CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
30 MAGGIO 1924

mercoledì 10 luglio 2019

GALLERIA DI STAMPE NELLA STORIA POSTA (7) & (39)







































Precedenti capitoli:

La calunnia (avversa al regime) avanza (6)

Fra Michele (un Eretico)

Il terreno di gioco dell'Europa (38)

Prosegue nella...

...Seconda Sala  (8)  &  (40)













Dalla Galleria di Stampe precedentemente letta (ma forse non da tutti compresa) ci poniamo in medesimo Punto di Fuga (sia dalla brevità in pixel artificialmente posta e digitata sia per ogni ‘umana condizione & componestica’ osservata e transitata) nella vera 'retro-prospettiva proposta' in onor della Storia troppo spesso vilipesa offesa o fors’anche mai studiata, giacché la possiamo ammirare non solo in patrio suolo ma anche donde un più vasto Pensiero (eterno ed infinito) viene dispensato, nel paradossale ridicolo in cui il potere incaricato ‘legifera’ (contrario ed avverso alla Natura del diritto) e si appella, un potere cementificato e corrotto, ove, mentre costruisce edifica e addirittura tutela l’ingiustizia (per il falso principio della corrotta economia) sbircia perseguita e calunnia alla piccola veranda Infinito Dialogo di una diversa prospettiva con la paura di essere squalificato nel ridicolo cui si compone per un più serio pericolo per l’intera Natura e non solo umana, di cui paradossalmente custode ed artefice, come la volpe guardiana dell’intero pollaio sottratta al Lupo perseguitato qual vero Diavolo così come nell’èvo moderno ritratto… 




Ma la Storia trascorsa 'infinitamente' medesima all’odierna sazia e nutre la corruzione attraverso la continua mistificazione qual trucco della realtà contraffatta.

Ci giova a codesto punto un ragguaglio non del tutto condiviso circa il ‘sublime’ trattato… raccolto votato e difeso supponendo una differente coscienza genetica al ‘puntinato’ posta ed evoluta per ciò da cui Infinito moto e cerchio di medesima Storia, nonché una diversa lettura nel sublime interpretata, giacché motto e araldo – fin dall’antichità pensato e frammentato circa un Dio superiore eterno maestro - della natura ritratta non meno dai paradossali trucchi con cui la maschera mai il volto si accompagna…




…Infatti come leggeremo proviamo tutta l’angoscia paura ansia e terrore nell’osservare l’odierno sublime infinitamente artificialmente ritratto votato e condiviso socialmente al confino posto sia della Ragione che in ciò di cui il ragionamento difetta…




Nel momento in cui l’essere umano si trova dinnanzi a un elemento che considera ‘infinito’ prova nell’animo una sensazione di turbamento, nonostante la consapevolezza dell’inesistenza in natura di oggetti che siano realmente infiniti. Ciò nonostante, proprio perché talvolta il nostro occhio non è in grado di percepire i limiti degli elementi che osserva, li crede infiniti; è per questo motivo che, quindi, siamo soggetti agli stessi effetti che essi generano di come se realmente lo fossero. L’indefinito è, con il misterioso, uno degli effetti provocati dalla presenza minacciosa di una natura che compare apparentemente senza limiti e senza alcuna definizione delle sue forme: in questo caso lo spettacolo naturale suscita stupore e, nello stesso tempo, terrore. Entrambi sono sentimenti che portano la sensibilità dell’uomo verso quella ‘privazione’ che si manifesta nel vuoto, nel silenzio, nell’oscurità e, appunto, nell’infinito.




Sappiamo che Burke considera il sublime come ciò che eleva, che trascende, che tende all’infinito: l’idea di ‘infinito’ costituisce, perciò, uno dei punti cardine della definizione burkeiana del concetto di ‘sublime’. Nella Sezione VII della Parte Prima della sua Enquiry, Burke inaugura la genesi moderna del concetto di ‘sublime’ affermando che tutto ciò che può destare idee di dolore e di pericolo, ossia tutto ciò che è in certo senso terribile, o che riguarda oggetti terribili, o che agisce in modo analogo al terrore, è una fonte del sublime; ossia è ciò che produce la più forte emozione che l’animo sia capace di sentire. Nonostante Burke concentri il suo interesse sulla teorizzazione del sublime ‘naturale’, non trascura di affrontare la questione della ‘trasduzione’ dell’effetto sublime nelle diverse arti: nel corso della sua opera, infatti, egli puntualizza i differenti effetti che le arti generano nel tentativo di riprodurre idee sublimi. La caratterizzazione del sublime di Burke come ‘naturale’ non deve indurci a pensare che la sua analisi del concetto di ‘infinito’ si riferisca solo e esclusivamente all’ambito della natura: nella Enquiry, infatti, egli illustra la sua originale, oltre che efficace, definizione dell’‘infinito artificiale’.




È però attraverso l’analisi dei due concetti di ‘successione’ e di ‘uniformità’ che Burke si addentra appieno nella teorizzazione dell’‘infinito artificiale’. La successione e l’uniformità delle parti sono gli elementi che costituiscono l’‘infinità artificiale’. La successione è necessaria perché le parti si continuino così a lungo nella stessa direzione che, con le loro frequenti impressioni sui sensi, imprimano nell’immaginazione un’idea del loro progredire oltre i loro veri limiti (infatti più che vero se poniamo tal enunciato alle condizione ‘della e nella’ Storia dell’odierna infinita idiozia posta). L’uniformità è necessaria perché, se le figure delle parti cambiassero, l’immaginazione ad ogni cambiamento troverebbe un ostacolo.

Aggiungo: verissimo… e continuiamo con paura ed ansia a leggere…     


  

La politica americana dell’inevitabilità, come tutti i discorsi di questo tipo, resistette agli infiniti fatti. I destini della Russia, dell’Ucraina e della Bielorussia dopo il 1991 dimostravano più che a sufficienza come la caduta di un sistema non creasse una tabula rasa su cui la natura generava mercati e i mercati generavano diritti. Forse l’Iraq avrebbe confermato questa lezione nel 2003, se gli iniziatori della guerra illegale americana avessero riflettuto sulle sue conseguenze disastrose.

La crisi finanziaria del 2008 e la deregolamentazione dei contributi elettorali americani nel 2010 ampliarono l’influenza dei ricchi e ridussero quella degli elettori. Man mano che le disuguaglianze economiche aumentavano, gli orizzonti temporali si restringevano, e sempre meno americani credevano che il futuro  fosse una versione migliore del presente. In mancanza di uno Stato funzionale che assicurasse i beni pubblici scontati altrove – istruzione, pensioni, assistenza sanitaria, trasporti, congedi parentali, ferie retribuite –, gli americani rischiavano di essere travolti da ogni singola giornata e di perdere il senso del futuro.




Il crollo della politica dell’inevitabilità introduce un’altra visione del tempo: la politica dell’eternità.

Mentre l’inevitabilità promette un futuro migliore per tutti, l’eternità colloca una nazione al centro di un racconto ciclico di vittimizzazione. Il tempo non è più una linea verso il futuro, bensì un ciclo che ripropone senza fine le minacce del passato.

Nell’inevitabilità, nessuno è responsabile, perché tutti sappiamo che i frammenti si riordineranno nel modo migliore; nell’eternità, nessuno è responsabile, perché tutti sappiamo che il nemico arriverà qualunque cosa facciamo.














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