CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
30 MAGGIO 1924

giovedì 7 agosto 2025

IL MALE

 








Diagnosi Precedenti... 


affinché i lavori proseguano 


Io, il Re! Affermo la Natura 


intera Essere viva....  


Il Re Proclama... 
















(si prega prendere visione 


del bando....)        









Prosegue ancora con l'invenzione 


dell'Animatografo






Così, il Re, si trovò pietosamente invischiato in difficoltà di ogni genere, lui, l’idealista recluso, salvatore di Wagner e fondatore del grande Impero tedesco!

 

Ed era in un clima di continue umiliazioni che i ‘castelli da sogno’ stavano per essere completati. Riedel rimase in carica, ma il Gabinetto era caduto completamente in disgrazia con il Re. Ricordando il l’autosufficienza e l’indipendenza di Ludovico II si può ben immaginare dove un simile stato di cose debba inevitabilmente portare.




Tra il Gabinetto e il Re ne seguì ora una lotta amara che durò un anno intero. Due scene da questo doloroso conflitto sarà sufficiente dare qualche idea della tragedia che attendeva il Re. La seguente conversazione ha avuto luogo tra il Segretario di Gabinetto e uno dei ministri:

 

‘Non vedi come il Re sta rovinando il capitale lasciatogli in eredità dai suoi antenati? Se continua ancora così ancora per molto, presto non ci sarà più niente ne è rimasto, né per lui né per la Baviera. Questo è ciò che deriva dal suo pensiero di poter decidere tutto da solo. Deve prima o poi aprire gli occhi sulla sua vera natura posizione di Re di un paese costituzionale e di i suoi doveri verso l’Impero. Rispettosamente ma con molta enfasi dovremo fargli capire che non può più andare avanti così. E questo deve essere fatto in un modo che non gli lasci dubbi su le nostre intenzioni: che questa non sia né una finzione né una falsa necessità ma severa realtà. Né i nostri contemporanei né la storia potrà rimproverarci di aver semplicemente assecondato i capricci reali, trascurando il nostro dovere alla nazione’.

 

‘E se il Re continuasse a rifiutarsi di lasciarsi convincere?’




‘Ci sono modi e mezzi per raggiungere il nostro scopo. In nel caso in cui non fosse convinto, il Re dovrebbe essere trattato come un bambino. Misure estreme e sicure, come l’abdicazione forzata e la sua messa sotto tutela presto gli apriranno gli occhi’.

 

‘Ma questo potrebbe essere fatto solo da qualcuno che non ha affetto per lui, che è completamente fuori dalla simpatia con i suoi progetti architettonici e chi va anche così al punto da considerarlo anormale’.

 

‘Se questo è tutto, potrei citare i nomi di molti che sono pronti ad arrivare a tanto nell'interesse del paese’.

 

Qui la conversazione finì.




L’altra scena si è svolta a Neuschwanstein, quando il quartiermastro Hesselschwerdt stava discutendo la situazione con il Re e disse:

 

‘Vostra Maestà sa quanto devoto sia il popolo a il loro Re e che apprezzano quei castelli che sono già finiti: anche che il paese sta iniziando per vedere il valore di tutto ciò che hai fatto per Wagner. Tanto più la Maestà vostra deve essere estremamente attenta ora di non fare nulla di imprudente che potrebbe causare un’inversione di tendenza nel paese, perché ci sono ci sono già un sacco di voci in giro. Ci sono, si dice, certe persone che desiderano farlo sapere che Vostra Maestà è – mi scusi l’espressione – pazzo!’

 

Il Re sorride cupamente.

 

Non è minimamente arrabbiato.




Come Hesselschwerdt si aspettava, eppure tradisce una certa perplessità e malcelata inquietudine mentre risponde:

 

‘Chi potrebbero essere queste persone? Non riesco a immaginare che tali le persone esistono o esisteranno mai’.

 

‘Non è stato ancora deciso nulla di definitivo, ma fra alcuni giorni potrebbe accadere... Tutto quello che volevo fare era per avvertire Vostra Maestà di non soccombere a nessuna nuova tentazione’.

 

(Il Re aveva appena parlato di i suoi ultimi progetti per un castello a Falkenstein.)




‘Il mio unico desiderio è che il mio popolo si renda conto che tutto ciò che ho fatto non è stato per la mia glorificazione: che ho mirato ad educare il mio popolo ad amare il bello e lasciare tesori imperituri dietro di me per la glorificazione del mio Paese’.

 

A questo punto il Re interruppe la conversazione, rimanendo stranamente in silenzio per tutto il resto della serata.

 

Ma Ludwig non lavora in vista del turismo del futuro.

 

Orchestra la sua prima sinfonia.

 

Non sta più in sé per la gioia della composizione e dal proprio io sente sgorgare una tale abbondanza di temi, che non esita a sovraccaricare il suo testo. Così, fa scavare la grotta di Venusberg, dove, su un lago interno, dondola la navicella di Lohengrin.

 

Non è forse il suo primo desiderio, la sua rivelazione iniziale?




Certo, deve persino arrivare armato di tutto punto, cavaliere di lontani paesi. E mentre i suoi lacchè accendono fiaccole colorate dietro le stalattiti, la leggenda si avvera: Lohengrin dall’elmo d’argento avanza, in piedi sulla sua barca, cantando a mezza voce un indistinto epitalamio.

 

Linderhof, nome privo di bellezza alle orecchie del re. Un giorno ne inventa un altro: Meicost Ettal. Ci si perde in congetture. Ettal lo si poteva spiegare, perché era il nome di un convento vicino. Ma Meicost restava indecifrabile. Tuttavia, il re sembrava felice della sua scoperta. Una volta confidò:

 

‘Le persone sono così stupide da non riuscire a capire questo chiaro simbolo?’

 

Meicost Ettal è un anagramma e, con la matita in mano, rivela ai ciechi un segreto così ben nascosto: cambiate l’ordine delle lettere e leggerete L’état c’est moi (lo Stato sono io).




Meicost Ettal, prima scena della grande festa che ha inizio. La grande festa della mente.

 

Delle menti. L’unico vero teatro del mondo, la corte, trasportata nell’inverno di una valle bavarese. Il passato più sontuoso dell’Occidente è ora in suo potere.

 

Si attacchi dunque la sua slitta di gala. Manda un corriere da Monaco a Meicost Ettal perché venga preparata una cena leggera; dà ordini che lo champagne venga messo in fresco. Al diavolo ancora una volta le assurdità di Stato! Manda i suoi ministri a fare passeggiate. L’importante è che scuotano gli alberi del nuovo parco per farne cadere la neve. Il postiglione, in bicorno e divisa alla francese, precede i sei cavalli bardati con campanelli. Al gran galoppo, la slitta scivola sulla campagna. E Ludwig, chino dietro i finestrini ingrandenti della sua gabbia dorata, corre per arrivare al Trianon da cui è ossessionato. Quella sera, Sua Maestà cena con il Re Sole e Maria Antonietta.

 

…Amava le statue e ne collocava ovunque, salvo poi voltarsi dall’altra parte per non vederle.

 

Ma in un certo posto, a una certa ora, si toglieva il cappello davanti a un albero.




Amava gli specchi, gli avori, le giade, la tartaruga finemente cesellata e passava ore nel contemplarli. Non per la loro bellezza, ma per la perfezione del lavoro, la riuscita di chi li aveva lavorati. È in oggetti di questo tipo che toccava la verità delle cose, l’opposto ‘dell’inganno’. Ascoltava, osservava e accarezzava un mondo che non era più illuminato dal sole della ragione, ma dalla luna delle apparenze. Ed è forse questo altro colore della luce, questo opposto del giorno, che chiamiamo follia.

 

Da un tale uomo ci si aspetta forse che popolasse di deputati e ministri le sue sale del consiglio, ornate per un’assemblea di personaggi illustri?




Le ‘assurdità di Stato’ non meritano queste cornici dorate; meglio che il vento porti via le parole leggere dei segretari di gabinetto e dei capi di governo. Ludwig riceve questi signori tra le sue montagne, su un prato, nei pressi della casa di un guardacaccia. In qualche fresca mattina di primavera, gli ordini arrivano all’improvviso su quelle cime, un tavolo viene sistemato all’aria aperta, coperto da un tappeto di fortuna, davanti al quale sono poste sedie di paglia. Ben presto si sentono gli zoccoli dei cavalli e appare il re, seguito da cocchieri e bracchieri che calpestano le viole.

 

Smontano.

 

Il re avanza da solo, siede al tavolo in abito da viaggio, in testa un berretto scozzese con nastri. I lacchè si allineano a distanza, tenendo i cani al guinzaglio; poi il capo di gabinetto si avvicina a sua volta, in marsina e cravatta bianca, cartella in mano e cappello a cilindro sotto il braccio. Espone gli affari correnti. Sua Maestà li discute con rigore, critica o approva e sui documenti, che gli hanno presentato, appone la sua grande firma calligrafica. Il tutto viene sbrigato in pochi istanti. Poi il burocrate si inchina e torna nella capitale.




A quel punto il re si intrattiene con la sua guardia, si informa su cose relative alla foresta, sull’inverno per due terzi trascorso, su coloro che vivono qui in solitudine, e proibisce una volta di più di sparare agli animali. In quei rifugi alpestri l’idea della morte gli appare abominevole.

 

Che laggiù, nella pianura, gli uomini si distruggano e muoiano come mosche, è affar loro.

 

Ma su quelle alture, dove vagano solo pochi capripedi e mandriani, il lavoro, l’odio e la morte riempirebbero l’occhio ingenuo della natura di patetico stupore.

 

Come, così in alto, tutto torna a essere casto!

 

I lacchè, che lui rimprovera a sé stesso di maltrattare talvolta con una frusta troppo severa, che bei ragazzi orgogliosi e sani sono!




Begli amici vicini al suo cuore. Si assicura che la vettura ministeriale si sia allontanata effettivamente sulla strada che scende a valle. E allora una gioia lo esalta. Chiama il cocchiere Hornig – quello che a Monaco chiamano il cancelliere – gli dà del tu di fronte a tutti, pretende che si dia del tu anche a lui e vuole che sull’erba, subito, si giochi all’anello o a mosca-cieca. Vuole che si beva: e spuntano delle bottiglie.

 

Che si stia allegri: e i volti si animano.

 

Tra questi semplici, egli è un semplice. L’umiltà si insinua in lui come i profumi di questa mattina insolita, perché di solito non si alza fino al tramonto. Ride, gioca con questi ragazzi intimiditi e zozzi; batte loro sulla spalla, accarezza le loro mani inabili alla dolcezza. E all’improvviso si ferma di colpo, si asciuga il sudore che gli imperla la fronte.

 

‘Io, il re! È possibile…?’.




Ritornato alla sua statura regale, si spaventa di sé stesso, cambia volto e torna a cavallo seguito da quel branco ancora ubriaco. In un attimo, la sbalordita cavalcata scompare dietro le fronde.


In tutto ciò la complicazione sta in questo ‘io’ senza stabilità. Per la maggior parte, gli uomini hanno identificato il loro ‘io’, ne hanno individuato gli errori segreti, stringono con mano più o meno ferma le briglie che ne terranno a freno le galoppate. Nel peggiore dei casi, sanno che ci sono barriere e ripari attorno al sentiero, lungo cui scalpita la loro bestia.

 

Ma per Ludwig non ci sono.

 

Caracolla su un altopiano a picco sul vuoto. Abbattute tutte le barriere, nulla gli impedisce di saltare dove lo porta il caso. Tanta libertà gli tarpa le ali. Al momento di partire, ogni volta si ferma.

 

Dove andare?

 

E perché?




Occorre una volontà o un sentimento per orientare il più debole desiderio, almeno una parvenza di appetito. Ma cosa desiderare quando non si ha più fame? Ah, quanto sono incapaci gli uomini di assaporare la propria felicità di essere gelosi, addolorati, appassionati, nudi ed elevati dalle loro speranze!

 

Arrivò il fatidico anno 1886.

 

La gente di Monaco sorrideva e lo chiamavano ‘pazzo’.

 

Poco dopo la scoperta da parte del Primo Ministro von Lutz che il Re aveva affidato al Barone von Franckenstein, leader del partito cattolico, la formazione di un nuovo Gabinetto, che l’offerta era stata accettata e che von Franckenstein si stava preparando a procedere verso il castello di Neuschwanstein per un incontro con Ludwig, la tragedia che incombeva sul Re raggiunse il suo atroce culmine.




Per anticipare i piani del Re, bisognava prendere delle decisioni con rapidità fulminea. Allo stesso tempo era necessario per evocare una sorta di fondamento giuridico su cui basarsi. L’intero Governo inviò una richiesta urgente di un’udienza con lo zio, il principe Luitpold, richiesta che fu concessa.

 

In sua presenza la lettera sigillata destinata per Rothschild fu aperta e Hesselschwerdt è stato proibito di eseguire l’ordine o tutti gli ordini del Re. Poi andarono a stabilire con la speranza di dimostrare che il Re non era più responsabile per le sue azioni, producendo un certificato medico a questo effetto e coinvolgendo altri tre illustri dottori in consultazione, che certificarono il documento.

 

Immediatamente, in seguito, la famiglia reale tenne una consultazione privata a Monaco nel corso del quale decisero con solo due dissenzienti per mettere il Re sotto tutela. Il conte von Holnstein funge da suo tutore. Il barone von Franckenstein fu convinto a rinunciare alla sua posizione politica missione, dopo essersi convinti che tutto fosse fatto.




Il documento decisivo in questione era l’esperta comprovata  prova del famoso dottor von Gudden, direttore del Manicomio Generale dell'Alta Baviera. Era stato redatto e presentato al Ministero già il 23 Marzo 1886 pronto per essere utilizzato quando ritenuto opportuno necessario. In questa fatidica riunione del Gabinetto fu controfirmato dal Dott. Hagen, dal Dott. Grashey e dal Dott. Hubrich, ed era espresso nei seguenti termini crudeli e spietati:

 

‘Vostra Maestà è in uno stadio molto avanzato di malattia mentale, una forma di follia nota agli specialisti della mente con il nome di “Paranoia”. Poiché questa forma di male ha uno sviluppo lento ma progressivo di durata di molti anni, Vostra Maestà deve essere considerata come in ‘soggetto’ incurabile; giacché un ulteriore accentuarsi del male, sulla salute mentale di Sua Altezza, può aggravare ulteriormente lo sviluppo naturale delle sue normali funzioni psico-fisiche. Soffrendo di un tale disturbo, la libertà d’azione non può più essere consentita, e Vostra Maestà è dichiarata essere incapace di governare, come d’intendere e volere; incapacità che sarà non solo per la durata di un anno ma per la durata dell’intera  vita di Vostra Maestà’.




Tale era il contenuto del documento che era rimasto a disposizione del governo bavarese da allora il 1° marzo e rinnovato l’agosto del….

 

Un cervello malato è incurabile!

 

Quella non era una semplice prova di un esperto, era una condanna di morte h pronunciata da uno scienziato. Volevano dimostrare che il grande re eremita era improvvisamente diventato un pericolo per i suoi simili? Alla fine avevano capito l’arma mortale tanto desiderata e che si era trasformata contro di lui.







martedì 5 agosto 2025

CHE I LAVORI... PROSEGUANO!













I lavori proseguono 


un po' più a sud o

 

ad un piano più basso 


in compagnia della camorra!  









Prosegue con  


Io, il Re, 


e il Male che ci circonda e calpesta







La sera del 7 settembre 1885, in un’atmosfera quasi autunnale, mentre il sole tramontava sulle Alpi e sui sottostanti laghi e fattorie della Baviera meridionale, sui binari della stazione di Stock era visibile un’insolita attività. 

 

Soldati in uniformi impeccabili correvano avanti e indietro lungo il marciapiede, mentre un gruppo di funzionari osservava il lento avvicinarsi di una locomotiva a vapore, seguita da una lunga fila di vagoni blu scuro su cui era impressa la corona d’oro del sovrano. Con un ultimo sbuffo di vapore ed un fischio acuto, la locomotiva si fermò e Luigi II scese i pochi scalini dello scompartimento.

 

Senza degnare di uno sguardo i funzionari che lo osservavano curiosi, si affrettò a salire su una carrozza dorata in attesa davanti alla stazione, che percorse la piatta campagna a rotta di collo, attraversando i piccoli villaggi le cui luci brillavano nell’oscurità della notte.




Giunto alla riva del Chiemsee, il lago più grande della Baviera, il re prese posto in una gondola dagli elaborati fregi intagliati, lasciandosi cadere fra i preziosi cuscini di velluto; lentamente l’imbarcazione, spinta dai remi di due marinai in costume veneziano, scivolò attraverso le placide acque verso la luce arancione di due torce, che fiammeggiavano in lontananza ad indicare il punto di attracco di una banchina deserta.

 

Lì, su un’isola solitaria, Ludwig aveva costruito il suo ultimo castello, il più splendido, il Palazzo di Herrenchiemsee.

 

I lavori a Herrenchiemsee procedevano lentamente e, di nuovo, i pensieri di Ludwig si volsero ad altri progetti architettonici.

 

Voleva costruire ancora tre castelli: un palazzo bizantino, un palazzo cinese ed un castello gotico. Per il primo, che si sarebbe dovuto erigere vicino a Linderhof, vennero commissionati due progetti, uno a Dollmann e l’altro a Julius Hofmann. Quello disegnato da Dollmann, del 1869, comprendeva un vasto complesso di costruzioni diverse che risentivano di influenze bizantine e moresche: dal corpo principale dell’edificio due lunghe ali si dipartivano a racchiudere il cortile, che comprendeva i locali di servizio ed una grande cappella privata.




I disegni di Julius Hofmann, del 1885, erano inquietanti e rivelavano il rapido deterioramento della mente del sovrano: erano una raffigurazione cupa ed altamente simbolica della fuga di Ludwig dalla realtà e del suo crescente isolamento.

 

Hofmann progettò anche il palazzo cinese, che sarebbe dovuto sorgere sulle rive del Plansee, fra Linderhof e Neuschwanstein. Fedelmente copiato dal Palazzo d’Inverno di Pechino, comprendeva un piccolo edificio principale, che ospitava una sala del trono ed una camera da letto, situato al centro di una più vasta costruzione recintata. Qui il re pensava di abbigliare cortigiani e domestici con costumi cinesi e di vivere secondo la complicata etichetta della corte imperiale cinese.

 

Il terzo progetto prevedeva la costruzione di un castello gotico a Falkenstein, un alto dirupo nell’Allgau, fra Lindau e Füssen. Christian Jank fece i primi schizzi nel 1883, chiaramente ispirati a quelli ch’egli stesso aveva dipinto vent’anni prima, raffiguranti delle rovine sul Reno.




L’acquerello di Jank per Falkenstein rappresentava un castello fantastico, pericolosamente appollaiato sulla cresta della montagna, con l’aggiunta di false rovine che scendevano lungo il dirupo e torri ricoperte di edera. Il re incaricò Dollmann dei progetti esecutivi, ma l’architetto sapeva ch’egli non era in grado di sostenere la spesa di una nuova costruzione e presentò il progetto di un castello più piccolo, meno pittoresco, che non aveva alcuna somiglianza con la romantica opera di fantasia originariamente concepita da Jank.

 

Come era prevedibile, Ludwig silurò Dollmann seduta stante.

 

Per la realizzazione del progetto chiamò Max Schultze, il quale modificò in parte il disegno originale di Jank, attenuando i particolari più ridondanti, ma mantenendone lo spirito fantastico. Ciononostante, il suo lavoro non durò che un anno ed egli venne poi a sua volta sostituito da Hofmann, che portò con sé un assistente di nome Eugen Drollinger.




Insieme, i due uomini dovettero far fronte alle continue modifiche che il re apportava ai progetti. La camera da letto di Falkenstein, che doveva essere l’ambiente più grande del castello, subì molte variazioni di stile, dal gotico e bizantino al romanico. Il letto doveva essere posto sotto un baldacchino dorato, in un’abside, e, ad entrambi i lati, vi sarebbero state altre due absidi più piccole, una delle quali avrebbe racchiuso un altare bizantino. In alto, sostenuta da archi decorati con affreschi di soggetto religioso, era prevista un’enorme cupola blu, punteggiata di stelle d’oro.

 

Per il re questa stanza rappresentava insieme una camera da letto ed una cappella, e il desiderio di vederla realizzata divenne ben presto un’ossessione; ordinò quindi che dai progetti si togliessero altri locali in modo da poter dare a questa maggiore spazio.

 

Nel 1886, i lavori a Falkenstein non erano ancora iniziati per mancanza di fondi, e il sovrano stava diventando sempre più irrequieto. Per tranquillizzarlo, Drollinger iniziò a lavorare ad una nuova serie di schizzi per la camera da letto, per la quale però le richieste di Ludwig diventavano ora sempre più stravaganti ed inquietanti: voleva un’enorme cupola in mosaico, altissime finestre di vetro istoriato, affreschi raffiguranti gli apostoli, ed un candelabro dorato alto quasi dieci metri. Apparentemente più sereno, ordinò altri disegni e progetti per questo incredibile ambiente, che era ormai grande come un intero piano di Linderhof. Drollinger stava lavorando ad una veduta d’insieme della camera quando, il 13 giugno 1886, gli venne annunciato che il re era morto.




Il costo delle creazioni architettoniche di Ludwig fu enorme. Spese 6.180.047 marchi per Neuschwanstein e 8.460.937 marchi per Linderhof. Herrenchiemsee, la sua realizzazione più fastosa, costò addirittura 16.579.674 marchi. In un solo anno, il 1883, spese 5.865.607 marchi – quasi l’intero costo di Neuschwanstein – per i lavori a Herrenchiemsee. Quando morì, la cifra complessiva per i tre castelli ammontava a 32.220.658 marchi.

 

Dopo la sua morte, il governo bavarese aprì al pubblico le porte dei suoi castelli, e, per la prima volta, dei turisti pagarono per potersi aggirare tra gli splendori del romantico mondo ch’egli aveva creato.

 

Nella primavera del 1884 il debito personale di Ludwig ammontava a sette milioni e mezzo di marchi. Secondo la legge bavarese, il sovrano poteva essere pubblicamente perseguito dai suoi creditori e, poiché le spese del re aumentavano costantemente, questa eventualità divenne un pericolo concreto, e numerosi funzionari di corte vennero inviati per tutta l’Europa alla ricerca di fondi.




La Baring Brothers Bank di Londra offrì un prestito di nove milioni di marchi, ma a condizioni che furono giudicate inaccettabili da Ludwig. Egli scoprì allora che esistevano, in un deposito fiduciario, considerevoli somme appartenenti al patrimonio del padre e chiese ai funzionari responsabili di poterne disporre; ma i legali che amministravano il deposito rifiutarono.

 

Philipp Pfister, il segretario di corte, si recò a Berlino per chiedere un prestito a Bismarck: il Cancelliere di Ferro era abbastanza favorevole, ma, prima che si raggiungesse un accordo, Emil von Riedel, il ministro delle Finanze bavarese, riuscì ad ottenere un prestito di sette milioni e mezzo di marchi – la somma esatta che il sovrano doveva ai creditori – da un gruppo di banche della Germania meridionale. Il prestito doveva essere restituito a rate in un periodo di quindici anni ed avrebbe richiesto grandi economie da parte di Ludwig.

 

Questi problemi finanziari facevano disperare i membri della Real casa i quali riuscivano a conservarsi il posto spesso soltanto mentendogli. Nel 1884 Hermann Gresser, segretario di corte di Ludwig, se lo ingraziò assicurandogli che non ci si doveva preoccupare delle questioni finanziarie; affermò inoltre che ‘i servizi igienici in tutte le stanze di Sua Maestà saranno d’ora in avanti in perfetto stato’ – in quanto, probabilmente, si era fatto qualche riferimento alle condizioni dell’impianto idraulico dei suoi castelli.




Alcuni mesi dopo, per ordine del sovrano, Gresser fu inviato alla tesoreria reale con l’incarico di ritirare tutte le pietre preziose e togliere i diamanti dalla corona di stato bavarese, presumibilmente allo scopo di venderli ed usarne il ricavato per finanziare i progetti architettonici del re. Ma il funzionario responsabile si rifiutò di acconsentire a questo ‘furto’ e, quando il segretario ritornò a mani vuote, Ludwig lo licenziò sui due piedi.

 

Gresser fu sostituito da von Klug, il quale non sapeva nulla delle difficoltà finanziarie del re. Questi era così disperato che pensò perfino di avvicinare gli odiati Hohenzollern di Prussia; il Kaiser Guglielmo I ricevette gli emissari del nipote e si dichiarò disposto a prestargli dieci milioni di marchi, ma, ancora una volta, Ludwig trovò le condizioni inaccettabili: il denaro doveva essere usato soltanto per saldare i vecchi debiti e non per le nuove costruzioni. In dicembre, von Klug informò il sovrano che un certo banchiere di nome Schulein era disposto a prestargli subito quattrocentomila marchi se lo avesse ricompensato con un titolo nobiliare.

 

Benché in un primo momento Ludwig fosse riluttante ad accettare questa spiacevole transazione, alla fine acconsentì e a Schulein venne conferito il titolo richiesto.




Questa somma, tuttavia, non incideva che in misura irrisoria sull’enorme ammontare del debito, che, alla fine del 1885, era quasi raddoppiato, essendo passato da sette milioni e mezzo di marchi alla cifra da capogiro di quattordici milioni di marchi. Ma, nonostante la sua stravaganza, Ludwig aveva compreso che le cose non potevano continuare in quel modo. Il 29 agosto 1885 aveva ordinato a Riedel di verificare ‘lo stato insoddisfacente’ delle sue finanze private e di fare quanto avesse ritenuto necessario ‘per migliorare la situazione finanziaria’.

 

Consultatosi con gli altri ministri, il 3 settembre Riedel informò il re che il gabinetto raccomandava grandi economie e l’immediata interruzione di tutti i progetti architettonici. Fece anche notare che sulla stampa apparivano già accenni alla sua precaria situazione finanziaria, e che qualsiasi ulteriore spesa avrebbe potuto arrecare un danno irreversibile al prestigio della corona bavarese. Nell’udire ciò Ludwig fu colto da un tale furore che minacciò di sollevare dall’incarico il ministro, che si salvò dal licenziamento soltanto quando tutti i membri del gabinetto dichiararono che si sarebbero dimessi; ciò avrebbe comportato, a sua volta, il crollo del governo bavarese, ed il re fu quindi costretto a trattenere Riedel.




Fu proprio questo spiacevole contrasto con Riedel che mise sull’avviso il governo bavarese riguardo alla situazione estremamente critica delle finanze del re. La questione dei suoi debiti era, sotto il profilo tecnico, un affare privato del sovrano, ma la minaccia di licenziare un ministro perché non era riuscito ad ottenergli dei prestiti, scuoteva le fondamenta stesse del governo.

 

La sopravvivenza della coalizione, così attentamente calibrata, che deteneva il potere in Baviera, veniva in questo modo a dipendere dallo stato delle finanze del re. Involontariamente Ludwig aveva trasformato il suo debito personale in una crisi politica e messo i ministri nella condizione di opporglisi, non perché fossero necessariamente contrari alle spese per i suoi progetti architettonici, ma perché la frenetica attività edificatoria del re minacciava il loro potere.




L’eventualità ch’egli potesse essere perseguito dai creditori era reale, e Lutz suggerì che il sovrano compilasse un elenco dei propri debiti e ponesse immediatamente termine alle sue costruzioni. Il pensiero di poter perdere i suoi amati castelli tormentava Ludwig, ed egli chiese al ministro degli Interni se sarebbe stato possibile trasferirli al governo bavarese trasformandoli in possedimenti della corona, in modo da porli così sotto la tutela della legge; ma questa proposta venne rifiutata. Ludwig, sempre più disperato, il 28 gennaio 1886 scrisse al suo aiutante di campo Dürckheim: 

 

“Se non si riesce ad ottenere entro quattro settimane una certa somma, Linderhof e Herrenchiemsee, di mia proprietà, saranno confiscate per legge. Se non si riuscirà a prevenirlo in tempo, mi ucciderò all’istante o lascerò immediatamente e per sempre la terra maledetta dove può verificarsi un fatto tanto abominevole. Vi chiedo, mio caro Conte, con urgenza, Vi prego con insistenza di mobilitare un gruppo di persone, che mi siano fedeli e che non si lascino intimidire da nulla, le quali, se si verificasse il peggio e non si riuscisse a trovare il denaro necessario, siano disposte a cacciare la feccia ribelle o i traditori. Confido che condurrete la faccenda con discrezione e segretezza, in quanto né i ministri, né la polizia (di cui non ci si può fidare in questa circostanza), e nemmeno i segretari (von Klug, Schneider) devono venirne a conoscenza. Sono tutti funzionari timorosi davanti alla Camera, alla legge ed alla pubblica opinione; sono soltanto un gruppo di vecchie donnette, non i sudditi leali che dovrebbero essere”.




Al colmo della disperazione, il re inviò nuovamente von Klug a Berlino ad implorare Bismarck che gli concedesse i fondi necessari. Il 25 febbraio 1886 il segretario gli riferì:

 

“Sono appena rientrato da Berlino – un giorno prima del previsto poiché Bleichroeder ha avuto ieri l’opportunità di parlare con il principe Bismarck. Secondo Bleichroeder, egli (il principe Bismarck) ha detto: ‘Senza garanzie è impossibile reperire un milione in Germania. Anche se Sua Maestà il Re di Baviera in persona mi scrivesse, non potrei dargli altro consiglio che quello di cessare le sue costruzioni e rimettersi ai Ministri’.

 

Bleichroeder ha aggiunto che, in tali circostanze, Sua Maestà il Re di Baviera otterrebbe il denaro a Berlino ad un tasso inferiore che in qualsiasi altro paese in Europa. Con il mio ritorno da Berlino, sono cadute tutte le mie speranze di ottenere il denaro per proseguire con i progetti architettonici. Sono profondamente addolorato che il Destino mi abbia scelto per dare a Vostra Maestà questa triste notizia”. 

 

Dal punto di vista politico, Ludwig si trovava in una situazione pericolosa. Il Partito dei Patrioti, composto per la maggior parte di ex ultramontani e di gesuiti, deteneva la maggioranza dei seggi in seno al Landtag, ed uno dei suoi membri aveva sollevato pubblicamente la questione dei problemi finanziari del re dicendo che, se questa fosse stata sottoposta all’assemblea, tutti i suoi colleghi si sarebbero schierati contro il sovrano.




A peggiorare la situazione vi era la sconsiderata insistenza con cui il re pretendeva che si reperisse la somma di venti milioni di marchi. Diversi funzionari di corte vennero inviati in missione dal re di Svezia, dallo scià di Persia e dal sultano della Turchia per chiedere denaro. Si diceva che fosse stato inviato anche un gruppo di persone a Francoforte, a Parigi, a Berlino e a Londra con l’incarico di fare sondaggi presso tutte le banche di quelle città.

 

Questo, ovviamente, non portò a nulla, anche se tutti fecero l’impossibile per assecondare il sovrano.

 

Dürckheim ricordò in seguito un incontro che aveva avuto con Karl Hesselschwerdt, quartiermastro del re:

 

“Nel gennaio o febbraio del 1886, Hesselschwerdt venne da me con un ordine verbale del sovrano perché mi recassi a Londra a chiedere dieci milioni di marchi al duca di Westminster”.




Dürckheim si rese perfettamente conto dell’inutilità della missione, tuttavia disse a Hesselschwerdt di informare il re che aveva ricevuto l’ordine e gli avrebbe riferito in merito ai propri sforzi non appena vi fossero state novità. Ma Hesselschwerdt gli rispose che non avrebbe potuto portare di persona il messaggio, dicendo:

 

“Vedete, in questo momento mi trovo a Napoli”.

 

“Cosa volete dire?”

 

…chiese lo sbigottito aiutante di campo.

 

“Esattamente questo. Il Re mi ha mandato a Napoli, ma non vi era motivo di andare, per cui sono rimasto qui. Ma ho detto che sarei andato e che non sarei stato di ritorno fino a mercoledì, quindi non posso annunciare il mio rientro prima di quella data”.




La regina Maria, venendo a conoscenza dei guai finanziari del figlio, gli scrisse offrendogli tutto il denaro che aveva sui suoi conti personali e dichiarandosi anche disposta a vendere i propri gioielli; egli tuttavia le rispose:

 

“Mi sento in dovere di inviarVi i miei più sentiti ringraziamenti per la Vostra generosa offerta, troppo gentile da parte Vostra, ma vorrei chiederVi di consentirmi di rifiutare. Con qualche intrigo, il Capo della mia segreteria deve riuscire prima o poi a sistemare questa faccenda”.

 

I nodi vennero al pettine l’11 agosto… 1886, quando al re venne formalmente fatta pervenire un’ingiunzione legale da parte della società che riforniva i suoi castelli di acqua e gas, alla quale doveva, in quel momento, una somma assai superiore ai centomila marchi. Si temeva che si potessero presentare altri creditori e, se il paese fosse venuto a conoscenza di questa azione legale, il prestigio della corona ne sarebbe stato certamente danneggiato.




Dopo essersi ancora una volta consultato con Bismarck, Ludwig informò Lutz della propria intenzione di rimettere la questione al Landtag. Lutz ne parlò agli altri membri del gabinetto e di nuovo avvisò il re che un voto in sede parlamentare avrebbe quasi certamente comportato una sconfitta. Con una lettera datata 5 settembre, il primo ministro e i membri del gabinetto informarono recisamente il sovrano che non avrebbero inserito nella legislatura straordinaria alcuna misura per ottenere altri fondi e si rifiutarono di discutere ulteriormente il problema.

 

Ludwig, furibondo per questo rifiuto, ricorse alla soluzione per lui più semplice: decise che avrebbe licenziato il governo al completo. A sovrintendere all’operazione venne chiamato l’ex segretario di gabinetto Ziegler, mentre a Hesselschwerdt e al barbiere di Ludwig, Hoppe, venne affidato l’incarico di scegliere i ministri del nuovo gabinetto.

 

Hesselschwerdt si affrettò a riferire la notizia al conte Holnstein, il quale, pur non essendo più al servizio del re, era in stretto contatto con i membri della Real casa e del governo. Informò quindi Lutz del progetto del sovrano e fu così che il governo bavarese seppe che Ludwig stava complottando per farlo cadere.



L’aiutante di campo del re, conte Dürckheim ricorderà in seguito:

 

“Fu una grande sfortuna per il Re non essere andato a Monaco nell’autunno del 1885, come normalmente faceva in quel periodo dell’anno. La sera del 10 novembre era già in viaggio quando, improvvisamente, diede ordine di cambiare direzione e dirigersi a Linderhof. Dopo alcuni giorni di permanenza in quel luogo, andò a Hohenschwangau…

 

Il fatto di non essere venuto a Monaco nel tardo autunno del 1885 segnò il punto di svolta, l’inizio della fine.

 

Fu in seguito a questa sua decisione ch’egli non si trasferì a Monaco nemmeno durante l’inverno. Se fosse venuto allora, l’intero andamento della crisi sarebbe potuto essere diverso… la catastrofe del 1886 non avrebbe avuto luogo…

 

Durante l’inverno e fino alla primavera inoltrata del 1886, vennero improvvisamente a mancare la lealtà e la discrezione dimostrate fino ad allora quando si parlava delle questioni private del Re. Cominciarono ad apparire con crescente regolarità articoli di giornale, dapprima soltanto all’estero, ma poi anche sulla stampa bavarese.




Nelle birrerie si discutevano e si criticavano pubblicamente non più soltanto il dissesto delle finanze private ed i progetti architettonici del Re, ma anche il modo di vivere di Sua Maestà, le sue abitudini, ecc. Si fecero le peggiori insinuazioni sui militari che per qualche tempo avevano svolto le mansioni di lacchè, e la stampa riportò i racconti più esagerati sui doni fatti da Sua Maestà ad alcune persone, sui suoi supposti maltrattamenti nei confronti dei domestici, e così via.

 

È interessante notare come la polizia non intervenisse mai, sebbene nei locali pubblici si udissero continuamente i peggiori casi di lesa maestà. Come sempre accade in queste situazioni, i veri istigatori erano pochi.




La maggior parte della gente ascoltava, concordando o dissentendo, tornava a casa e ripeteva quanto aveva udito. È molto facile creare una crisi quando non si incontrano ostacoli sulla propria strada!

 

Non può sfuggire ad un osservatore imparziale che si trattava di un deliberato tentativo di fomentare l’ostilità contro la persona del Sovrano. Le cose non si sarebbero mai spinte così avanti se il Re fosse stato nella sua residenza di Monaco, come era suo costume durante l’inverno, tra febbraio e maggio. Ma era rimasto lontano, solo ed isolato a Hohenschwangau.

 

Chi avrebbe quindi potuto provare o contestare la veridicità di quanto veniva detto sul suo stato mentale?

 

Dürckheim era consapevole del fatto che qualcosa non andava per il verso giusto e capiva che Ludwig era in pericolo. Non sapeva però che, mentre il re meditava sulla propria situazione finanziaria e sulla costruzione dei suoi castelli, la famiglia reale ed il governo bavarese erano attivamente impegnati in un complotto per rovesciarlo dal trono… 

(G. King)

(Dedicato  a  Michela  &  alla  sua  dinastia...)