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Il loro 'Verbo' (48)
Prosegue in:
Il boccone breve l'Arte Infinita ovvero: servi & governanti (50)
Eppur quell’‘antico’ ‘Verbo’ (in riferimento quanto
precedentemente detto), o almeno la Parola senza quello producono
per qualcuno una Grammatica scomposta, una Eresia antica, ma in nome e
per conto di un Eretico che da una fredda grotta (o un antro secondo medesima
Divina Conoscenza) partorì Madre Natura dobbiamo, a ragion veduta, porre breve
asterisco della Storia….
Giacché sono e rimango uno Straniero come dall’Eretico detto….
Quel ‘Verbo’… dicevo… come tutte le cose Divine appartiene al divenire (ciclico e/o non)
della Storia quindi della comune Memoria condivisa, e come bene ebbe a dire
quel Giamblico, anche lui Filosofo della medesima ‘essenza divina’ circa
l’Anima (ed io in questo caso intendo Anima-Mundi): contiene evolve e procede secondo
una propria ‘mutevolezza’; ed in ciò riscontrabile quasi una affinità con un
primitivo pensiero Buddhista circa la stessa…
…Comunque dicevo: ogni cosa dall’Albero della vita matura foglia e
frutto, anche se i Manichei avevano un’idea ben precisa circa medesimo Albero
da cui la stessa… e non mi dilungo: ammiro l’Albero nella contemplativa
consapevolezza che ‘ogni frutto’ di questa nuova èra è pur distante (ed
aggiungo corrotto) dall’originaria Natura; esula, se mi è concessa
l’analogia, dalla radice e quindi da medesima Terra ove trova il proprio
sostentamento per donare la vita da una Luce anch’essa fondamentale per il
conseguimento della Vita…
…E la foglia prima di quello (tralasciando e trascurando quel Giardino
in cui pongo mio regale dissenso) irrimediabilmente ulcerata da codesta nuova
vita in nome e per conto d’una insana Economia ed il progresso coniare falsa moneta nella Genesi così mal
interpretata, ma comunque sia, ben perseguita in onor di ogni concreta
Conoscenza… divorata da medesimo giardino divenuto orto incolto d’un pentimento
al crocevia di una breve esistenza…
…Così non c’è da stupirsi se la ‘rappresentazione’ alla mensa
raccolta abbia generato opposto e vorace appetito nei ‘Pii’ secoli numerati,
non meno del greco filosofo che l’ha preceduta, di certo pur le tante troppe
Parole, i frutti, di cui uno, come un mito, a voi ripropongo solo per dire che
tutto è pur corrotto dall’origine cui ognuno ammira l’Albero della Vita e la
mela non va pur colta… per il bene del ‘Pil’ della stessa…
Giacché l’intento di questo frutto è una sana Terapia… poi solo...
(il curatore… del blog)
[2] La scelta di tali filosofi appare subito
chiara dal loro nome: essi si chiamano θεραπευταί e θεραπευτρίδες e questa loro
denominazione, che deriva dal verbo θεραπεύω, è ben adeguata per due ragioni: esercitano
infatti una terapia medica più nobile di quella praticata in città, poiché
quest’ultima cura soltanto i corpi mentre quella anche le anime, afflitte da
mali gravi e difficilmente curabili, mali che furono originati da piaceri e
desideri e sofferenze, paure, ambizioni, follie, ingiustizie e da una quantità
inesauribile di altre passioni e vizi; inoltre, essi furono educati a servire l’Essere
secondo la natura e le sacre leggi; e l’Essere è più grande del Bene e più puro
dell’Uno, ed ha un’origine più antica della Monade. [3] Chi, fra quanti professano pietà religiosa,
è degno d’esser paragonato ad essi? Forse coloro che onorano gli elementi,
terra, acqua, aria, fuoco? Elementi a cui alcuni diedero un nome, altri un
altro: il fuoco fu denominato Efesto dal termine ‘accensione’, credo; l’aria
Era, perché è sollevata ed elevata in alto; l’acqua Posidone, certamente perché
suggerisce l’idea del bere, la terra Demetra, perché sembra sia la madre di
tutti, vegetali ed animali. [4] Ma questi nomi sono invenzioni dei sofisti,
mentre gli elementi sono materia priva di vita e da se stessa incapace di
movimento, sottomessa all’Artefice per quanto riguarda tutte le specie di forme
e qualità. [5] Si vorrà forse paragonare ai Terapeuti coloro che adorano i
corpi celesti, formati dagli elementi, il sole, la luna o tutti gli astri fissi
o vaganti o il cielo intero e l'universo? Anche questi tuttavia non hanno avuto
origine da se stessi, ma da un demiurgo perfettissimo nella sua sapienza. [6]
O, ancora, coloro che adorano i semidei? Ma questo concetto è perfino degno di
derisione; infatti, come potrebbe lo stesso individuo essere immortale e
mortale? Si aggiunga che anche la causa della loro nascita è riprovevole, piena
di un’intemperanza giovanile che i loro adoratori osano empiamente ascrivere
alle potenze divine e beate: proprio gli esseri, infatti, che non sono toccati
da alcuna passione e godono di perfetta beatitudine si sarebbero uniti alle
donne mortali, presi per esse da folle amore. [7] Sono forse paragonabili ai
Terapeuti coloro che adorano statue ed immagini, la cui essenza è pietra e
legno? Entità fino a poco tempo prima del tutto prive di forma, che gli
spaccapietre e i taglialegna sbozzarono dalla struttura a loro congenita;
pietra e legno di cui sono stretti parenti i catini ed i lavacri per i piedi e
tutti gli altri utensili più squallidi che servono a scopi degni di tenebra più
che di luce. [8] Quanto agli dei degli Egizi, è bene non farne neppur menzione:
questo popolo ha portato agli onori divini animali privi di ragione e non solo
tra quelli domestici, ma anche tra i peggiori di quelli selvatici, scelti da
ogni specie esistente nel mondo sublunare: tra quelli terrestri, il leone, tra
gli acquatici il coccodrillo indigeno, tra i volatili il nibbio e l’ibis
egizio. [9] Ed essi, pur vedendo che queste creature sono generate, bisognose
di cibo ed insaziabili nel nutrimento, piene di lordura e velenose, mangiatrici
di uomini, preda di ogni tipo di malattia e destinate a perire non solo di
morte naturale ma spesso anche violenta, ebbene, si inchinano davanti ad esse,
loro, civili, davanti ad esseri incivili e selvaggi; loro, dotati di ragione,
davanti ad esseri che ne sono privi; loro, parenti degli dei, si inchinano
davanti a chi non può esser paragonato neppure a tipi come Tersite; loro,
padroni e dominatori, davanti a chi è per natura loro soggetto e schiavo. [10]
Costoro dunque, stravolgendo il senno non solo della loro gente ma anche dei
loro vicini, vivono privi di cura (ἀθεράπευτοι), perché privi del più
necessario dei sensi, la vista; intendo dire non quella fisica, ma quella
spirituale, che sola distingue il vero dal falso. [11] I Terapeuti invece, che
sin dal principio hanno imparato a vedere, tendano con tutte le loro forze alla
visione dell’Essere ed oltrepassino il sole sensibile e non abbandonino mai
questo loro posto, che conduce alla perfetta felicità. [12] Coloro che
intraprendono tale servizio spirituale, non seguono un'usanza, né un’esortazione
o un suggerimento, ma, rapiti da amore celeste, come baccanti o coribanti, sono
posseduti dallo spirito divino, finché non vedono ciò che desiderano. [13] Poi,
per il desiderio d’una vita immortale e beata, ritenendo ormai terminata la
loro vita mortale, anticipano, per loro particolare desiderio, la divisione
dell’eredità e lasciano le loro sostanze ai figli o alle figlie e ad altri
parenti e se non hanno parenti, a compagni ed amici; bisogna infatti che coloro
che prontamente e con aperta disponibilità hanno ricevuto la ricchezza che
vede, consegnino la ricchezza cieca a chi ancora ha la mente cieca. [14] I
Greci elogiano Anassagora e Democrito, poiché, presi dalla passione per la
filosofia, abbandonarono i loro possessi terrieri al bestiame che li divorasse.
Anche io ho stima per gli uomini che sono superiori alle loro ricchezze; però,
quanto migliori sono quelli che non permettono al bestiame di divorare i loro
possedimenti, ma soddisfano le necessità umane dei loro parenti ed amici e li
rendono, da indigenti, ricchi? Quest’ultimo è il comportamento che mi sembra
sobrio e scelto con estrema esattezza: il primo, invece, lo giudico
sconsiderato, per non dire folle, da parte di uomini che i Greci hanno
ammirato. [15] Agiscono forse diversamente i nemici quando saccheggiano la
terra degli avversari e ne tagliano gli alberi, perché quelli, costretti dalla
mancanza di mezzi necessari, s'arrendano? Così ha fatto Democrito ai suoi
parenti, causando loro miseria e povertà con le sue stesse mani, sia pure non
premeditatamente, ma per non aver previsto e considerato ciò che era necessario
agli altri. [16] Quanto più grandi e più ammirabili sono costoro che, pur con
un ardore non minore per gli studi filosofici, preferiscono tuttavia la
generosità all’indifferenza? Essi diedero via i loro possedimenti ma non li
fecero distruggere, così da agevolare gli altri con una abbondante ricchezza
materiale e se stessi con lo studio della filosofia. La preoccupazione per la
ricchezza ed i beni materiali consuma infatti chi ne fa uso: invece è bene
risparmiare tempo, dal momento che, come dice il medico Ippocrate, ‘la vita è
breve ma l’arte è lunga’. [17] Mi sembra che a questo concetto alluda anche
Omero nell'Iliade, al principio del XIII canto, con questi versi: ‘I
Misi bravi nel corpo a corpo ed i nobili Ippomolghi, che si nutrono di latte
senza cibi raffinati, i più giusti tra gli uomini’. Con questo voleva
significare che l’ansia per il sostentamento e il desiderio di guadagno
generano ingiustizia a causa dello squilibrio che creano, mentre la scelta
opposta genera giustizia grazie all'equilibrio, secondo il quale la ricchezza
della natura ha un limite e dà maggior serenità rispetto a quella che risiede
nelle vane opinioni. [18] Una volta dunque che si sono spogliati dei loro beni,
non più schiavi di nessuno, fuggono senza voltarsi indietro, dopo aver
abbandonato i fratelli, i figli, le mogli, i genitori, la vasta parentela, la
cerchia degli amici, la terra patria in cui furono generati e nutriti, poiché l’intima
familiarità tiene legati e rende completamente schiavi. [19] Non vanno però ad
abitare in un’altra città, come coloro che, sfortunati o malvagi, chiedono di
essere messi in vendita da chi li ha acquistati, procurandosi soltanto un
cambiamento di padrone, non la libertà: ogni città infatti, anche la meglio
governata, è piena di rumore e di innumerevoli disturbi che non può sopportare
chi sia stato attratto dalla sapienza. [20] Al contrario, essi vivono fuori
delle mura e in giardini o luoghi deserti ricercano la solitudine, non a causa
di un’arida misantropia, ma poiché ben sanno che mischiarsi a chi è diverso per
carattere è svantaggioso e dannoso. [21] Questo genere di persone esiste in
gran parte della terra abitata, poiché è inevitabile che abbiano parte al
perfetto bene sia la Grecia che i barbari; è tuttavia più numeroso in Egitto,
in ciascuno dei cosiddetti "νόμοι" ed in particolare nei dintorni di
Alessandria. [22] Da ogni luogo, però, i migliori si recano in una località,
che è per essi come una patria, posta in una zona molto ospitale: sopra la
palude Marea, su una collina piuttosto bassa, in un’ottima posizione, sia per
la sicurezza che per l’aria dolce e temperata. [23] Le fattorie ed i villaggi
circostanti garantiscono sicurezza, mentre la dolcezza dell’aria è data dalle
brezze che spirano dalla palude antistante verso il mare e dal vicino mare alla
palude, continuamente; lievi e secche quelle provenienti dal mare, più umide
quelle dalla palude; la loro mistione produce una condizione climatica molto
salubre. [24] Quanto alle abitazioni di quelli che vivono in comunità sono
molto semplici e forniscono riparo dai due pericoli maggiori, cioè il caldo del
sole ed il freddo dell’aria. Non sono tutte vicine, come quelle in città: la
vicinanza è infatti cosa fastidiosa ed insopportabile per chi cerca la
solitudine; ma non sono neppure distanti, per quel senso di comunità che è loro
caro e perché, nel caso d’una scorreria di briganti, possano portarsi aiuto
reciproco. [25] In ciascuna casa v’è una stanza sacra, chiamata santuario e
monastero, in cui, stando come eremiti, vengono iniziati ai misteri della vita
consacrata, senza introdurvi nulla - né bevanda né cibo né altro che sia
necessario ai bisogni del corpo -, se non leggi e oracoli vaticinati dai
profeti, inni e tutto ciò che contribuisce ad accrescere e portare a perfetto
compimento saggezza e devozione. [26] Mai la loro memoria dimentica Dio,
cosicché anche nei sogni non si rappresentano null’altro che le bellezze delle
potenze e virtù divine; molti inoltre, durante le visioni notturne,
proferiscono i grandiosi principi della sacra filosofia. [27] Sono soliti
pregare due volte al giorno, all’alba ed al tramonto, chiedendo, al sorgere del
sole, una buona giornata, giornata buona nel senso proprio dell’espressione,
cioè che la loro intelligenza sia piena di luce divina; al tramonto, invece,
chiedono che la loro anima, completamente sollevata dalla molteplicità di
sensazioni e di sensibili, raccoltasi nel suo si-nedrio e nel suo luogo di
meditazione segua le tracce della verità. [28] Tutto il tempo compreso dal
mattino alla sera e impiegato nell’ascesi, che consiste nella lettura delle
scritture sacre e nella interpretazione allegorica della filosofia dei loro
padri; ritengono infatti che le parole del testo siano simboli di una realtà
nascosta, che si rivela nei significati reconditi. [29] Essi possiedono anche
scritti di uomini antichi, i capostipiti della loro dottrina, che lasciarono
molte testimonianze del metodo usato nelle interpretazioni allegoriche: essi,
usando questi scritti come dei modelli, ne imitano il metodo; quindi non sono
solo contemplativi, ma compongono anche canti ed inni a Dio, con ogni tipo di
metro e melodia, che poi trascrivono con ritmi i più solenni possibile. [30]
Dunque per sei giorni essi, stando ognuno in disparte, da solo, nei suddetti
monasteri, esercitano la filosofia, senza varcare la soglia della stanza e
senza neppur guardare da lontano; il settimo giorno poi, si riuniscono in una
assemblea comune e siedono uno accanto all’altro, secondo l’età, in un
atteggiamento appropriato, cioè con le mani sotto gli abiti, la destra tra il
petto e il mento, la sinistra nascosta lungo il fianco. [31] Il più anziano ed
esperto nelle dottrine si fa allora avanti e pronuncia un discorso, con lo
sguardo tranquillo, con la voce pacata, con oculatezza e saggezza: egli non fa
vanto d’abilità oratoria come i retori ed i sofisti di oggi, ma ricerca l’esattezza
nell’esposizione dei suoi pensieri, esattezza che non si limita a scalfire l’udito,
ma, attraverso di esso, raggiunge l’anima e vi rimane salda. Tutti gli altri
ascoltano in tranquillità e mostrano il loro assenso con sguardi e cenni del
capo solamente. [32] Questo comune luogo sacro, in cui ogni sette giorni si
riuniscono, è una doppia stanza. [33] Non mangiano però nessun tipo di cibo
ricco, ma semplice pane, il cui companatico è il sale, che quelli di palato
raffinato correggono con issopo, mentre la loro bevanda consiste in acqua
fresca; così calmano la fame e la sete, che la natura pose come dominatrici
dell'umanità, in nulla adulandole ma limitandole ai cibi necessari, senza i
quali non è possibile vivere. Perciò mangiano e bevono quel tanto che serve a
non patire la fame e la sete, evitando la sazietà come un nemico dell'anima e
del corpo….
COSI’ DALL’INIZIO DEI TEMPI…
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