molte altre creature che vivono rubando; ammettiamo che obbediscono alla legge divina emanata dal carattere che Dio ha fornito loro.

Non diciamo alla capra e al montone: ‘Non commetterai adulterio’, perché sappiamo che esso è radicato in modo inestirpabile nel loro carattere, cioè nella natura con la quale sono nati; Dio ha detto loro: ‘Tu commetterai adulterio’.




Se continuassimo fino a distinguere e nominare separatamente i singoli caratteri distribuiti fra le miriadi del mondo animale scopriremmo che la reputazione di ciascuna specie è determinata da un tratto speciale e prominente; e scopriremmo poi che tutti questi tratti, e tutte le sfumature di questi molti tratti, sono stati distribuiti anche fra il genere umano; che in ogni uomo esistono una dozzina o più di questi tratti e che in molti uomini esistono tracce e sfumature di tutti i tratti. In quelli che chiamiamo animali inferiori il carattere è spesso composto semplicemente di uno o due o tre di questi tratti; ma l’uomo è un animale complesso e occorrono tutti i tratti per costituirlo.




Nel coniglio troviamo sempre mansuetudine e timidezza, e mai coraggio, insolenza, aggressività; perciò quando si nomina il coniglio ricordiamo sempre che è mansueto e timido; se ha degli altri tratti o distinzioni - che non siano un’eccessiva e disordinata fecondità -, essi non ci vengono in mente.

Quando consideriamo la mosca domestica e la pulce, ricordiamo che per splendido coraggio il nobile cavaliere e la tigre restano distanti e che per impudenza e protervia sono a capo dell’intero regno animale, compreso anche l’uomo; se queste creature hanno altri tratti, essi sono tanto oscurati da quelli che ho nominati che ad essi non ci capita di pensare.

Quando si nomina il pavone ricordiamo la vanità e nessun altro tratto; quando pensiamo alla capra ricordiamo l’incontinenza e nessun altro tratto; quando si nominano alcune razze di cani ricordiamo la fedeltà e nessun altro tratto; quando si nomina il gatto ricordiamo la sua indipendenza - un tratto che egli solo, di tutte le creature, uomo compreso, possiede - e nessun altro tratto, a meno di essere stupidi e ignoranti, e allora pensiamo all’inganno sleale, un tratto comune a molte razze di cani ma non comune fra i gatti.




Possiamo trovare un paio di tratti cospicui in ogni famiglia di quelli che chiamiamo impudentemente animali inferiori; in ciascun caso questo paio di tratti cospicui distinguono quella famiglia e sono così importanti da stabilire eternamente e immutabilmente il carattere di quel ramo del mondo animale. In tutti questi casi ammettiamo che i singoli caratteri costituiscono una legge divina, un comando divino, e che qualsiasi cosa si faccia in obbedienza a quella legge non possa biasimarsi.

L’uomo discende da quegli animali; da essi egli ereditò ogni suo tratto; da essi ereditò in massa tutti i loro numerosi tratti, e con ognuno la parte della legge divina insita in esso.




Da essi egli si distingue in questo: che egli non possiede un singolo tratto che abbia la stessa e uguale importanza in ciascun membro della razza. La famiglia umana non può esser descritta con una sola frase; ogni individuo va descritto separatamente.

Uno è coraggioso, un altro codardo; uno è mite e gentile, un altro feroce; uno è superbo e vanitoso, un altro umile e modesto. I molteplici tratti sparsi, uno o due per volta, per il grande mondo animale, sono tutti concentrati, in vari e delicati gradi di sfumatura di intensità e sottigliezza, sotto forma di istinti, in ciascuno dei membri dell’umana famiglia.

In alcuni uomini i tratti malvagi sono così tenui da risultare impercettibili, mentre quelli più nobili emergono cospicui.




Noi descriviamo quell’uomo secondo i suoi bei tratti e gli rendiamo lode e gli accordiamo alto merito per il loro possesso.
È ridicolo.
Non inventò lui i tratti che ha; non fu lui a fornirsene; li ebbe in eredità quando nacque; glieli conferì Dio; sono la legge che Dio impose a lui, ed egli non potrebbe sottrarsi all’obbedienza, anche se lo tentasse.

Talvolta un uomo è un assassino nato, o un furfante nato - come Stanford White -, e il mondo gli è prodigo di censura e di biasimo; ma egli non fa che obbedire alla legge della sua natura, alla legge del suo carattere; è affatto improbabile che tenti di disobbedite, e se tentasse non vi riuscirebbe.




È un fatto curioso e umoristico che noi scusiamo tutte le cose spiacevoli che fanno le creature che strisciano e volano e nuotano e camminano su quattro zampe, riconoscendo sufficiente la ragione che essi obbediscono alla legge della loro natura, che è legge divina, e sono perciò innocenti; poi facciamo un voltafaccia, e pur avendo di fronte il dato evidente che noi riceviamo tutti i tratti spiacevoli ereditandoli da quelle creature, affermiamo pianamente di non aver ereditato insieme ad essi l’immunità, ma ch’è nostro dovere ignorare, abolire e infrangere queste leggi divine.

A me sembra che tale argomentazione non si regge sulle gambe e che non è tanto moderatamente umoristica quanto violentemente grottesca.

È mia convinzione che la razza umana non è il bersaglio adatto per le espressioni aspre e le critiche amare, e che l’unico sentimento giustificabile nei suoi confronti è la compassione; essa non inventa se stessa, e non ebbe parte nel progettare il proprio carattere debole o solido…



















Nessun commento:

Posta un commento