CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

mercoledì 3 luglio 2019

DUE ERETICI (3)


















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L'olio di balena Lui parla... (2/1)

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Metti un'Eresia a cena (5)













Questa Rima - o se preferite - Frammento di Vita, la compongo per il diletto di questa storia segreta… eretica preghiera…
Ho atteso la loro rima come un uomo strappato dalla vita e gettato in un sogno, e da quella poesia… non riesce più a farne ritorno. Quella vita da loro narrata e vissuta non è figlia di questo frammento di Tempo raccolto e bruciato come l’Anima a cui si vuole purgare un peccato mai consumato.
Per questo ho atteso con apprensione, ora che la vita domina un villaggio nominato progresso, il ritorno di ogni elemento a cui il loro misero Tempo destina il fuoco delle ore. A cui la creazione destina il fuoco che allontana ogni tremito, come fosse il freddo della morte a cui non sanno dare un nome.
Forse perché vivono nell’illusione della vita.
Forse perché vivono l’illusione dell’Inverno.
Forse perché hanno paura della morte.
Così come dicevo, quando arriva l’Autunno (così come l’estate…) mi raccolgo vicino al bosco, e quando la neve così come nuova linfa lenta si posa su ogni foglia dell’albero della vita e ne imbianca o invigorisce la cima, io ascolto la voce che si fa’ rima…
Ascolto e leggo il libro della vita.
Non provo freddo… e parlo con il vento.
Non provo solitudine, odo tante voci come se la sala del mio vecchio albergo fosse rinata entro il mio invisibile Tempo.
Prima non riuscivo più ad udire verbo nella stagione del loro incompreso Tempo, ora ascolto ogni frammento, ogni proponimento, ogni pensiero del Primo Dio risorto.
La sala in quel momento senza Tempo è colma di tutti gli ospiti di questa eterna nostra avventura, la vestono con i nuovi colori della loro invisibile natura. Adesso che il Tempo trema entro la sua strana ora, una cella fredda, una sala scaldata dal fuoco della passione entro il mito nominato istinto, temono la verità soffocata dal vino…,  mentre adoro e parlo con Dio.




Lui: Nel pomeriggio, mentre stavo sul colle di Fair Haven, udii il rumore di una sega e poco dopo vidi due uomini che stavano segando un nobile Abete.
Decisi di attendere finché non fosse caduto: esso era l’ultimo (…Genio di una Selva antica troppo per essere spiegata a degli omuncoli d’una stirpe nuova…) di una dozzina di Abeti sopravvissuti al primitivo taglio della Foresta e per quindici anni aveva ondeggiato in solitaria maestà al di sopra della Terra in germoglio.




Io: Non combatto la verità con il fuoco dell’ignoranza che avanza, rimango in ascolto della meravigliosa armonia e quando la nota di ogni strofa percepita mi accarezza l’anima fin a quel momento assopita, io rincorro il vento e parlo con la foglia, scruto la rima, poi seguo il torrente e come un pazzo uscito di senno inondo la vallata della mia poesia.
Mi raccontano, ora, la loro storia, l’inganno e il patimento subiti nel Tempo. Quando ornavano la bella vallata, quando raccoglievano il sole… e la cima  donava linfa principio di vita. Poi venne uno strano uomo, padrone del loro arbitrio, volle abbattere e profanare quanto spetta al Primo Architetto creatore Straniero dell’Universo mai detto.
Volle sottomettere e controllare la vita che da secoli governa l’intera vallata. Volle aprire il sentiero nominato ‘progresso’, una paginetta scritta nel Tempo, un Secondo contato nella materia, lui per il vero è solo una virgola, un punto…, l’inutile grammatica di questa storia qui e per sempre perseguitata, forse perché la verità non può essere narrata?
Volle abbattere secolari Dèi, piante e arbusti nel Tempo cresciuti.
Volle abbattere la vita che dimora all’alba di una Prima Mattina, quando un uomo, un Dio sceso si confuse e vagò nella nebbia del suo Universo, volle scrutare il sogno nella materia creato, per poi piangere il suo vero Creato.




Lui: Li vidi dunque rosicchiare a lungo il tronco di questo nobile Albero, come castori o come insetti, quegli omuncoli con la loro piccola sega a malapena in grado di scalfirlo. Esso torreggiava dall’alto di cento piedi circa, come scopersi poco dopo misurandolo, probabilmente uno dei più alti della città, dritto come un dardo, solo leggermente inclinato verso il colle, con la cima che spiccava contro il fiume gelato e la collina di Conantum.




Io: Ma ora che il ricordo si fa tempesta, e la neve… strofa di questa eretica preghiera, a lui rimane solo la memoria della triste tortura ricevuta: quando una bella mattina fu lentamente abbattuta, una giornata intera di vita compiuta e una lenta rima al rumore di una accetta, Tempo che batte la lingua sul tamburo di una nuova calunnia rogo al calore della Storia.
Una giornata di martirio come una vita dedicata a Dio quando al rogo arde l’innocenza della vita vittima di una falsa preghiera, e la verità perì con lui nel bosco di una fitta nebbia di Prima materia creata nell’invisibile pensiero di una volontà celata alla comprensione di una immagine mai svelata e narrata.
Ugual sorte toccò ad un altro arbusto come fosse stato suo fratello nel martirio subito, proprio lì all’inizio del grande sentiero. Si piegava al vento come fosse stato uno strano lamento, poi gli furono spezzati uno ad uno i rami, come quando si mozzano le mani e gli arti ad un uomo in una guerra incompresa, stagione del Tempo che avanza nella fredda nebbia che avvolge l’intera vallata, affinché la lenta agonia inflitta diventi verità compiuta, il rumore sordo dell’accetta una sana preghiera… pagina della memoria.
Alla fine di quella funesta e terribile giornata fu legato con una corda stretta alla cima di un masso scolpito in un Teschio di una impervia via, fu trascinato senza riguardo per il piacere di strappargli la vita, fu mortificato per il diletto nominato dovere nell’apparente legge della vita.
Lei morì nella sua grande bellezza, se pur privata della radice, rimase dritta sospesa come per ingannare l’attesa, così immobile e priva della vita era più bella di prima. Rimase dritta ed eterna come a guardia della sua cima accanto alla foglia ingiallita… compagna di un'altra vita, eresia mai svelata per l’invisibile via. Fratello in ugual sorte di chi non conosce la morte, abdicando alla vista l’inganno scritto nella debolezza del Tempo, lasciando alla vista l’illusione della  morte e la fine diviene spirito di vita.




Lui: Guardo attentamente, per vedere quando comincerà a vacillare. Ora i tagliaboschi s’arrestano ed incidono un poco il tronco con l’accetta dalla parte verso cui inclina, affinché possa spezzarsi più rapidamente, ed ora la loro sega riprende, ora certamente cade; è inclinato di venticinque gradi ed io, col respiro sospeso, attendo il crollo rovinoso. 




Io: Certo che la stagione avanza, ma guarda il mondo e contempla la vita con l’anima di una diversa rima, riscalda la stagione della tua nuova venuta con la saggezza che illumina l’invisibile via intrapresa; certo che lottiamo, da quando fui maestro e poeta di una immensa cima, combattevo il male di un’altra vita. Combattevo la materia invisibile alla tua misera ora e lo spirito rinasceva nella tua parola per ogni calunnia detta e non detta, mentre mortificavi la carne della Prima Venuta con l’arma di una stagione compiuta: tu combatti il Tempo e il Tempo ti studia per ogni bestemmia detta con la complicità divenuta preghiera.
Ridevi così all’invisibile strofa mentre lo spirito acquista nuova vista sì che la tua rima concime di vita, mentre contrasta lo spirito dell’invisibile stagione non ancora venuta, rinasce e narra la storia a te per sempre celata (e giammai riconosciuta) per ogni violenza compiuta…




Lui: Ma no, avevo sbagliato: non s’è mosso d’un palmo, è ancora nella stessa inclinazione di prima. Manca ancora un quarto d’ora al suo crollo. I suoi rami s’agitano al vento come fossero destinati a sopravvivere secoli, e il vento, come prima, soffia attraverso i suoi aghi; è ancora un Albero della Foresta, l’Albero più maestoso che ondeggia sul Musketaquid. Il riflesso argenteo del sole splende attraverso i suoi aghi, lo scoiattolo trova ancora in esso un riposo rifugio per il suo nido, nessun licheno ha ancora abbandonato le sue radici, le radici di un ardito Albero maestro sulla propria collina.


















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