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Scambiatore Universale (14)
La Russia
ha raggiunto per prima la politica dell’eternità. La cleptocrazia rendeva
impossibili le virtù politiche della successione, dell’integrazione e della
novità, cosicché la fiction politica doveva renderle impensabili.
A dare
forma alla politica dell’eternità erano le idee di Ivan Il’in. Una nazione
russa immersa nella menzogna della propria innocenza poteva imparare a nutrire un
amore totale per se stessa.
Vladimir
Surkov ha mostrato come l’eternità possa animare i media moderni. Mentre
lavorava per Putin, ha scritto un romanzo, Almost Zero (2009), che rappresenta
una sorta di confessione politica. Nella storia, l’unica verità è il nostro
bisogno di bugie, l’unica libertà la nostra accettazione di questo verdetto. In
un episodio che si inserisce nella trama più ampia, il protagonista è turbato
da un coinquilino che non fa che dormire. Uno specialista emette un responso: ‘Scompariremo
tutti’, confida ‘non appena apre gli occhi. Il dovere della società, e il
vostro in particolare, è continuare il suo sogno’.
La
perpetuazione di questo stato onirico era la descrizione del lavoro di Surkov.
Se
l’unica verità era l’assenza di verità, i mentitori erano onorevoli servitori
della Russia. Mettere fine alla fattualità significa dare inizio all’eternità.
Se i cittadini
dubitano di tutto, non possono vedere dei modelli alternativi al di là dei
confini russi, non possono condurre delle discussioni sensate sulla riforma, e non
possono fidarsi abbastanza l’uno dell’altro per organizzarsi in vista del
cambiamento politico.
Un futuro
plausibile richiede un presente fattuale.
Sulla
scia di Il’in, Surkov parla della ‘contemplazione del tutto’ che consente una
visione di ‘realtà geopolitica’; dice che gli stranieri, con i loro regolari
attacchi, tentano di allontanare i russi dalla loro innata innocenza.
I russi
devono essere amati per la loro ignoranza; amarli significa perfezionare quell’ignoranza.
Il futuro
contiene solo più ignoranza sul futuro più lontano.
Come ha
scritto in Almost Zero:
‘La
conoscenza dà soltanto conoscenza, ma l’incertezza dà speranza’.
Come
Il’in prima di lui, Surkov considera il cristianesimo come una via per accedere
alla propria superiore creazione. Il Dio di Surkov è un solitario collega con
dei limiti, un altro demiurgo da incoraggiare con qualche virile pacca sulle
spalle. Al pari di Il’in, Surkov evoca dei versi familiari della Bibbia al fine
di capovolgerne il significato. Nel suo romanzo, una suora fa riferimento alla
Prima lettera ai Corinzi (13,13): ‘L’incertezza dà fede. Speranza. Carità’.
Se i
cittadini possono essere tenuti nell’incertezza creando regolarmente delle
crisi, è possibile gestire e orientare le loro emozioni.
Questo è
l’esatto contrario dell’ovvio significato del passo biblico citato da Surkov:
fede, speranza e carità (o amore) sono le tre virtù che si articolano man mano che
impariamo a vedere il mondo così com’è.
Subito
prima di questo verso c’è il famoso passaggio sulla maturità in quanto capacità
di osservare le cose dal punto di vista dell’altro: ‘Poiché ora vediamo come in
uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia; ora conosco in
parte; ma allora conoscerò pienamente, come anch’io sono stato perfettamente conosciuto’.
La prima
cosa che apprendiamo quando guardiamo dalla prospettiva di un altro è che non
siamo innocenti. Surkov intendeva mantenere lo specchio oscuro.
Nella
Russia degli anni Duemiladieci, lo specchio oscuro era lo schermo televisivo.
Il 90% dei russi faceva affidamento sulla televisione per avere notizie. Surkov
era direttore delle pubbliche relazioni di Pervyi Kanal, il principale canale
televisivo del Paese, prima di diventare responsabile delle comunicazioni per
Boris Eltsin e Vladimir Putin. Ha sovrinteso alla trasformazione della
televisione russa da un’autentica pluralità che rappresentava vari interessi a
una finta pluralità dove le immagini erano diverse, ma il messaggio era lo
stesso.
A metà
degli anni Duemiladieci, il finanziamento pubblico di Pervyi Kanal ammontava a
circa 850 milioni di dollari all’anno. Ai suoi dipendenti, e a quelli di altre
reti di Stato, veniva insegnato che il potere era reale, ma che i fatti del
mondo non lo erano. Il viceministro delle Comunicazioni russo, Aleksej Volin,
ha così descritto le loro carriere:
‘Vanno a lavorare
per il Capo, e il Capo dirà loro che cosa scrivere, che cosa non scrivere, e
come questa o quell’altra cosa dev’essere scritta. E il Capo ha il diritto di
farlo, perché li paga’.
La fattualità
non costituiva un vincolo.
Come ha
spiegato Gleb Pavlovskij, un tecnologo politico di spicco:
‘Puoi
dire di tutto. Creare delle realtà’.
Le
notizie dall’estero hanno finito per sostituire quelle regionali e locali,
quasi scomparse dalla televisione. La copertura internazionale equivaleva alla quotidiana
registrazione dell’eterno corso della corruzione, dell’ipocrisia e dell’ostilità
dell’Occidente. Nulla, in Europa o in America, era degno di emulazione. Il vero
cambiamento era impossibile, questo era il messaggio.
RT,
l’emittente propagandistica russa rivolta al pubblico straniero, aveva il
medesimo scopo: reprimere la conoscenza che poteva indurre all’azione e fare
opera di persuasione per trasformare l’emozione in inerzia. Ha stravolto il format
dei notiziari abbracciando senza battere ciglio una serie di grottesche
contraddizioni: ha invitato a parlare un negazionista dell’Olocausto e l’ha
identificato come un attivista dei diritti umani; ha ospitato un neonazista e
l’ha presentato come un esperto del Medio Oriente.
Nelle
parole di Vladimir Putin, RT è ‘sovvenzionata dal governo, quindi non può che rispecchiare
la posizione ufficiale del governo russo’. Tale posizione era l’assenza di un
mondo fattuale, e l’ammontare del finanziamento si aggirava sui 400 milioni di
dollari all’anno. Americani ed europei trovavano in RT un amplificatore dei propri
dubbi – a volte assolutamente giustificati – sulla sincerità dei loro stessi
leader e la vitalità dei loro stessi media.
Lo slogan
del canale televisivo, ‘Question More’ (Metti tutto in dubbio), ispirava un desiderio
di maggior incertezza. Non aveva senso mettere in dubbio la fattualità di
quello che RT trasmetteva, poiché ciò che trasmetteva era la negazione della fattualità.
Come ha asserito il suo direttore: ‘Non esiste un’informazione obiettiva’. RT voleva
far passare il messaggio che tutti i media mentivano, ma che soltanto RT era
onesta, perché non fingeva di dire la verità.
La
fattualità è stata soppiantata da un sagace cinismo che non chiedeva niente
allo spettatore se non un occasionale cenno del capo prima di addormentarsi.
‘La
guerra dell’informazione è oggi il principale tipo di guerra’. Dmitrij Kiselëv
lo sapeva bene, vista la posizione che occupava. Era infatti il coordinatore
dell’agenzia di Stato russa per l’informazione internazionale, nonché il
conduttore di un popolare programma serale della domenica.
I primi
uomini inviati dal Cremlino in Ucraina, l’avanguardia dell’invasione russa,
erano dei tecnologi politici. Una guerra in cui Surkov è al comando si combatte
nell’irrealtà. Nel febbraio 2014, Surkov era in Crimea e a Kiev, e in seguito
ha svolto la funzione di consigliere di Putin per l’Ucraina. Il tecnologo
politico russo Aleksandr Borodaj era l’addetto stampa per la Crimea durante la
sua annessione. Nell’estate del 2014, i ‘primi ministri’ delle due ‘repubbliche
popolari’ appena create nell’Ucraina sudorientale erano degli esperti di comunicazione
russi.
Pur
trattandosi di un evento modesto in termini militari, l’invasione russa della
regione meridionale e poi sudorientale dell’Ucraina vide l’impiego della più
sofisticata campagna di propaganda nella storia della guerra. Essa operò su due
livelli: primo, come attacco diretto alla realtà di fatto, negando l’ovvio,
persino la guerra stessa; secondo, come incondizionata proclamazione di innocenza,
negando che la Russia potesse essere responsabile di qualsiasi sopruso.
Non c’era
nessun conflitto in corso, e ciò era pienamente giustificato. Quando la Russia
diede il via all’invasione della Crimea, il 24 febbraio 2014, il presidente
Putin mentì deliberatamente.
Il 28 febbraio,
dichiarò:
‘Non
abbiamo alcuna intenzione di agitare la spada e mandare delle truppe in Crimea’.
Lo aveva
già fatto.
Nel
momento in cui pronunciava queste parole, le forze russe marciavano ormai da quattro
giorni nel territorio sovrano ucraino. Oltretutto, in Crimea c’erano anche i Lupi
della notte, che seguivano ovunque i soldati russi in un’assordante concerto di
motori rombanti, una trovata mediatica per rendere inequivocabile la presenza russa.
…Eppure,
Putin scelse di prendersi gioco dei cronisti che notavano questi semplici fatti.
Il 4 marzo, affermò che i soldati russi altro non erano che cittadini ucraini che
avevano acquistato le loro uniformi nei negozi locali…
(T.
Snyder, La paura & la Ragione)
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